Lettera Circolare del 3 settembre 2008.
Montebello (Pavia), 3 settembre 2008
“SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ”
Figlio della Divina Provvidenza
significa figlio dell'obbedienza
Cari Confratelli,
mi accingo a scrivere questa Circolare da Montebello (Pavia), una delle case storiche della Congregazione, all'indomani della festa della Madonna della Guardia (29 agosto) e del Meeting del Movimento Laicale Orionino (24-31 agosto).
Il cardinale patriarca di Venezia, Angelo Scola, ha presieduto la celebrazione principale. Ha tenuto un'omelia vibrante di ragioni e di sentimenti di fede. Ha goduto del vivace e devoto clima popolare mariano. Nel breve percorso dal santuario al centro Mater Dei, ove ci recavamo per il pranzo, ad un certo punto si è fermato, dicendo: “Certo, Don Flavio, avete una bella responsabilità perché avete un carisma e un santo così attuali e interessanti per la Chiesa d'oggi. Ho letto qualcosa di Don Orione, è geniale nella sua visione di Chiesa, di società, di carità. Coraggio!”. Quelle sono state le parole che più mi hanno segnato in quella giornata di festa. Insieme ad esse, un fatto.
Nel pomeriggio, mentre attendevo in santuario l'inizio della processione, mi si è avvicinato un anziano Confratello missionario. Abbiamo scambiato qualche parola, ha voluto la mia benedizione e poi ha cavato dalla tasca una piccola busta di lettera e me l'ha consegnata. “Sto ripartendo dopo una visita in Italia. Mi hanno dato dei soldi. Lascio a lei qualcosa che può destinare a una missione più povera della mia”. Sulla busta, a matita, era scritto “3.500 euro”. Nient'altro. Il giorno dopo, li ho passati a Don Girolami e al signor Omer Sika, coordinatore di 8 gruppi del MLO in Costa d'avorio, per le loro attività caritative in favore dei più poveri.
Le parole del Cardinale e il gesto del Missionario fanno pensare alla ricchezza dell'esperienza in cui ci troviamo coinvolti. Questa esperienza-carisma ci è stata donata come una grazia e costituisce il nostro principale dono nella Chiesa.
Come contributo di riflessione e di formazione, ho iniziato una piccola trattazione sulla “Pedagogia della santità orionina”.[1] Richiamo, come promemoria, alcuni punti.
“SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ”
La seconda linea di unione con Dio della pedagogia orionina della santità, tesa tra azione e contemplazione, è l'obbedienza, il " fare la volontà di Dio ". E' una linea fondamentale di tutta la spiritualità cristiana. Ha una espressione particolare nel voto di obbedienza della vita consacrata.[4] Ha speciali connotazioni e urgenze carismatiche nella spiritualità orionina centrata sulla fiducia nella Divina Provvidenza: " I figli della Divina Provvidenza devono essere figli dell'obbedienza ".[5]
I. COME GESÙ
“La nostra felicità sta nel conoscere Gesù Cristo e conformare a Lui tutta la nostra vita”.[6] Ed è proprio “a imitazione del nostro Salvatore Gesù Cristo” che “anche noi, con la professione di obbedienza, compiamo l'offerta totale della nostra volontà al padre ed entriamo più decisamente e più sicuramente nel disegno di salvezza, vincolandoci in maniera più stretta al servizio della Chiesa e dei nostri fratelli ” (Cost. 37).
Il Padre ci ha dato il modello di “come” dobbiamo cercare e vivere la Sua volontà in mezzo alla storia: come Gesù (cf Faciem tuam 8). L'obbedienza alla volontà del Padre identifica la personalità di Cristo, la esprime pienamente ( Faciem tuam 23a): «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34)”. Lui è stato l' amen (cf. Ap 3,14)), il sì (cf. 2Cor 1,20) perfetto al Padre. Noi siamo chiamati a continuare la Sua vita “nella storia, per dare agli altri la possibilità di incontrarlo”, vivendo l'obbedienza che manifesta Gesù al mondo d'oggi e che realizza la missione a Lui affidata dal Padre ( Faciem tuam 23).
Essendo noi membra del Corpo di Cristo (cf. 1Cor 12,12ss; Ef 4,11-17), la nostra obbedienza al Padre diventa continuazione della Sua. In questo senso, noi completiamo nella nostra carne (cioè nella nostra storia umana, personale e di gruppo) ciò che manca all'obbedienza di Cristo al Padre, per il Regno (Col. 1,24), “affinché il mondo creda” (Gv 17,21).
1. Caratteristiche dell'obbedienza di Gesù
Cristo si è consegnato totalmente al Padre: “E se nella sua passione si è pure consegnato a Giuda, ai sommi sacerdoti, ai suoi flagellatori, alla folla ostile e ai suoi crocifissori, lo ha fatto solo perchè era assolutamente certo che ogni cosa trovava un suo significato nella fedeltà totale al disegno di salvezza voluto dal Padre, al quale - come ricorda san Bernardo - «non fu la morte che piacque, ma la volontà di colui che spontaneamente moriva»” ( Faciem tuam 5c)[7].
