Un inedito episodio della vita di Ignazio Silone trasformato in pièce teatrale da Maffino Redi Maghenzani.
UN NATALE INDIMENTICABILE
Un inedito episodio della vita di Ignazio Silone trasformato in pièce teatrale da Maffino Redi Maghenzani.
PRESENTAZIONE
Secondino Tranquilli – meglio noto come Ignazio Silone (1900-1978) –, dopo il drammatico terremoto della Marsica (13 gennaio 1915) che gli distrusse la casa, la famiglia e anche la salute, fu accolto da Don Orione. Poté così continuare gli studi di Liceo, prima a Sanremo (1915-1916) e poi a Reggio Calabria (1916-1917).[1] Silone dedicò il più bel capitolo di Uscita di sicurezza a l’Incontro con uno strano prete[2] – Don Orione appunto – che l’accompagnò da Roma a Sanremo, sede del Convitto “San Romolo”.
Della vita di Silone, lasciata la casa orionina di Reggio Calabria, poco si sa. Tornò alla natìa Pescina e poi andò a vivere a Roma. Sempre più proiettato nell’impegno politico, alternò gli studi con un vivace attivismo nel movimento giovanile socialista dell’ambiente romano fino ad una vera militanza politica.
In quegli anni, il problema principale di Secondino Tranquilli divenne il denaro, la sopravvivenza, il lavoro, quasi impossibile a trovarsi e, tanto più, perché noto come socialista sovversivo. Secondino girovagava per Roma alla ricerca di qualche lavoro occasionale, mangiava quando poteva, trovando rifugio alla notte in luoghi di fortuna, molte volte in un cantuccio del Colosseo.
E’ di quest’epoca l’episodio del “Natale in via Rusticucci”, che si fissò nella memoria di Silone come una ulteriore parabola della fine umanità di Don Orione. Raccontò questo episodio in una circostanza quanto mai impegnativa: la sua testimonianza al Processo di Beatificazione di Don Orione, a Tortona, il 10 novembre 1964. Per la prima volta viene resa nota.
“Avevo circa vent’anni e facevo il giornalista in un periodico molto avversato e quindi vivevo miseramente alla insaputa di tutti. Il giorno di Natale andai in una trattoria, cercando di stare in una cifra modestissima, ma alla fine il conto superò la cifra in mio possesso. L’oste volle il mio consunto impermeabile come pegno per il resto della somma. Pioveva.
Uscito, ricordai che pochi giorni prima avevo visto Don Orione passare in carrozzella. Decisi di recarmi a cercarlo a Sant’Anna, sperando di trovarlo.
Il portiere, pur assicurandomi della di lui presenza, non voleva farmi entrare. Insistetti e mentre confabulavo con il portiere, Don Orione scese e dopo avermi salutato ficcò una mano in tasca e poi mise in mano a me una somma di poco superiore a quanto dovevo pagare. Cosa singolare il gesto di Don Orione, al quale fino a quel giorno mai avevo chiesto denaro”. [3]
Questo episodio fu poi ricostruito, con altri particolari attinti da Silone stesso, da don Gaetano Piccinini nel suo libro “Quel tuo cuore… Don Orione”.[4]
L’idea di trasformare il colorito e commovente episodio del Natale in Via Rusticucci in una breve pièce teatrale è venuta a Maffino Redi Maghenzani, esperto di teatro e grande estimatore di Silone. Ne è uscito Un Natale indimenticabile, un atto unico che ha la fragranza di un classico racconto di Natale, con le varie fasi drammatiche che lo compongono: prima la nostalgia dell’infanzia e della festa, da trascorrere e da celebrare insieme, seduto a una tavola imbandita; poi la delusione per non avere fatto bene i conti; l’umiliazione di non avere tutti i soldi occorrenti per pagare e di dover rinunciare al soprabito in un giorno di freddo, essendo stato obbligato a lasciarlo in pegno all’oste; il ricordo infine di Don Orione, suo amico e benefattore; la decisione di andare subito a cercarlo; trovarlo e riceverne un’affettuosa accoglienza e una manciata di monete che gli risolveranno il problema, senza neppure aver fatto la fatica di domandare; infine il “Buon Natale” che rimbalza da una gratuità all’altra.
