Articolo di Santino Contempo, rogazionista.
Il Beato Annibale Di Francia
e il Beato Luigi Orione:
ovvero l'amicizia dei Santi
Santino Bontempo
Consulta: Don Orione e Annibale Di Francia. Un messaggio per l'Italia e non solo.
AUTUNNO 1939
Una grande aula di studio. Circa ottanta seminaristi «apostolini», intenti ai compiti scolastici nelle ore immediatamente precedenti la cena, della quale salivano gli odori attraverso la tromba delle scale. Il silenzio della grande aula, illuminata dalla luce di una decina di globi, era violato solo dal fruscìo dello sfogliare dei quaderni e dei libri. All'improvviso, una voce fece girare di colpo tutte le teste: «Alzatevi in piedi!...». L'inizio di un applauso a battimano.
Guidato e accompagnato da tutti i Superiori, entrò un sacerdote, apparentemente trasandato, i capelli tagliati cortissimi, già per la maggior parte grigi, una tunica non proprio nuova che gli cascava male addosso, un viso rude, quasi scolpito e intagliato nel legno. Attraversando la stretta corsia tra le file delle piccole scrivanie da studio, giunse alla cattedra e lì si fermò in piedi, quasi impacciato. La voce di prima lo presentò dicendo: «Questo è Don Orione, grande amico del nostro Padre Fondatore...». Tutti battemmo le mani ancora una volta e sedemmo. Con una voce non proprio gradevole, con l'inconfondibile flessione settentrionale, egli ci esortò brevemente a perseverare nella vocazione: «Fatevi santi - ci disse - come il vostro Fondatore, il quale è stato un grande santo ... io l'ho conosciuto e lo posso testimoniare... ».
Chi scrive ricorda benissimo l'atmosfera di quella sera, il posto e la fila della propria scrivania, in colore marrone e il piano in smalto nero, nella grande aula, la luce ... tutto, proprio tutto, ma al di sopra di tutto la figura semplice, quasi trasandata di quel prete che aveva più l'aspetto di un curato di campagna che non proprio quello di un sacerdote, fondatore di Congregazioni e Opere di religione e di carità. Egli portava nella mente, nell'intimo del cuore e sulle spalle, tanta storia della Chiesa, di Messina del dopo-terremoto, del Canonico Annibale Maria Di Francia, dei Rogazionisti e di tante altre cose, tristi e meno tristi che si aggiungevano alle immagini del terremoto di Avezzano (anno 1915) con le sue rovine, ove egli era accorso alcuni anni dopo il terremoto di Messina del 1908 e dove, tra i fanciulli soccorsi c'era anche un ragazzo di 15 anni, Secondo Tranquilli, che fu, dopo, lo scrittore Ignazio Silone, e che conservò sempre un ricordo affascinante di Don Orione e del viaggio che con lui fece da Roma a Sanremo, per portarlo in «collegio».
In quella sera dell’autunno 1939, io che sto scrivendo, non potevo sapere nulla di tutto questo; io, venuto da una borgata di campagna, dove non giungeva nessun'eco, nemmeno del paese vicino: non c'era luce, non c'era radio, non giornali, né niente altro che potesse farmi andare al di là delle parole e delle immagini del sussidiario di quinta elementare, dove ricordo che accanto alle immagini degli uomini di governo, c'era quella del Papa di allora, Pio XI. Ma restai affascinato dalle parole di quel prete, e la sua figura mi è rimasta impressa nella mente.
DON ORIONE A MESSINA
Il 14 gennaio del 1909, Don Orione giungeva a Messina, o meglio tra le macerie di quella che era stata la città di Messina, non sappiamo se mandato dal Papa (San) Pio X, motu proprio, o se richiesto dall'Arcivescovo di allora, Monsignor Letterìo D'Arrigo. Lasciamo ad altri il compito di risolvere questo irrilevante dubbio storico, se ne vale la pena. Un fatto è certo, Don Orione giungeva come «Vicario Generale» della Diocesi. È naturale, ed è logico pensarlo, che qualcuno della Diocesi provasse un certo che di risentimento per questo forestiero, che rischiava di essere considerato un intruso indesiderato. Ma non si deve dimenticare che tra le decine di migliaia di morti, c'erano stati anche un buon numero di sacerdoti; e di chiese, a partire dalla Cattedrale fino alla più piccola cappella, non c'era più niente in piedi. Si pensi un po' allo smarrimento e alla desolazione che opprimevano il cuore dell'Arcivescovo, che era rimasto vivo e arroccato in un angolo dell'edificio vescovile, letteralmente crollato.