Nel Vangelo, la vita di Cristo ci appare come una esperienza di filiale unione con il volere del Padre. Fu un'obbedienza filiale e non servile, amorosa, cioè con “quell'ascolto che solo il figlio può prestare al padre che ha solo cose buone da dire e da dare al figlio”.[8] “Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio” (Gv 8,47). Le sue prime (“Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, Lc 2,49) e ultime parole (“Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”, Lc 23,46) esprimono chiaramente questa comunione che è di tutti i giorni, come lo è il “cibo” (Gv 4,34) .
La preghiera “sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra” (Mt 6,10) è attualizzata e ripetuta nell'angoscia del Getsemani: “Sia fatta la tua volontà, non la mia” (Mt 26,39.42). Fu un'obbedienza in mezzo alle difficoltà : “imparò l'obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8). Fu un'obbedienza “fino alla morte , e morte in croce” (Fil 2,6-9), ove potrà dire che “tutto è compiuto” (Gv 19,30).
Sento il bisogno, cari Confratelli, di riprendere questo tema dell' esemplarità di Gesù obbediente - che noi tutti abbiamo certo meditato e fatto meditare tante volte alla gente - perché senza questo modello, anche gli esempi e le parole di Don Orione sarebbero poesia e le stesse regole della Chiesa e le Costituzioni apparirebbero vuote.
Gesù, da vero uomo, ha dovuto cercare e discernere la volontà del Padre attraverso “molteplici mediazioni umane” ( Faciem tuam 9). Anche a Lui non fu sempre facile capire, né adempiere, perché era “simile agli uomini” (Fil 2,7), dovette crescere ed imparare (cf. Lc 2,40.52), fu “provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). La vita pubblica di Gesù comincia e finisce con due prove riguardanti la sua adesione alla volontà del Padre: le tentazioni (cf Mt 4,1-11) e l'angoscia nel Getsemani (cf. Mt 26,38-39; Eb 5,7-8) che si prolungò sulla croce (cf. Mt 27,46; Sal 22; 31), ove anche Gesù ha sperimentato la Sua “notte”.[9]
Gesù ha “sofferto” e “imparato” l'obbedienza (Eb 5,8) e a questa scuola dobbiamo passare tutti. E non si è mai imparato abbastanza e definitivamente. Nella scena del Getsemani (Mt 26,36-46), vediamo i vari passaggi. Prima Gesù chiede di non dover soffrire, se possibile, ma che comunque si faccia la volontà del Padre (v.39). Poi, nel v.42, dice già semplicemente che si faccia la volontà del Padre. Infine, nel v.46, è ormai deciso: “Alzatevi, andiamo!”; ha capito ed ha accolto pienamente la volontà del Padre.[10]
2. Obbediente al Padre, cioè libero
Cristo non subì la croce, né si limitò a reggerla con fatale rassegnazione, ma la abbracciò positivamente, vedendo in essa l'amore dell'amato Padre in favore degli uomini suoi fratelli ( Faciem tuam 5c). E noi?
Nell'obbedienza al Padre, Gesù si manifesta uomo libero di fare la volontà del Padre e, proprio perché libero, “fa cose nuove”. E noi?
È libero di fronte al denaro (cf. Mt 6,25-33): e noi?
È libero di fronte agli uomini (cf. Gv 6,15; 13,5.14): e noi?
È libero, di fronte ai potenti (cf. Mt 27,13-14; Lc 13,32; 23,6-12): e noi?
È libero di fronte alla famiglia (cf. Lc 2,49; Mc 3,33): e noi?
È libero di fronte ai gruppi di potere politico e religioso (cf. Mt 22,34; 23,13-32): e noi?
È libero di fronte alla Legge (cf. Mt 5,21ss; Mc 1,22; 2,27-28): : e noi?
È libero di fronte alla morte (cf. Gv 10,17-18; Mt 26,36-46): e noi?
L'obbedienza di Cristo è a volte costosa, difficile, drammatica ( Faciem tuam 8c), fino a dare la vita (cf. Gv 15,12; Fil 2,8), ma anche gioiosa (cf. Gv 16,21).[11] È una obbedienza vigorosa, coraggiosa, perché soprattutto amorosa, “sino alla fine” (Gv 13,1), “alla morte in croce” (Fil 2,8), al “tutto è compiuto” (Gv 19,30). Per questo il Crocifisso non è più solo l'immagine del dolore e della morte, ma è diventato l'immagine positiva di vittoria dell'amore sul peccato, sul dolore e sulla morte.
II. COME DON ORIONE
"Non chiunque dice 'Signore, Signore' entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio" (Mt 7,21). La comunione con Dio è frutto e causa dell'obbedienza alla Sua volontà. L'abbiamo visto in Gesù.
Don Orione ha fatto dell'obbedienza alla Volontà di Dio il cardine imprescindibile della spiritualità del figlio della Divina Provvidenza.
