Si tratta di Appunti di conferenza di Don Flavio Peloso, tenuta ai religiosi, personale e volontari del Piccolo Cottolengo di Genova - Camaldoli.
DON ORIONE, SEMPRE CHINO SULLE MISERIE UMANE:
VALORE PEDAGOGICO E APOSTOLICO DEL DOLORE
Sono contento di essere qui a al Piccolo Cottolengo di Genova-Camaldoli, in questa opera "sempre china sulle miserie umane". Si tratta di una giornata formativa, di riflessione sui significati e sullo stile di Don Orione "buon samaritano del 20° secolo", destinata a religiosi, suore, dipendenti, volontari e amici di questo “Villaggio della Carità” e delle altre realizzazioni del Piccolo Cottolengo genovese. Il servizio reso in queste case ha connotati professionali propri, importantissimi. Vogliamo riflettere un poco su quelli umani e spirituali.
Questa frase costituisce il titolo e l'ispirazione della bella statua di Don Orione dello scultore Martini che sta a Monte Mario (Roma) e a Sanremo.
Un'altra definizione simile e ancor più conosciuta, di Pio XII, presenta Don Orione come "padre dei poveri, benefattore dell'umanità dolorante e abbandonata".
Questa attitudine caritativa di Don Orione è la più nota e la più rilevabile della sua vita. Poi, ad ispirarla c'è tutta una vita interiore, un carisma che anima, motiva e dà progetto alla sua azione.
La sua vita è tutta una documentazione della verità del "sempre chino sulle miserie umane": dal vecchio cui egli, ragazzino, diede l'ombrello ("io ho le gambe per correre") fino all'ultima vecchina che accolse in casa proprio alla sera di quel 12 marzo 1940, poco prima di morire.
L'esperienza della sofferenza e della Provvidenza costituisce l'intreccio solido, inscindibile, creativo di tutta l'esistenza di Don Orione: quante "croci" subite, cercate, sollevate...! E' molto arricchente conoscere la sua avventura umana e cristiana. Per lui la “croce” non è solo motivo di devozione, di solidarietà-aiuto, ma è dinamismo di crescita umana, cristiana, apostolica.
Qualche indizio significativo:
- la Salve regina per chiedere le croci e la grazia di ben sopportarle (Parola XI, 264);
- i 7 effe dei Figli della Divina Provvidenza: erano 5 per Don Guanella; lui li aumentò a 7: "Fede, freddo, fame, fatica, fumo, fastidi, fiat voluntas Dei. E poi... fiaschi, fischi, filze di debiti, facchinaggi, frustate, frecce, frizzi. Insomma: umiliazioni, annegazioni, tribolazioni, avversità, persecuzioni, croci" (Parola I, 195).
- "Gesù Cristo, la Chiesa, le Anime si amano in croce e crocifissi con Gesù o non si amano affatto" (Lettere II, 461-462): quante volte ripeteva questo ritornello!
- La Congregazione è nata in un venerdì santo, per stare sul calvario... se no rimarrà bambina! "Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita della anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo" (L I, 169).
Leggiamo questo episodio-parabola dell'atteggiamento di Don Orione "chino" sul dolore umano e del suo valore pedagogico e apostolico.
Don Orione scrive a don Casa e racconta come ha trascorso il giorno del suo XXV di Messa.
"Qui di feste non se ne sono fatte; non ho permesso che se ne facessero per mio XXV di Sacerdozio. Quel giorno io dovevo passarlo a Bra, nel silenzio e in Domino; ma, la vigilia, mi accorsi che il caro Chierico Viano andava peggiorando, e allora mi fermai a Tortona. La notte la passai presso il letto di Viano e la mattina dissi la Messa ai piedi della Madonna della Divina Provvidenza ... Venuta l'ora del pranzo, ti dirò come l'ho passata. Viano andava peggiorando, ma era sempre presente a se stesso; da più giorni quel povero figlio, malgrado gli enteroclismi, non aveva avuto più beneficio di corpo, quando, verso mezzodì ebbe come un rilassamento di corpo, e non si fece a tempo, perché anche lui non avverti a tempo o non se ne è neanche accorto, poveretto!
E allora il chierico Don Camillo Secco ora è suddiacono che fa da infermiere, e che è forte assai, alzò il caro malato diritto sul letto, e abbiamo cambiato tutto, e il letto e il malato, e così mentre gli altri pranzavano, con dell'acqua tiepida io lo lavavo e pulivo, facendo, col nostro caro Viano, quegli uffici umili sì, ma santi, che una madre fa con i suoi bambini.