Quando Don Orione giunse a Messina erano appena trascorsi meno di trenta giorni dal terremoto. Per parlare, e ancor di più per scrivere, di un avvenimento passato in cui si intrecciano uomini, cose ed eventi tragici, è assolutamente necessario doversi e sapersi rituffare nell'epoca, fare cioè, anche qui, lacompositio loci et temporis, cioè la ricostruzione dei luoghi, dei tempi e dell'ambiente. Il luogo: prima di tutto, Messina, che era un ammasso di macerie, e dire che era una città morta è poco. Oltre i morti (circa ottantamila) erano «morte» le case, le cose, gli animi, le vie, le condutture di acqua, di luce e di gas, le chiese, i punti di riferimento, le caserme, gli ospedali: solo qualche rudere o qualche scheggia delle lastre di marmo segnaletiche delle vie, poteva far intuire approssimativamente in quale punto della ex-città ci si trovasse. È facile parlare e vivere e governare quando tutto è a posto, ma quando non c'è più niente a posto, solo i grandi animi trovano la capacità e la forza di reagire, decidere, soccorrere e continuare, ripartendo da zero. E i grandi animi, per la maggior parte dei casi, sono i Santi.
Tale dunque era Messina quando giunse Don Orione: un cumulo, anzi una catena montuosa di macerie. Subito, ai suoi primi giorni messinesi, non sappiamo come, Don Orione, cercando e aprendosi un varco attraverso ruderi, voragini, sprofondamenti, sbarramento di travi e solai di tetti crollati, alberi sradicati, giunse al quartiere Avignone, le cui povere e squallide, ma linde, catapecchie, come per miracolo, erano rimaste illese dal cataclisma. Lì era il «Quartiere generale della Carità» e giungendo lì e incontrando il Padre Annibale Maria Di Francia rimase affascinato dalla sua personalità e dalla sua santità, e il fascino provato al primo impatto, si ripeteva a ognuna delle frequenti visite, degli incontri e delle conversazioni, il cui contenuto era certamente lo zelo, i progetti e la «strategia» per far risorgere quella città così duramente provata. Sicché, quando egli, Don Orione, lasciava il quartiere Avignone per tornare al «palazzo» (per modo di dire) della Curia e al lavoro affidatogli dal Papa e richiesto dalle rovine del terremoto, a tutte le persone che incontrava, non sui marciapiedi che non esistevano più, ma intente a scavare piangendo e a frugare tra le rovine, ripeteva, forse con l'intenzione di incoraggiare e sollevare dalla disperazione, la frase che è rimasta nella memoria collettiva di molti testimoni: «Ma voi sapete quale grande santo avete in Messina?...».
Padre Annibale, a sua volta, verso la fine dello stesso anno (1909), riepilogando le grazie ricevute, nelMemoriale dei Divini Benefici così annota: «Quest'anno abbiamo avuto l'avvicinamento singolare di Don Orione che ha spiegato per noi grande protezione ed affetto».
Don Orione, da buon settentrionale e ancor di più piemontese, fu il primo (e forse inizialmente l'unico) convinto assertore della «santità» autentica del Padre Annibale, con il quale, dopo la breve parentesi della sua permanenza a Messina, si mantenne in frequente contatto epistolare, seguendo anche la vita e le vicende delle due Congregazioni da lui fondate: i Rogazionisti e le Figlie del Divino Zelo.