1. Sempre alla presenza di Dio
Leggendo scritti di Don Orione e testimonianze su di lui, si deduce che Don Orione aveva sempre la coscienza di essere là dove Dio gli dava appuntamento con l'obbedienza, dove Egli si faceva trovare e servire: per questo era sempre in contemplazione anche nell'azione. "Diceva: bisogna cercare di fare tutto, sempre alla presenza e per amore di Dio, il che porta a stare sempre bene uniti a Dio, anche in mezzo agli affari ed occupazioni del proprio ufficio ".[12]
Essere dove e come vuole la volontà di Dio è la regola semplice, e dei semplici, per fare esperienza di Dio nelle realtà quotidiane. Infatti, non c'è un solo momento in cui Dio non si presenti sotto le apparenze dei fatti quotidiani, di qualche aiuto concreto, di qualche pena, di qualche esigenza o di qualche dovere. Tutto quello che avviene in noi, attorno a noi e mediante noi, contiene e nasconde l'azione provvidente di Dio. "Se squarciassimo il velo e se fossimo vigilanti e attenti, Dio si rivelerebbe a noi incessantemente e noi godremmo della sua presenza in tutto quel che ci accade; ad ogni cosa diremmo: Dominus est, è il Signore!".[13]
Pertanto, si esce dalla presenza di Dio non quando si esce di chiesa, o dai momenti cosiddetti 'spirituali', ma quando si esce dalla volontà di Dio. L'obbedienza incolla l'uomo alla presenza di Dio: sempre, dovunque, comunque.
È facile fare memoria di esempi e insegnamenti di Don Orione al riguardo.
I Confratelli che gli sono vissuti accanto ricordano espressioni che fiorivano spontanee e convinte sulle sue labbra: Quel che Dio vuole. Sia fatta la volontà di Dio! Il Signore ha voluto così ".[14]
Il venerabile Frate Ave Maria ha osservato molto opportunamente: "Don Orione ha lasciato ai suoi figli spirituali i sette fioretti della Divina Provvidenza, che cominciano tutti con la lettera effe ; il primo è fede e l'ultimo è fiat voluntas Dei ".[15]
"Anche nei contrasti e nelle difficoltà – ha testimoniato Don Amerigo Bianchi - l'ho sempre visto sereno e calmo, non ho mai notato in lui uno scatto di impazienza o udito una parola di lamento, anzi ripeteva rassegnato: Pazienza! E' il segno che Dio dispone così! ".[16]
"Talvolta, chiedendogli noi se egli si sarebbe trovato in qualche posto, rispondeva che al mattino non sapeva dove egli avrebbe finito a rotolare la sera; che avrebbe visto che carta gli seminava il Signore".[17]
2. Figlio della Divina Provvidenza significa figlio dell'obbedienza
Don Orione volle suggerito anche nello stesso nome “Piccola Opera della Divina Providenza”, "Figli della Divina Provvidenza",[18] il fondamentale atteggiamento di filiale di fiducia e di adesione docile, costante, ai voleri di Dio.[19]
Tale era la stima dell'obbedienza da giungere a farne un valore identificante dei suoi seguaci: " I figli della Divina Provvidenza devono essere figli dell'obbedienza: o non sono veri figli della Divina Provvidenza ".[20]
Nelle prime Costituzioni, stampate nel 1912, Don Orione dedica il n.28 alla "Indifferenza religiosa nell'ubbidienza" che significa disponibilità a tutto, "a spendere anche la propria vita, ove lo richiedesse, la maggior gloria di Dio e il servizio del prossimo, ad imitazione di G. C. Redentore e Signor Nostro, Qui fuit oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Fil. 8)".[21]
Quando Don Orione ripeteva che “Cristo si ama e si serve in croce e crocefissi con lui, o non lo si ama e si serve affatto”[22] voleva educare al sacrificio e all'obbedienza espressioni del vero amore a Dio.
Quante obbedienze eroiche nella vita di Don Orione. Alcune sono note. Le più restarono come suo "segreto martirio". A volte seppe sacrificare anche i propri diritti o buone ispirazioni di bene. Ma tutti noi sperimentiamo delle situazioni in cui siamo chiamati ad un'obbedienza "in croce e crocifissi con Cristo", riconoscendo il primato assoluto di Dio nella nostra vita e della sua "voce" che comanda nei superiori.
Ci vuole la compagnia interiore di Dio per entrare nel mistero della croce, che è mistero di obbedienza, che è adorazione della Sua sempre buona ed efficace Volontà, che è sacrificio di sé, santificazione.[23]
3. “Non si fa mai molto, se non quando si fa molto la volontà di Dio”
C'è uno scritto di Don Orione di grande valore spirituale in cui egli approfondisce la riflessione sul "fare la volontà di Dio". Alcuni passaggi.
"Che è la Volontà di Dio? Direi che è Dio stesso. Fuori della Volontà di Dio (sapientissima, santissima, ottima) non v'ha più bene, ma illusione di bene.
Nella conformità alla Volontà di Dio dimora tutta la virtù e la felicità delle anime cristiane. Volontà di Dio paradiso mio.
La conformità alla volontà di Dio è l'unica via della pace e della felicità. Trasforma in bene tutti i mali, in felici avventure tutte le calamità; nella Volontà di Dio dobbiamo sempre riposare, anzi godere.
Nella vita cristiana non si fa mai molto, se non quando si fa molto la volontà di Dio, con aurea indifferenza. Fiat, fiat Voluntas tua!".[24]
Il contenuto della preghiera è il disegno di Dio; l'obiettivo dell'azione è pure il disegno di Dio, l'"Instaurare omnia in Christo" (Ef 1,10). Preghiera e azione portano entrambe ad una adesione sempre più piena al Regno di Dio. L'obbedienza realizza l'unificazione di preghiera e azione.
