Un prete con slancio apostolico nelle frontiere del bene, con tutti i mezzi.
Don Giuseppe Pollarolo: prete partigiano… prete di frontiera... prete di prima linea… prete degli operai… predicatore… ecc. ecc.: è come tentare di arginare e incanalare una polla d’acqua sorgiva potente e abbondante, che ti sfugge da tutte le parti. Don Pollarolo è stato tutto ciò e di più.
Nacque a Pozzolo Formigaro (Alessandria), il 31 agosto 1907. Seguì, ancora ragazzo, Don Luigi Orione, il Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, nei “tempi eroici” della giovanissima Congregazione. Il 26 giugno del 1930 fu ordinato sacerdote. Divenne precocemente predicatore molto ricercato e apprezzato.
Dal 1942 al 1987, Don Giuseppe Pollarolo visse a Torino scrivendo pagine stupende di storia civile e religiosa, a partire dagli anni della guerra (1940-1945) e nei decenni successivi.
Nel 1943, raggiunse Duccio Galimberti sulle montagne del cuneese e fu cappellano dei partigiani sui monti della resistenza, nell’Astigiano e nell’Oltrepò pavese, “con il breviario alla cintola e mai con il fucile”, come diceva. Durante questo tempo di vita di cappellano tra i partigiani, egli filmò l’ambiente e le vicende. I suoi film amatoriali sono diventati una preziosità delle cineteche storiche. Su questa sua attività c’è una interessante video-intervista storico dal titolo: Don Giuseppe Pollarolo, partigiano con breviario e cinepresa.
Durante tutto il periodo di persecuzione contro gli Ebrei, Don Giuseppe Pollarolo fu a Torino collaboratore della “Carità dell’Arcivescovo” Maurilio Fossati, presente sempre nelle situazioni di emergenza, là dove irrompe il bisogno. Tale fu la tragedia degli ebrei perseguitati dai nazisti e dalle leggi razziali fasciste. Il braccio destro del cardinale nell’aiuto agli Ebrei era il suo segretario, don Vincenzo Barale. Il braccio operativo, tempestivo e intraprendente nel trovare le soluzioni, fu Don Giuseppe Pollarolo. Egli scrisse: “Mons. Barale mi ha più volte chiamato a collaborare con lui per la sistemazione di Ebrei, singoli e famiglie, in pericolo di persecuzione. A suo nome ho sistemato Ebrei presso il Convento delle Suore Carmelitane in Val S. Martino[1] a Torino. Ho avviato e, qualche volta ho trasportato in macchina, Ebrei in altre Case, fuori Torino, dell’Opera Don Orione”. [2]
I tedeschi avevano messo una taglia sulla sua testa e gli davano la caccia. Il 26 giugno 1944, verso le ore diciotto, i Repubblichini arrestarono Don Pollarolo e lo portarono nel carcere-caserma di via Asti. Senza processo, lo misero davanti al plotone di esecuzione. Raccolto in preghiera, Don Giuseppe era sicuro della propria fine ma, improvvisamente, davanti al plotone cadde una bomba a mano suscitando la fuga dei soldati tedeschi. Non vedendo più nessuno, saltò il muro che aveva a ridosso e, dall’altra parte, trovò i suoi partigiani ad abbracciarlo: erano stati loro a tentare il colpo con grande rischio, per amore del loro amico e padre. Il 29 novembre 1944, don Giuseppe Pollarolo fu decorato con medaglia di bronzo al Valor Militare
Per comprendere il senso di rispetto per la vita e la libertà dell’uomo, giova ricordare l’episodio di cui Don Pollarolo fu protagonista il 29 aprile 1945, in Piazzale Loreto, dove furono esposti a ludibrio i cadaveri di Mussolini, della Petacci e di altri esponenti fascisti. “Don Pollarolo, era arrivato in Piazzale Loreto con una squadra di partigiani su dei carri armati lasciati a poca distanza. C’era già molta folla attorno ai corpi di Mussolini e degli altri compagni fascisti uccisi. Fin dalle prime ore del mattino, persone esaltate e gente contagiata dall’euforia per la fine della guerra e del regime fascista, avevano sfogato su quei poveri corpi la propria rabbia con ogni sorta di insulti e oscenità. Claretta Petacci era completamente svestita. Quando Don Pollarolo venne avanti nella piazza e vide lo scempio di questa donna nuda, cominciò a gridare: “Largo, largo, lasciatemi passare. Questo scempio non si deve vedere”. Tutti lo lasciarono passare. Don Pollarolo, davanti alla folla sorpresa e per un attimo ammutolita, si tolse di dosso una specie di “spolverino” nero, abbottonato davanti, e coperse alla meglio il corpo della Petacci”.[3]
Inorridito per quanto avveniva, intervenne presso il Prefetto di Milano e quei corpi furono tolti e trasportati all’Istituto di Medicina Legale. Subito dopo, parlo dai microfoni di “Radio Milano Libera” invitando alla ragionevolezza: “Il regno dell’odio e del terrore è terminato – disse -, deve iniziare il regno dell’amore e della giustizia. La giustizia è una grande virtù sociale, la violenza è un vizio, anche quando è necessario intervenire con severità nell’organismo sociale, bisogna sempre agire per amore, per dargli la sanità”.
Nel difficile dopoguerra, a Torino, aperse le Case del Giovane Operaio e l’Università Popolare Don Orione per elevare le classi povere degli operai e degli immigrati. Fu artista della parola e della penna, del pennello e della cinepresa. Continuò la sua attività sociale e divenne noto come “prete delle fabbriche”, brillando per particolare sollecitudine verso i poveri, il popolo umile e lavoratori. Per le migliaia di giovani, accorsi a Torino per il lavoro alla Fiat, aperse provvidenziali “Case del giovane operaio” e l’Università Popolare Don Orione.
Alla fine degli anni '50 gli fu affidata l’edificazione edilizia e spirituale della parrocchia delle Vallette “Santa Famiglia di Nazaret”. Qui fu sepolto dopo la morte avvenuta il 22 gennaio 1987, a 80 anni di età.
[1] Ibidem Oltre la Cronaca scritta già citata, si è anche conservata la memoria orale della presenza di don Pollarolo e dell’aiuto prestato agli Ebrei.
[2] G. Garneri, Tra rischi e pericoli, p. 129.
[3] Testimonianza di Don Ignazuio Cavaretta. Cfr Concetta Giallongo, Don Giuseppe Pollarolo un prete di frontiera, “Messaggi di Don Orione”, 33(2001) n.106, pp.57-78; Giuseppe Tuninetti, Giuseppe Pollarolo: un prete di frontiera (1907–1987), Rubettino, Soveria Mannelli, 2004.