Nel mese di marzo del 1927 Padre Annibale scrisse un'accorata lettera a Don Orione, informandolo del suo grave stato di salute, («Veneratissimo e carissimo Padre Don Orione [...], mi trovo tra la vita e la morte, tanto il giorno che la notte. Non voglio se non quello che vuole Gesù»), e chiedendo preghiere. Don Orione rispose alla lettera con un telegramma datato 16 marzo 1927: «Vivamente addolorato sua malattia vengo fraternamente confortarlo. Tutti preghiamo Cuore Gesù, Madonna Sacra Lettera consolarla, conservarla, bene Chiesa orfanità derelitta. Voglia benedirmi. Orione».
Possediamo ancora una cartolina illustrata inviata da Padova, dalla Basilica del Santo, con cui Don Orione assicura preghiere per intercessione di Sant'Antonio, per la guarigione del Padre Annibale: « Oggi al "Santo" La ho particolarmente ricordata, e confido che la guarirà perfettamente. Saluto in Domino. Aff.mo Sac. Orione della Divina Provvidenza».
Il 1° giugno 1927 il Padre Annibale muore. Appresa la triste notizia, Don Orione manda questo telegramma: «Profondamente addolorato morte grande sacerdote di Dio Apostolo carità gloria clero messinese onore Sicilia Italia Chiesa. Abbracciandovi tutti suoi religiosi e orfani confortando profondamente in Gesù Crocifisso suffragheremo anche qui anima benedetta raccomandandoci intercessione vostro santo fondatore. Don Orione».
DON ORIONE PER LA CAUSA DI PADRE ANNIBALE
Dopo la morte del fondatore, presi e impegnati dalla conduzione delle sue Opere, nessuno dei Rogazionisti pensava di scrivere una biografia. A parte un opuscoletto che riuniva alcune puntate apparse sul periodico Dio e il Prossimo, a partire da qualche mese dopo la morte del Padre Annibale, per molti anni non fu scritto nulla: colpa degli impegni e anche delle «beghe» che nella storia degli uomini impediscono di fare e produrre il bene necessario. Chi ne soffriva molto di questa indolenza e inerzia era Don Orione, il quale rompendo gli indugi e capovolgendo la pazienza, irruentemente e quasi rudemente, il 2 agosto 1934 (erano passati sette lunghi anni dalla morte del Padre Annibale!) inviò un telegramma al Padre Francesco Vitale, «successore» del Fondatore, così formulato: «Urge scriviate vita et affrettiate causa Canonico Di Francia intanto che vive Arcivescovo Paino. Sarà monumento grande che Arcivescovo alzerà onore Messina et edificazione clero Sicilia. Caro Canonico, andate troppo lento, perché volete andare Purgatorio? Coraggio, dobbiamo andare subito col Padre Paradiso. Don Orione». Anche qui è forse il caso di fare riferimento al nemo propheta in patria sua del Vangelo.
Meno male (mi vien da dire) che Don Orione, forse per lo zelo o per carità «cristiana», si limitò a minacciare al Canonico Vitale il Purgatorio. Si intuisce però che egli riteneva il fatto un non lieve peccato di omissione riguardo alla gloria di Dio e alla gloria dei Santi. La chiusura del telegramma però ammorbidiva il tono: «Coraggio, dobbiamo andare subito col Padre [in] Paradiso», manifestando così il vivo desiderio di rivedere il Padre Annibale e ritornare a colloquiare con lui, come facevano un tempo nelle «casupole» del quartiere Avignone di Messina.
Il Padre Francesco Vitale (che spesso affermava di non essersi deciso a scrivere la biografia del Di Francia, perché non se ne sentiva degno..., lui che ne era stato testimone e collaboratore assiduo per lunghissimi anni), si mise all'opera di buon buzzo, un po' lentamente, raccogliendo carte, lettere, testimonianze, ricordi di altri e in massima parte suoi, e diede ordine di non disturbarlo e che «non c'era per nessuno», come erano soliti riferire Fratel Raffaele Quinto e Fratel Concetto Ruta, ambedue classiche figure di quei tempi.
