Lo studio si articola in tre principali capitoli: 1. la riforma dell'ordinamento dell'Anno liturgico e del Calendario; 2. il Santorale nella riforma del Messale e della Liturgia delle Ore; 3. la riforma della procedura delle Cause dei santi.
Flavio Peloso, Il culto dei santi nella riforma del dopo Concilio Vaticano II, in Ephemerides Liturgicae 1055 (1991), p.418-448.
L'articolo completa l'analisi della riforma del culto dei santi promossa dal Concilio Vaticano II. La silloge di valori e di criteri esposta nei documenti del Vaticano II (Parte I, in Ephemerides Liturgicae 1055 (1991) p.237-262), intesi a promuovere la genuina tradizione del culto dei santi, trovò adeguata conferma e traduzione nella prassi celebrativa instaurata nei documenti della riforma (Parte II). Lo studio si articola in tre principali capitoli: 1. la riforma dell'ordinamento dell'Anno liturgico e del Calendario; 2. il Santorale nella riforma del Messale e della Liturgia delle Ore; 3. la riforma della procedura delle Cause dei santi.
L'Autore offre una riflessione ordinata e globale sull'argomento, trattato in tempi e documenti diversi, che risulterà utile affinché non resti una bella lezione del passato, ininfluente sulla mentalità, sulla preghiera e sulla vita del popolo cristiano, teologia, liturgia e pastorale del culto dei santi devono continuare a rimanere in dialogo tra di loro: questa risulta l'indicazione metodologica più importante dello studio.
I documenti del Vaticano II hanno formulato precisi criteri per la "promozione" dell'autentico culto dei santi, indicando anche chiaramente che tale promozione doveva comprendere necessariamente una previa opera di "riforma". A completamento del precedente articolo, "Il culto dei santi nei documenti del Concilio Vaticano II",[1] la presente riflessione sarà interessata a verificare come quei criteri di genuinità teologica e liturgica delle espressioni del culto cristiano dei santi siano stati applicati nei vari documenti e testi liturgici della riforma.
Dalla lettura dei documenti conciliari in ordine al culto dei santi emerge una constatazione: essi contengono molte indicazioni teologiche; sono abbastanza numerose quelle pastorali e poche quelle strettamente liturgiche. L'insegnamento conciliare costituisce però un tutto armonico e omogeneo, gravido di sviluppi e di frutti per la prassi liturgica rinnovata mediante un processo più lento, riflesso e sperimentato, e rimandato necessariamente a dopo il Concilio.
La "Sacrosanctum Concilium", al n.2, aveva chiaramente espresso un'intenzione e tracciato un programma: "La santa Madre Chiesa desidera fare un'accurata riforma generale della liturgia stessa". Per quest'opera furono fissate delle "norme generali (SC 22-40) ed altre "particolari", legate ai singoli capitoli della esperienza liturgica.
Venne così avviato quell'imponente processo di riforma liturgica che doveva consistere nell' "ordinare i testi e i riti in modo che esprimano più chiaramente le sante realtà che significano, e il popolo cristiano, per quanto possibile possa capirle facilmente e parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria" (SC 21).
Durante circa un ventennio, tale opera di riforma si concretizzò in una serie di documenti e di libri liturgici. Oggi, nello studiare qualunque capitolo di liturgia è imprescindibile il riferimento sia ai testi conciliari e sia ai documenti e testi liturgici della riforma. I primi senza i secondi sarebbero contemplazione senza vita; i secondi senza i primi potrebbero ingenerare un nuovo liturgismo formalistico e rubricistico con l'unico - effimero - vantaggio di essere di marca più recente. Invece, il continuo confronto tra di essi, e con la situazione presente della vita della Chiesa, pone la liturgia in un "stato di rinnovamento permanente"[2] e di vitalità. Ciò vale anche per quanto riguarda il culto dei santi.
Nel cammino della riforma del culto dei santi emergono tre momenti decisivi:
1. La riforma dell'ordinamento dell'Anno liturgico e del Calendario, segnata dalla "Mysterii Paschalis" di Paolo VI (1969), dalle "Normae universales de Anno liturgico et de Calendario" (1969) e dalla "Instructio de Calendariis particularibus atque Officiorum et Missarum Propriis recognoscendis" (1970).[3]
2. La riforma del Messale e della Liturgia delle Ore, attuata con le edizioni del "Missale Romanum" di Paolo VI (1970) e della Liturgia Horarum (1971-1972), introdotte dagli importanti "Principi e Norme".[4]
3. La riforma della procedura delle cause dei santi, rilevante ai fini del riconoscimento e della proposta al culto dei nuovi beati e santi, attuata prima con la "Sanctitas Clarior" (1969) e poi con la "Divinus perfectionis Magister" (1983).
I. LA RIFORMA DELL'ORDINAMENTO DELL'ANNO LITURGICO E DEL CALENDARIO
Tre documenti hanno determinato la riforma dell'Anno liturgico e del Calendario: Il Motu proprio "Mysterii Paschalis" di Paolo VI del 14.2.1969,[5] le "Normae universales de Anno liturgico et de Calendario" del 21.3.1969[6] e la Instructio "De Calendariis particularibus atque Officiorum et Missarum Propriis recognoscendis" del 24.6.1970.[7]
Questi documenti vanno letti insieme per comprendere, a diversi livelli, quell'"unum" che è l'Anno liturgico. In esso la santa Madre Chiesa "celebra in determinati giorni dell'anno, l'opera salvifica... presenta tutto il mistero di Cristo (SC 102),... venera con speciale amore la beata Maria Madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l'opera salvifica del Figlio suo (SC 103), ...nel giorno natalizio dei santi predica il mistero pasquale nei santi che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati (SC 104)".[8]
Più che richiamare tutte le disposizioni di riforma dell'Anno liturgico, cercheremo di evidenziare i criteri ispiratori, perchè essi rivelano anche i valori e le modalità della celebrazione dei santi nella liturgia.
Possiamo distinguere un criterio fondamentale: la centralità della celebrazione del mistero della salvezza; e sei criteri particolari finalizzati a far sì che nell'Anno liturgico "i due cicli - quello dei misteri del Signore e quello dei santi si armonizzassero meglio tra di loro" (IR, Premessa). Il culto liturgico dei santi deve essere ispirato dai criteri di: 1. verità storica; 2. universalità di significato e importanza; 3. rappresentatività più universale; 4. riferimento alla Chiesa locale. 5. celebrazione nel "dies natalis"; 6. forme di celebrazione diversificate.
1. Priorità della celebrazione del mistero di Cristo
Il ricentramento cristologico e pasquale di tutto l'Anno liturgico,[9] già stabilito in SC 102-111, è ripreso e sviluppato come criterio generale soprattutto dal Motu proprio "Mysterii paschalis": "è necessario che il mistero pasquale di Cristo sia posto in una luce più viva, sia nell'ordinamento del cosiddetto Proprio del Tempo e dei Santi, sia per quanto riguarda la revisione del Calendario romano".
Tale indicazione è poi tradotta in norma sia per il Calendario generale e sia per la revisione di quelli particolari: "Il Proprio del Tempo, cioè il ciclo dei tempi, delle solennità e delle feste, attraverso cui si svolge e si celebra il mistero della Redenzione nell'Anno liturgico, deve essere conservato integro e deve godere della dovuta preminenza sulle celebrazioni particolari" (NG 50 e IR 2).[10]
Per quanto riguarda il riordinamento del Proprio del Tempo, la Parte I di "Mysterii Paschalis" rileva come nel corso dei secoli la moltiplicazione di feste e di devozioni particolari ha dato l'impressione di scostarsi alquanto dai misteri fondamentali della redenzione divina e stabilisce pertanto di restituire alla domenica la sua dignità originaria di "festa primordiale", ridonando centralità al ciclo pasquale e meglio organizzando lo svolgimento armonico della celebrazione dei misteri della Redenzione.[11]
Per quanto riguarda, invece, il riordinamento del Proprio dei Santi troviamo indicazioni nella Parte II di "Mysteriis paschalis". Vi si richiama l'insegnamento del Concilio sulla legittimità e opportunità del culto di Maria e dei santi, ma si nota anche come, di fatto, "nel corso dei secoli le feste dei santi siano aumentate in numero sproporzionato", cosicchè si rende necessario un loro sfoltimento perchè "non abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza". Questo sfoltimento - annuncia il medesimo documento - lo si è ottenuto con un duplice intervento sul nuovo Calendario: con la proposta al culto obbligatorio di tutta la Chiesa solo dei santi di importanza veramente universale e con l'inserimento della celebrazione dei molti altri santi nei Calendari particolari di Nazioni o di Famiglie religiose.[12]
2. Verità storica
La Chiesa nel proporre e nel promuovere la venerazione dei santi, intende fondarsi su elementi storici sicuri. Imitare un santo significa cercare di emulare una persona sicuramente esistita, che ha lottato e vinto in precise circostanze storiche, ambientali, personali; non si propone solo un simbolo o una idealizzazione.
Il riesame delle figure dei santi del Calendario condotto con critica storica "ha portato, non una sola volta, ad urtare contro leggende e tradizioni costruite in determinate epoche e su una determinata falsariga, così da offuscare in modo assai grave l'elemento storico oggettivo".[14]
Guidata dal criterio della ricerca della verità storica sulla vita dei santi, la riforma è arrivata a riproporre il culto di santi anche molto antichi dei quali però si hanno notizie certe; a lasciare ai Calendari particolari (tranne poche eccezioni) quelli di cui si conosce solo il nome, ma senza elementi sufficienti per proporli alla venerazione e imitazione; a eliminare dal Calendario generale i santi per i quali gli elementi leggendari sono di molto superiori a quelli oggettivi.[15]
Il criterio della verità storica sulla vita dei santi assunse molta importanza e fu posto come "condizione" della loro proposta al culto anche nella revisione dei Calendari particolari. "Alla revisione dei Calendari e dei Propri si deve premettere un'accurata investigazione storica, teologica e pastorale (SC 23): pertanto gli Ordinari o le altre autorità competenti procureranno di costituire una Commissione di esperti di queste discipline" (IR 4).