Con la preghiera il cristiano si abitua a guardare il mondo con lo sguardo del Padre; impara e fa sua, sempre di più, la volontà di salvezza del Padre; è reso a Lui "familiare" ("Chiunque fà la volontà del Padre mio, questi è per me fratello, sorella e madre" Mt 12,50). In fondo, che cosa chiede ogni preghiera cristiana? "Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra". Frate Ave Maria, con la saggezza dei semplici, esprimeva questa esperienza così: "Parlando al Signore, anche se si incomincia col chiederGli quello che piace a noi, si conclude col preferire la Divina Volontà alla nostra".[25]
Con l'azione il cristiano si abitua a vivere da figlio, da servo, da collaboratore di Dio prolungando la Sua azione provvidente di creazione e di redenzione, l'unica che valga, che abbia riflessi nell'eternità.
Perciò, "Nell'obbedienza è grande sapienza: la sapienza che abbraccia il tutto. Non è il far molto all'esterno che conta davanti a Dio, ma l'avere un cuore umile, retto, obbediente. E la semplice obbedienza è virtù tanto cara agli occhi di Dio, che sola basta a santificarci. La strada dell'obbedienza fu la strada di Gesù Cristo, di Maria SS., di S. Giuseppe e dei Santi: è la strada della santa immolazione con Cristo, della pace e della felicità ".[26]
Don Orione sovente indicò la Famiglia di Nazaret quale modello di vita quotidiana attiva e contemplativa, semplice, sacrificata, nell'obbedienza alla volontà di Dio. Parlando delle "lezioni" di Nazaret e della santa Famiglia, Don Orione osservava: " In questa famiglia si lavorava molto; anche nella nostra famiglia religiosa ci deve essere il lavoro continuo; non solo pregare, ma anche lavorare. La vostra è vita contemplativa e di lavoro insieme . Quando siete davanti al Santissimo Sacramento, pregate, state tutte in Dio, non pensate a niente, perdetevi, per così dire, in Dio. Quando, però, operate, compite bene il vostro dovere come e perché lo vuole il Signore ".[27]
4. Nelle mani di Dio: come Maria, “come stracci”
Il SÌ obbediente unifica azione e contemplazione in colui che ama Dio e serve il prossimo in una vita dalle maniche rimboccate. Via alla santità è conoscere e rispondere SI' alla volontà di Dio. Come Maria. Leggiamo al riguardo una bella pagina di Don Orione in cui modula l'atteggiamento di docilità sul “Fiat” della Madonna.
"Fiat! Pronunciatela questa soave parola, o figli e amici miei, pronunciatela ad ogni respiro, ad ogni battito del cuore, ad ogni movimento delle labbra. Dio la comprenderà sempre nel modo in cui volete che egli la comprenda, ora come preghiera, ora come atto di fede, nel dubbio, come atto di speranza nel timore, e sempre come atto di amore .
Fiat! Nelle vostre mani dunque, nelle vostre mani, o mio Dio! ... Lavorate, lavorate questo fango, o mio Dio, dategli una forma e poi spezzatela ancora: essa è vostra e di chi fa per Voi, e non avrà mai più nulla a ridire... Sofferente, innalzato, abbassato, utile a qualche cosa od inutile a tutti, io vi adorerò sempre e sarò sempre vostro, o mio Dio! Nessuno mi staccherà da voi!
Nelle gioie e nei dolori sarò sempre tuo , o dolcissimo mio amore Gesù. Solitario ed ignorato, come il fiore del deserto, errante come l'uccello senza nido, sempre, sempre, Signore e amore soavissimo dell'anima mia, uscirà dalle mie labbra la parola sottomessa di quella che mi hai dato per Madre: Fiat! Fiat! Sia fatto di me secondo la tua parola!".[28]
C'è un'espressione tipica che caratterizza l'esperienza spirituale orionina in un grappolo di virtù essenziali, tra le quali spicca l'obbedienza: come stracci.[29] Don Orione la visse e la propose con insistenza come regola pratica di vita. Ad un giovane che vuole seguirlo nella Piccola Opera della Divina Provvidenza, scrive così.
"Se ti piace essere uno straccio di Dio, uno straccio sotto i piedi di Dio, sotto i piedi immacolati della Madonna SS.: se ti piace essere uno straccio sotto i piedi benedetti della Santa Madre Chiesa e nelle mani dei tuoi Superiori: questo è il tuo posto. Noi siamo e vogliamo essere nulla più che poveri stracci: si tratta in una parola, e uscendo di metafora, del sacrificio totale di te stesso e nell'esterno e nella vita interiore, sacrificio e d'intelletto e di raziocinio e di tutto te stesso. Va avanti alla Madonna, mettiti come uno straccio, di più, come un figlio, ma bambino nelle Sue mani e poi decidi come fossi in punto di morte e avrai deciso bene".[30]
L'umiltà, la docilità, la disponibilità nel servire sono condizioni indispensabili per fare esperienza di Dio.
