L'autore, postulatore e storico dei Cappuccini, mette in luce una lettera di Don Orione a Mons. Giacinto Longhin, vescovo di Treviso, in occasione dell'apertura dell'Istituto Berna di Mestre (VE).
L’8 marzo 1940, in procinto di raggiungere S. Remo - dove morì quattro giorni dopo - Don Luigi Orione parlò nella cappella della Casa Madre di Tortona. Fu la sua ultima “buona notte”, che ha il valore di un testamento.Svelano tutta l’anima e sintetizzano tutta la vita del santo prete a Pontecurone, in diocesi di Tortona, quelle parole invitanti ad amare la Chiesa. Parlò così: «Vi raccomando di stare e vivere sempre umili e piccoli ai piedi della Chiesa, come bambini, di cuore e di opere, con pieno abbandono ai piedi dei Vescovi, della Chiesa. E non vi dico del Papa, perché quando si dice dei Vescovi, a fortiori si dice del Papa, che è il Vescovo dei Vescovi, il dolce Cristo in terra». Parlò di due Madri ed invitò ad essere «tutta roba loro» : «La prima grande Madre è Maria Santissima. La seconda Madre è la santa Chiesa... Siate tutti di Maria Santissima, tutta roba della Chiesa!». Proponeva ai “suoi” quello che era stato il suo stile, i suoi affetti più cari: la Madre della Chiesa e la Chiesa Madre.
Che fossero queste le idee-base della sua spiritualità e della sua piccola Opera della Divina Provvidenza lo dimostra una lettera, scritta da Don Orione, vent’anni prima, a un venerato Vescovo veneto, il Pastore della Chiesa santa di Treviso, il Servo di Dio Andrea Giacinto Longhin, cappuccino. La lettera è data da Venezia, il dicembre 1920, e contrassegnata dal caratteristico motto dello scrivente: «Anime e Anime». Brillano nel documento manoscritto i due amori di Don Orione, la Madonna e la Chiesa intrecciati insieme. Lo stile è tutto di Don Orione, che sa di semplicità e di umiltà, ma che ribadisce convinzioni che hanno la funzione di sicuri pilastri portanti.
Dovendo aprire a Mestre, in casa della signorina Maria Berna, un “piccolo orfanotrofio”, Don Orione ricorre al Vescovo di Treviso, sotto la cui giurisdizione si trovava allora la città di Mestre. Scrive: «Ma prima io vengo, almeno in ispirito, ai piedi di V. Eccellenza Rev.ma, siccome a quelli della santa Chiesa, per chiederle la benedizione pastorale». E spiega, in un’autoconfessione: «Sono un povero peccatore, ed ho bisogno tanto del conforto della benedizione dei Vescovi». Insiste: «Vengo, dunque, Eccellenza Rev.ma, a chiederle umilmente il permesso e la santa benedizione, per me prima, e poi per quei confratelli miei che dovessero venire a fare un po’ di lavoro in codesta sua mistica vigna».
Il piano di lavoro, suo e dei suoi figli, è esposto con limpidezza e decisione: «Con la grazia di Nostro Signore cercheremo di pregare, di vivere da religiosi e da umili figli della santa Chiesa e di Vostra Eccellenza Rev.ma. L’attaccamento alla Santa Sede e ai Vescovi è uno dei più sacri amori di questa povera mia baracca di Congregazione».Per la propria e altrui fedeltà alla Chiesa - che ritiene espressa particolarmente nel Papa e nei Vescovi - Don Orione impegna la preghiera del Vescovo mons. A. Giacinto Longhin, una preghiera da affidare alla Madre della Chiesa, la Madonna: «Si degni V. Eccellenza Rev.ma raccomandarci alla Madonna SS., perché non venga mai meno in noi questo dolce amore». Avviandosi a concludere, Don Orione ribadisce, la propria fede nella benedizione dei Vescovi che, per lui, è la stessa benedizione di Dio: «Bacio con profonda venerazione il sacro anello, e la prego di mettere le sue sante mani sulla mia testa e sugli orfani di Mestre, onde anche il Signore ci benedica». Sorprende il parallelismo fra questa lettera del dicembre 1920 e l’ultima «buona notte» del marzo 1940. Le stesse convinzioni, assunte a programma, ribadite in vita e richiamate negli ultimi giorni di vita.Vibra in esse tutto Don Orione, fatto di certezze e di umiltà, abbandonato con amore alle due Madri, quella che visse a Nazareth e quella che dalla Pentecoste cammina per il mondo per evangelizzarlo e santificarlo.Sono battute del Beato piemontese che cantano come colpi di maglio sull’incudine: scolpiscono la sua anima e definiscono la sua spiritualità. Le stesse convinzioni riemergono in altri suoi scritti, particolarmente lettere. E un credente e un apostolo che fissa se stesso e precisa il suo donarsi esistenziale su un pentagramma: Eucaristia, Madonna, Chiesa, Anime, Poveri. Su queste realtà egli modula la sua vita e la sua azione.Parole che restano. Parole che riempiono di speranza questa tormentata “aiuola” che pur ci fa tanto feroci, perché additano i due volti più cari e incoraggianti: quelli della Madre di Dio e della Madre Chiesa.
Ci sembra assai significativo che la beatificazione di Don Orione, che s’autodefiniva «un povero prete» in mano della Madonna e dei Vescovi, sia avvenuta nel mese d’ottobre, consacrato alla Madonna del Rosario, e dinanzi ai rappresenti dell’Episcopato di tutto il mondo, riuniti a Roma per il Sinodo dei Vescovi.In un’altra lettera al Vescovo mons. A. Giacinto Longhin, del 20 febbraio 1921, Don Orione richiama gli stessi amori, Madonna e Chiesa. Mons. Longhin scrisse sulla busta contente la lettera: «Don Orione. Da conservarsi». Davvero, l’amore alla Madonna e l’attaccamento alla Chiesa sono valori “da conservarsi”: oggi e sempre. Per la serenità e per r la salvezza di tutti.