Ho guardato in quel momento il chierico Camillo, ed ho visto che piangeva. Ci eravamo chiusi in infermeria, perché nessuno entrasse, e fuori picchiavano con insistenza che andassi giù a pranzo; ma io pensavo che meglio assai era compiere, con amore di Dio e umiltà, quell'opera santa, e veramente di Dio; e dicevo tra me: Oh molto meglio questo che tutte le prediche che ho fatto! Ora vedo che veramente Gesù mi ama, se mi dà modo di purificare la mia vita e di santificare cosi questo XXV anniversario di mio Sacerdozio.
E sentivo che mai avevo più sublimemente né più santamente servito a Dio nel mio prossimo, come in quel momento, ben più grande che tutte le opere fatte nei 25 anni di ministero sacerdotale. E Deo gratias! E Deo gratias!". (L 1, 191-193)
Don Orione definisce "opera santa e veramente di Dio" quel servizio "che una madre fa con i suoi bambini" e ne evidenze il valore pedagogico ("mi da modo di purificare la mia vita e di santificare il mio sacerdozio") e il valore apostolico ("Oh molto meglio questo che tutte le prediche che ho fatto!").
Nel sottotitolo del nostro tema è condensato il messaggio che con Don Orione vogliamo meditare: il dolore ha un grande valore pedagogico e apostolico
- per chi lo vive,
- per chi lo cura, per chi lo condivide, o anche solo lo consola (cioè gli si mette accanto).
I termini del titolo-messaggio di questa riflessione sono già chiari ed evidenti di per sé. Ma precisiamo che:
L'esperienza del dolore a volte è personalissima, quasi nascosta; a volte coinvolge in modo imprevisto e spontaneo una cerchia di persone, altre volte ancora trova una risposta pensata, voluta, organizzata, istituzionalizzata... come è il caso di una Casa come questa; una casa motivata dall'accoglienza, dalla cura, dalla condivisione del dolore mediante la carità. Una casa di carità... un Piccolo Cottolengo o un'Orionopolis, come si chiama in Brasile, un Villaggio della carità.
"Don Orione sempre chino sulle miserie umane" ha dato sia risposte personalissime che istituzionali, mediante "opere di carità". Avremo presente, in particolare, questo contesto del dolore... quello accolto, curato e condiviso in una casa di carità.
Come Orionino, sono convinto che mediante le opere di carità si manifesta, al massimo della trasparenza, il carisma orionino: far sperimentare ai piccoli, ai poveri, al popolo la Provvidenza di Dio e la maternità della Chiesa, per "instaurare omnia in Christo ", singoli e società, religiosamente e civilmente.
Raccogliamo solo alcuni spunti di vita e di insegnamento di Don Orione che confermano la verità del tema: il dolore ha un grande valore pedagogico e apostolico.
Le 4 sorta di bene... e il "bene negativo".
C'è una pagina sorprendente di Don Orione che esprime una visione di vita nella quale anche il male è trasformato dalla Divina Provvidenza in bene, e lo chiama "bene negativo".
Il contesto: a Tortona era stata avviata l'università Popolare con una conferenza del Padre Semeria: si ebbero difficoltà ed avversità; Don Orione scrive a Don Perduca.
"Vi è un bene superlativo, ed è l'ottimo; vi è un bene comparativo, ed è il meglio; vi è il bene semplice, ma positivo. E poi vi è anche un altro bene, che è il bene negativo, che molte volte è a preferirsi, date le circostanze, i tempi, gli uomini. E talora costa, questo bene, costa anche più che l'altro bene, perché non è tenuto da tanti per bene; da molti è tenuto per male; da altri, e per altri, è motivo di scandalo e addirittura condannato; dai più è messo in sospetto; da alcuni poi è, segretamente, morso con dente acuto e velenoso.
Chi sa portare, per l'amore di Dio benedetto, la croce che gli viene e le tribolazioni fraterne, che il Signore permette a nostra purificazione e umiliazione, da quest'ultima forma di bene, avrà pure scritto la sua opera buona in Cielo.
Ora, cari miei, il bene dell'Università popolare è questo, o di questo ultimo genere. Caviamone alimento di vita spirituale..." (L 1, 519-520)
"Chi è che ha spinto il Regolo di Cafarnao ad andare sino a Cana a cercare Gesù, ad implorare la guarigione del figlio morente? Il dolore, il dolore!