"Noi siamo stracci nelle mani del Signore, della Divina Provvidenza... siamo stracci nelle mani della Chiesa, al cui servizio noi unicamente siamo, con devozione piena e perpetua... E la grazia e fortuna è tutta nostra, se Essi si servono delle nostre miserie per fare qualche cosa di bene nella Santa Chiesa".[31]
"E' tutto il Signore e la Santa Madonna che fanno queste cose: io sono un ciabattino della Divina Provvidenza".[32]
"Di mio in questa Piccola Opera non c'è che le storpiature; tutto il resto è la Mano del Signore".[33]
In conclusione, per unificare la nostra “ vita dalle maniche rimboccate ”, di “ spiriti attivi e contemplativi ”, occorre conoscere e compiere in ogni momento della nostra vita la volontà di Dio. La preghiera e l'attività sono ordinate al "fare la volontà del Padre".[34]
III. PEDAGOGIA DELL'OBBEDIENZA
Non c'è “figlio della Divina Provvidenza” se non è “figlio dell'obbedienza”. Ripartiamo da questo nostro punto qualificante per prendere qualche decisione pratica, per adottare quegli strumenti che possono aiutarci nella ricerca e nella pratica della volontà di Dio.
1. Obbedienza “da religiosi”
L'obbedienza alla volontà di Dio, guardando a Gesù come “il” modello e a Don Orione come il “nostro” modello, vale per tutti i cristiani. Gesù e il Vangelo, Don Orione e il suo carisma, sono cattolici , cioè per tutti , per tutte le categorie, laici e consacrati, religiosi e secolari, sacerdoti e suore, contemplativi e attivi.
Però, il religioso, “testimone della ricerca di Dio… e della via che porta a Lui (cf. Gv 14,8)” ( Faciem tuam n.1), ha un suo modo e dinamica particolare di cercare e vivere la volontà di Dio: 1) con la mediazione dell'esperienza carismatica del Vangelo, fatta da un altro cristiano (il Fondatore/trice) con il quale si sente – per dono dello Spirito - carismaticamente in sintonia; 2) con la mediazione della vita comunitaria ordinata con l'autorità del superiore .
Il religioso discerne e compie la volontà del Padre in fraternità, cioè, insieme ad altri cristiani che lo Spirito ha convocato con il medesimo dono/carisma: i convocati diventano i confratelli.[35]
Cari confratelli, ci siamo proposti, “come via migliore”, la rinuncia al protagonismo in solitudine in favore del protagonismo in comunione con Dio e con i fratelli. Ebbene, la dinamica comunitaria dell'obbedienza ci porta a un costante superamento dell'opposizione “Io-Tu” per vivere il “Noi”, il “noi siamo Suoi” che proclamiamo nel salmo 100. Per questo, Vita consecrata afferma che “non c'è contraddizione tra obbedienza e libertà”,[36] anzi “l'obbedienza religiosa, lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la fa pervenire al suo pieno sviluppo, avendo accresciuta la libertà dei figli di Dio” ( Perfectae caritatis 14).
Il confratello, anzi, l'insieme dei confratelli, la comunità, diventano “sacramento” del cammino e dell'incontro con Dio e con la Sua volontà. L'obbedienza vicendevole in comunità e a chi la presiede non è un fatto puramente sociologico, organizzativo, giuridico, ma teologico e spirituale. I confratelli sono carne della mia carne, sono spirito del mio spirito.
2. Il servizio dell'autorità
Anche se oggi sappiamo tutto sul superiore, su come deve essere e su cosa deve fare, si parla di crisi dell'autorità e dell'obbedienza nella vita religiosa. Il fratello-superiore,[37] in particolare, ha il compito primario di costruire, insieme ai fratelli «comunità fraterne nelle quali si cerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa” (canone 619).[38] Egli rappresenta nella comunità quanto Dio e la Chiesa aspettano da essa nella ricerca e adempimento di quanto Dio vuole, entro l'ambito delle sue competenze, e adoperando i mezzi ( la Parola di Dio, la Regola e Costituzioni, le decisioni dei Capitoli, ecc.) che la Chiesa ha giudicato legittimi. Il superiore, cioè, è un mediatore mediato[39] .
Il superiore è colui che obbedisce per primo[40] e chi obbedisce ha la “garanzia” di essere condotto dallo Spirito e sostenuto anche in mezzo alle difficoltà (cf. At 20,22ss).[41]
3. Meditazione e dialogo con la Parola di Dio
Nella pedagogia della ricerca e del compimento della Volontà di Dio, il dialogo con la sua Parola occupa un posto indispensabile. Don Orione ci ha detto che “ Nostra prima Regola e vita sia di osservare, in umiltà grande e amore dolcissimo e affocato di Dio, il Santo Vangelo".[42] Ebbene, la meditazione quotidiana è il momento cardine per “regolarci” sul Vangelo .
Sono pochi – ma sono sempre troppi! – i religiosi che trascurano la meditazione quotidiana. Mettiamoci a posto su questo punto chiarissimo e incontestabile della nostra vita di religiosi.[43] È questione di vita o di morte “religiosa”.
La meditazione è atto personale, ma da fare insieme , proprio per sostenerci e aiutarci vicendevolmente, anche solo con la presenza. Siamo in comunità per questo! Un'ora di primo mattino per Lodi e Meditazione deve trovare posto in ogni comunità. Sappiamo come la pensava Don Orione: “ La prima ora, tutta a Dio, alla presenza di Dio, impiegandola nella meditazione e nelle pratiche di pietà. E' nel mattino, prima di qualsivoglia distrazione e comunicazione con gli uomini, che bisogna pregare e ascoltare Dio. La prima ora tutta a Dio!”. Ci sono difficoltà da superare, certo, ma non ci sono giustificazioni per mancare a questo importante appuntamento della giornata, perché “ la giornata sarà come è stata fatta la meditazione ”, “ chi lascia la meditazione ha finito di vivere bene, di vivere da buon religioso e perderà la vocazione ”.[44]
Senza il dialogo personale con la Parola di Dio – completo di ascolto, riflessione, preghiera e impegno – come avviene nella meditazione quotidiana, manca la cattedra più importante della pedagogia della santità di un religioso.