I vari capitoli della biografia andavano dall'Istituto «Cristo Re» (l'attuale Istituto per Sordomuti), al... quartiere Avignone, di cui restava solo il capannone della Tipografia dove c'erano, tra le altre macchine, due grandi rotative che sfornavano al mese oltre 700.000 copie del periodico mensile Dio e il Prossimo.
Quel capannone, ancora «originale», era una vera perla conservata e incastonata nel «cuore» del nuovo bianco edificio (l'attuale) e attiguo al Santuario. (Oh, se non l'avessero demolito!... oggi costituirebbe una testimonianza e una reliquia della storia e del carisma di un Santo passato per le nostre vie e vissuto tra noi... Ma questi purtroppo sono pensieri veramente oziosi).
Riprendiamo: i vari capitoli della biografia, man mano che venivano scritti, correvano perciò dall'Istituto «Cristo Re», dalla scrivania del Padre Vitale, alla tipografia e tornavano in bozze, profumate del petrolio del fresco inchiostro tipografico. Alquanto tempo dopo, non possiamo precisare la data, in una sua venuta a Messina, Don Orione rincarò la dose del telegramma. Come faceva sempre, quando veniva a Messina, Don Orione andava a «salutare» prima il Padre Annibale, inginocchiandosi a pregare alla sua tomba e restando a lungo con il capo poggiato al marmo che la racchiudeva. (Mentre lui si attardava a pregare - testimonianza questa di Fratel Raffaele, indimenticabile custode e sacrista del Santuario - i religiosi Rogazionisti correvano a chiudere a chiave quella che era stata la stanza del Padre Annibale, perché Don Orione non «trafugasse», come era sua «santa» abitudine e «devota» intenzione, oggetti, indumenti o scritti appartenuti al Padre Annibale, da portar via come reliquie). Poi si recava all'Istituto Rogazionista denominato «Scuola Apostolica Cristo Re», per ossequiare il Padre Vitale che aveva il suo ufficio nella prima stanza, entrando, a sinistra. All'angolo dell'androne di ingresso, c'era il telefono, con l'apparecchio a forcelle e la suoneria con due campanelli e un nottolino, come nelle vecchie stazioni secondarie dei treni. Il portinaio era Fratel Concetto Ruta, di v.m., il quale ricordava che in un giorno dell'anno 1934, dopo il noto telegramma, al Padre Vitale che gli andava incontro con le braccia aperte e salutandolo: «Oh, carissimo Don Orione...», questi di rimando disse: «Che carissimo e carissimo ... non vi vergognate che ancora non avete scritto niente?»; e sembra che rinnovò la minaccia del Purgatorio.
LA PRIMA BIOGRAFIA
Il 1° giugno 1939 uscì (finalmente!) la prima grande biografia del Padre Annibale scritta dal Padre Vitale e stampata nella tipografia del quartiere Avignone (Scuola Tipografica Antoniana), situata, come abbiamo detto, nel cortile tra l'attuale doppia scalinata e il grande cancello di ferro. La biografia, in brochure, con la copertina color sabbia, recava il lapidario titolo: Il Canonico Annibale Maria Di Francia nella vita e nelle opere.
Fu presentata tra la gioia e l'esultanza di tutti, a cena, nel refettorio dell'Istituto. Il più contento, ma di una contentezza composta e frenata, era Padre Gabriele Ferrara, che di tipografia aveva anche la fisionomia, e che nella tipografia ci metteva l'anima, certo e convinto di avere fatto e di fare un grande servizio. Al Padre Mario Labarbuta, novello sacerdote, con i suoi caratteristici occhiali cromati, toccò l'onore di leggere (o proclamare) ad alta voce le prime pagine, dall'ambone in legno e compensato, tinteggiato a ciliegio, del refettorio, durante la cena. A un tavolo lungo, tutti i Superiori con Padre Vitale al centro. «Eravamo tutti contentissimi... ».
