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Messaggi Don Orione
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La devozione verso Don Orione. La conversione alla caritā durante la campagna di Russia. I primi passi ad Arosio con l'aiuto della Congregazione orionina. Il decollo sulla scena nazionale come promotore della causa educativa, sociale e anche politica dei Mutilatini.

DON CARLO GNOCCHI,
ORIONINO AMORIS CAUSA

Don Flavio Peloso
Arosio, 15 ottobre 2018.
80° anniversario del trasferimento dei Mutilatini da Arosio a Milano.

 

1. Don Gnocchi ricorda Don Orione

Don Carlo Gnocchi ha lasciato una preziosa descrizione del suo primo incontro con Don Orione, in occasione della famosa conferenza di Don Orione all'Università Cattolica, il 19 dicembre del 1937. Il senatore Stefano Cavazzoni aveva presentato Don Orione al numeroso e qualificato uditorio, lodando esuberantemente lo sviluppo prodigioso della sua opera. Toccò poi a Don Orione parlare.
"Non gli credete - esordì Don Orione con impeto -; tutto quello che il Senatore ha detto è una bugia! Io non ho fatto niente, è la Provvidenza che ha fatto tutto. Io sono un sacco di stracci, nient'altro che un sacco di stracci; un sacco di stracci, capite?". La sua voce in quel momento si era fatta alta, sdegnata, quasi dolorante; le mani tremanti malmenavano convulsamente la povera talare sul petto ansante; e gli occhi accesi erravano sull'assemblea sorpresa e commossa ad implorare credenza. Poi si tacque un poco, spossato ed umiliato. I nostri occhi erano velati di pianto – conclude il ricordo Don Gnocchi – ed il cuore era fatto piccino e spaurito; forse era la prima volta che s'era affacciato sull'abisso dell'umiltà convinta e sofferta dei santi".

"Poche volte in verità, ho avuto la fortuna di incontrarmi con Lui, e ora ne provo un pungente rammarico, che è quasi dispetto contro la mia pigrizia. Avere un Santo a portata di mano e non approfittarne”, ammise Don Gnocchi in un’altra conversazione con gli Amici milanesi.

Già quand’era alla parrocchia di San Pietro in Sala, Don Carlo aveva incominciato a frequentare il Piccolo Cottolengo portandovi anche i suoi ragazzi. Di Don Orione conservò una “lettera consolantissima” del 30 ottobre 1939 in occasione della morte della madre e di un suo profondo turbamento spirituale.

In un’altra occasione, Don Carlo dirà che Don Orione: “Aveva due occhi grandi, neri, caldi, ma fermi e profondi, di una dolcezza viva e fiammeggiante… Quando egli ti guardava, ti sentivi avvolgere e penetrare da un alone di calore intimo, di interesse amoroso e di bontà compassionevole. Il suo era uno sguardo d'amore".

 

2. La svolta caritativa: i soldati e i mutilatini

A determinare la scelta caritativa di Don Carlo Gnocchi, che lasciò l’assistenza educativa nel prestigioso collegio Gonzaga di Milano per dedicarsi ai soldati prima e ai mutilatini poi, hanno contribuito l'esperienza tragica della guerra e la frequentazione di Don Orione e del Piccolo Cottolengo di Milano.

L’entrata in guerra dell’Italia fece partire per il fronte tanti allievi del Gonzaga e specialmente quelli della II Legione Universitaria, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di cui era assistente spirituale. Don Carlo prima fu loro vicino con una associazione di solidarietà che da Milano trasmetteva corrispondenza e aiuti e poi decise di andare al fronte con loro. Si arruolò anche lui, volontario, cappellano dei giovani che gli erano cresciuti attorno: fu in Montenegro, in Croazia, in Grecia, e infine in Russia. Quell’esperienza lo cambiò. Tornò dal fronte sentendosi un miracolato.

Annunciò Don Carlo Sterpi, primo collaboratore e successore di Don Orione, il 26 marzo 1943, la svolta della sua vita.

“Caro e reverendo Don Sterpi, il Signore mi ha tratto prodigiosamente incolume da una tragica se pur gloriosa vicenda. Sono in Italia sano e salvo. Ringrazi Don Orione anche Lei per me. A Lui mi sono raccomandato sempre. Da lui spero la grazia di spendere completamente questa vita “prorogata” solo per la Carità”.

In quello stesso 1943, Don Carlo iniziò il pietoso pellegrinaggio, alla ricerca dei familiari dei caduti per portare loro notizie, fede e conforto, annotò i nomi dei bimbi rimasti orfani e di quanti soffrivano le conseguenze della guerra con l’invalidità. Volle fare qualcosa per loro.