4. Amare le Costituzioni, nostra regola di vita
Abbiamo visto che la Volontà di Dio è da noi religiosi ricercata e compiuta con la particolare e sicura mediazione del carisma. Ebbene, il nostro carisma è espresso in forma essenziale, certificata dall'Autorità della Chiesa, nelle Costituzioni e Norme che pertanto sono strumento di riferimento della nostra pedagogia della santità. Infatti, “ le Costituzioni sono una regola di vita atta a promuovere in noi la assimilazione e la pratica del Vangelo, secondo la particolare intuizione del Fondatore. Esse ne precisano spiritualmente, prima ancora che giuridicamente, il concreto progetto religioso e sono l'espressione oggettiva del suo spirito ” (art.234). Sono il codice della nostra alleanza con Dio stabilita con i voti. Sono il sentiero sicuro della nostra santificazione e missione. Sono lo specchio in cui guardare i tratti del nostro volto di religiosi orionini.
Per questo le regole vanno accolte e vissute con spirito di fede! Come ci ricorda ancora l'art.234, “ leggerle e approfondirne il contenuto, alla luce dello Spirito, è nostro dovere e nostra gioia. Metterle in pratica fedelmente e con amore è il nostro impegno di ogni giorno: la Congregazione si ama davvero e si ama tanto, se si amano davvero e se ne praticano con diligenza e buon spirito le sue regole ”.
5. Valorizzare il discernimento e il sostegno comunitario
Infine, ricordiamo che ci sono offerti altri mezzi e dinamiche comunitarie per aiutarci a cercare e vivere la Volontà di Dio.
A tutti giunga il mio fraterno e beneaugurate Ave Maria e avanti!
Vostro in Cristo e in Don Orione
Sac. Flavio Peloso, FDP
(superiore generale)
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Note:
[1] La riflessione è cominciata con la Circolare “ La sola cosa necessaria ” ( Atti e comunicazioni , 2007 (61), n.224, p.187-203) ed è proseguita con la successiva “ Pedagogia della santità ” ( Atti e comunicazioni , 2008 (62), n.225, p.3-16).
[2] Messaggio di Giovanni Paolo II per il centenario della PODP, 8.3.2003; Si veda Novo Millennio ineunte 31; Vita consecrata 93; Ripartire da Cristo 20.
[3] Parola III, 33; Comunità orionina in preghiera , p. XI; Cfr. I. TERZI, Pietà soda , in Atti e comunicazioni, 34(1985), 179-181. Don Orione spiegava così il senso di quel “ignìta” che deve qualificare la pietà: “Sia, o fratelli, la nostra pietà non quella falsa pietà leggera e superficiale che piace, ma non soddisfa e non nutre le anime, che solletica, ma non santifica, ma una pietà soda: non abbandonata al sentimento, alla parvenza, alla esteriorità, e superficiale, ma che si fondi su una fede massiccia sui principii della dottrina più pura e più sicura, una pietà che tenga il cuore caldo e unito con Dio ”; così ai confratelli di Victoria, il 16.12.1938; Scritti 104, 23.
[4] L a recente Istruzione “ Faciem tuam ” della Congregazione per la Vita Consacrata , dedicata a “ Il servizio dell'autorità e l'obbedienza ” , è di grande luce su questo tema. È stata presentata dal cardinale prefetto, Franc Rodé, durante l'incontro dell'Unione Superiori Generali, il 29 maggio scorso. Ho trovato molto utili anche gli appunti di commento all' Istruzione del claretiano P. José Rovira.
[5] Lettere II, p.166.
[6] Scritti 111, 95.
[7] Questa precisazione è importante per capire l'obbedienza di Gesù e nostra. Corrisponde a quanto detto da San Paolo: “Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1Cor 13,3). Non sono i sacrifici e persino la morte cruenta in quanto tali ad essere positivi, ma la carità che ad essi porta. Similmente Sant'Agostino, parlando dei martiri, disse: “Martyres non facit poena, sed causa” ( Commento al salmo 34, 13).
[8] Vita consecrata 5 e 8c. Anche Don Orione osservava: “ I figli ubbidiscono per amore; guai a quel figlio che ubbidisce per forza ”; Parola III, 116.
[9] Nel Getsemani e sulla croce, Gesù ha sperimentato ciò che i mistici hanno chiamato la “ notte oscura”: Bernardo di Chiaravalle, Caterina da Siena, Angela da Foligno, Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Ignazio di Loyola, Paolo della Croce, Teresa di Lisieux, Teresa di Calcutta, (cf. F. Ciardi, La notte tempo di prova. L'esperienza dei santi, Nuova Umanità 30 [2008] 165-187). Giovanni Paolo II parlò della “notte della fede” in Maria ( Redemptoris Mater 17c). Pensiamo a certi passaggi della vita di Don Orione e nostra.