Simile norma viene poi ribadita e precisata al n.18: "Dei singoli santi e beati da inserire nel Calendario si faccia uno studio critico, in modo che si possano avere le prove storiche della loro vita, delle loro opere, dell'origine e della diffusione del loro culto". Viene inoltre consigliata la consultazione di esperti e, in caso di dubbio, si prescrive di "rinviare tutta la questione a questa Sacra Congregazione (del Culto)". Il n. 19, infine, sancisce che "nel fare revisione dei Calendari particolari, si espungano i nomi dei santi dei quali, tolto il nome, storicamente si sa poco o nulla".
3. Santi di "rilievo universale"
La Parte II di "Mysterii Paschalis" presenta un'altra direttiva di riforma del Calendario su cui è bene riflettere: "siano estese a tutta la Chiesa soltanto quelle feste che celebrano santi di importanza veramente universale (...), siano tolti dal Calendario romano i nomi di alcuni santi non universalmente noti".
L'applicazione di tale criterio, già enunciato in SC 111, dovette risultare ancor più difficile rispetto a quello della ricerca della verità storica, perché meno ancorato a dati oggettivi. Si doveva procedere ad una accurata e non facile cernita dei "santi che hanno un rilievo universale e che si celebrano obbligatoriamente in tutta la Chiesa" (NG 9). Tale norma del resto è ripresa anche in NG 49 e riproposta nella Premessa di IR.
4. Maggiore rappresentatività
Il Calendario liturgico in uso precedentemente alla riforma era in gran parte derivato dal Calendario della Chiesa di Roma. Ai molti santi romani furono aggiunti, lungo i secoli, alcuni santi orientali e dell'Africa settentrionale e poi molti altri delle regioni europee; pochissimi erano di altri continenti. Qualche nuovo inserimento già tendeva ad indicare la necessaria "rappresentatività delle diverse regioni". Questo criterio viene proposto e applicato nella riforma del Calendario e risponde alla necessità di riconoscere come la santità sia veramente fiorita in tutte le regioni, sia di cristianità antica che recente.
A riforma ultimata, presentando il Calendario, Paolo VI nel Motu proprio "Mysterii Paschalis" dice: "Furono inseriti i nomi di alcuni martiri vissuti in regioni dove l'annuncio del Vangelo è giunto più tardi. In questo modo figurano, con uguale dignità, nello stesso catalogo, come rappresentanti di tutte le genti, sia quelli che hanno versato il sangue per Cristo, sia quelli che furono insigni per virtù. Perciò riteniamo che il nuovo Calendario rifletta maggiormente l'universalità della Chiesa" (MP II parte).
Il culto del santi è chiamato ad esprimere la comunione della Chiesa, una e universale, nella sua nota della "santità". I santi "manifestano l'universale e continua santità del popolo di Dio" (NG 49). Proprio per questo sono stati inseriti nel nuovo Calendario gli evangelizzatori e i fondatori di nuove Chiese, ma anche i santi che le hanno consolidate spesso con la testimonianza del martirio. Nel Calendario del Vaticano II vi sono santi rappresentanti di nuovi popoli: per l'America del Nord, Isaac Jogues, Jean de Brébeuf e i loro 6 compagni; per l'America latina, Turibio de Mongrovejo e il laico meticcio Martino de Porres; per l'Africa nera, Carlo Lwanga e i suoi 20 compagni martiri dell'Uganda; per il Giappone, Paolo Miki e gli altri 25 crocifissi di Nagasaki; per l'Oceania, Pietro Chanel. A questi, nel 1985, si aggiungeranno i 103 santi martiri della Corea.
Nonostante questi nuovi inserimenti non possiamo certo dire che il Santorale e il Calendario rappresentino "tutta" la santità fiorita di fatto lungo il cammino storico della Chiesa. Ad un esame statistico del Calendario generale vediamo rappresentati più determinati secoli rispetto ad altri, prevalere sproporzionatamente i santi degli stati europei (Italia su tutti) sugli altri, gli uomini sulle donne, gli ecclesiastici e i religiosi sui laici.[18]
5. Riferimento alla Chiesa locale
Il rilancio del rapporto santi - Chiesa locale è uno dei risultati più importanti della riforma del Calendario.
A dire il vero, questo rilancio sembra aver avuto origine da una motivazione di ordine prevalentemente pratico, "negativa", già enunciata in SC 111 e ripresa in "Mysterii Paschalis": "Perchè le feste dei santi non abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza, molte di esse siano lasciate alla celebrazione di ciascuna Chiesa particolare o Nazione o Famiglia religiosa..." (MP Parte II).
L'opportunità di tale decisione è però suffragata dal dato storico che testimonia come originario e tradizionale il culto locale dei santi, legato al luogo della sepoltura e alla Chiesa di appartenenza. Solo per alcuni santi più noti, per motivi non sempre del tutto rintracciabili, il culto si diffuse, fino a diventare generale, di tutta la Chiesa.[20] Ora, anche il nuovo Calendario generale, con i pochi nuovi santi di rilievo universale inseriti, riconosce per normale il culto nella Chiesa locale.
Il culto locale dei santi trova la sua massima espressione e riconoscimento nel Calendario particolare (NG 48); esso non si differenzia da quello generale se non per la sua minore estensione. "Si dà facoltà e libertà di recuperare convenientemente nelle rispettive regioni la memoria e il culto di santi particolari" (MP II parte).
Nelle Norme generali, al n.49, si parla dei Calendari particolari che contengono le celebrazioni proprie inserite organicamente nel ciclo generale e si afferma che "è giusto, infatti, che le singole Chiese o le Famiglie religiose venerino con particolare onore quei santi che, per qualche ragione particolare, sono loro propri".
Al n.52 vengono illustrate le "ragioni particolari" che motivano l'inserimento di santi e beati nei Calendari particolari di Diocesi o Famiglie religiose: a) "per esservi nati, per avervi abitato a lungo, per esservi morti"; b) perchè "furono membri della famiglia religiosa, o ebbero particolare relazione con essa"; c) perchè "il corpo si conserva nella Chiesa stessa". Al n.41 della "Istruzione per la revisione dei Calendari particolari" si aggiunge anche una ragione più ampia: perchè "specialmente per la dottrina o l'attività apostolica, hanno avuto grande importanza nella loro storia religiosa".
6. Celebrazione nel "dies natalis"
Con la prescrizione di celebrare "il giorno natalizio dei santi" (NG 1), la Chiesa rilancia un altro importante elemento della tradizione storica e teologica del culto dei santi. Fin dagli inizi, si ricorda in NG 56, "è stata costante abitudine della Chiesa, celebrare i santi nel loro giorno natalizio" - intendendo il giorno della loro morte - che segna il passaggio dal mondo al Padre, il giorno del completamento della Pasqua del Cristo e dunque "giorno della nascita" alla vita del cielo.
Lungo il corso dei secoli non sempre fu possibile celebrare i santi esclusivamente nel loro "dies natalis", a volte perchè esso non era libero nel Calendario, a volte per motivi pratici di altra natura. Il Calendario romano, in vigore fino al Vaticano II, presentava al riguardo molte anomalie.
Il lungo n.56 delle "Norme generali" oltre a stabilire il ripristino della celebrazione al "dies natalis" dà ulteriori disposizioni pratiche per regolarsi diversamente quando l'osservanza della norma fosse resa impossibile per la concomitanza di altre celebrazioni del Proprio del Tempo o del Calendario generale, o anche per il solo fatto di non conoscere la data precisa. Analoghe disposizioni si trovano al n.21 di IR. Il nuovo Calendario è stato corretto, per quanto possibile, per fare in modo che tutte le celebrazioni dei santi coincidano con il loro giorno natalizio. Se l'assegnazione della celebrazione al giorno esatto è impedita, o si è scelto il giorno libero più vicino, oppure si è scelto il giorno della traslazione del corpo e, per molti santi orientali, si è scelto il giorno in cui sono venerati nei loro paesi.[21]
Questa regola che ha portato al cambiamento di data di molte feste e memorie di santi, ha un grande significato teologico e pastorale perchè ricentra il culto dei santi nell'Anno liturgico in modo armonico, come proclamazione del mistero pasquale di Cristo realizzato nei santi (SC 104).[22]
7. Criteri per la forma di celebrazione
Oltre alla distinzione tra culto universale e culto locale, è stata introdotta la qualificazione di memoria obbligatoria e facoltativa.
"I santi che hanno un rilievo universale si celebrano obbligatoriamente in tutta la Chiesa; gli altri, o sono elencati nel Calendario per essere celebrati "ad libitum", o sono lasciati alla venerazione di ciascuna Chiesa particolare, o Nazione, o Famiglia religiosa (SC 111)" (NG 9).
Inoltre, una disposizione liturgica antica, riconfermata nelle norme della riforma, prevede che "nelle ferie che ammettono una memoria facoltativa, per giusta causa, si può celebrare con il medesimo rito l'Ufficio (o la Messa) di qualche santo iscritto in quel giorno nel Martirologio Romano".[23]
La attribuzione della celebrazione "facoltativa" o "obbligatoria", "locale" o "universale", non è legata - come già fatto notare per altre classificazioni - alla maggiore o minore "santità" di un santo, ma al giudizio circa la maggiore o minore estensione e significato attuale del suo culto.[24]
Il criterio dell'importanza del culto per la vita di tutta la Chiesa o per la vita di una comunità ecclesiale particolare determina anche il diverso grado di dignità e di solennità della celebrazione. "Le celebrazioni, secondo l'importanza che viene loro attribuita, sono denominate e si distinguono fra di loro così: solennità, feste, memorie" (NG 10).[25]
Il rapporto tra i diversi gradi di celebrazione dei santi iscritti nel Calendario è regolato secondo l'apposita "Tabella dei giorni liturgici disposta secondo l'ordine di precedenza", pubblicata a conclusione delle "Norme generali" (cfr IR 8-12).
Raccogliendo le indicazioni del nuovo ordinamento, distinguiamo il loro grado in:
1. SOLENNITA': sono i giorni di massima importanza, che hanno la precedenza su ogni altra celebrazione, ad eccezione di alcune domeniche o feste del Signore. Questo grado è attribuito ai santi patroni di una città o di un paese, ad un santo fondatore nella sua famiglia religiosa, al santo titolare della Chiesa, ecc.