La prima rappresentazione di Un Natale indimenticabile è avvenuta il 21 marzo 1999, nel corso di un Pomeriggio culturale all’Aula Magna del Seminario Metropolitano di Torino.
tratto da “Quel tuo cuore…don Orione”
A tre voci:
Narratore – Là dove a Roma finivano i borghi, in un punto d’angolo dell’antica piazza Rusticucci presso S. Pietro, c’era una famosa trattoria di ‘girevole fama’, la taverna del Trentuno.[5] Sor Capanna l’aveva fatta centro di un ritornello divenuto assai popolare:
E gira e fai la rota
La rota del Trentuno
Abbasso preti e frati
Viva Giordano Bruno
“Oggi trippa, domani no”
“Sempre credito, eccetto a pranzo e a cena”
Narratore – All’entrata era affisso il cartello del giorno con i prezzi, sicché ognuno poteva tirarsi le somme.
La trattoria del Trentuno non era ignota neppure a don Orione che quando si trovava a Roma abitava lì, vicinissimo, a S. Anna; come pure don Orione conosceva il caffè “Aragno” ove s’era portato, qualche volta, per ‘birberia d’apostolato’, diciamo così.
Ma andiamo con ordine.
Un giorno, Silone (ma allora si chiamava Secondo Tranquilli, Secondino) – eravamo nel ’18, aveva diciott’anni, come il secolo – quel giorno, era Natale, stette non poco, così, di lontano a rimirar er cupolone di S. Pietro.
Quell’affilato giovanotto, solo al vederselo, ‘sto S. Pietro, aveva sentito risuonare dentro voci antiche e voci nuove però, ad un certo punto, sentì anche quella del corpo che, per quanto allenato a mangiar poco, era desto e vigile per fame arretrata.
Eccolo lì, dunque, dinanzi alla locanda del Trentuno con la sua brava lista prezzata.
Secondino, Silone, fece bene i suoi conti numerando quanto aveva in tasca: era l’esiguo residuo del sospirato vaglia della nonna che, continuando il sacrificio, gli aveva fatto invio con lieve maggiorazione natalizia.
Suvvia, era Natale! Un pranzetto con qualcosa in più ci poteva stare. Ed entrò.
Da fuori irrompeva il suono delle ciaramelle, le zampogne, le nenie della sua terra. Quel suono riportò Secondino là, al focolare suo prima che fosse infranto, e sentì viva verso quell’uomo, quel montanaro: contò e ricontò dentro la saccoccia, lieto, alla fine, di poter mettere anche lui una moneta nel piattello.
Poi, seduto, finalmente si ristorò con i cibi del giorno.
Da ultimo, chiese, come per costume, il conto, solo che…quando lo lesse…
Voce (CAMERIERE) – Il signore è servito!
SILONE (legge, impallidisce sgomento) - Servito un corno! Io prima ho fatto i conti e mi tornavano, ma qui la cifra è più alta; una moneta l’ho dato allo zampognaro e ora…
Voce (CAMERIERE) Ah…io non c’entro, adesso sentiamo il padrone.
NARRATORE – Per quanto fosse Natale il padrone era infuriatissimo
Voce – (PADRONE) – romanesco
‘Sti scioperati de’ studenti! Sbafano e poi… tutto a uffo.
Ma ora te, non me buggeri, no!
Se nun me paghi te consegno allo sbirro.
Eccolo là, lo vedi, fora?
Mo’ lo chiamo!
SILONE – Avevo fatto il conto giusto, forse non avrò considerato il coperto, il contorno, fuori nella lista non c’era. Parola d’onore: porto la differenza fra tre giorni.