[10] « Gesù non va incontro alla morte con l'entusiasmo di un illuminato o la freddezza arrogante di uno stoico o con cieca sottomissione al volere del Padre. Ci va con l'obbedienza realista di colui che, prevedendo quanto l'attende, si sente straziato. Ma è lì che brilla in tutto il suo splendore la qualità della sua comunione al disegno divino e si rivela la profondità della sua libertà” ( J. M. R. Tillard, Vita religiosa progetto di libertà? , Bologna 1973, 27-28).
[11] Sappiamo come “Dio ama chi dà con gioia” (cf. 2Cor 9,7; Rm 12,8).
[12] Testimonianza di Don A.Perduca, Summarium , p.72.
[13] J. P. De Caussade, L'abbandono alla divina Provvidenza , Paoline, Roma, 1979, p.169.
[14] Testimonianze di Mons. F. Cribellati e di Don A. Perduca, Summarium , p.41 e 72.
[15] Testimonianza di Frate Ave Maria, Summarium , p.11. I 7 effe dei Figli della Divina Provvidenza sono: "Fede, freddo, fame, fatica, fumo, fastidi, fiat voluntas Dei”. Ma Don Orione aggiungeva : “E poi... fiaschi, fischi, filze di debiti, facchinaggi, frustate, frecce, frizzi. Insomma: umiliazioni, annegazioni, tribolazioni, avversità, persecuzioni, croci"; Spirito di Don Orione, V , 35-52.
[16] Summarium , p.102; cfr. anche Prof. D. Isola, p.276.
[17] Testimonianza di Suor M. Stanislaa Bertolotti, Summarium , p.270.
[18] Nomen est homen , cioè nel nome è racchiusa la vocazione e l'identità. Sappiamo come a Don Orione ripugnò che si infiltrasse il nome “Opera Don Orione” o “Orionini”. Protestò: “ Abbiamo chiamato questa Congregazione Piccola Opera della Divina Provvidenza e non con nomi tra parentesi [cioè Opera Don Orione]. Con essi si storpia l'opera di Dio” (Parola VI, 293; e anche IX, 405. “ Ho saputo che voi altri non vi chiamate in Polonia Figli della Divina Provvidenza, ma siete chiamati, invece, con altro nome, per me assai umiliante [cioè Orionini] . Voglio e impongo che vi chiamiate Figli della Divina Provvidenza, e non affatto con altro nome, diversamente mi obblighereste - pur con dolore - ad un provvedimento grave ”, Scritti 32, 49 .
[19] “ La vita d'un figlio della Divina Provvidenza dev'essere veramente vita di fede ”; Scritti 55, 295, 298, 303. “ Non si può concepire Figlio della Divina Provvidenza chi non è animato e non vive di fede nella Provvidenza, di abbandono, di fiducia, non solo, ma pieno di fede, che è qualche cosa di più alto che la semplice fiducia. Come è più alta la certezza della fiducia, così dista la fede dalla fiducia ”; Parola XI, 139.
[20] Lettere II, p.166. Cfr. la "Circolare sull'obbedienza" in Lettere II, p.153-175. Si veda il capitolo “Obbedienza di figli” in Sui passi di Don Orione , cit., p.115-122.
[21] Al n.13 è detto che scopo della " prima probazione " e del Noviziato è far far sì che i vocati " riescano indifferenti ad ogni cosa di questo mondo, solleciti di un solo affare, cioè di santificarsi servendo Dio nella Chiesa e nel Papa, secondo l'ubbidienza per tutta la loro vita ed eziandio nella stessa morte " .
[22] Osservava che “ Gesù ha molti che lo chiamano Cristo Re, ma pochi che portano la Croce. Piace Cristo Re ma non piace Cristo Crocifisso ” (al Paterno, 24 novembre 1932). E raccomandava: “N oi dobbiamo sì, o miei carissimi figliuoli, benedire Iddio di tante consolazioni che Egli ci dà; ma non fermarci ad esse, che anzi più dobbiamo ringraziarLo e benedirLo Iddio ogniqualvolta Egli ci fa partecipi della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, in Quo est salus, vita et resurrectio nostra ” ( Lettere I, 106) . Avvertiva che "Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di sé stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo " ( Lettere I, 169). Di abnegazione, fortezza e sacrificio parla anche l'art.40 delle nostre Costituzioni.
[23] " L'esito delle nostre opere e della nostra santificazione dipende da questo; se noi sapremo rinunciare alla nostra volontà e farci sommessi al Superiore e avere un'anima sola con lui; se sapremo vincere ogni ripugnanza in contrario per amore di Dio, e pregare la Madonna SS.ma di aiutarci in questa santa vittoria di noi stessi. Oh, come l'obbedienza crescerà la carità , e come nella santa Carità crescerà l'Opera e la nostra perfezione"; Scritti 81, p.122.
[24] Scritti 55, p.13. "Tutto il segreto della spiritualità consiste nell'amare Dio e servirlo unendosi alla sua santa volontà" è il titolo del Cap.10 di Abbandono alla Divina Provvidenza del De Caussade, un classico della teologia ascetica, p.168-182.
[25] Epistolario III, p.136.
[26] Lettere II, p.171.
[27] Parola (10.1.1932) in Don Orione alle Piccole Suore Missionarie della Carità , p.342 ss.
[28] Sui passi di Don Orione, p.287-288.
[29] Questa simbologia è particolarmente cara alle Piccole Suore Missionarie della Carità, ma Don Orione l'applicò a sé, ai Figli della Divina Provvidenza e a quanti vollero seguirlo. Si è voluto anche cercare di elaborare una “spiritualità dello straccio”; l'intuizione fu di Don Guido Oliveri esposta in Spiritualità della Suora Orionina nel contesto della parola straccio , Piccole Suore Missionarie della Carità, Roma, 1977. Il tema è bene approfondito nello studio di Suor Maria Alicja Kedziora, “Come stracci”. L'obbedienza sacrificale nella spiritualità di Don Orione , Piccole Suore Missionarie della Carità, Roma, 2003; una sintesi è pubblicata in Messaggi di Don Orione 33(2001), n. 104, 5-24.
[30] Scritti 42, p.57-58. Va detto chiaramente che il punto centrale nell'analogia dello straccio, è l'obbedienza; è l'assoluta e libera disponibilità nelle mani di Dio, il quale si serve delle tante "mani umane" per guidare e chiamare a collaborazione il suo servo/figlio obbediente. Altri significati dello "straccio" (povertà, umiltà, adattamento, ecc.) sono importanti, ma derivati, complementari.
[31] Parola (27.8.1937) VII, p.4-5.
[32] Scritti 41. p.161.
[33] Scritti 49, p.123.
[34] E' un tema classico della teologia spirituale e dell'ascetica; cfr. C. A. Bernard dedica un capitolo a I rapporti tra preghiera e azione nel suo trattato Teologia spirituale , Ed.Paoline, Roma, 1983, p.418-430.
[35] “Le persone consacrate sono chiamate alla sequela di Cristo obbediente dentro un “progetto evangelico”, o carismatico, suscitato dallo Spirito e autenticato dalla Chiesa. Essa, approvando un progetto carismatico quale è un Istituto religioso, garantisce che le ispirazioni che lo animano e le norme che lo reggono possono dar luogo ad un itinerario di ricerca di Dio e di santità. Anche la Regola e le altre indicazioni di vita diventano quindi mediazione della volontà del Signore”; Faciem Tuam , 9c.
[36] Vita Consecrata, 91b. J. B. Libanio nel Congresso Internazionale della Vita Consacrata, celebratosi a Roma nel Novembre 2004, osservò che, vicino al prototipo del religioso “docile” e del “ribelle”, “è entrato nella vita consacrata il «terzo uomo» che conosce le norme, non protesta contro di esse, ma le segue solo secondo il suo bell'arbitrio. Un vero scisma bianco che crea un linguaggio doppio, spesso in conflitto e perfino in contraddizione”; Impatto della realtà socio-culturale e religiosa sulla Vita Consacrata nell'America Latina. Ricerca di risposte, testo ciclostilato, Roma 2004, 10. Si veda quanto dice Faciem tuam 3e sulla tentazione soggettivistica della propria realizzazione.
[37] “Mentre tutti , nella comunità, sono chiamati a cercare ciò che a Dio piace e ad obbedire a Lui, alcuni sono chiamati ad esercitare, in genere temporaneamente, il compito particolare di essere segno di unità e guida nella ricerca corale e nel compimento personale e comunitario della volontà di Dio. È questo il servizio dell'autorità”; Faciem tuam , 1c.
[38] Vita Fraterna in Comunità, 50a. È importante che il superiore, oltre all' autorità coltivi la personale autorevolezza . “Il primo è un compito, un ruolo, un potere affidato. Il secondo indica che la persona – a motivo della sua vita e del suo stile - ha la capacità di essere credibile, di «imporsi» da sé e non solo o non tanto in forza del suo mandato, sa farsi rispettare e stimare per le sue capacità umane e spirituali”; cf. G. A. Gardin, Autorità e obbedienza nella vita consacrata oggi. Riflessioni a partire dall'esperienza vissuta , in AA. VV., “ Autorità e obbedienza nella vita consacrata e nella famiglia francescana ”, Bologna 2008, 32).
[39] È così che “i fratelli e le sorelle potranno percepire che essa (l'autorità), quando comanda, lo fa unicamente per obbedire a Dio” ( Faciem Tuam, 13c; cf. 17c).
[40] Si veda la Circolare “ Colui che obbedisce per primo. Il servizio dell'autorità ” in “Atti e comunicazioni”, 2008(62), n.225, p.14-16.
[41] Cf. Vita Consecrata 92b.
[42] Lettere di Don Orione , II, 278. Sul rapporto di Don Orione con la Parola di Dio si veda l 'Introduzione a San Luigi Orione. Meditazioni sul Vangelo , San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, p. 23-41.
[43] Costituzioni 72, 76, 111; Norma 50.
[44] Cfr. Circolare Pedagogia della santità , “Atti e comunicazioni”, 2008(62), n.225, p.14-16.
[45] Le loro vicende di vita sono narrate nel libro “ Anche voi berrete il mio calice ” edito in spagnolo e in italiano. È auspicato che la biografia venga tradotta e divulgata anche nelle altre principali lingue orionine.
[46] La lettera con l'incipit “ Vogliamo vedere Gesù ” è riportata in “Atti e comunicazioni” 1997 (51), n.224, p.265-268.