2. FESTA: sono celebrazioni di un certo rilievo dovuto alla figura del santo. Feste sono quelle degli apostoli, dei patroni secondari, dei fondatori "beati", dei membri di una famiglia religiosa, ecc. Tali feste non possono mai prevalere sulla domenica.[26]
3. MEMORIA:[27] è la forma più comune per celebrare i santi. E' obbligatoria o facoltativa secondo le motivazioni sopra illustrate. Le memorie devono la precedenza a solennità e feste e non sono ammesse neanche in certi altri giorni importanti dell'Anno liturgico, come i giorni di Quaresima e quelli precedenti il Natale.
Altra novità apportata dalla riforma è la semplificazione dei titoli da attribuire ai santi.
"Tolti i titoli seguenti: 'confessore pontefice', 'confessore non pontefice', 'nè vergine nè martire', 'vedova', ai nomi dei santi vengono dati questi titoli, come nel Calendario generale: a) Titoli tradizionali: apostolo (evangelista), martire, vergine. b) Titoli che indicano il grado nella sacra gerarchia: vescovo (Papa), sacerdote, diacono. c) Titoli che indicano un santo appartenente ad una famiglia religiosa. (...) Sebbene nel Calendario generale i nomi dei santi laici non martiri o non vergini, non sia accompagnato da un titolo particolare, nulla impedisce che nei Calendari particolari si conservino certe denominazioni proprie di una determinata condizione di vita (per esempio re, padre di famiglia, madre di famiglia, ecc.)" (IR 27).[28]
Per una equilibrata attuazione del culto dei santi troviamo ancora un'importante norma al n.3 di IR: "Dei singoli santi si faccia nell'Anno liturgico una sola celebrazione; si permette tuttavia, là dove motivi pastorali lo consiglino, un'altra celebrazione a mo' di memoria facoltativa". E segue poi un breve elenco di questi "motivi pastorali". Vengono invece drasticamente proibite le "commemorazioni periodiche a data fissa"; è detto esplicitamente che "queste commemorazioni devono essere soppresse" (IR 3).
Con tutte queste norme la riforma liturgica ha operato non solo una semplificazione, ma anche una "sfrondatura" nelle espressioni del culto liturgico dei santi. Era un compito affidatole dal Concilio per poter recuperare la reale preminenza della liturgia del Proprio del Tempo rispetto al Santorale. Appare ingiustificato teologicamente, e negativo pastoralmente, porre in opposizione questi due elementi del ciclo liturgico, dal momento che le feste dei santi proclamano il mistero pasquale e le meraviglie di Cristo nei suoi servi. Il carattere cristologico-pasquale del culto dei santi trova anche altri tempi e modi di espressione - si pensi ad esempio ai formulari eucologici, diligentemente rivisti e innovati in tal senso - e costituisce la sua vera rivalutazione.
II. IL SANTORALE NELLA RIFORMA DEL MESSALE E DELLA LITURGIA DELLE ORE
Il nuovo Santorale è il frutto più importante della riforma del culto dei santi operata dal Concilio Vaticano II, perchè riguarda le strutture e le modalità celebrative destinate ad educare anche tutte le altre espressioni di devozione ai santi.
La riforma del Santorale della liturgia della Messa e delle Ore è, a detta di molti, uno dei lavori meglio riusciti, assai consequenziale rispetto ai valori e orientamenti conciliari. E' stata descritta e analizzata (strutture, riti, formulari) in molti e approfonditi studi.[29]
1. Un culto più cristocentrico
L'enunciato di SC 104, che definisce il culto dei santi come proclamazione del mistero pasquale di Cristo, ha ispirato la riforma del Santorale in tutte le sue parti: orazioni, lezionario, letture patristiche e agiografiche.
Nella liturgia della Messa l'antifona all'introito già orienta l'attenzione dei fedeli sul significato della celebrazione. Spesso echeggiando un aspetto carismatico della vita del santo, essa indirizza alla Parola di Dio e al mistero di Cristo; così anche l'antifona alla comunione è sempre orientata al mistero eucaristico.
Similmente avviene per le antifone della Liturgia delle Ore, soprattutto quando sono proprie: sono autentici "lampi" di dottrina spirituale, in qualche modo riferibili alla vita del santo, che danno luce cristiana alla preghiera dei Salmi. Di marcato carattere cristologico è, in particolare, la antifona d'invitatorio.
Guardando agli inni del Proprio dei Santi, troviamo che essi solitamente intrecciano felicemente la gloria resa a Dio con le lodi rivolte ai suoi santi.
Le orazioni sono l'elemento che più caratterizza il culto liturgico dei santi. L'Istruzione per la revisione dei Calendari particolari e dei Propri della Messa e dell'Ufficio, al n.40b, ha dato particolari disposizioni in merito.
"Tra le orazioni, soltanto la colletta ha un riferimento diretto con il santo di cui si celebra la festa. (...) Invece, le orazioni sopra le offerte e dopo la comunione si riferiscono direttamente al mistero eucaristico: se in queste si introduce la menzione, lo si faccia soltanto in maniera indiretta".
Sulla base di queste indicazioni si è proceduto ad una organica revisione e ristrutturazione dei formulari eucologici. I formulari completi, previsti per il "Comune dei Santi", sono aumentati da 30 a circa 50, e, al loro interno essi offrono ulteriori possibilità di combinazione di testi. Si è inoltre applicato il principio secondo cui ogni Messa deve avere almeno la colletta propria, come elemento che caratterizza la memoria. In riferimento poi al grado della celebrazione o dell'importanza del santo si aggiungono anche le orazioni sopra le offerte e dopo la comunione.[30]
Le orazioni, che pur fanno riferimento al santo, non costituiscono un "corpo a sè" all'interno del contesto celebrativo eucaristico. In esse, il santo appare come una particolare realizzazione dei frutti del mistero di Cristo celebrato e come modello dei sentimenti e degli atteggiamenti con cui la comunità cristiana deve partecipare all'eucarestia.[31] A tale riguardo è stata chiesta e operata un attenta revisione dei formulari eucologici per renderli più omogenei con la celebrazione eucaristica.
Pur ricercando un'autentica "personalizzazione" spirituale nel riferimento al santo, nelle orazioni si evitano espressioni devozionali, individualistiche, elogiative, stereotipate riguardanti miracoli, rivelazioni particolari, per cogliere invece, discretamente, i motivi di grandezza del santo nel suo particolare carisma di sequela di Cristo, nella sua spiritualità, nell'attività svolta a favore della Chiesa e della società. Ciò viene espresso solitamente nella prima parte della colletta, cioè nella invocazione con la quale l'assemblea si rivolge a Dio glorificandolo per quanto ha operato nel santo.[32]
Anche nella richiesta presentata a Dio per l'intercessione del santo, posta nella seconda parte della colletta, si evitano accuratamente i termini che possono offuscare la linea diretta della preghiera rivolta al Padre, per Cristo, nello Spirito Santo, o anche termini che sminuiscano l'efficacia propria del sacrificio eucaristico celebrato, offerto e ricevuto.
La menzione dell'intercessione del santo è stata, invece, quasi del tutto eliminata nelle orazioni Super oblata e Post communionem, dove il sobrio richiamo al santo e al suo esempio è finalizzato a rinsaldare la coscienza di quanto la partecipazione eucaristica può e deve operare nella comunità.[33]
La colletta - ripresa come orazione finale nella liturgia delle Ore - è il testo liturgico più prezioso non solo per presentare "l'indole propria dei santi" (IR 40b), ma anche per realizzare la corretta integrazione della devozione tributatagli con il culto liturgico.[34]
I prefazi, per la loro stessa indole e funzione liturgica, sono improntati a suscitare la lode a Dio, il Santo. Nel nostro caso, essi traggono motivo dalla vita dei santi per celebrare le "mirabilia Dei", la vittoria di Cristo sul peccato, la presenza creatrice del suo Spirito operante nella Chiesa, la fecondità prodigiosa della Parola di Dio e la speranza, già realizzata nei santi, di ciò che attende il popolo di Dio.
Il numero dei Prefazi del nuovo Messale è aumentato; sono dieci: due degli apostoli, due dei santi in genere, uno dei martiri, dei pastori, delle vergini e dei religiosi; inoltre, uno per San Giuseppe, per San Giovanni Battista e per i santi Pietro e Paolo.[35]
Le letture bibliche, appropriate alla fisionomia spirituale del santo, contribuiscono in sommo grado a renderne il culto più cristocentrico. Esse aiutano a capire di più la santità e il santo e contemporaneamente, a capire di più la Parola di Dio, letta alla luce di esperienze concrete di uomini e donne che l'hanno vissuta facendone esegesi vitale. Questa convinzione ha portato alla costituzione del nuovo e ricco Lezionario per le celebrazioni dei santi.[36]
La stessa lettura agiografica, scelta con i criteri della "verità storica" e "del vero profitto spirituale di coloro che leggono" ed "evitando ciò che desta soltanto ammirazione" concorre non poco a presentare il santo come un "campione" di Cristo e del Vangelo.[37]
2. Un culto più ecclesiale
Il santo è esistenzialmente legato nella sua vita, nel riconoscimento e nel suo culto alla vita della Chiesa. Fin dal IV secolo il "Communicantes" del canone romano traduceva in preghiera la dottrina della comunione dei santi, riconoscendo alla Madonna e ai beati del cielo una posizione di assistenza continua, con la loro intercessione, verso la Chiesa peregrinante. Di fatto, la storia del culto dei santi ha dovuto registrare una certa perdita di questo riferimento ecclesiale, con le conseguenti deviazioni della devozione verso forme di individualismo pietistico e, a volte, quasi magico.
Alla riforma liturgica era stato chiesto che, a partire dal momento celebrativo comunitario, meglio ricollocasse il "santo" e il suo culto nel giusto ambito ecclesiale. Già la ristrutturazione stessa del Calendario è stata ispirata da questa esigenza. La nuova importanza data ai Calendari particolari attua la riconsegna del culto dei santi alla Chiesa locale di cui sono nobile "parte" e "segno".
Ogni elemento liturgico proprio della celebrazione dei santi apre e riconduce alla dimensione ecclesiale. Festeggiare i santi durante l'anno, per la Chiesa universale e per le Chiese locali, è far memoria della propria lunga storia ed è benedire il Signore, confermandosi nel cammino di fedeltà evangelica.[38] La breve nota storica che precede i testi liturgici, serve allo scopo di contestualizzare la vita del santo nelle vicende della sua Chiesa e del suo tempo.