Dopo un po' di tempo, Don Orione, cui era stata inviata, tra i primi certamente, una copia della biografia, dopo averla letta inviò a Padre Vitale un telegramma-lettera che raffreddò l'entusiasmo e fece gelare tutti e fu come una puntura di spillo a un palloncino colorato: «Non mi piace affatto il vostro lavoro. Del Canonico Di Francia ne avete fatto una cosa dolciastra come voi». Non abbiamo reperito il telegramma di cui qui si parla: ne dà notizia Padre Carmelo Drago al Processo Informativo di Messina.
Questa imprevista schioppettata a bruciapelo, prettamente «orionina», si deve spiegare con l'altissima convinzione che Don Orione aveva della santità di Padre Annibale. È come quando uno ha avuto una «visione» della Madonna e qualsiasi raffigurazione pittorica della visione, ancorché sublime e altamente artistica, lo lascia sempre deluso.
La biografia del Padre Vitale rimane e rimarrà un documento di indiscutibile valore storico e testimoniale e un insostituibile punto di riferimento. Le parole di Don Orione, lungi dallo sminuire o dal voler sminuire il valore del lavoro di Padre Vitale, volevano solo esaltare la adamantina personalità e santità del Padre Annibale.
A chi scrive queste righe, Padre Carmelo Drago riferì, in varie occasioni, l'apostrofe di Don Orione, con leggere varianti di poco valore (e sempre con un sorriso a stento frenato),come per esempio: «egli era un santo di ferro e voi ne avete fatto un santo di zucchero».
L’EREDITÀ DI DUE SANTI AMICI
Che Padre Annibale fosse un santo di ferro, lo poteva comprendere bene lui, Don Orione, che in occasione del terremoto di Avezzano arrivò a «sequestrare» la berlina di Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III e le auto del seguito di Ministri e Generali, che erano giunti sul luogo del terremoto per una visita di «cortesia regia», adibendole per portare a Roma, in salvo, decine di fanciulli, estratti dalle macerie ... sfidando i carabinieri di scorta già pronti a fare scattare le manette: lo riferisce Ignazio Silone (nel libro Uscita di sicurezza) e non si può dubitare della testimonianza, data la «sinistrorsità» e l'allergia anticlericale dell'autore che fu uno dei fondatori storici del Partito Comunista Italiano.
Don Orione stette a Messina all'incirca tre anni come Vicario Generale della Diocesi. In quel tempo, come è affermato dalle testimonianze storiche, dal ricordo di tanti e dal processo per la beatificazione e canonizzazione, ebbe molto da soffrire. Ma chi ha mai detto che le opere di Dio, dalle più piccole alle più grandi, possano andare avanti senza la sofferenza? E da quel periodo iniziò la splendida amicizia, la reciproca stima di santità e il vicendevole aiuto e conforto con il Canonico Annibale Maria Di Francia, il quale morì il 1° giugno del 1927.
Don Orione, invece, vivrà altri 13 anni, morendo il 12 marzo 1940, lasciando nel mondo un profumo di santità e andando a raggiungere «in Paradiso» il Padre Annibale, secondo il suo desiderio espresso nel citato telegramma. Furono uniti e simili nelle tribolazioni, nella santità, tra le macerie del terremoto, nell'amore agli orfani e ai poveri, nell'attaccamento incondizionato alla Chiesa, al Papa e alla Gerarchia, nello zelo per la salvezza delle anime e nell'amore a Gesù Cristo, e a Lui «Crocifisso».
Di quella amicizia e santa unione ci lasciarono «stranamente» una traccia, acconsentendo, rassegnati ma sorridenti, chissà a quali pressioni e di chi, a posare insieme per una fotografia con il Crocifisso in mezzo, nelle mani di Padre Annibale, quasi a prepararsi, inconsapevolmente, la «figurina» per la loro (a loro imprevedibile) beatificazione e canonizzazione.
A noi, pellegrini ancora su questa terra, non resta che guardarli immaginandoli nella inimmaginabile gloria dei cieli, nella speranza di raggiungerli dopo un lungo tempo di Purgatorio, che ci toccherà per non aver saputo imitare i loro esempi, pur avendone saputo scrivere come se fossero meriti nostri.