Gli fu affidata la direzione della “Casa per Invalidi di Guerra”, ospitata nella Villa Borletti di Arosio (Como), ove prese a ospitare i primi figli della sua “promessa”: erano tre. L’attività stentava ad avviarsi. Per di più, Don Carlo stava attraversando un periodo di forte debilitazione fisica e di inquietudine vocazionale. Scrisse a Don Sterpi, nella primavera 1944, chiedendo di essere ospitato in un luogo di assoluto riposo, ma gli interessava ben altro:

“Io ho consacrato per voto,[1] in un’ora di estremo pericolo in Russia, la mia vita al servizio dei poveri; ma mi vado accorgendo che l’esercizio della Carità è assai difficile compierlo isolatamente, soprattutto quando non si è santi.

Per questo, da tanto tempo, vado pensando se il Signore non mi chiami a lasciare il mondo e ad entrare in una Congregazione che si proponga la pratica della Carità di Nostro Signore.

Tra queste Congregazioni, soprattutto per la predilezione che ebbe per me Don Orione e che Lei continua tanto benevolmente, nessuna per ora mi parrebbe più adatta di quella dei Figli della Divina Provvidenza”.

“Sono certamente a un bivio decisivo della mia vita: forse mi manca il coraggio delle decisioni supreme: eppure comprendo che oggi solo la Carità può salvare il mondo e che ad essa bisogna assolutamente consacrarsi”.

 

3. Collaborazione con gli Orionini

Il 6 agosto 1946, fu a visitarlo ad Arosio Don Carlo Pensa, vicario generale degli Orionini. Dopo quell’incontro, scrive a Don Sterpi con lettera datata 8 agosto 1946.

Ho segnato il giorno 6 agosto 1946 come una pietra fondamentale nella storia della Casa di Arosio; così almeno mi dice il cuore profondo. Sento che la venuta di un figlio di Don Orione segna l’inizio di un nuovo periodo nella mia vita e in quello dell'Istituto di Arosio e forse è il primo passo di una via, non facile né breve, che può condurre nelle grandi braccia della carità della Congregazione sua e di Don Orione una delle più belle opere di carità.
Ad ogni modo Arosio… ci sono 40 poveri relitti umani, i Grandi Invalidi di guerra; 50 Orfani di guerra e alcuni Bambini Mutilati di guerra.
Mi dia dunque un giovane Sacerdote aperto e ricco di iniziative e soprattutto di vita interiore, quae ad omnia utilis est. Io ho bisogno per ora di stare a Milano e di girare per trovare i mezzi di vita. Egli potrebbe esser tutto per i grandi e per i piccoli, per i malati e per i sani, per l’assistenza religiosa come per il gioco e per il lavoro. Potrebbe portare nella casa lo spirito grande della carità di Don Orione. Per la consolazione di questi infelici”.

Per l’assistenza ai Mutilatini della Casa di Arosio viene scelto Don Giovanni Casati che si dedica totalmente e generosamente ai ragazzi che al suo arrivo. Vi porta subito lo stile di congregazione. La condivisione diretta della vita dei ragazzi era uno dei canoni del metodo cristiano-paterno inculcato da Don Orione.[2]

“In buoni modi ho rifiutato fin dal primo giorno una stanzetta messa a mia  disposizione direttamente da Don Carlo, per dormire nella camera coi mutilatini; così ho lasciato il giorno appresso la sala da pranzo… per consumare i pasti alla stessa tavola dei ragazzi, che ho sempre seguiti dal dormitorio alla chiesa, dal refettorio alla ricreazione, dal passeggio alle gite, studiandomi di dare a questi piccoli, così tanto provati dalla guerra, un’educazione civile, intellettuale, spirituale e morale”.[3]

Con la presenza di Don Casati il numero dei ragazzi andò rapidamente crescendo; a novembre sono 17, a Natale 20. Di lui Don Gnocchi era proprio contento e ne scrisse a Don Carlo Pensa, in una lettera datata 8 novembre 1946, nella quale loda Don Casati e chiede “ancora un assistente potrebbe fare con lui una piccola ed embrionale Comunità orionina […] e l’aumento dei figli di Don Orione in questa Casa potrebbe rendere sempre più attuabile il mio disegno di dare un giorno questa Casa e soprattutto l’attività dei Bambini Mutilati, che sorge per la prima volta con queste proporzioni in Italia, nelle mani della Sua Congregazione…”.

Il 30 dicembre, Don Gnocchi scrive: “L’Opera di Arosio va bene, soprattutto per merito della Congregazione di Don Orione. Ogni giorno che passa si infittiscono i legami tra di essa e la Congregazione. Speriamo che un giorno si possano identificare”.

Va detto che Don Gnocchi divenne presto un'icona pubblica della causa dei Mutilatini, esperto come era nelle relazioni e con grande capacità di visione e di comunicazione culturale. Non si occupò direttamente della vita di Arosio: ai bambini orfani ci pensavano le Suore; l'attività dei mutilatini era affidata agli Orionini, tanto che Don Casati un po' se ne lamentò: "in 18 mesi passati ad Arosio mai una volta Don Carlo ha radunato i ragazzi per tener loro conversazioni o conferenze specificatamente formative".

Ad un certo punto, Don Gnocchi pensa di affidare la casa di Arosio alla completa gestione degli Orionini: “Don Casati e due chierici, potrebbe costituirsi una piccola comunità orionina ad Arosio ed io potrei con tutta tranquillità rimanere a Milano a trovare i mezzi di vita per la Casa”.

Ad Arosio giunsero i chierici Alberto Gamberini e Giuseppe Baldocchi, e poi Cirillo Longo e Don Mario Bai. Don Giovanni Casati possedeva sia cuore e sia intraprendenza e informò Don Pensa, il 6 maggio 1947: “abbiamo avviati tutti i mutilatini ad una occupazione per fare loro comprendere che si aprirà anche per loro un radioso avvenire […] Si può dire che il peso di tutta la casa grava sulle spalle di Baldocchi e mie, perché Don Carlo viene di sfuggita una volta la settimana”.

           La sintonia ideale e la collaborazione con la Congregazione orionina erano talmente buoni che Don Gnocchi scrisse a Don Carlo Pensa, in data 9 marzo 1947.

Da che il Signore mi ha miracolosamente salvato dai pericoli della guerra in Albania, Grecia, Montenegro e Russia, e da quelli della vita clandestina e dell’arresto, io ho sentito il dovere, che è diventato un voto, di dedicare la mia vita al servizio dei poveri di Nostro Signore. Per questo ho voluto la direzione della Casa di Arosio. […]
L’ideale sarebbe che io entrassi in una Congregazione avente per scopo la carità; ma finora questo coraggio e questo spirito di sacrificio, soprattutto dopo 23 anni di vita secolare, non l’ho ancora trovato in me stesso e nella Grazia del Signore.
Non rimarrebbe che provare una via di mezzo ed una tappa di accostamento. Che per esempio io potessi affiancarmi ad una Congregazione del genere, così come
[Don Benedetto] Galbiati ed altri sono per la Sua Congregazione. È possibile tutto questo e a quali condizioni? Ecco quello che domando a Lei.
Io potrei dare alla Congregazione il piccolo ma fervoroso aiuto dell’opera mia: la predicazione, gli scritti, la propaganda, le amicizie e le conoscenze, specialmente nello sviluppo della “Casa di Carità Don Orione” a Milano. In cambio non chiederei che l’ospitalità presso la Congregazione e di poter partecipare alla Sua vita di pietà, contribuendo anche con le mie risorse finanziarie”.

               Nel maggio 1947, nella casa di Arosio gli Invalidi adulti erano 45 e i Mutilatini 30. Si erano costituiti dei laboratori allo scopo di occupare e preparare alla vita i Mutilatini. “Don Carlo era impegnato a Milano, dove normalmente risiedeva, a far conoscere alle autorità civili ed ai magnati della finanza l’istituzione e i grandi progetti che sognava di realizzare per sollevare dalla sofferenza quei suoi ragazzi; ad Arosio faceva saltuarie visite”.[4]

 

4. Da Arosio al Piccolo Cottolengo di Milano

Ad Arosio andò crescendo il numero dei Mutilatini e crescevano i problemi; diveniva sempre più difficile la convivenza con “i grandi invalidi di guerra del 1915-18, i quali con la loro vita infrollita e spesso viziata, erano un cattivo spettacolo per quei teneri fanciulli che si affacciavano alla vita”, come scrisse Don Casati.
Si giunse alla decisione di trasferire i Mutilatini di Arosio al Piccolo Cottolengo di Milano, in Viale Caterina da Forlì 19, dove nel febbraio del 1946 si era iniziata una nuova e ampia struttura tutta per loro. La Casa di Arosio, dunque, funzionò come casa per i Mutilatini dal 16 settembre 1946, giorno di arrivo di Don Giovanni Casati, fino al 19 marzo 1948.

Al 19 marzo 1948, nel Diario del Piccolo Cottolengo di Milano è annotato: "Entrano nel padiglione maschile 73 mutilatini provenienti dall'Opera di Don Gnocchi in Arosio. Vi sono tra loro ragazzi dai 7 ai 16 anni alcuni senza braccia, altri privi di gambe, portati a spalle dai compagni. Per i loro servizi si aiutano a vicenda: quelli che sono senza gambe lavano la faccia a quelli privi di mani. Ci si presenta ora, con questi carissimi figliuoli, una serie infinita di nuovi problemi: ognuno è un caso a sé, ed ha le sue particolari sofferenze ed esigenze. La Provvidenza ci aiuterà a compiere bene anche questa difficile e delicata missione!".

Il nuovo Istituto dei Mutilatini, modernamente concepito e attrezzato, aveva una capienza di circa 200 posti, ed era inserito nel complesso del Piccolo Cottolengo orionino di Milano. Ai 73 primi Mutilatini, tutti presi in carico dalla Congregazione, si unirono altri che stavano aspettando di avere posto. Quella fu la prima Casa italiana del Piccolo Mutilato di guerra, che ebbe come prologo la breve e limitata esperienza fatta ad Arosio. A Milano si trasferì l’intera comunità, ragazzi e religiosi, con Don Giovanni Casati come direttore e Don Gnocchi come soprintendente.[5] L’Istituto giunse ben presto al pieno della sua capienza data la vastità del problema e delle richieste di accoglienza.

 

5. Per cammini diversi

Nel frattempo, Don Gnocchi diventò persona di grande notorietà in Italia, anche per la risonanza di alcune vaste campagne pubblicitarie nazionali. Il suo genio era la promozione culturale, economica ed organizzativa in favore dei Mutilatini, la visione della dimensione anche politica dell’assistenza. Può essere considerato un antesignano di promotor di fundraising moderno, con le sue geniali ed efficaci iniziative, più nota fra tutte quella dei voli dell’aereo “Angelo dei bimbi” e la “Catena della fratellanza”.

Resosi autonomo economicamente con le risorse private, provenienti dalle campagne di solidarietà, e soprattutto con le risorse pubbliche, mediante le sue relazioni politiche, ad un certo punto, Don Carlo Gnocchi continuò l’attività in favore dei Mutilatini con una propria ed autonoma organizzazione di laici. Lasciò la collaborazione con l’Opera Don Orione che, nell’immediato dopo guerra, aveva aperti ben 11 Istituti per Mutilatini, sparsi per l’Italia, offrendo educazione con il metodo cristiano-paterno e preparando al futuro con i servizi riabilitativi e scolastici.

La costituzione da parte di Don Gnocchi, nel 1948, della Federazione Pro Infanzia Mutilata, ente giuridico autonomo, segnò l’effettiva separazione del cammino tra le due istituzioni, “una separazione esclusivamente burocratica”, come la definì Don Gnocchi, perché egli restò sempre in buoni rapporti con la Congregazione. Continuò ad essere il Presidente degli “Amici del Piccolo Cottolengo Milanese” di Don Orione fino alla sua prematura morte, avvenuta il 28 febbraio 1956.

 

[1] In una lettera al card. Schuster del 20 giugno 1944, Don Carlo racconta più dettagliatamente la circostanza. “Quando il 18 gennaio dell'anno scorso, in Russia, io mi trovai accerchiato dal nemico e già in procinto di cadere prigioniero dei russi, feci un voto. Che se il Signore mi avesse liberato (come miracolosamente avvenne) avrei dedicato tutta la mia vita ad un'opera di carità”.

[2] Si veda la nota di Flavio Peloso, Il metodo paterno-cristiano, “Don Orione Oggi”, aprile 2011, p.3-5.

[3] Pro memoria di Don Giovanni Casati; ADO, cart. Casati.

[4] ADO, testimonianza di Don Mario Bai, assistente dei mutilatini ad Arosio.

[5] Come già ad Arosio, anche a Milano Don Gnocchi non si occupava direttamente dei mutilatini, non stava con loro; più che padre fu promotore della causa dei mutilatini e organizzatore di servizi in loro favore. Nello stile di famiglia, unito certo a competenza e servizi, stava invece la caratteristica del metodo cristiano-paterno di Don Orione. Cfr la recensione di Concetta Giallongo al libro di Stefano Zurlo, L’ardimento. Racconto della vita di Don Carlo Gnocchi, BUR, Milano, 2005, in “Messaggi di Don Orione” 38 (2006), n. 120, p.89-90.

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