Ma è nei testi eucologici dove meglio appare questo legame. Innanzitutto, la comunione dei santi è solennemente espressa nella preghiera eucaristica, nella quale il ricordo dei santi, e del santo celebrato in particolare, costituisce un elemento fisso della sua struttura.[39]
Il riferimento ecclesiale della celebrazione del santo è presente nelle collette. In esse il santo è ricordato per la sua "attività apostolica" (IR 40b) nella Chiesa del suo tempo e per la sua esemplarità e intercessione attuali. Nel rivedere i testi eucologici antichi e nel comporne di nuovi è stata attuata tutta una particolare attenzione linguistica e "culturale" per renderli più in sintonia con l'uomo e con la vita della Chiesa d'oggi. Il santo, infatti, deve essere visto e pregato non tanto come "campione solitario", ma soprattutto come "modello di vita cristiana", come "intercessore" per la Chiesa, "avanguardia profetica" di un popolo in cammino.
In tal senso, la perfezione di vita dei santi e anche i loro privilegi personali di grazia sono presentati, nelle collette, come doni per il servizio e l'elevazione della santità della Chiesa tutta. I testi dei "comuni" dei santi sono particolarmente espressivi della dimensione ecclesiale.[40]
Nelle orazioni super oblata e post communionem, che sono funzionali al momento liturgico del sacrificio eucaristico, c'è solo un discreto richiamo al santo in quanto modello di atteggiamento di offerta, sacrificio, comunione, per la comunità celebrante e per la Chiesa.
Le letture agiografiche mettono in rapporto il messaggio dei santi con l'oggi della Chiesa. In esse, tramite una sapiente scelta di testi, "si pone in luce la spiritualità dei santi in una forma accettabile ai nostri tempi, come pure la loro importanza per la vita e la pietà della Chiesa" (IGLH 167).
Altri elementi liturgici di grande significato ecclesiale sono le intercessioni della Messa, perchè "con esse si esprime che l'eucarestia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa sia celeste che terrestre" (IGMR 55g). Così pure le preci della Liturgia delle Ore costituiscono un momento privilegiato, di particolare respiro ecclesiale, nel quale l'intercessione dei santi sostiene ed eleva la preghiera dell'intera comunità cristiana (IGLH 183 e 235b).
3. Un culto più personalizzato
Con questa espressione vogliamo intendere il raggiungimento di quella finalità voluta e attuata dalla riforma del culto dei santi e riassumibile nel "mettere in luce l'indole propria del santo" (IR 40b). Il compito di presentare la figura del santo, svolto in passato quasi esclusivamente dal "panegirico", ora è affidato ai vari elementi liturgici, secondo la loro diversa funzione.
La celebrazione del "carisma spirituale personale" del santo, lungi dal creare individualismo o 'divismo', mette invece i fedeli in sintonia con lo Spirito che l'ha animato. Al contrario, sono le espressioni stereotipate - da evitarsi, dice sempre IR 40b - riferentesi a fatti, miracoli, elogi, ecc. a rinchiudere il santo in un cliché che poco dice di Dio per la lode, e poco dice al cristiano per l'imitazione.
La colletta costituisce l'osservatorio privilegiato per valutare la presentazione della santità e dei santi. Leggiamo come si esprime la norma 40b sopracitata: "(...) la colletta ha un riferimento diretto con il santo di cui si celebra la festa: conviene che essa metta in luce l'indole propria del santo, e le caratteristiche della sua vita spirituale e della sua attività apostolica, (...)". Questo dettato guidò il lavoro di revisione e di creazione di numerose collette. Nel nuovo Messale, ciascun santo è dotato di una colletta propria. Anche per i beati e santi di nuova proclamazione è prassi preparare almeno la colletta propria.
La recuperata ricchezza eucologica, di antica tradizione e rinnovata, ha notevole ripercussione formativa su tutto il culto dei santi. Prima della riforma post-conciliare, l'originalità spirituale dei santi era piuttosto sacrificata nella espressione liturgica, che per lo più ricorreva all'uniformità dei formulari comuni, e veniva di conseguenza ricercata in altri elementi (miracoli, storie, importanza sociale, fondazioni, ecc.). Anche questo fatto contribuì a creare il lamentato iato tra culto liturgico e devozione popolare dei santi. Con la felice revisione delle collette, nelle quali si cerca di cogliere la fisionomia particolare di ciascun santo con riferimenti appropriati al suo carisma, alla sua spiritualità e attività svolta nella Chiesa e nella società[41] i santi cessano di essere figure stereotipe, lontane; diventano persone più concrete, significative, ispiratrici e imitabili, perchè la loro grandezza e attualità è legata essenzialmente alla loro esperienza spirituale di "conformazione a Cristo" che, sola, varca i secoli.
Altri elementi liturgici contribuiscono ad una migliore personalizzazione del culto dei santi. Ad esempio, il vasto repertorio di letture bibliche, di prefazi e di formulari eucologici dei vari Comuni dei Santi, permettono una scelta di testi più aderenti alla personalità del santo celebrato.[42] A partire dal carisma spirituale ben individuato nella colletta, con la sapiente scelta dei vari elementi liturgici sopra ricordati e di altri secondari, ma sempre importanti, come le ammonizioni, le preghiere dei fedeli, i canti,[43] l'identikit del santo prende consistenza e autenticità.
Nella Liturgia delle Ore la caratterizzazione del santo avviene con maggiore disponibilità di elementi. Oltre all'orazione propria - ed altri accenni presenti per i santi di maggior importanza negli inni, nelle antifone - vi è infatti l'ampia lettura agiografica, che può essere "sia il testo di qualche Padre o Scrittore ecclesiastico che tratta espressamente del santo celebrato o che ad esso si può ragionevolmente applicare, sia un brano degli scritti dello stesso santo, o il racconto della sua vita" (IGLH 166).
I criteri enunciati per la lettura agiografica mostrano anche il profondo valore di un culto dei santi adeguatamente personalizzato: "Ci si deve attenere sempre alla verità storica ed avere di mira il vero profitto spirituale di coloro che leggeranno o ascolteranno la lettura agiografica. Si deve diligentemente evitare ciò che desta soltanto ammirazione; si ponga invece in luce la spiritualità specifica dei santi in una forma accettabile ai nostri tempi, come pure la loro importanza per la vita e la pietà della Chiesa" (IGLH 167).
Con la lettura agiografica si tende a stabilire una comunicazione più diretta con il santo; attraverso le sue parole e la sua vita è possibile penetrare meglio nella sua anima e cogliervi quello Spirito che mette in comunione, oltre il tempo e lo spazio, con Dio e con la Chiesa.
Infine, un altro elemento utilizzato in questo senso è la "breve notizia biografica, che presenta dati puramente storici e descrive brevemente la vita, è posta prima della lettura stessa, unicamente per informazione, e quindi non si deve leggere nella celebrazione" (IGLH 168).
III. LA RIFORMA DELLA PROCEDURA DELLE CAUSE DEI SANTI.
Per completare il discorso sui tempi, i modi e i valori della riforma del culto dei santi, risulta di particolare interesse occuparci anche di quella fase previa, precedente il loro riconoscimento e la proposta al culto, costituita dalla lunga e ben articolata procedura delle cause di canonizzazione.[44] Una tale conoscenza tocca da vicino quanto riguarda i nuovi beati e santi del dopo Concilio Vaticano II e la loro celebrazione liturgica.
Quali ripercussioni ha avuto l'indirizzo conciliare circa la santità e il culto dei santi nella riforma dei processi di canonizzazione e nel lavoro della Congregazione per le Cause dei Santi? Ed inoltre: il lavoro della Congregazione per le Cause dei Santi come influisce sulla tipologia di santità presentata al popolo cristiano oggi?
1. I documenti della riforma
Prima di presentare i principali documenti e contenuti della riforma della procedura delle cause dei santi, occorre richiamare un'affermazione un po' perentoria, ma condivisa da chi ne ha seguito le varie tappe: la riforma non è stata determinata dal Concilio in quanto tale; nella riforma dei processi di canonizzazione non c'è stato un vero intento di attuare delle prescrizioni conciliari. La riforma è avvenuta per evoluzione interna della procedura delle cause e, in particolare, è frutto dell'esperienza cinquantennale della "Sezione storica" della Congregazione per le Cause dei Santi.
Certo il Concilio ha "influito", ma non si può dire che ha "causato" la riforma dei processi.
Questo dato va tenuto in grande considerazione. I documenti che interessano questo campo non discendono direttamente dal Concilio per il semplice fatto che il Concilio non ha dato norme specifiche al riguardo. Ciò non significa, però, che i grandi riferimenti teologici, ecclesiologici, liturgici e pastorali sui santi siano rimasti privi di risonanza entro le strutture procedurali delle cause. E lo constateremo.
Che cosa dunque ha causato "l'evoluzione interna" che ha portato alla riforma promulgata con la Costituzione Apostolica "Divinus perfectionis Magister" del 25 gennaio 1983? Due principali esigenze hanno fatto maturare questa evoluzione negli ultimi decenni.[47]
La prima è una esigenza tecnica. L'antica procedura, molto saggiamente strutturata, risultava troppo complessa e di lenta applicazione di fronte al progressivo aumento del numero delle cause istruite e, di fatto, ostacolava la stessa acquisizione dei dati che dovevano costituire la base per il giudizio. Occorreva snellirla non solo per fare di più, ma anche per fare meglio.
La seconda è una esigenza di critica storica. La cura della verità storica fu sempre presente nel lavoro della Congregazione per le Cause dei Santi. Però si richiedeva di poter applicare anche nei processi di canonizzazione i metodi della disciplina storica sempre più affinati, basandosi non soltanto più sulle prove testimoniali, ma anche su quelle documentali, indispensabili per le cause più antiche, ed anche per le recenti.
