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Messaggi Don Orione
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Ven. FRATE AVE MARIA: Nacqui povero e la povertà mi parve una maledizione; sperai di uscirne e invece mi sopraggiunse la cecità con lo spavento di finir mendicante. Fui accolto all'Istituto dei ciechi a carico dello Stato e subito mi fu un conforto il non ¬essere più di aggravio alla mia povera famiglia. Ma poi il considerarmi un rifiuto della società, un essere inutile mi avvilì assai. Fui confortato da una speranza: avrei studiato con impegno, sarei divenuto Maestro di musica, Professore di belle lettere, non avrei più mangiato il pane a ufo. Un'altra amarissima delusione! Capivo ma non ritenevo. Mi demoralizzai. Una Figlia della Carità mi invita a porre in Dio ogni mia speranza, mi invogliò alla frequenza dei Santi Sacramenti, alla preghiera, alle pie letture. Mi parlò di Don Orione in modo da farmi desiderare di conoscerlo, di udirlo, di parlargli, di rendergli note le mie miserie fisiche e morali, tutte, tutte, e poi ascoltarlo ancora se mai avesse avuto una parola di consolazione, di conforto, di speranza anche per me. Il 18 marzo 1920 la Piccola Opera della Divina Provvidenza mi apriva la porta. Don Orione mi disse che per me pure fu grande provvidenza il nascere povero, il divenir cieco, il non essere riuscito a farmi saggio dell'umana sapienza, perché in tal modo la Divina Provvidenza mi ha pietosamente sforzato a desiderare e cercare le ricchezze vere, la vera luce, la vera sapienza.

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