Contro l'immiserimento dell'uomo "vinci il male con il bene"
CRISTIANI IN TEMPO DI LIBERTÀ COATTA
Don Flavio Peloso
«La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero». È un aforisma di Karl Kraus, scrittore viennese del secolo scorso. Ci aiuta a capire la condizione della libertà nel nostro tempo.
Consumo ergo sum
Disponiamo e godiamo di tanti mezzi, di tanti beni, ma sempre meno siamo capaci di pensare ai fini, di dare lo scopo a quei mezzi. I mezzi sono anche il fine. E così si vive per i beni, si gode consumando. Persino le inquietudini provocate da certe domande clandestine dell’anima sul senso della vita vengono scacciate come “patologie esistenziali” o addirittura come “mancanza di adeguamento alla realtà”, come paranoia. Sono invece i segnali che “l’uomo c’è” dentro di noi. Sofferente, ma vivo,
C’è un’altra considerazione su cui è importante riflettere. Se viviamo solo per consumare dei beni, entriamo in un regime di libertà coatta, cioè dipendente e pilotata da chi detiene i beni. Quando il principio che guida è consumo ergo sum, sono libero e felice, ci si autolimita entro il confine dei beni e non interessa più di spaziare “oltre”, di aprirci ad altri “beni”, reali ma non commercializzati né dal mercato globale né dalla cultura dell’edonismo dominante. Entriamo in un regime di libertà coatta.
Libertà coatta
La cultura edonistica che incolla l’uomo ai beni ha delle leggi comportamentali ferree e crea una libertà tipica di qualsiasi regime di dittatura, dove si è liberi finché si sta entro i confini stabiliti. Ogni libertà di pensiero e di comportamento fuori del confine del “così fan tutti”, del “tutti la pensano così” è considerata una trasgressione antimoderna, integralista, non inclusiva, ecc. Viene respinta come una aggressione alla sicurezza comune garantita dal pensiero/costume unico.
Guardiamo a cosa succede sui temi LGBT (e altro), o sull’aborto, oggi anche sulla guerra, sul matrimonio, sulla genitorialità. Scatta un immediato ostracismo di difesa da parte di chi vive in liberta coatta.
Sono venuto a conoscere la vicenda dello psicanalista Giancarlo Ricci, il quale ha subìto un procedimento disciplinare da parte dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia per alcune sue affermazioni pronunciate in una trasmissione televisiva quando disse, su basi della scienza psicologica, che «la funzione di padre e madre è essenziale e costitutiva alla funzione di crescita» e per non avere usato l’onnicomprensivo e neutrale “genitore”. No, non si può! Altro che libertà di pensiero e libertà della scienza. Le sue affermazioni sono state giudicate discriminatorie verso le famiglie arcobaleno e addirittura «un comportamento contrario al decoro, alla dignità e al corretto esercizio della professione».
Il tempo della postlibertà
Giancarlo Ricci ha scritto anche un libro dal titolo Il tempo della postlibertà. Destino e responsabilità in psicoanalisi (Sugarco, 2019). In esso afferma che viviamo un’epoca di postlibertà in cui domina l’adeguamento al pensiero unico, al politicamente corretto, all’obbligo dell’egualitarismo. L’uomo contemporaneo crede di essere libero perché ha portata di mano e di desiderio, qualsiasi scelta/mezzo. Ma la libertà senza un fine e una responsabilità implode e muore.
L’omologazione del pensiero e il conformismo dei costumi è oggi impressionante. Solo chi ha un ideale, un amore, una fede, cioè un fine, si accorge della mancanza di libertà e combatte contro questa mancanza.
Una canzone di gioventù
Nel riflettere sulla situazione di libertà coatta in cui troviamo sono andato a rileggere una canzone, una cosetta scritta in gioventù, a cui attaccai qualche nota.
Alla villa d’un ricco signore
se ne stava un vecchio cane pastore;
mangiava, abbaiava, correva contento…
ma da lontano quel canto sembrava un lamento.
Rit. Canta, canta amico mio.
Quel che cerchi cerco anch’io:
è la libertà!
Un giorno venne avanti adagio
un vecchio povero cane randagio;
guardò da lontano quel cane beato,
ma presto s’accorse che era legato.
Il cane signore invitò l’arrivato:
“Vieni e guarda, son ben sistemato;
ho prato, casa e carne per cena”.
“Si! Però ti lega una grossa catena.”
“Una libera corsa fra i prati,
guardare il mondo con occhi incantati,
cantare felice al sole che muore,
anche tu lo sai vale più d’ogni onore”.
Amico, non è il tanto che hai,
le parole che dici o il molto che fai
che darti potranno la felicità,
ma quello che sei nella tua libertà.
Devo dire che allora avevo una visione molto positiva della realtà, anche se critica. Immaginavo che il “cane signore e ben sistemato” invitava il “cane povero e randagio” a godere con lui dei suoi beni.
Oggi, invece, nella vita quotidiana, nella vita sociale, economica e politica, prevale un atteggiamento di attaccamento individualistico ai beni che ha delle conseguenze a livello psichico e sociale: rischia di ridurre gli altri, la collettività, il bene comune, a soggetti che ostacolano il proprio benessere e, dunque, a dei nemici che minacciano la propria felicità narcisistica. Il cane della mia storiella di gioventù si metterebbe ad abbaiare furioso per tenere lontano il nuovo arrivato, senza alcun desiderio di condivisione, ma anzi di difesa di quanto formava la sua felicità.
La sindrome orionina
Però, cari lettori, sapete che anche quando scrivo criticamente di qualche male e malessere della nostra società, mi scatta sempre la “sindrome di Don Orione”: “Ma noi non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani. Noi, per quanto minimi dobbiamo portare il contributo di tutta la nostra vita”.
È la sindrome di Gesù del “vinci il male con il bene” per quanto sia piccolo il bene, come un granello di senape o un pugnetto di lievito nella massa. Il bene ha la forza di Dio, una vitalità inarrestabile.
“Non temiamo le difficoltà: si tratta di un’opera santa, della rigenerazione cristiana della nostra società: Dio è con noi, e Dio è l’onnipotenza”. “Non temete mai che la vostra opera vada perduta: ogni parola buona è soffio di Dio: ogni santo e grande amore di Dio e degli uomini è immortale! La bontà vince sempre: essa ha un culto segreto anche nei cuori più freddi, più solitari, più lontani!”.
E, se possiamo, evitiamo di dire che questo è fatalismo o provvidenzialismo. Avere il coraggio del bene, non è da stupidi.
“La Provvidenza vuole la nostra cooperazione, l’apporto e il contributo delle nostre migliori facoltà. I personaggi dei “Promessi sposi” che credono nella Provvidenza sono i più attivi e i meno fatalisti: Padre Cristoforo, Federigo, Lucia, Renzo, Padre Felice Casati, i Cappuccini durante la peste. L’attività di Lucia è tutta d’ordine spirituale, e chi l’ha voluta chiamar stupida e passiva non ha compreso nulla”.
Editoriale, Don Orione oggi, n.4, 2024, luglio-agosto