Tali esigenze ispirarono un primo "Decreto" della S. Congregazione dei Riti, pubblicato per ordine di Pio X il 26.8.1913,[48] parzialmente recepito nel "Codex Juris Canonici" del 1917. Ma la fondamentale novità fu apportata dal Motu Proprio "Già da qualche tempo" del 6.2.1930[49] con il quale Pio XI instituiva presso la Congregazione dei Riti la "Sezione storica", con il compito di portare il suo efficace contributo per la trattazione delle cause "storiche", cioè di quelle senza testimoni contemporanei ai fatti in causa.
Sempre Pio XI emanò poi, il 4.1.1939, le "Normae servandae in construendis processibus ordinariis super causis historicis".[50] Il servizio reso dalla "Sezione storica", dal 1969 poi denominata "Ufficio storico-agiografico", fu esteso a tutte le cause, anche a quelle "recenti", accrescendo la sensibilità storico-critica a tutti i livelli e in tutte le fasi del processo.
Per snellire l'iter processuale e per poter raccogliere tempestivamente tutte le prove e testimonianze necessarie in una causa di canonizzazione "recente" il Motu Proprio "Sanctitas clarior", del 19.3.1969,[51] stabilì che si tenesse un "unico processo cognizionale", da istruirsi dal Vescovo diocesano, più direttamente corresponsabilizzato "proprio jure", e previa autorizzazione della Santa Sede.
Altre parziali riforme di procedura vennero introdotte con la Costituzione Apostolica "Sacra Rituum Congregatio" del 8.5.1969,[52] che decretava la nascita di due nuove Congregazioni "per il Culto Divino" e "per le Cause dei Santi", in luogo della precedente "Congregazione dei Riti".
Il cammino di "evoluzione" aveva già maturato importanti modifiche ed esigeva ormai una revisione organica di tutta la legislazione riguardante le cause dei santi. Questa giunse, dopo lunghi e approfonditi studi, con la promulgazione della Costituzione Apostolica "Divinus perfectionis Magister", del 25.1.1983,[53] seguita dalle "Normae servandae in inquisitionibus ab episcopis faciendis in causis sanctorum" della Congregazione per le Cause dei Santi, del 7.2.1983,[54] e dal "Decretum generale", ugualmente del 7.2.1983,[55] contenente le norme transitorie concernenti le cause già in corso presso la Congregazione.
A completare la serie dei documenti di riforma, fu pubblicato, il 21.3.1983, il "Regolamento della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi",[56] ad uso interno della Congregazione, previsto dalla "Regimini Ecclesiae Universae" al n.12.
La recente Costituzione apostolica sulla Curia Romana "Pastor Bonus", del 28.6.1988, ha riassunto le competenze della Congregazione per le Cause dei Santi negli articoli 71-74 senza introdurre particolari novità.[57]
2. Alcuni riflessi dell'insegnamento conciliare nello studio delle cause dei santi
Prima di affrontare qesto discorso va fatta una osservazione importante. C'è un notevole divario tra tempo del servo di Dio, tempo delle testimonianze e dei documenti sul servo di Dio e, infine, tempo del giudizio sulla santità e della proposta al culto. Ciò considerato, sarebbe ingenuo pensare di trovare il "Concilio Vaticano II" nella vita di un servo di Dio del XVI secolo o anche solo di non molti decenni fa, studiato e proposto al culto oggi. E', invece, possibile rintracciare solamente dei "riflessi" degli insegnamenti del Vaticano II sulla santità e sui santi, presente nell'attuale legislazione e prassi per le cause dei santi.
Il "riflesso" è una luce che giunge in modo indiretto su di un corpo, illuminandolo. L'insegnamento del Vaticano II non ha né chiesto né causato la riforma della procedura delle cause dei santi. La luce conciliare ha illuminato però anche questo particolare settore della attività della Chiesa indirettamente, tramite le nuove luci date alla teologia spirituale, all'ecclesiologia, alla liturgia, alla pastorale, ecc.
E' possibile cogliere questi riflessi conciliari nelle strutture, modalità e mentalità dell'attuale prassi processuale? Sì, ma non è facile distinguerli perchè, essendo appunto dei riflessi, vi sono presenti in modo sfumato.
a) Il rapporto santo - Chiesa locale
Il rapporto santo-Chiesa locale fu particolarmente vivo nel primo millennio ed è stato rilanciato nel contesto della ecclesiologia del Vaticano II e della riforma del Calendario e del Santorale.
Tale riaffermato rapporto si esprime, nelle cause di canonizzazione, nella maggiore attenzione storico-ecclesiale con cui si procede nella ricostruzione della vita del servo di Dio. Oltre alla comunione spirituale, viene evidenziata l'unione esistenziale del santo con la Chiesa in cui visse, Così meglio si riconosce anche il suo "carisma spirituale-apostolico" che è un "dono per la Chiesa".
La "fama sanctitatis", riconoscimento popolare che si diffonde a partire dai luoghi in cui il servo di Dio è vissuto esercitando il fascino della santità, è tutt'ora considerata una condizione per l'avvio stesso del processo di riconoscimento ecclesiastico della santità.[61] La constatazione della "fama sanctitatis" avviene oggi con procedura più semplice, ma và evitato il rischio di sminuirne la rilevanza, proprio per il suo valore ecclesiale.
La riflessione conciliare su Chiesa locale, Vescovo e corresponsabilità dei Vescovi - richiamata nel Proemio della "Divinus perfectionis Magister"[62] - ha contribuito a dare maggiore importanza alla fase diocesana dei processi di canonizzazione. I Vescovi, secondo la nuova legislazione, "auctoritate propria" cominciano ad istruire la causa, provvedendo alla raccolta delle prove testimoniali e documentarie.[63]
Anche la proposta al culto è legata al bene della Chiesa locale e universale. Questa motivazione contribuisce non poco, a volte, all'accelerazione di certe cause e al loro coronamento con la beatificazione o la canonizzazione. In questi ultimi anni infine - altra piccola ma significativa novità - molte beatificazioni sono state celebrate nella Chiesa locale. Per ora, sono sempre state legate alla presenza del Papa, durante i suoi viaggi, ma potrebbe avvenire anche con altre modalità.[64]
b) Vocazione universale alla santità: rappresentatività
Questo dato teologico è stato insegnato con nuova chiarezza dal Concilio e ripreso, a livello liturgico, nel nuovo Calendario con il criterio della maggiore rappresentatività per categorie, luoghi e tempi dei santi.
Pur non essendo un "problema" per la Congregazione per le Cause dei Santi, si può tuttavia avere un riscontro della "universalità della santità" guardando alle cause in corso.[65] Un po' tutte le categorie del popolo cristiano e tutte le aree geografiche sono rappresentate con alcuni modelli insigni di santità. Certo balza agli occhi un dato: laici, religiosi e chierici sono rappresentati con un numero di cause indirettamente proporzionale alla loro presenza nel popolo di Dio.[66]
Il Cardinale Pietro Palazzini, già Prefetto della Congregazione,[67] trova la ragione del persistente esiguo numero - almeno nella proporzione - delle cause di servi di Dio laici in fattori di tipo storico-teologico: "che la santità sia una prerogativa comune a tutti i membri del popolo di Dio era un'idea non molto affermata prima del Concilio Vaticano II"; e di carattere spirituale, soprattutto: "è abbastanza normale che colui che si consacra alla vita religiosa si impegni più a fondo, in modo più radicale, nella sequela di Cristo; è quindi giusto che arrivi alla mèta della santità con maggior frequenza del laico".[68]
Vi sono poi certamente anche dei fattori "umani". Una causa richiede notevole impegno di persone, tempo, costi e continuità di interesse che le Congregazioni religiose meglio possono fornire per i propri servi di Dio. "Ad ogni modo - afferma ancora il Cardinale P.Palazzini - oggi non c'è più lo squilibrio di una volta; abbiamo molte cause di laici in corso, ed anche a livello economico c'è un fondo della Congregazione espressamente destinato al sostentamento delle cause povere".[69]
Anche Padre V. Macca, Relatore presso la Congregazione per le Cause dei Santi, conferma che "in questi ultimi tempi c'è un'attenzione maggiore della Congregazione, e ancor più del popolo cristiano, per figure di beati e santi laici. Sono molte le cause di laici introdotte e che bene procedono. C'è un fondo per le "cause povere" che va vitalizzato. Io sò di una causa dispensata da tutte le spese... Ma il vero problema è che le cause hanno bisogno di Attori che sostengano e lavorino al suo ben procedere. Le Congregazioni religiose in questo sono le più interessate e attrezzate". Mons. Fabijan Veraja, Sottosegretario della Congregazione, conferma che "per quanto dipende dalla Congregazione si cerca di favorire cause che siano rappresentative di tutte le categorie, ma se manca l'Attore interessato non si può far niente. Non è questione di soldi". Mons. Giovanni Papa ricorda che "per rendere possibile l'iter di cause interessanti di laici ed altri, ma prive di chi le sostenga adeguatamente, a volte esse vengono assegnate - su proposta - a Congregazioni e Postulazioni di più grande esperienza".
c) Santità una, ma non uniforme: il carisma di vita.
La Lumen Gentium n.41 mette in rilievo che ciascun santo vive la "sequela Christi" pervenendo alla perfezione della carità con peculiarità personali. Proprio la peculiarità carismatica, proposta alla imitazione dei fedeli, è al centro della presentazione e della celebrazione liturgica dei santi nelle loro feste (SC 111) e debitamente evidenziata nelle collette (IR 40b).
Il tipo di indagine storico-spirituale adottata nei processi di canonizzazione, è atta a far risaltare la peculiarità dei santi?
I santi sono modelli in quanto conosciuti nella loro personale esperienza di santità e, "quando una causa è bene studiata la peculiarità, il carisma del santo deve emergere sempre" (F.Veraja). Lo schema di giudizio che guida la "Positio super vita et virtutibus" non è una specie di "letto di Procuste" che uniforma tutti. Anzi, è proprio l'analisi dettagliata e completa sulla vita e sulle virtù a delineare le caratteristiche proprie di ciascun servo di Dio.