Il dolore che provava per il figlio che moriva porta il grande Ufficiale ad incontrare, a chiamare, ad invocare Gesù: è il dolore! Se non avesse avuto il figlio malato, se non avesse avuto il dolore, sarebbe andato quell'Ufficiale a cercare Gesù?
Attenti! Finché sulla terra si è felici, molto raramente si cerca Dio. Ecco la grande lezione del dolore, la grande missione del dolore, della tribolazione, dell'umiliazione, della sofferenza, della croce di questa vita. E' la croce che ci porta a cercare Gesù; è il dolore che ci fa levare la voce, il grido a chiamare l'aiuto di Dio; è il dolore che ci fa distaccare dalla terra. Ecco la grande missione del dolore nella vita dell'uomo.
Se il figliuol prodigo, che abbandonò la casa paterna e dissipò le sostanze nei bagordi della vita libera e nei vizi, se avesse sempre avuto un filone d'oro, se avesse sempre avuto il tesoro di Creso da spendere con la compagnia dei viziosi, il figliuol prodigo non sarebbe mai più ritornato alla casa del padre... Venne la miseria, venne l'umiliazione, il servaggio, la fame, il dolore... il dolore gli ricordò la casa paterna, lo riportò alla casa paterna!
Ecco la missione del dolore!
Facevo la Prima Ginnasiale; eravamo in autunno, in una città non meno fredda di questa nostra Tortona, c'era una nebbia, un umido, un cader di foglie ingiallite; e il nostro assistente, un certo Luigi Chiavarino, ci condusse a visitare il cimitero di Torino, nell'ottava dei morti. E nel camminare tra le tombe, o lo sapesse o fosse un caso fortuito, siamo capitati davanti ad una croce sulla quale vi erano scritte queste parole: "Qui giace Silvio Pellico che sotto il peso della croce imparò la via del Cielo". Parole scritte da una grande donna, il cui nome è benedetto per tutto il Piemonte:, la marchesa di Barolo. Essa stessa scrisse quell'epigrafe. "Qui giace Silvio Pellico che sotto il peso della croce imparò la via del Cielo".
Guai se, nella vita, non ci fosse il dolore! Guai, guai!". [Parola (15.10.1939) XI, 174-175]
Anche Giovanni Paolo II parla dell'ammirabile fecondità del dolore: 'Nel piano divino ogni dolore è dolore di parto; esso contribuisce alla nascita di una nuova umanità" (Discorso del 27.4.1983).
Va detto chiaramente che il male non è mai un bene. Ma può diventare un bene... una grazia! Solo la fede - e la fede cristiana - con la rivelazione della Divina Provvidenza e della redenzione di Cristo dà risposta al problema del male. Senza l'annuncio-promessa di una dignità superiore ("figli di Dio"), senza l'annuncio-promessa di una vita superiore ("vita eterna") e di un progetto di bene vittorioso ("instaurare omnia in Christo") cui tutto è relativo (orientato).... il male" resterebbe solo negativo, assurdo, sconfitta. Senza questa fede, chiamare il dolore "dono" o "grazia" sarebbe sciocchezza ed anche insulto.
"Tutto concorre al bene di coloro che sono amati dal Signore" (San Paolo). "Iddio non toglie mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne una più certa e più grande" (Manzoni).
"Stordito!" Nel 1920, Don Orione incontra il giovane cieco Cesare Pisano in una grave crisi di disperazione, fino alla bestemmia, piegato dalla "disgrazia" della cecità. Più avanti negli anni Frate Ave Maria ricorderà così quell'incontro: "Don Orione, con grande, paterno amore mi dette dello stordito: Oh, stordito - mi disse - tu desideri i beni che poi dovresti abbandonare; di quello che avresti nelle tue mani, forse te ne serviresti per diventare colpevole. Tu devi vedere la luce per non correre il pericolo di andarti a fracassare; tu devi avere la sapienza dell'uomo giusto, e sta certo che non ti annoierai" (Si può essere felici, p. 7-8).
Sappiamo che, toccato dal dolore e dalla Grazia, Frate Ave Maria passò "dalle tenebre alla luce, alla fede" e, dopo 50 anni dalla "disgrazia", celebrò le "nozze d'oro" di cecità (Cfr. Lettere dall'eremo, p. 242-244).