Voce – (PADRONE) Carlì…! Chiama er pizzardone così se lo rimescola dentro quanto s’è magnato e uffo e sbruffo
SILONE – Ascolti, vi lascio la giacchetta in garanzia, parola d’onore, i sessanta centesimi che mancano ve li porto fra tre giorni.
Voce – (PADRONE) squadrandolo da cima a fondo:
No, no, la giacchetta no, preferisco il mantello,
me serve mejo se nun me porti li quattrini mia…
dà qua…(Silone glielo lancia)
e pure ‘l cappello! Damme!
SILONE – Il cappello, no!
NARRATORE – Secondino uscì. Freddissimo no, non c’era quel giorno, ma era dicembre pure a Roma.
Il fatto è che il mantello gli risolveva anche il problema del dormire di fortuna, ogni tanto, sotto le archi-volte del Colosseo, più di una notte, alla bohemien…
Fece e rifece più volte avanti e indietro, il colonnato del Bernini, era furente.
Scrivere subito alla nonna?
La posta quel giorno non sarebbe partita più, il giorno appresso era sabato, poi domenica, se tutto andava liscio la cartolina sarebbe giunta a Pescina il lunedì, poi altri due giorni, totale: cinque o sei giorni senza né cappello né mantello.
A chi rivolgersi sennò?
No, nessuno, proprio nessuno.
(Lievissimo cenno di sottofondo musicale)
Poi d’un tratto, nella mente, un volto!
Un profilo virile, un volto ossuto come quello delle madri, le contadine d’Abruzzo, di quelle che comprendono il mondo perché hanno sofferto di tutto. Lo vide bello quel volto con quella luce tutta sua e nel mezzo un sorriso, sì, suo anche quello, inconfondibile: Don Orione!
SILONE – (Silone) (parlando fra sé – dialogo – pensieri ad alta voce)
Don Orione…
Caro don Orione… padre.
Chissà dove sarai oggi!
Tortona… oppure… aspetta!
Qui vicino c’è Sant’Anna, dove lui stava, dove stanno i suoi…
E se fosse a Roma… per caso? Oh, si, solo per caso…
In fondo, don Orione, per me, è come se fosse…la nonna.
Vado? Non vado?
Non vado? Vado!
NARRATORE – Secondino si diresse verso Sant’Anna, erano le due del pomeriggio. C’era una cordicella all’uscio di fianco alla facciata, suonò. Dentro sentì i passi, aprirono, il volto del portinaio (un polacco, si chiama Ladislao) era buono ma… gli occhi erano inquisitori
(stop al sottofondo)
SILONE – Che?… C’è forse don Orione?
Voce (PORTINAIO) (indagatore) Si, che c’è, ma non lo chiamo.
SILONE - E perché?!
Voce (PORTINAIO) – Ha passato la notte in treno tornando da Cassano Ionio. La notte scorsa ha cantato Messa, predicato, confessato tutta mattina… ti basta?
SILONE –Gli dica che sono io!
Voce (PORTINAIO) – Sta finendo di mangiare poi lo mando subito a riposare
SILONE – Gli dica che sono io e vedrà che mi riceve subito!
Voce (PORTINAIO) – Appunto: proprio perché se gli dico chi sei viene subito non glielo dico.
SILONE – Senta, lo so che lo difende perché gli vuol bene… ma anch’io gli voglio bene… e anche lui me ne vuole.
NARRATORE – Secondino azzardò una terza richiesta e quando rassegnato fece per andarsene, proprio in quel momento udì la voce amica.
(Parte un sottofondo musicale)
Voce – (DON ORIONE) Ehi! Ehi! Fermati! Vengo!
SILONE – Don Orione!
Voce –(DON ORIONE) (al portinaio) Ladislao, lascia a me, ci penso io, tu vai pure!
SILONE – Grazie, padre!