"Si è sempre guardato alla fisionomia tipica del servo di Dio, al suo carisma di santità. Questo ancor più oggi per la maggior accentuazione teologica, più che giuridica, con cui si ricercano le componenti della grazia speciale inedita del servo di Dio, nella sua realtà di comunione nella Chiesa e nell'ambiente concreto in cui è vissuto" (V.Macca). Il carisma di santità, ben individuato nei processi, viene poi consegnato al culto dei fedeli e celebrato nell'azione liturgica (orazioni, lettura agiografica, nota biografica, ecc.) per "proclamare le meraviglie di Cristo nei suoi servi" e per essere imitato.
d) Esigenza di verità storica
Quell'"accurata investigazione storica, teologica e pastorale" che il Concilio volle fosse premessa alla revisione del Calendario e del Proprio dei Santi (SC 23) trova una scrupolosa attuazione anche nello studio delle cause dei santi.
Già l'istituzione della "Sezione storica" presso la Congregazione dei Riti (1930) rispondeva a questa esigenza. "Non si può costruire una casa su fondamenti non ben sicuri; occorre essere rispettosissimi della verità storica nelle cause e l'esperienza della 'Sezione storica' ha portato ad un metodo ormai ben definito" (F.Veraja).
Quali sono le caratteristiche di questo "metodo ormai ben definito"? Innanzitutto, con il processo cognizionale, svolto in diocesi, si raccolgono, quanto prima, tutte le possibili prove documentarie e testimoniali utili. Quando tutto questo materiale giunge alla Congregazione vaticana, esso viene affidato ad un Relatore, coadiuvato da un collaboratore esterno, se necessario. Questi elaborano la "Positio super vita et virtutibus" del servo di Dio.
C'è da rilevare che nella prassi e nella sensibilità attuali "viene molto curato l'approfondimento storico-documentario e culturale per meglio contestualizzare e conoscere il beato o santo. La testimonianza orale è sempre di primo piano, ma non basta per ricostruire l'excursus vitae del servo di Dio" (G.Papa).
La verità storica, tanto diligentemente ricercata, non può non diffondere i suoi benefici effetti anche sulla verità ascetica, cultuale e devozionale riguardante i santi. Ma c'è un ulteriore positivo risultato. "Con la riforma storica i nuovi beati e santi sono "usciti di sacrestia" per essere studiati e presentati anche come personaggi storicamente significativi, ben dentro alla vita della loro Chiesa, della loro società, del loro tempo. Così non interessano più solo alla Chiesa e ai credenti, ma a tutti quanti si occupano di storia, di cultura, di vita civile, di politica, di pedagogia, ecc. In tale maniera, la missione di questi straordinari uomini di Dio per l'edificazione della Chiesa e per il bene di tutta la società continua in modo diverso, ma comunque efficace".[70]
"C'è, però, un pericolo da evitare. Per una eccessiva importanza data alla storiografia scientifica e alle sue leggi, a volte, si mette in secondo ordine il 'divino', la santità e l'esperienza di Dio... che sono poi l'essenziale di un santo. Si risente anche nei processi di una certa tentazione di secolarismo.[71] Una volta si avvertiva e si registrava molto di più l'incidenza del 'divino', la coscienza di povertà dell'uomo, la fiducia nel ricorso a Dio" (G.Papa).
3. Come nascono le nuove orazioni proprie
Un ultimo atto collega la conclusione del lavoro della Congregazione per le Cause dei Santi con l'inizio del culto dei nuovi beati e santi: la preparazione delle orazioni proprie. E' utile accennare a qualche breve notizia sulle modalità con le quali, di fatto, nascono e vengono approvate le nuove orazioni per i beati e santi proposti al culto liturgico dalla Chiesa. In particolare, ci chiediamo: c'è continuità tra i risultati dell'indagine processuale, che ricostruisce in profondità la personalità del "campione di Cristo", e la "immagine" offerta e perpetuata dalla liturgia con i suoi pochi ma essenziali elementi descrittivi (letture agiografiche, orazioni, note biografiche, canti, immagini, ecc.)?
"Quando finisce una causa, il lavoro della Congregazione è terminato - afferma il Sottosegretario della Congregazione per le Cause dei Santi, Mons. F. Veraja -. Solo ancora, la Congregazione per il Culto Divino ci chiede un competente giudizio circa il contenuto dei testi delle collette per valutare se corrisponda sufficientemente alla personalità del beato o santo, come è emersa dal processo". Mons. P. Marini, Sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino, precisa che "la prassi per la composizione delle orazioni proprie è solitamente la seguente: il Postulatore presenta i testi alla Congregazione per il Culto Divino. Essa dà un 'placet' di massima e poi i testi vengono fatti vedere alla Congregazione per le Cause dei Santi per verificare la loro conformità con l'indole del beato o santo e per evitare formule che tocchino la specificità di altri santi. I testi, infine, ritornano qui per l'approvazione definitiva".
Dunque, possiamo concludere che la colletta nasce e viene approvata rispettando il criterio stabilito da IR 40b, secondo il quale essa deve "in lucem proferre indolem propriam ipsius sancti, aspectum ipsius vitae spiritalis vel auctuositatis apostolicae".
Accennando a un giudizio complessivo di valore, gli esperti consultati ritengono che "le nuove orazioni, quanto al contenuto (carisma, caratteristiche spirituali, ecc.),[72] in genere siano fatte bene, anche perchè curate dall'Attore stesso, che ben conosce il santo e vigila sulla sua corretta e felice presentazione.
Padre V. Macca, spesso incaricato dalla Congregazione per le Cause dei Santi del giudizio sulle nuove orazioni, così si esprime: "Le collette generalmente sono ben fatte da persone che conoscono il servo di Dio. Io sono contrario a certi luoghi comuni di carattere sociologico che a volte vi sono espressi: inserire idee moderne, ma che non hanno un riflesso storicamente concreto nella vita del servo di Dio. Io sono contrario a 'socializzare' le orazioni che, così, possono essere buone oggi, e domani già non esserlo più". Don V. Raffa, Consultore della Congregazione per il Culto Divino, ricorda che "nella composizione delle orazioni oltre al contenuto, va tenuta presente la loro funzione liturgica e le leggi strutturali e stilistiche che la regolano. Comporre una buona 'orazione' è frutto tra i più preziosi e sempre più rari dell'arte liturgica".
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
La riforma del culto dei santi è stata completata quasi per intero nel primo decennio dopo il Concilio Vaticano II. Ad essa è già seguito un buon periodo di sperimentazione che meglio permette una visione adeguata dei suoi valori, delle sue strutture e delle prospettive da tenere aperte.
Dall'analisi fatta, si può concludere che l'opera di riforma è stata una fedele e ben riuscita attuazione dei principi teologici, liturgici e pastorali di riforma enunciati dal Concilio Vaticano II. Questi principi hanno trovato omogeneo sviluppo nei diversi documenti e testi di riforma esaminati. Pure il settore dei processi delle cause dei santi, che ha competenze e leggi del tutto particolari, ne è stato beneficamente interessato.
Questo felice bilancio deve guidare la valutazione del consuntivo circa gli effetti di rinnovamento pastorale cui la riforma del culto dei santi mirava. Una domanda si impone: fino a qual punto il rinnovamento voluto dal Concilio si è esteso rinvigorendo la pietà del popolo cristiano e la prassi liturgica e pastorale? Come è stato recepito?
Sembra possibile individuare tre atteggiamenti che hanno fatto seguito alla riforma conciliare e che convivono tutt'ora presso il popolo cristiano.
Un primo, di allergia teorico-pratica e quasi di abbandono del culto dei santi: è un atteggiamento assai diffuso, spesso immotivato o motivato superficialmente; per lo meno non dovrebbe essere motivato pretestuosamente dal quel cristocentrismo pasquale della liturgia che - come insistentemente sottolineato dai documenti esaminati - non emargina, ma fonda ed esige la celebrazione dei santi come sua espressione integrante.
Un secondo, segnato dal persistere di forme devozionali individualistiche, seppur popolari, staccate dall'alveo teologico e liturgico, cristocentrico ed ecclesiale della pietà cristiana, e anche da più coscienti rivincite involutive di chi non ha accettato, o non ha capito, la portata teologica e pastorale dell'insegnamento conciliare.
Un terzo, infine, di autentico ed equilibrato rinnovamento secondo i propositi del Concilio. E' certo l'atteggiamento che più si va affermando.
Siamo attualmente in una fase di "recezione" della proposta conciliare del culto dei santi. La recezione pratica è ancora aperta in questo capitolo come in molti altri del rinnovamento liturgico. Se non si vuole che resti una bella "lezione" del passato, ininfluente sul modo di pensare, di pregare e di vivere del popolo di Dio, teologia, liturgia e pastorale del culto dei santi devono rimanere in dialogo tra di loro, ma anche con la cultura del nostro tempo, senza soggezioni né presunzioni, e con le espressioni semplici e a volte lacunose della fede e della pietà del popolo cristiano.
In tale opera di dialogo e di genuina promozione del culto dei santi grande responsabilità compete alla liturgia e alle sue possibilità espressive e pedagogiche. Essa dà il tono, la corda celebrativa alle altre componenti devozionali.
Lo studio ha confermato la convinzione che i santi, se ben compresi teologicamente, correttamente celebrati nella liturgia e opportunamente valorizzati nella pastorale, costituiscono una parte di notevole importanza nella tradizione viva del mistero cristiano, soprattutto in un'epoca di secolarizzazione e di domanda di nuova evangelizzazione come è l'attuale.
"I grandi evangelizzatori dell'Europa sono stati i santi" - ha ricordato recentemente Giovanni Paolo II.[73] Con la loro vita evangelica nella vita terrena, prima, e con l'esempio e la preghiera nella comunione spirituale, poi sempre, i santi evangelizzano e celebrano Cristo e rinvigoriscono la sua Chiesa, sacramento di santità. Con la loro ricca e varia sinfonia di esperienze, contribuiscono a far conoscere e a far desiderare le "imperscrutabili ricchezze di Cristo (Ef 3,8) date a noi dal Padre: "nella festosa assemblea dei santi risplende la tua gloria e il loro trionfo celebra i doni della tua misericordia" (Prefazio dei Santi, I) oggetto della liturgia della Chiesa.
[1] In Ephemerides Liturgicae 1991, n. , p. .
[2] Anche la Lettera Apostolica "Vicesimus quintus annus" di Giovanni Paolo II, nel XXV della "Sacrosanctum Concilium", stimola il rinnovamento offrendo "alcuni principi... norme ed orientamenti che devono regolare il rinnovamento della vita liturgica. Se infatti la riforma della liturgia voluta dal Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta in atto, la pastorale liturgica, invece, costituisce un impegno permanente..." (n.10) in AAS 81(1989) p.897-918. Su questa prospettiva c'è molta letteratura di bilancio del periodo seguito alla "Sacrosanctum Concilium"; cfr. Rivista Liturgica n.2, 77(1990) contributi sul tema "Sacrosanctum Concilium": venticinque anni dopo e AUGE' M. Movimento liturgico. Riforma liturgica. Rinnovamento liturgico in Ecclesia Orans 6(1989) p.301-322. Occorre realisticamente tener presente il fatto che il rinnovamento liturgico oggi, come la riforma liturgica ieri, deve fare i conti con la "creatività selvaggia", con l'indisciplina e anche con non poca ignoranza liturgica che ostacolano la comprensione e l'attuazione dell'insegnamento del Vaticano II.
[3] La Congregazione per il Culto Divino, nel febbraio 1974, indirizzò ai Vescovi e ai Superiori maggiori delle Famiglie religiose un'altra Lettera, "De calendaribus particularibus atque Missarum et Officiorum Propriis recognoscendis" con lo scopo di sollecitare e aiutare, fornendo alcuni criteri pratici, l'opera di revisione dei Propri. In Notitiae 10(1974) p.87-88.
[4] Alla riforma dei libri liturgici che interessano il culto dei santi manca ancora la pubblicazione del Martirologio romano, la cui nuova edizione è in fase di avanzata redazione. La Congregazione per il Culto Divino ha presentato un resoconto del lavoro di revisione già svolto, informando dei criteri adottati e anticipando il progetto della parte relativa al mese di gennaio (in Notitiae 25(1989) p.529-597) e di maggio (in Notitiae 26(1990) p.401-403 e 411-480).
[5] Sarà citato con sigla MP.
[6] Sarà citato con sigla NG.
[7] Sarà citato con sigla IR.
[8] Alcuni studi per l'approfondimento di questo capitolo. Innanzitutto va segnalato l'autorevole Commentarius in annum liturgicum instauratum del "Consilium ad exequendam Costitutionem de Sacra Liturgia" in Calendarium Romanum Tip. Poliglotta Vaticana, 1969. p. 53-83 (sarà citato da Enchiridion Vaticanum, S1 p.248-329). BRAGA C. De Anno liturgico et Calendario instauratis. Commentarius in Ephemerides liturgicae 83(1969) p.184-201. BRAGA C. Nuovo calendario liturgico. Ed.Liturgiche, Roma, 1969. JOUNEL P.-BUGNINI A. De quibusdam animadversionibus ad Calendarium Romanum instauratum in Notitiae 5(1969) p.295-303. JOUNEL P. L'organisation de l'année liturgique in La Maison-Dieu n.100(1969) p.139-156. CUVA A. Verso i nuovi calendari liturgici particolari in Rivista Liturgica 59(1972) p.497-518. OLIVAR A. Il nuovo calendario liturgico. LDC,Torino-Leumann, 1974. AUGE' M. I santi nella celebrazione del mistero di Cristo in AA.VV. Anamnesis. Introduzione storico teologica alla liturgia. VI.L'anno liturgico. Genova, 1988. p.247-259. BROVELLI F. Anno liturgico in Dizionario Teologico Interdisciplinare, I. Torino, 1977. p.315-331. DELHOUGNE H. Célebrer les Saints? Place du sanctoral dans la liturgie aujourd'hui in Liturgie n.44(1983) p.25-44. ADAM A. I santi nel Calendario romano (Il Santorale) in L'anno liturgico, celebrazione del mistero di Cristo. Storia. Teologia. Pastorale. Torino-Leumann, 1984. p.203-280. JOUNEL P. Il culto dei santi in MARTIMORT A.G. La Chiesa in preghiera. IV.La liturgia e il tempo, Queriniana, Brescia, 1984. p.133-155. LODI E. I santi del Calendario Romano. Ed.Paoline, Milano, 1990.
[9] Alcune riforme parziali erano già avvenute. Nel 1950 c'era una enorme sproporzione tra ferie del Tempo (71) e memorie dei santi (262). La restaurazione della Veglia pasquale e della Settimana Santa, ad opera di Pio XII (1951) e la soppressione delle feste devozionali che ingombravano la Quaresima in troppi calendari particolari, ad opera di Giovanni XXIII (1960), avevano già messo in risalto la centralità delle solennità essenziali del mistero della redenzione. Cfr. JOUNEL P. Il nuovo Calendario in Rivista Liturgica LVII (1970) p.276. Tale ricentramento cristologico e pasquale dell'anno liturgico corrispondeva anche ad un progetto di educazione alla fede del popolo di Dio, tenendo conto che la liturgia è "la didascalie de l'Eglise", secondo l'espressione di Pio XI (in Documenta pontificia ad instaurationem liturgicam spectantes. I.(1903-1953). A cura di A. Bugnini. Ed.Liturgiche, Roma, 1953. p.71).
[10] Sugli esiti dell'attuazione di questo principio si vedano le chiarificazioni di due dei protagonisti del lavoro di revisione del Calendario romano: JOUNEL P.-BUGNINI A. De quibusdam animadversionibus ad calendarium romanum instauratum, o.c., p.295-303.
[11] Cfr. Normae universales de Anno liturgico et de Calendario (1969), n. 1, 4-7, tutto il Titolo II e i n. 49-50; Instructio de Calendariis particularibus atque Officiorum et Missarum Propriis recognoscendis (1970), la Premessa e i n. 1 e 2.
[12] Cfr. NG n.9 e 49.
[14] BRAGA C. Nuovo Calendario liturgico, o.c., p.88-89.
[15] Ibidem, p.90-91. Cfr. Commentarius in annum liturgicum instauratum, o.c. p.289-295. C'è chi ha parlato di "strage dei santi" compiuta dalla riforma del Vaticano II. Si deve dire piuttosto il contrario che la stessa ultima riforma del Santorale dovette scendere più volte a compromessi per le varie influenze, pressioni ed "esigenze pastorali", passando sopra sia ad alcune riserve storiche, sia ad altre gravi riserve liturgiche (feste di devozioni o di idee più che di fatti attinenti alla storia salvifica). Cfr. VISENTIN P. Formazione e sviluppo del Santorale nell'Anno liturgico in Rivista Liturgica LXV (1978) p. 317 e JOUNEL P.Il Nuovo calendario in Rivista liturgica LVII (1970) p. 277-278.
[18] C. BRAGA presenta nel suo Il nuovo Calendario liturgico, o.c., p.123-133, l'elenco geografico e quello cronologico dei santi del Calendario. Cfr. JOUNEL P. Le renouveau du culte des saints dans la liturgie romaine, o.c., p.75-85; e le statistiche riportate e commentate da DELOOZ P. in La canonizzazione dei santi e la sua utilizzazione sociale in Concilium 8(1979) p.42-56.
[20] Cfr. VISENTIN P., o.c., p. 300-302 e il titolo "La Chiesa lo ha sempre creduto" del mio precedente articolo Il culto dei santi nei documenti del Concilio Vaticano II in Ephemerides Liturgicae 1991, n. , p. .
[21] Commentarius in annum liturgicum instauratum, o.c., p.305-307.
[22] JOUNEL P. Il nuovo Calendario, o.c., p. 280-281; BRAGA C. Normae universales de Anno liturgico et de Calendario. Commentarius, o.c., p.192-193.
[23] Cfr. n.244 dell'Institutio Generalis de Liturgia Horarum e il n.316c dell'Institutio Generalis Missalis Romani.
[24] Certo che in un mondo reso "villaggio" dalle molteplici possibilità di comunicazione risulta sempre più sfumato e provvisorio tanto il giudizio circa l'"estensione" che quello circa il "significato" del culto di un santo. Inoltre si deve considerare l'opera di universalizzazione della devozione verso determinati santi svolta dalle Famiglie religiose o da altre Associazioni cattoliche presenti in tutto il mondo.
[25] Cfr. BRAGA C. Nuovo Calendario liturgico, o.c., p.84-87.
[26] Più dettagliate disposizioni per le celebrazioni dei santi patroni e titolari vengono date in IR 28-35. "Patronus, liturgica acceptione, Beata Maria Virgo, Sanctus vel Beatus intelligitur, qui ob antiquam traditionem vel legitimam constitutionem ut protector seu apud Deum advocatus celebratur" (SACRA CONGREGATIO PRO CULTU DIVINO. De patronis constituendis n.1, in AAS 65(1973) p.276-279).
[27] Il termine è usato in SC 104 e riprende una parola della tradizione antica (cfr. S. CIPRIANO. Epistola 37 in PL IV, 337); indica una celebrazione inserita nella vita liturgica quotidiana.
[28] "Piuttosto che proporre nuovi titoli come, per esempio, 'giusto', 'laico', 'madre di famiglia', 'santa donna', molto opportunamente è sembrato che non fosse necessario attribuire un titolo a ciascun santo". Commentarius in annum liturgicum instauratum, o.c., p.327.
[29] Cfr. BRAGA C. De Anno liturgico et Calendario instauratis. Commentarius in Ephemerides liturgicae LXXXIII(1969) p.184-201 e Il "Proprium de Sanctis" in Ephemerides Liturgicae LXXXIV (1970) p.401-431. VISENTIN P. Il 'nuovo' messale. Proposte per una valorizzazione pastorale. Atti del XV Convegno liturgico-pastorale. O.R., Milano, 1974. p.73-98. JOUNEL P. Redécouvrir le culte des Saints in Notitiae 14(1978) p.176-182. SORCI P. La memoria dei santi nel nuovo messale in Rivista di Pastorale Liturgica XIII(1976) p.46-51. PATERNOSTER M. Il culto dei Santi nei nuovi libri liturgici. Dottrina e prassi in Rivista Liturgica LXV(1978) p.320-333. I contributi di CAVEDO R. Fondamenti teologici della santità nel Lezionario Romano, p. 195-210, e di DONGHI A. La memoria dei santi nel Messale Romano, p.211-245 in Il Messale Romano Vaticano II. Orazionale e Lezionario. Vol.II. LDC, Torino-Leumann, 1981. (Quaderni di Rivista Liturgica, Nuova Serie n.7). DELHOUGNE H. Célebrer les Saints? Place du sanctoral dans la liturgie aujourd'hui in Liturgie n.44(1983) p.25-44. LODI E. La sainteté dans les textes eucologiques romains in A.M.TRIACCA - A. PISTOIA. Saints et sainteté dans la liturgie, o.c., p.211-239.