"Quanto al cinquantesimo di mia corporale sorella cecità... la Divina Provvidenza servendosi di Don Orione riuscì a persuadermi, a convincermi che non erano le ricchezze, la luce, la sapienza di quaggiù, i beni che mi avrebbero potuto fare veramente felice e che anzi, l'avermi recisamente negati questi beni, fu un segno di squisita benevolenza... Difatti, io sono, naturalmente, superficiale; che, se fossi stato ricco di beni di quaggiù, non avrei cercato altro bene. Invece, la Divina Provvidenza, col farmi disperare dei beni passeggeri e col farmi incontrare il sacerdote provvidenziale, mi indusse a sperare nei veri beni... in Dio... nelle delizie eterne" (La luminosa notte di un cieco, 198-199).
Don Orione stesso ebbe a dire: "la prima grande grazia che Dio mi ha fatto è stata quella di essere nato povero".
La Parola di Dio attribuisce importanza decisiva alla "povertà" come condizione privilegiata per incontrare Dio.
"Beati i poveri... gli afflitti... perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3; Le 6,20). BEATI!... non perché "poveri", ma perché essendo poveri si aprono a Dio, "sommo bene ed eterna felicità".
Pensiamo, ad esempio, al "cieco nato" e alle folle di poveri del vangelo e di ogni epoca che, proprio perché spinti dai loro bisogni e dalle loro insufficienze, aperti, e talvolta urlanti, vanno "oltre" il loro stato, si muovono verso l'Incontro che salva.
Assistiamo invece all'opposto atteggiamento - ottuso e conservatore - dei ricchi chiusi alla vita e a Dio perché ripiegati su se stessi e su beni molto limitati e caduchi (Mt 22,1-14).
L'esperienza della “povertà”, la croce, aiutano a scoprire la radicale insufficienza dell'uomo e la sua vocazione.
Lo smarrimento, il rifiuto del male, del limite ci rivela che l'uomo è "di più" di quel che vive, che egli è "oltre" questa vita; risveglia la nostra vocazione-identità che è più grande di quel che siamo... è trascendente questa vita.
Nel libro Va' dove ti porta il cuore, l'austero Padre Thomas, dice alla protagonista: "Solo il dolore fa crescere. Ma il dolore va preso di petto: chi svicola o si compiange è destinato a perdere" (p. 147).
L'esperienza della “povertà” aiuta a riconoscere la Provvidenza divina, senso e felicità piena e ultima.
Cadendo le nostre illusioni, ambizioni, sicurezze... nel dolore scopriamo la nostra fragilità, il niente... e questo stimola a cercare i veri beni.. ad affidarci a Dio.
Il passaggio, però, non è automatico. L'incontro con Dio e l'affidamento gioioso alla Provvidenza sono una grazia di Dio. Il dolore è porta che apre alla vita come anche muro che la sbarra. Il dolore, come tale, è ambiguo: dispone a Dio, ma può anche chiudere in se stessi.
Don Orione scrive: "Chi ama Dio gode sempre. La vita è tutta seminata di spine e di rose, di gaudio e di dolore. Il dolore senza Dio confonde, irrita, dispera l'uomo; ma dove vi è un po'di amore di Dio, il dolore cangia natura, addiviene ad un tempo, dolore ed amore, diviene consolazione e piacere, e, senza cessare di essere dolore, è fatto amore dolcissimo di Dio. Chi ama Dio gode sempre" (Scritti 54, 214).
Anche un religioso sperimentato può entrare nel 'turbamento' della croce... come fosse la prima volta. Don Orione conforta, con delicata ironia, il suo stimatissimo Don Pensa: "Mi pare che Don Pensa si lasci troppo abbattere dalle prove che il Signore gli manda o permette. Oh bella, adesso, che proprio Don Pensa non pensi che colle tribolazioni Dio ci fa prendere sperimento di noi stessi, della nostra miseria e nullità perché, persuasi di ciò, ci rivolgiamo a Lui e a Lui interamente ci abbandoniamo? Gesù ci ama e vuole farei più suoi e della S. Chiesa, perciò Gesù ci prova" (Scritti 19, 219)
Il dolore, le miserie, le sofferenze sanate, consolate, amate sono un segno che predica la presenza provvidente di Dio, che "ha creato l'uomo per la vita" e vuole che i suoi figli "abbiano vita e l'abbiano in sovrabbondanza".
