Stefano Zurlo,
L’ardimento. Racconto della vita di Don Carlo Gnocchi.
NON PATERNALISMO, MA PATERNITÀ.
NON ASSITENZIALISMO, MA SPIRITO DI FAMIGLIA.
Recensione del libro di Stefano Zurlo, L’ardimento. Racconto della vita di Don Carlo Gnocchi, Bur, Milano 2005.
Si tratta di una biografia divulgativa, scritta da un giornalista dalla penna fluida, Stefano Zurlo, che riesce a far incontrare il lettore con la vita vivace e stimolante di Don Carlo Gnocchi. Vicende interiori e impegno pubblico del santo protagonista sono intrecciate nella unificante prospettiva della promozione del servizio ai “mutilatini” prima e ai disabili in genere poi. La sua vita ebbe un prima e un poi, due pagine diversissime con in mezzo un dramma e una crisi personale: la seconda guerra mondiale vista dal fronte russo e il ripensamento del suo modo di essere sacerdote.
Nel 1942 scrisse a Don Sterpi, primo successore di Don Orione: “Raccomandatemi a Don Orione e ottenetemi la grazia di diventare un giorno uno dei suoi figli”. Poi pensò di far parte della Congregazione come “aggregato”. Infine le due vie proseguiranno autonomamente. Tornato dal fronte della II guerra mondiale, Don Gnocchi si dedicò ai “mutilatini” e alla promozione del servizio ai feriti della guerra e della vita.
La svolta caritativa della vita sacerdotale di Don Gnocchi fu determinata dall’ispirazione superiore di Dio, ma anche da due cause seconde concomitanti: l’esperienza degli orrori della II guerra mondiale e la frequentazione di Don Orione e del suo Piccolo Cottolengo di Milano. Ne trasse santi esempi slancio, idee ed esperienze, per poi decollare nell’attività assistenziale, sorprendente per qualità e per quantità. Ne è stato scritto in Don Carlo Gnocchi sulla scia di Don Orione [Messaggi di Don Orione 34(2002) n.109, p.45-76].
Piuttosto riduttiva e non rispondente alla realtà risulta la presentazione di Zurlo degli istituti e del metodo della congregazione orionina ai tempi di Don Gnocchi, tanto da suscitare la meraviglia di Alfonso Ceresani, un “mutilatino” di quei tempi descritti nel libro, poi dirigente bancario e presidente degli aeroporti milanesi.
“Del libro di Zurlo ho subito cercato le pagine che riguardavano il periodo ben noto dei Mutilatini e dell'Opera Don Orione – scrive Ceresani -. Io ho vissuto in prima persona quei periodi anche se sono entrato nel '51 a Roma - Monte Mario (ricordo Don Casati, don Orlandi, don Ripepi, don Marchesani, don Zanatta...). Vi è un primo accenno a p.82: “Il mio progetto va oltre la pastorale di assistenza degli Istituti orionini". Poi da pagina 102 e seguenti si parla di diversa impostazione educativa: "Qui occorre un sacerdote (....) possibilmente anche ferrato scientificamente, un organizzatore geniale e intraprendente... non bastano le competenze sufficienti a dirigere e a far prosperare un collegio di orfani, di artigiani o anche di minorati comuni". E seguono giudizi pesanti. Forse bisognerebbe chiedere ai nostri amici Ex allievi tirati su, per esempio, da don Ignazio Cavarretta se ritenevano insufficienti quegli educatori. Quei cari religiosi vivevano con noi, mangiavano con noi, anche se non tutti avevano preparazione pedagogica o scientifica. Il loro affetto e la paternità era palpabile e incantevole. Si era una famiglia. Ai servizi ci pensavano altri, ma se non ci fossero stati loro a darci il cuore e il senso della Provvidenza di Dio, chi ce l’avrebbe dato? Certo, questo stile di famiglia distingueva “Don Orione” da “Don Gnocchi”. Ma non era un difetto” (Alfonso Cerasani).
Come è noto, Don Gnocchi affidò fin dall’inizio il gruppetto di mutilatini, accolti nella casa di Arosio, ai sacerdoti e chierici di Don Orione. Quando il 19 marzo 1948, a Milano, fu inaugurata la Casa dei Mutilatini, modernamente concepita e attrezzata, con una capienza di circa 200 posti, inserita nel complesso del Piccolo Cottolengo orionino, vi furono ospitati anche i mutilatini di Arosio; l’orionino Don Giovanni Casati ne fu il direttore e Don Gnocchi il soprintendente. Divergenze personali – non solo ideali – portarono Don Gnocchi a scollarsi sempre più dalla collaborazione con gli Istituti orionini che – nel libro – sono presentati come espressione di un servizio meramente assistenziale e non promozionale nei confronti dei “mutilatini”. Non era così, né nelle idee né nei fatti, anche se dopo la guerra, con la povertà dominante e con l’assillo delle centinaia di mutilatini presenti nelle case di Milano, Gallio di Vicenza, Roma, Napoli, Messina, Palermo e altre minori, solo lentamente si poté rispondere agli standard di servizio che Don Gnocchi andava, illuminatamente, prospettando.
Nella sua ricostruzione l’Autore riprende come unica fonte Don Gnocchi. Ma andava meglio contestualizzata con più complete conoscenze. Su questo tema, lo stesso Don Gnocchi fu limitativo nel giudizio. Forse, l’enfasi dell’affermazione di nuove idee e metodi – di cui era alfiere – lo portò a dipingere con forte contrasto negativo “un determinato tipo di carità rispettabile, tradizionale”. Forse semplicemente non ebbe pazienza. Le idee corrono più veloci dei fatti. Ma sono i fatti a verificare le idee.
Come già ad Arosio, anche a Milano Don Gnocchi non si occupò direttamente dei mutilatini, non stava con loro; più che padre presente fu organizzatore geniale. Lo stile di famiglia, unito certo a competenza e servizio, era invece la caratteristica della congregazione orionina. Ma è improprio e irrispettoso il giudizio di paternalismo e di assistenzialismo degli Istituti orionini che sarebbe stato alla base della separazione di Don Gnocchi dall’Opera Don Orione nella quale egli si appoggiò e crebbe. Va inoltre detto che ci furono anche altri motivi determinanti di tipo pedagogico, economico e di protagonismo accentratore.
Don Gnocchi prese le distanze dalla Congregazione e la Congregazione prese le distanze da Don Gnocchi. Rimasero la stima e l'amore alla stessa causa: quella dei mutilatini e, successivamente, delle persone portatrici di limiti e disabilità.
La Congregazione continuò a ricercare l’equilibrio tra servizi alla persona e relazioni con la persona, tra organizzazione scientifica e stile di famiglia, dentro un’esperienza di fede e di carità esplicitamente espresse. Organizzare la qualità dei servizi è parte importante dell’offrire la carità delle relazioni, ma non la esaurisce. Né ieri e né oggi.