[30] Cfr. DONGHI A. La memoria dei santi nel Messale Romano, o.c., p.211-213. BRAGA C. Il "Proprium de Sanctis", o.c., p.401-403. NEUNHEUSER B. I Comuni del nuovo Messale Romano in Rivista Liturgica 58(1971) p.515-532.
[32] Cfr. BRAGA C. Il "Proprium de Sanctis", o.c., p.402-404. JOUNEL P. Les oraisons du propre des saints dans le nouveau missel in La Maison-Dieu n.105(1971) p.180-198.
[33] Era doverosa e necessaria questa revisione dell'eucologia del Proprio dei Santi. Lungi dall'uscirne "sminuiti", i santi cessano di essere figure stereotipe che nulla dicono alla spiritualità dell'uomo d'oggi, per divenire i grandi tipi che presentano i vari aspetti della ricchezza di Cristo e i vari lineamenti del suo volto. Cfr. SORCI P. La memoria dei santi nel nuovo Messale, o.c., p.47.
[34] Cfr. Institutio Generalis Liturgiae Horarum, n.198-199.
[35] Per lo studio dei Prefazi dei Santi nel Messale Romano. Cfr. DONGHI A. La memoria dei santi nel Messale Romano, o.c., p.237-245.
[36] Missale Romanum. Lectionarium. Vol.III. Pro Missis de Sanctis, ritualibus, ad diversa, votivis et defuctorum. Editio typica (1972). p.289-428. Per lo studio del Lezionario per le celebrazioni dei Santi cfr. CAVEDO R. Fondamenti teologici della santità nel Lezionario romano, o.c., p.195-210.
[37] Cfr. Institutio Generalis Liturgiae Horarum, n.167, ma anche n.67, 164, 168. Il dettagliato n.43 di IR così recita: "Elemento di somma importanza e caratteristica propria dell'Ufficio divino è la lettura agiografica o tratta da scrittori ecclesiastici; lettura da comporsi, da scegliersi per le singole solennità, feste e memorie. Questa lettura si può trarre dagli scritti dei Padri e degli scrittori ecclesiastici; se poi si tratta di santi o beati, può essere un estratto dei loro scritti o una presentazione delle caratteristiche della loro spiritualità o attività apostolica. Alla lettura si premetta una breve notizia biografica, che però non è da leggersi nella celebrazione dell'Ufficio. Nella preparazione o revisione delle letture agiografiche, se ne curi la brevità e sobrietà (ad esempio, non superino per lo più le 120 parole) si evitino i luoghi comuni; si tolgano o si correggano gli eventuali particolari o non veri o poco adatti. Infine la lettura si faccia seguire da un responsorio proprio o dal comune, che favorisca la meditazione del testo proferito nella lettura".
[38] Cfr. JOUNEL P. Redécouvrir le culte de saints, o.c., p.181-182; parlando del rilancio del culto dei santi, l'Autore si chiede: "Comment n'y apporterait-on pas un soin tout spécial en un temps où les hommes sentent le besoin de découvrir le passé de leur région, de retrouver les vestiges de la vie de leur pères?".
[39] Si veda al riguardo l'Epistula "Consilii" et indicationes de Precibus eucharisticis in Notitiae 4(1968) p.146-155.
[40] Cfr. PATERNOSTER M. Il culto dei santi nei nuovi libri liturgici, o.c., p.331. DONGHI A. La memoria dei santi nel Messale Romano, o.c., p.211.
[41] Cfr.BRAGA C. Il "Proprium de Sanctis", o.c., p.405-406. JOUNEL P. Culto dei santi in Nuovo Dizionario di Liturgia. Ed.Paoline, Roma, 1983. p.1351.
[42] L'ampia proposta di letture bibliche per la celebrazione dei santi è intesa anche a questo scopo. Cfr. n.65-70 dell'Ordo Lectionum Missae, (1971). Dell'attenzione al rapporto tra letture bibliche e vita del santo è significativa una particolare disposizione contenuta al n.47 del Directorium de Missis cum pueris della Congregazione per il Culto Divino: "In Missa de Sancto diei ad ea interpretanda et illustranda, quae ex Sacra Scriptura proferuntur, aliquid ex eius vita narrari potest non tantum in homilia, sed etiam ante lectiones biblicas in modum admonitionis" (In AAS 66(1974) p.30-46).
[43] Cfr. SACRA CONGREGATIO PRO CULTU DIVINO. Ordo cantus Missae, del 24.6.1972, in Notitiae 8(1972) p.216-220. Tra le "ammonizioni" ha particolare rilievo quella che introduce la preghiera universale; cfr. l'Istruzione Oratio universalis del "Consilium" per la riforma liturgica in Enchiridion Documentorum Istaurationis Liturgicae I, p.237-242.
[44] E' la modalità ordinaria attraverso la quale l'Autorità ecclesiastica giunge a decretare il culto pubblico di alcuni servi di Dio. Il canone 1187 recita: "Cultu pubblico eos tantum Dei servos venerari licet, qui auctoritate Ecclesiae in album Sanctorum vel Beatorum relati sint".
[47] Cfr. VERAJA F. Commento alla nuova legislazione per le Cause dei Santi, o.c., p.6-9.
[48] In AAS 5(1913), p.436-438.
[49] In AAS 22(1930), p.87-88.
[50] In AAS 31(1939), p.174-175.
[51] In AAS 61(1969), p.149-153.
[52] In AAS 61(1969), p.279-305.
[53] In AAS 75(1983), p.349-355.
[54] In AAS 75(1983), p.396-402.
[55] In AAS 75(1983), p.403-404.
[56] SACRA CONGREGAZIONE PER LE CAUSE DEI SANTI. Regolamento della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi. Roma, 1983 (pubblicato anche in Enchiridion Vaticanum, S1 p.783-795).
[57] In AAS 80(1988) p.878-879.
[61] Cfr. Divinus perfectionis Magister, n.1 e canone 2038,1 e la riflessione di ZERA R. La fama di santità. Fondamento morale e rilevanza giuridica, o.c.
[62] Ibidem. "Pensiamo inoltre che, alla luce della dottrina sulla collegialità proposta dal Concilio Vaticano II, sia assai conveniente associare maggiormente i Vescovi alla Sede Apostolica nel trattare le cause dei santi" (Proemio).
[63] Cfr. Divinus perfectionis Magister, n. 1-6 e le disposizioni contenute in Normae servandae.
[64] Anche questo è un segno del rapporto santo-Chiesa locale. Ricordiamo, ad esempio, le beatificazioni di Ursula Ledochowska, Raphaël Kalinowski e Albertus Chmielowski a Posnan e Cracovia (Polonia), dei Martiri coreani a Seoul (Corea), di Anna Monteagudo ad Arequipo (Perù), di M. Clementina Anuarite a Lubumbasa (Zaire), di Verginia Centurione Bracelli a Genova (Italia), di Mercedes Molina a Guayaquil (Ecuador), di Cyriacus Chavara e Alphonsa a Immacolata Conceptione, della Chiesa di rito siro-malabarese, a Changanacherry (India).
[65] Si veda al riguardo l'ultimo aggiornamento in CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM. Index ac Status Causarum. (Editio peculiaris Petri Galavotti IV exeunte saeculo ipsius Congregationis). Città del Vaticano, 1988.
[66] Tra il 1966 e il 1986 ci sono state 120 beatificazioni e canonizzazioni: 100 di esse riguardano religiosi (52 uomini e 48 donne); 54 sono i pastori (di essi 41 sono religiosi) e solo 4 beatificazioni riguardano singoli laici (altri sono presenti in beatificazioni e canonizzazioni di gruppi). Qualche segnale di riequilibrio lo si riscontra, ad esempio nel triennio successivo che ha visto 6 proclamazioni al culto di laici. La rappresentanza per nazioni è così suddivisa: Italia 39; Spagna 23; Francia 21; Germania 10; Canada 4; Polonia e Olanda 3; Austria, Ecuador, India, Iugoslavia, Libano 2; Armenia, Belgio, Cecoslovacchia, Corea, Filippine, Giappone, Gran Bretagna, Irlanda, Perù, Portogallo, Romania, Stati Uniti d'America, Terra Santa, Zaire 1. Cfr. PELOSO F. Santi e santità nel dopo Concilio Vaticano II. Studio sulle orazioni proprie dei nuovi beati e santi. C.L.V.-Ed. Liturgiche, Roma, 1991.
[67] Cfr. 30 Giorni 5(1987) n.3, p.44-45.
[68] Questa argomentazione è sviluppata anche da MOLINARI P. Diversificazioni nel modo di tendere alla santità in La Civiltà Cattolica 115(1964), p.7-20.
[69] Cfr. 30 Giorni 5(1987) n.3, p.45.
[70] Mons. G.Papa informava con una certa soddisfazione come l'Archivio della Congregazione per le Cause dei Santi non sia più soltanto frequentato da "addetti al lavoro ecclesiastici", ma anche da studiosi laici che vi attingono per tesi di laurea, per studi storici, di pedagogia, di sociologia, ecc. perché vi trovano materiale copioso e storicamente attendibile.
[71] "Possiamo comprendere il dinamismo dei santi - osserva J. Ratzinger - soltanto se teniamo presenti le nuove idee che si affermarono nella loro vita e mutarono radicalmente i criteri cui essi prima l'avevano ispirata... (I santi) sono degli autentici credenti che, come dei fari, hanno indicato agli uomini le possibilità di cui l'essere umano dispone". HOMMES U. - RATZINGER J. La salvezza dell'uomo in prospettiva intramondana e cristiana. Queriniana, Brescia, 1976. p.66-67.
[72] Si veda al riguardo PELOSO F. Santi e santità nel dopo Concilio Vaticano II. Studio sulle orazioni proprie dei nuovi beati e santi. C.L.V.-Ed. Liturgiche, Roma, 1991.
[73] Discorso al Simposio delle Conferenze Episcopali Europee (Insegnamenti di Giovanni Paolo II (1985) VIII,2 p.918-919.