E' stato il modo con cui Gesù ha rivelato il Padre e compiuto la sua missione: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella" (Mt 11,4-5).
"Dopo questi fatti... una gran folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. (Segue la moltiplicazione dei pani) Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!" (Gv 6,2 ... 14).
Giovanni Paolo Il esprimendo gratitudine e ammirazione per i Religiosi che assistono i poveri, malati e sofferenti ricorda loro che “servire i poveri è atto di evangelizzazione e, nello stesso tempo, sigillo di evangelicità e stimolo di conversione permanente per la vita consacrata" (Vita Consecrata 82) "Le persone consacrate... assistendo i malati e i sofferenti, contribuiscono in maniera significativa alla sua missione. Esse continuano il ministero di misericordia di Cristo, che 'passò beneficando e sanando tutti' (At 10,38)" (Vita Consecrata 83).
Anche Don Orione ha voluto seguire l'esempio di Gesù: ha evangelizzato mediante i segni della carità verso i piccoli, i poveri, gli ultimi. Papa Luciani lo ha definito "lo stratega della carità", perché le opere di misericordia costituivano la strategia apostolica sua e del suo "esercito della carità". Ascoltiamo alcuni passaggi della sua catechesi spicciola sul valore apostolico della carità:
I poveri, gli handicappati, i rottami della società erano da Don Orione chiamati, senza retorica, "i nostri tesori", le nostre "perle", i nostri "padroni" (il padrone di casa: nome riservato anche a Gesù- eucarestia!). "I nostri cari poveri... non sono ospiti, non sono dei ricoverati, ma sono dei padroni, e noi loro servi, così si serve il Signore" (Lettere 11, p.227).
Don Orione ha del povero un concetto molto realistico - da maniche rimboccate, senza voli poetici e sentimentali - e contemporaneamente una visione quasi sacra ("nel più misero del fratello brilla l'immagine di Dio", "vedere e servire Cristo nell'uomo", "chi dà al povero dà a Dio").
Nel servizio alle persone provate dal dolore, occorre alimentare la coscienza che lì, in quella vita, c'è un segno speciale di Dio, della sua Provvidenza, del valore assoluto della vita. "L'occhio della Divina Provvidenza è, in special modo, rivolto alle creature più sventurate derelitte" (Lettere 11, 224). Questo suggerisce atteggia- menti di grande rispetto, di vero servizio (dare loro il meglio!), di vera relazione, un "dare e ricevere".
Il concetto di "carità" verso i poveri e bisognosi, in Don Orione, comprende certo il primo soccorso, l'offrire assistenza (ad-sisto, cioè stare davanti, fermarsi vicino, farsi prossimo ... ) ma anche l'impegno della riabilitazione e della promozione fisica, psicologica e sociale - che oggi ispira e giustamente il mondo dell'assistenza.
Don Orione - e questo gli è caratteristico - valorizza e promuove anche il protagonismo spirituale e apostolico di chi soffre, dei poveri, di chi è in difficoltà e di quanti operano in loro favore. Essi rivelano verità profonde ed educano lo spirito. Ritiene le sue case di carità "fari di fede e di carità... altro che la lanterna di Genova!". La "luminosità" si sprigiona dalla relazione tra dolore e carità. Chiama queste istituzioni i "nuovi pulpiti" da cui parlare di Cristo e della Chiesa; "nuove cattedre di civiltà". I "maestri" sono i poveri, innanzitutto!
Medesima convinzione è espressa da Giovanni Paolo II, quando chiede ai Religiosi che si dedicano ai malati, anziani, disabili ed emarginati, che "favoriscano nei malati l'offerta del proprio soffrire in comunione con Cristo Crocifisso e glorificato per la salvezza di tutti, anzi alimentino in loro la coscienza di essere, con la preghiera e la testimonianza della parola e della condotta, soggetti attivi di pastorale attraverso il peculiare carisma della croce" (Vita Consecrata 83).
Esistono tante energie, spesso nascoste, poco conosciute, ad alto potenziale di gratuità, di offerta, di oblatività; tesori di accettazione, di dedizione, di sacrificio, di carità, di creatività. E’immenso il flusso di carità che umanizza e parla di Dio che si sprigiona da persone e relazioni che si intessono attorno al mondo del dolore.
Da questo "protagonismo" ricco, educativo, dei poveri e delle case di carità (altro che emarginazione, ghetto, isole!) deriva un'altra caratteristica da vivere in queste case "chine sulle miserie umane"- "potenza di Dio".
Nel modo di rapportarsi e di impostare le nostre opere caritative, non si tratta solo di aiutare l'handicappato, il povero, il sofferente... ma di fare in modo che questi diventino soggetto attivo - cosciente e a volte anche incosciente, ma attivo - di comunicazione di valori per la crescita umana, per la vita della società, per l'esperienza di Dio.
Quanti valori, quante dimensioni umane e quanti significati spirituali nella vita dei cosiddetti "normali" o "sani" restano soffoca- ti, inespressi, dimenticati, mentre in queste case sono quasi ovvi: ad esempio il coraggio, la speranza, la non rassegnata sopportazione, la fraterna dipendenza reciproca, il senso del limite, l'attesa operosa di un mondo nuovo donato dalla Provvidenza di Dio.
Dunque, come è tradizionale in Congregazione, occorre favorire i rapporti con il territorio, con la società, con il mondo ecclesiale. Da sempre, in Congregazione si è favorito il volontariato, le visite anche solo occasionali, la partecipazione dei nostri "poveri" a momenti pubblici di vita ecclesiale e sociale; è tradizionale che attorno alle nostre case si costituiscano gruppi di amici, benefattori, collabora- tori stabili...
Il "fuori di sacrestia" lanciato da Don Orione come stile ai suoi religiosi ha un suo riflesso anche per le istituzioni caritative e per quanti vi abitano: porte aperte per entrare e uscire! Queste case hanno un significato "politico" ed "ecclesiale" validissimo da valorizzare. 1 poveri, e quel che in queste case si vive, costituiscono una ricchezza per tutti: fuori di sacrestia!
Giovanni Paolo II ha scritto una enciclica intitolata Salvifici doloris che esprime la convinzione cristiana che il dolore umano, unito a quello di Cristo, è salvifico. San Paolo direbbe: "Compio nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo per la salvezza del mondo".
Nella vita della Chiesa, che non è fatta solo di predicazione, organizzazione, celebrazione... il dolore, e quanti soffrono, sono un patrimonio di vita, una sorgente di grazia, di impetrazione della misericordia di Dio.
Come esprimere e coltivare il valore salvifico del dolore in queste case? Come dare voce all'offerta a Dio del dolore di questi fratelli, per la salvezza della Chiesa e del mondo?
Don Orione, per esempio, parlava di “laus perennis al Cottolengo” trasportando il concetto benedettino dell"'ora et labora" nella vita movimentata, ma a suo modo serena e contemplativa, di un Piccolo Cottolengo. Voleva che si pregasse e si facessero pregare gli ospiti di queste case, come possono; voleva che tutto respirasse una "atmosfera religiosa, di preghiera, di umile accettazione della volontà di Dio, di offerta del dolore e di alacre laboriosità".
Quante volte, scrivendo, Don Orione assicura i destinatari: "farò pregare i nostri poveri per lei". E questo era il cambio - il più ambito - che tante persone distinte e altolocate nella Chiesa, nella cultura e nell'economia si aspettavano. Come credenti, ben sappiamo che "la preghiera del povero attraversa i cieli"! Ho saputo di forme di adozione spirituale" di un povero per il bene di una persona...
Concludo con un'ultima parola di Don Orione, rivolta a due illustri genovesi, i coniugi Beaud, amici e benefattori della Piccola Opera.
"Ah, i miei poveri, i nostri cari poveri! Si vede proprio che la Divina Provvidenza li tiene sotto le sue ali materne. Grazie di tutto quello che loro fanno per i nostri cari poveri: chi dà ai poveri per l'amore di Dio, dà a Dio!
Ella, Signor Generale, mi ha scritto che segue con piacere i passi che fa l'umile, ma tanto cara nostra (e dico nostra perché come è mia e così è loro) Congregazione. Oh, sì, sì, sì! Diamo gloria a Dio, e a Dio solo, ma le dico, con la fronte nella polvere, che veramente vedo e tutti vedono che c'è la mano di Dio.
Voi siete partecipi dei nostri sacrifici; avanti ad amare Gesù e i poveri! Poi verrà il paradiso!" (17.3.1937, Lettere scelte 220,-221)
Questa parola giunga ad incoraggiamento a ciascuno di voi, confratelli, suore, dipendenti e amici che operate con Don Orione, chiamati con Don Orione ad essere "chini sulle miserie umane" e “all'alto privilegio di servire Cristo nei poveri".