NARRATORE – Don Orione si fermò accanto al ragazzo, non disse nulla né permise che alcunché gli dicesse. Solo guardò in profondo, lo scrutò e tutto capì. Affondò la mano nella profonda tasca della sua zimarra, ne trasse il pugno, chiuso, e col pugno entrò nella tasca della giacchetta lisa di quel suo figliolo di modo che neppure gli occhi loro vedessero. Poi, svelto, la ritrasse aperta e chiara agitandola al saluto:
Voce (DON ORIONE) – Buon Natale, mio caro, Buon Natale… Poi ci vedremo.
NARRATORE – (il racconto continua con lo stesso tono delle parole di don Orione, una prosecuzione ideale)
Secondino sentiva la moneta dentro la saccoccia destra e non doveva essere poca.
Non erano passati neppure venticinque o trenta minuti, da quando era uscito dalla locanda del Trentuno che ne rivarcò la soglia e sul tavolino della cassa depose sessanta centesimi aggiungendone venticinque di mancia.
Riprese mantello e cappello sotto gli occhi attoniti del cameriere e del taverniere: attoniti e trasognati che lo smilzo studente li guardasse così, senza più l’odioso risentimento di poc’anzi.
SILONE – (stessa tonalità di Don Orione)
“Buon Natale, amici, buon Natale!”
(si alza il sottofondo per 4” poi scende del tutto)
FINE
[1] All’amicizia tra Don Orione e Ignazio Silone e alla pubblicazione delle lettere inedite tra i due è dedicato l’apprezzato libro di G. Casoli L’incontro di due uomini liberi: Don Orione e Ignazio Silone. Con lettere inedite, Jaca Book, Milano, 2000.
[2] Silone descrisse il tipo di rapporto instauratosi tra di loro: “Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo; provavo una pace e una serenità nuove. (Decisi allora tra me che l’indomani avrei preso nota di ogni parola scambiata). Il treno correva lungo la costa tirrenica. Udivo nel buio della notte il fragore per me nuovo del mare, nomi nuovi di stazioni. Mi sembrava di andare alla scoperta del mondo. ‘Non sei stanco?’ mi chiese don Orione a un certo momento. ‘Non vuoi cercare di dormire?’ ‘Vorrei che questo viaggio non finisse mai’, riuscii a balbettare”. E poi gli furono viatico per tutta la vita quelle parole conclusive di Don Orione: “Ricordati di questo”, mi disse a un certo momento, “Dio non è solo in Chiesa. Nell’avvenire non ti mancheranno momenti di disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Non dimenticarlo”; in I. Silone, Romanzi e saggi I. 1927-1944, II. 1945-1978 (a cura di B. Falcetto), I Meridiani - Mondadori, Milano; riportato anche in G. Casoli, L’incontro di due uomini liberi, o.c., p.77-91.
[3] Processo Apostolico, II parte, sessio CXXIV, Archivio della Postulazione Don Orione, p.646-647.
[4] Ed. Paoline, Alba, 1965, p.129-143. Silone rilesse con gusto quel racconto dell’amico e conterraneo e gli lasciò tre regole per diventare un buon scrittore: “Caro Don Piccinini, Grazie della lettera e del volumetto. Diventerai uno scrittore se: 1. Rinunzierai ai tre puntini di sospensione, il cui uso è da lasciare alle ragazze innamorate; 2. Rinunzierai ai punti esclamativi, introdottisi nella lingua italiana nell’epoca della sua decadenza, per demerito principale dei gesuiti; 3. Limiterai il numero degli aggettivi e rinunzierai a quelli ovvi. Il resto va bene. Cordialmente Tuo Silone”; Lettera del 9.2.1966, Archivio Don Orione (Via Etruria 6 – Roma), cart. Piccinini.
[5] 'A taverna d' 'o trentuno. Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e/o la numerosa prole ritornare in casa alle più disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco 16, all’insegna: Taverna del trenta e trentuno che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte.