Lettera Circolare del 3 maggio 2008.
PEDAGOGIA DELLA SANTITÁ
3 maggio 2008
Festa dell’Ascensione
Carissimi Confratelli
Deo gratias!
Firmo questa lettera nel giorno dell’Ascensione di Gesù al Cielo. La buona notizia della resurrezione di Cristo e l’assicurazione lasciata nel suo congedo dagli apostoli “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” danno nuovo valore a tutte le nostre notizie. Tutto e tutti siamo attratti e salvati dalla resurrezione di Cristo.
(...)Riprendo la riflessione della precedente Circolare titolata “La sola cosa necessaria” richiamandone le conclusioni.
Come le nostre comunità per svolgere l’apostolato si organizzano, progettano, stabiliscono tempi, luoghi, strategie, compiti… così dobbiamo fare altrettanto per aiutarci comunitariamente nella santificazione, “ricorrendo a una vera e propria pedagogia della santità, personale e comunitaria, saldamente ancorata alla ricca tradizione ecclesiale e aperta al dialogo con i tempi nuovi”,[2] come ci ha detto Giovanni Paolo II nel 2003.
Mi sono giunte varie risonanze sulla Circolare precedente dedicata all’esigenza di mettere l’esperienza di Dio al centro della nostra vita religiosa. Ne riporto due.
Un ex Provinciale: “Innanzitutto mi rallegro per la scelta del tema. Ora che mi trovo, per così dire, un po’ fuori dalle pressioni di governo, ho tempo per meditare e vedere le cose della vita consacrata sotto nuovi punti di vista. Credo che davvero il rinnovamento, prima ancora che dalla ristrutturazione delle opere, dalla ridistribuzione delle risorse umane dei religiosi, dalla risposta alle nuove storiche sfide, dalle programmazioni lungimiranti, debba passare per il ritorno all’origine del primo amore; ossia al rapporto d’amore sponsale col Signore, alla gioia, intima ma anche esteriore, dell’essere in comunione con Lui. Per questo sono davvero contento che tu affronti questo tema e che lo faccia con la consapevolezza che si tratta non di un tema centrale, ma del tema essenziale per un possibile rinnovamento della vita consacrata”.
Un Provinciale: “Penso che andiamo sempre di più al nocciolo delle cose. Bisognerà vedere come mediare questi orientamenti da parte di noi Provinciali, delle autorità locali cui tocca gestire la mediocrità propria e degli altri. A volte, ci si sente un po’ disarmati di fronte a chi ti ascolta, ma ha altro da fare e guarda l’orologio. Percepisco che é difficile trovare il metodo per dare il coraggio (o la voglia di santità) a chi non ce l’ha. I mezzi ce li abbiamo tutti: sussidi, programmi, visite canoniche e altre, ma... Forse sarà illuminante il discorso sulla pedagogia della santità”.
Raccolgo l’incoraggiamento a continuare a tenere vivo il tema della pedagogia della santità. Certo non basta la Circolare per un adeguato approfondimento. Forse ci vorrebbe una riflessione globale della Congregazione, del Capitolo.
È importante, innanzitutto, ricordare che le Costituzioni e Norme costituiscono la nostra regola di vita. In esse è contenuta la nostra pedagogia della santità.[3] Infatti, come vi leggiamo all’art.234: “Le Costituzioni sono una ‘regola di vita’ atta a promuovere in noi la assimilazione e la pratica del Vangelo, secondo la particolare intuizione del Fondatore. Esse ne precisano spiritualmente, prima ancora che giuridicamente, il concreto progetto religioso e sono l'espressione oggettiva del suo spirito”.
SPIRITUALITÀ DALLE MANICHE RIMBOCCATE[4]
Uso questa espressione, ascoltata dalle labbra del nostro Don Ignazio Terzi già superiore generale, perché con la sua simbologia eloquente comunica l’unificazione vitale di contemplazione e azione, di passione per Dio e passione per gli uomini, di mistica e apostolato, cui siamo chiamati nella nostra vita di religiosi orionini. Potrebbe essere anche definita spiritualità incarnata o anche spiritualità apostolica.[5]
Risponde a quel tipo di santità di Don Orione definito “mistico nell’azione” o forse meglio “mistico in azione”. “Se insistiamo solo sulla sua carità attiva – osserva Don Divo Barsotti -, se insistiamo soltanto sul servizio, non siamo fedeli a San Luigi Orione. Gli scritti di Don Luigi Orione lo manifestano uno dei grandi mistici italiani”.[6]
L’unificazione tra azione e contemplazione è tema comune a tutti i santi e a tutte le scuole di santità. Sappiamo che «le persone consacrate, per la loro vocazione specifica, sono chiamate a far emergere l'unità tra autoevangelizzazione e testimonianza, tra rinnovamento interiore e ardore apostolico, tra essere e agire, evidenziando che il dinamismo promana sempre dal primo elemento del binomio».[7]
Si può dire che le modalità e il metodo con cui raggiungere l’equilibrio dinamico tra contemplazione e azione determinano una determinata “pedagogia della santità”, più contemplativa o apostolica, religiosa o laicale, benedettina, francescana, salesiana, ecc.
C’è anche una pedagogia orionina della santità?
Con Don Terzi, credo che dobbiamo rispondere di sì, perché “un autentico fondatore carismatico – e senza dubbio Don Orione è uno di questi – viene sempre a creare una propria spiritualità, più o meno speculativa e dottrinale a seconda dei casi e dei programmi dell’Istituto”.[8]
Don Orione ha vissuto e trasmesso una propria originale dinamica di integrazione tra contemplazione e azione nel cammino della santità. Questa sintesi costituisce il fascino della sua vita, come ha bene osservato il già citato Divo Barsotti, grande testimone e maestro della spiritualità italiana del dopo Vaticano II: “L’esperienza mistica di Don Orione non è né benedettina, né francescana, né carmelitana. Forse è analoga all’esperienza mistica tipicamente italiana di Santa Caterina da Siena. Indubbiamente san Luigi Orione è un grande mistico. È la forza di Dio che lo travolge, la potenza dello spirito che opera in lui. Egli agisce come strumento dello Spirito che abita in lui. È soprattutto nella sua azione che il santo è strumento di Dio. In lui l’attività non è contraria alla contemplazione, egli è un grande contemplativo nell’azione. Quello che si dice di Sant’Ignazio di Loyola si può dire forse a maggior ragione di Don Orione”.[9]
Il magistero della Chiesa continua a motivare e a richiedere la fedeltà al carisma di fondazione e alla “spiritualità propria” di ciascuna congregazione o movimento carismatico. "Torna a vantaggio della Chiesa stessa che gli Istituti abbiano una loro propria fisionomia ed una loro propria funzione. Perciò fedelmente si interpretino e si osservino lo spirito e le finalità proprie dei Fondatori, come pure le sane tradizioni, poiché tutto ciò costituisce il patrimonio di ciascun Istituto" (Perfectae caritatis 2).
Questa nota affermazione del Vaticano II è stata più volte attualizzata dal Papa anche per noi Orionini. “Vi incoraggio, Sorelle e Fratelli carissimi, a proseguire su questa strada, resistendo ad ogni tentazione di conformismo e accomodamento, anche a costo di sacrifici”, per essere “pronti a rispondere con rinnovato slancio alle sfide della nostra epoca e degli anni avvenire, rivolgendo sempre lo sguardo verso la figura e gli esempi del Fondatore per esserne la vivente continuazione".[10]
Pertanto, guardando all’originalità spirituale di Don Orione e incoraggiati dal magistero della Chiesa puntiamo l’attenzione su Don Orione e su come egli ci ha insegnato ad essere santi a vivere l’unione con Dio, “la sola cosa necessaria” della nostra vita e del nostro apostolato.
L’UNIONE CON DIO
Numerosi testimoni religiosi e laici hanno manifestato la propria sorpresa di fronte alla santità di Don Orione. Riporto tre testimonianze.
Un religioso orionino, Don Gaetano Piccinini: "Il mio stupore andò crescendo nel vedere come Don Orione sapesse unire - ed è così difficile - una attività sorprendente e senza soste con una vita di continua unione con Dio. Don Orione viveva di fede e alla presenza di Dio".[11]
Un laico orionino, il Prof. Domenico Isola, direttore sanitario del Piccolo Cottolengo di Genova: "Don Orione possedeva il fascino che viene dalla pienezza della Grazia e che diffonde attorno a sé la Grazia medesima; chi lo ascoltava ammirava il "facchino della Provvidenza" nelle sue instancabili fatiche, e sentiva lo sprone e la gioia di affiancarsi a lui, nelle sue opere di bene. Quanti lo avvicinarono ebbero la esatta sensazione di trovarsi al cospetto di una figura di gigantesche proporzioni morali, di un uomo nel quale, in felice armonia d'intenti, agivano il naturale e il soprannaturale".[12]
Un esperto di spiritualità, Don Giuseppe De Luca: "Pensavo che egli fosse uno dei molti che si danno alle opere, riuscendo nella Chiesa quel che nel mondo riescono i grandi impresari... così io pensavo sulle prime di Don Orione; se non che via via che a lui mi feci vicino scopersi che in lui la sua azione non era tutto; per quanto vastissima era il meno. Il più in lui era altro; ed era non soltanto il più, era il tutto. Dentro di lui viveva una vita segreta, ed era tutta la sua vita, e questa era una vita di amore; quell'amore che si è detto, il quale non conosce fine né confine perché non conosce fine né confine Iddio".[13]
L’unione con Dio ha costituito senza dubbio il fascino di Don Orione. Fu grazia e impegno ascetico. Egli viveva abitualmente e trasparentemente "di Dio".
Dio viveva nella sua anima. La sua anima viveva in Dio. Questa è la santità. Si capisce allora come tutto quello che veniva dalla sua anima - in pensieri, parole, opere e relazioni - prendeva forma, luce, fuoco dalla presenza di Dio, dallo Spirito. In questo stato dell’anima docile e quasi passiva di fronte alla carità divina che lo urgeva (cfr. 2Cor 5,14), il lavoro, le tante persone e problemi quotidiani "non lo disturbavano" perché il suo era un continuo muoversi con Dio, in Dio e per Dio.
Di questa esperienza interiore di Don Orione ci sono chiari riflessi nei sui insegnamenti: "Ogni nostra parola dev'essere un soffio di cieli aperti: tutti vi devono sentire la fiamma che arde il nostro cuore e la luce del nostro incendio interiore, trovarvi Dio e Cristo. Per conquistare a Dio e afferrare gli altri occorre prima vivere una vita intensa di Dio in noi stessi, avere dentro di noi una fede dominante, un ideale grande che ci arda e risplenda...".[14] Questa era la sua proposta e l’obiettivo della sua formazione di religiosi, suore e anche laici.
A questo stato dell’anima possiamo e dobbiamo tendere tutti. “Dovere e bellezza della nostra vocazione religiosa è tendere alla perfezione, convinti che ciò significa darsi a Dio sul serio”.[15] La maggiore o minore densità di Dio nell’anima determina il valore di noi religiosi e del nostro apostolato.
L'esperienza e l'insegnamento di Don Orione offrono alcune precise indicazioni per superare il dualismo che, nella vita cristiana, tende a porre da una parte la "spiritualità" e dall'altra l'"azione", quasi come due dinamiche separate e, talora, anche in opposizione.[16]
Quali furono le scelte praticate e insegnate da Don Orione per custodire e vivere l’unione con Dio da "mistico nell'azione", nella vita indaffarata e disturbata sua e di ogni Figlio della Divina Provvidenza? In altre parole, quale pedagogia della santità ci ha lasciato il Fondatore?
Si è già riflettuto e molto resta ancora da capire; e da vivere per poter meglio capire. Come contributo, vorrei evidenziare tre linee fondamentali della pedagogia della santità vissuta e trasmessa da Don Orione per realizzare l'unificazione dinamica di azione e contemplazione: la vita di preghiera, l'obbedienza alla volontà di Dio e la carità verso il prossimo. In questa lettera mi limiterò a dire qualcosa della vita di preghiera.
Guardiamo a lui e guardiamo a noi.
VITA DI PREGHIERA
Non c’è unione con Dio senza vita di preghiera. “Alla costante unione con Dio ci inducono l'esempio e la parola del nostro Fondatore, il quale fu uomo di profonda interiorità, pur nell'instancabile dedizione al bene dei fratelli: con l'orazione potremo tutto; senza orazione non potremo niente” (Cost. 66).
Le giornate di Don Orione e nostre sono generalmente piene, faticose, sacrificate, ricche di bene e anche di croci, sono – Dio lo voglia! - uno "sfacchinare da un'Ave Maria all'altra".[17] Eppure “il religioso tanto vale quanto prega” perché, "il grande segreto per riuscire nelle opere di apostolato, per ottenere dei risultati soddisfacenti nel nostro lavoro, nel campo della carità cristiana è l'unione con Dio, vivere con Dio, in Dio, uniti a Dio, avere sempre lo spirito elevato a Dio”.[18] Un tale religioso è “come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere” (Salmo 1, 3).
Le forme della preghiera
L'unione con Dio è evidentemente e principalmente, un "dono di Dio", un frutto dello Spirito Santo mediante la Grazia sacramentale. Fu l'azione dello Spirito, custodito in un cuore puro, a mantenere Don Orione "sempre in uno stato di ebbrezza spirituale".[19]
Ma Don Orione come faceva a coltivare la sua unione con Dio? Come e quando pregava?
Cominciamo da un dato ordinario della vita quotidiana. Quanti sono vissuti accanto a Don Orione hanno testimoniato che “egli era sollecito, pur tra tanto lavoro, nell'unirsi alle pratiche di pietà della vita comune,[20] insieme ai suoi confratelli. Anche quando si ritirava tardi alla notte - cosa abituale - era sempre il primo a trovarsi in Cappella al mattino. Le preghiere che non poteva fare in comunità le recitava quand'era in viaggio, con chi lo accompagnava. Quante volte, tornando da Milano o da Genova, abbiamo recitato insieme il rosario, le preghiere della sera, ecc. e poi diceva: 'Adesso abbiamo fatto il nostro dovere'. Taceva e si raccoglieva continuando a pregare mentalmente”.[21]
Certo, poi vengono ricordati anche tempi prolungati di adorazione eucaristica in chiesa, la fedeltà alla preghiera del Breviario, secondo le usanze del tempo, la confessione frequente, le veglie notturne, i ritiri, gli esercizi spirituali, il rosario, la devozione alla Madonna e ai Santi. E poi, durante il giorno, era tutta una ricerca discreta ma fervorosa di espressioni di preghiera. Don Orione seminava la sua giornata di piccole preghiere, brevi invocazioni, “un po’ di rosario”, giaculatorie, segni della croce, brevissime visite al Santissimo. Anche queste forme semplici, popolari, che non richiedevano separazione di tempo e di luogo, e dunque possibili anche in mezzo alle attività quotidiane, erano un modo abituale per coltivare il contatto continuo con "il Cielo" e per sentirsi continuamente "alla presenza di Dio".
Sono tutte cose che forse facciamo e vediamo fare anche noi.
Sono causa o effetto dell’unione con Dio? Entrambe.
Sono espressioni possibili e tipiche di chi vive una vita apostolica movimentata, come quella di Don Orione e di tanti di noi oggi. Fanno parte della pedagogia orionina della santità.[22]
Ciascuno ha la possibilità e il dovere di trovare i propri spazi, tempi ed espressioni di preghiera personale. Ciascuno sviluppa un proprio di stile di preghiera: vocale, mentale, affettiva, portando nella preghiera i fatti, le persone, la vita quotidiana, ecc. Importante è che “individualmente, non manchiamo di trovare momenti adatti per rinsaldare, nell'incontro con Dio, la nostra vita interiore” (Cost. 76).[23] Nessuno vede quando preghiamo, ma si vede se abbiamo pregato.
Su tutte le espressioni della pietà (= relazione di figlio), nella pratica e nell’insegnamento di Don Orione eccellono i due atti che riteneva fondamentali della giornata: la Meditazione e la Messa. Sono i due canali di unione con Dio, mediante la relazione con la Parola e l’Eucaristia. Oggi ha ripreso la dovuta importanza anche la Liturgia delle Ore, molto praticata ma diversamente considerata ai tempi di Don Orione.
Nei tempi attuali, Parola ed Eucaristia hanno assunto centralità teologica e pastorale nella vita della Chiesa. Anche le nostre Costituzioni le indicano come principali fonti di vita spirituale e ascetica personale.
“L'Eucaristia è la fonte e il culmine di tutta l'evangelizzazione… Ogni nostra casa ha una cappella in cui viene celebrata e conservata l'Eucaristia, che deve essere il vero centro della Comunità. La celebrazione eucaristica quotidiana… è il momento privilegiato del nostro ritrovarci insieme, della nostra lode a Dio e del nostro apostolato. Come prolungamento della partecipazione al sacrificio eucaristico, curiamo, individualmente e comunitariamente, l'adorazione a Cristo presente nel tabernacolo, in modo particolare nella visita adoratrice, da fare insieme ogni giorno, seguendo la tradizione cara al Fondatore” (Cost. 74).
“Abbiamo fra le mani quotidianamente la sacra Scrittura, affinché dalla lettura e dalla meditazione della Parola di Dio, impariamo la sublimità della conoscenza di Cristo Gesù” (Cost. 72). “La meditazione quotidiana, per mezz'ora, ci apre gli orizzonti della Parola di Dio, nell'unione con lui” (Cost. 76)
“La Liturgia è esercizio del sacerdozio di Cristo… Scandiamo su di essa, dunque, le nostre giornate, santificandole con la Liturgia delle Ore celebrate in maniera degna e, per quanto è possibile, comunitaria” (Cost. 73). “Al mattino e alla sera la comunità si riunisce per la lode di Dio, con la Liturgia delle Ore” (Cost. 76).
“Non è giusto che noi trascuriamo la Parola di Dio” (At 6,2)
Tutto è importante e ha il suo posto nella nostra pedagogia della santità, ma mi soffermo solo sulla meditazione della Parola di Dio per tre motivi: 1) perché è strumento imprescindibile di discepolato e di unione con Dio; 2) perché dalla visita canonica risulta essere alquanto trascurata da alcuni religiosi e a volte ridotta a pochi minuti simbolici; 3) per sintonizzarci con il cammino della Chiesa che, nel prossimo Sinodo dei Vescovi del 2008, rifletterà sul tema "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa".
Il cardinale Martini ha affermato che “una spiritualità cristiana che non si basi sulla Parola difficilmente sopravvivrà oggi in un mondo così complesso come il nostro”.[24] Per vivere la nostra prima professionalità di “testimoni di Dio” e per affrontare l’impatto apostolico con il secolarismo c’è bisogno di religiosi appassionati di Dio e del suo Regno, e non di spiritualità light, o “a gocce di rugiada”, come diceva Don Orione.[25]
“La chiamata alla nuova evangelizzazione è anzitutto una chiamata alla conversione”[26], e la conversione passa necessariamente per la familiarità con la Parola di Dio. “Leggere ed amare la Scrittura” ha ricordato Benedetto XVI è “un immergersi interiormente nella presenza della Parola”[27]. San Gregorio Magno esortava: “Studia e medita quotidianamente le parole del tuo creatore. Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio (disce cor Dei in verbis Dei)”.[28]
“Nella nostra vita, particolarmente quella degli Istituti di vita attiva – ha osservato Don Pascual Chavez, rettore maggiore dei salesiani alla riunione dei Superiori generali -, sempre più portata a un’attività instancabile, il pericolo – per niente immaginario – è quello di tralasciare la cosa più importante, quella che non possiamo delegare ad altri. La vicenda ben nota degli apostoli nella Chiesa primitiva di Gerusalemme, che si sentono sfidati davanti al bisogno di rispondere ai problemi sociali e pastorali che emergevano nella comunità nascente, è paradigmatica. Le sfide vengono risolte, ma resta ferma la priorità della preghiera e il ministero della Parola: Non è giusto che noi trascuriamo la Parola di Dio” (At 6,2).
Quel modo di agire dei primi apostoli continua ad essere per noi norma di vita. Il sacerdote[29], religioso[30] e anche laico[31] che vuole parlare in modo convincente di Dio deve aver parlato frequentemente con Lui. “Non sa parlare agli uomini di Dio chi degli uomini a Dio molto non parla”.[32]
Leggiamo in Novo Millennio Ineunte n.32: “Per questa pedagogia della santità c'è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell'arte della preghiera”, un’arte che dev’essere imparata ed esercitata; imparare a pregare dev’essere “un punto qualificante di ogni programmazione pastorale” (n.34) nella Chiesa. “La Parola di Dio è la prima sorgente di ogni spiritualità cristiana” (Vita consecrata n.94). E dunque anche di quella orionina.
La Parola di Dio al centro della vita religiosa
Dobbiamo mettere la Parola di Dio al centro della vita personale e comunitaria, affinché la vita consacrata sia veramente “religiosa”, cioè legata (dal latino religare), collegata con la vita di Gesù, evangelizzata in un dialogo quotidiano con la sua Parola.
In ciascuna nostra comunità, grande o piccola che sia, la meditazione quotidiana,[33] la lectio comunitaria[34] e la cura della liturgia della Parola[35] nella liturgia eucaristica sono i tre elementi indispensabili affinché “Nostra prima Regola e vita sia di osservare, in umiltà grande e amore dolcissimo e affocato di Dio, il Santo Vangelo",[36] come affermato da Don Orione.[37]
La vita religiosa deperisce o si trasforma in altro senza un contatto personale dialogico quotidiano con la Parola di Dio.[38] Non basta usare la Parola di Dio a scopo istruttivo, morale, ministeriale, “per gli altri”. La Parola di Dio è la via-sacramento del nostro dialogo e incontro con Gesù. Senza questo incontro che sarebbe mai la nostra vita? Una recita a soggetto, soggettiva, solitaria, e non una comunione con il Dio che ci ama e ci mostra la via della vita.
Cari Confratelli, siamo tutti impegnati a promuovere i beni essenziali della famiglia: prendiamo a cuore il tema della Parola di Dio come sommo bene. Una famiglia si sostiene anche con luoghi e tempi comuni che fanno parte dei suoi ritmi ordinari. Deve trovare spazio nel progetto di vita personale e comunitario. Senza il dialogo personale con la Parola di Dio – completo di ascolto, riflessione, preghiera e impegno – come avviene nella meditazione quotidiana, manca la cattedra più importante della pedagogia della santità di un religioso.
La meditazione quotidiana
Aiutiamoci reciprocamente a vivere bene il tempo comunitario della preghiera e della meditazione del mattino: “La prima ora, tutta a Dio, alla presenza di Dio, impiegandola nella meditazione e nelle pratiche di pietà. E’ nel mattino, prima di qualsivoglia distrazione e comunicazione con gli uomini, che bisogna pregare e ascoltare Dio. La prima ora tutta a Dio! Allora Iddio parla, Iddio ara le anime, Iddio lavora in noi, plasma il nostro spirito: Iddio vivifica, Iddio rischiara, lo splendore di Dio sta sopra di noi; nella meditazione sentiamo il tocco di Dio”.[39]
La Parola meditata nel mattino farà il suo lavoro, stiamone certi come il seminatore, di cui parla Marco 4,26, il quale “getta il seme nella terra, dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa”. Infatti, “come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare… così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto” (Is 55,10-11).
La meditazione sia di mezz’ora. Non è dovere per chi ha poco da fare. Anzi: è necessità per chi ha molto da fare come siamo generalmente noi. Don Orione, nelle norme pratiche così motivava: “Saltata la meditazione, è perduta la giornata. Piuttosto chiudiamo i Collegi, se ci impediscono di fare la meditazione. Quel poco di meditazione che si fa coi ragazzi (o con la gente) non basta per i religiosi. È di assoluta necessità fare la meditazione. Una Casa trascurata nella meditazione, lascia lo spirito religioso. La forza per fare del bene ci viene dalla meditazione e dai sacramenti”.[40]
A volte si sente dire: “Ma celebriamo poi Messe e parleremo di Dio alla gente, ci dedicheremo tutto il giorno alla pastorale”. Non bastano le omelie e le catechesi che poi si fanno durante il giorno per gli altri: la Parola di Dio va presa “ad uso interno”, come dialogo, come rapporto e amicizia personale con il Signore.
E concludo ancora con Don Orione che raccomandava “l'immagine del Divino Maestro, il quale, in mezzo alla predicazione, si ritira sul monte a meditare e pregare, sia la nostra immagine prediletta”.[41] Lo sia anche per noi oggi.
(...)Con l’intercessione di San Luigi Orione e della Santa Madonna invoco su tutti la benedizione del Signore e tutti ricordo con affetto.
Don Flavio Peloso, FDP
(Superiore generale)
[1] In A. Gemma, Don Orione. Un cuore senza confini, 2000, p.223-224.
[2] Messaggio di Giovanni Paolo II per il centenario della PODP, 8.3.2003; Si veda Novo Millennio ineunte 31; Vita consecrata 93; Ripartire da Cristo 20.
[3] Sull’argomento ci sono vari studi e pubblicazioni. Segnalo in particolare il “Sussidio per la formazione al carisma” dal titolo “Sui passi di Don Orione”, nato da uno studio congregazionale ampio, tradotto in tutte le principali lingue.
[4] L’espressione è significativa e bella, purché non venga intesa come una scorciatoia per ridurre la spiritualità ad apostolato (o peggio ad attività) o per giustificare superficialità e bassa misura spirituale.
[5] Già nei primi abbozzi di regola, scrisse che la nuova congregazione “vivrà della doppia vita contemplativa e operativa, ritenendo quella come il substrato necessario per l’efficace completamento dell’altra”; Scritti 52, 2.
[6] D. Barsotti, Don Orione maestro di vita spirituale, 2a ed., Piemme 2004, p.194.
[7] Vita consecrata 81. Al n.67: “la persona consacrata deve esercitarsi nella difficile arte dell'unità di vita, della mutua compenetrazione della carità verso Dio e verso i fratelli e le sorelle, sperimentando che la preghiera è l'anima dell'apostolato, ma anche che l'apostolato vivifica e stimola la preghiera”.
[8] I. Terzi, La nostra fisionomia nella Chiesa, Ed. Don Orione, Tortona, 1984, p. 88.
[9] Don Orione maestro di vita spirituale, cit., 195-196.
[10] Giovanni Paolo II, Messaggio alla Piccola Opera della Divina Provvidenza, “L'Osservatore Romano”, 12-13 marzo 1990, p.4. Giovanni Paolo II, dopo la Beatificazione disse: “Lo spirito del Beato Don Orione inondi i vostri animi, li scuota, li faccia fremere di santi propositi, li lanci verso gli ideali sublimi che Lui stesso visse con eroica costanza” (L'Osservatore Romano, 27-28 ottobre 1980, 4). Similmente alle Piccole Suore Missionarie della Carità: “Siate fedeli a Cristo sulle orme di don Orione!” (L’Osservatore Romano, 16.5.1999, p.5). Nel Messaggio per il centenario dell’approvazione canonica: “La Chiesa attende da voi che ravviviate il dono che è in voi (cfr 2 Tm 1,6) e promuoviate una fedeltà creativa alla vostra vocazione. Soltanto rimanendo ben radicati nella vita divina e mantenendo inalterato lo spirito delle origini, voi potrete rispondere in maniera profetica alle esigenze dell'epoca attuale” (Lettera dell’8 marzo 2003).
[11] Testimonianza di Don G. Piccinini, Summarium, p.530 e di Don G. Zambarbieri, p.714. Questo di 'camminare alla presenza di Dio' fu l'insegnamento costante di Don Orione ai suoi religiosi, lasciato quasi a testamento nell'ultima buona notte dell'8 marzo 1940.
[12] Summarium, p.280. Simili osservazioni sono presenti con particolare calore nelle testimonianze di persone laiche.
[13] G. De Luca, Elogio di Don Orione, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1999, p.114. Questo sacerdote colto, grande letterato ed esperto di spiritualità, ha lasciato meravigliose pagine sulla personalità di Don Orione.
[14] In cammino con Don Orione, p.324.
[15] 12° Capitolo generale, decisione 22; cfr. Cost 14.
[16] Non il lavoro, ma l’attivismo è il vero nemico della preghiera e della spiritualità. L’attivismo è cosa diversa dalla dedizione al lavoro: è superficialità e alienazione nel fare che rende incapaci di riflettere, di attingere e di esprimere la propria interiorità. L’attivismo non è nemico solo della preghiera ma anche del lavoro stesso. Don Orione avvertiva la differenza tra lavoro e attivismo superficiale: “Sono contento di sapere che lavori; prega anche molto, tu hai bisogno di spiritualizzarti un po’ di più; te lo dico nel Signore” (101, 134).
[17] Cfr. Lettere I, p.168.
[18] Parola (26.9.1937) VII, p.56-59
[19] L’espressione è di Don De Luca in Elogio di Don Orione, cit., p.77.
[20] L’espressione molto in voga nel passato è riduttiva se significa pratica esteriore e disciplinare; ma di per sé indica che la pietà, l’amore verso Dio ha bisogno di riti, di consuetudini, di perseveranza. “Le pratiche di pietà sono utili, sono necessarie, ma non dimentichiamo che sono mezzo, non fine! Tutto in noi: pratiche di pietà, disciplina, studio, lavoro, deve essere subordinato alla pietà solida, cioè all'amore di Dio, alle virtù cristiane, alla vera santità: tutta la nostra vita, dunque, sarà preghiera” (Cost. 81).
[21] Testimonianza di Don G. Zambarbieri, Summarium p.714-716.
[22] Il documento del 12° Capitolo generale osserva: “È vero che la spiritualità non può essere ridotta alle sole pratiche di pietà, d’altra parte queste non possono essere tralasciate superficialmente. La fedeltà e la perseveranza aiuteranno a superare creativamente e saggiamente alcune difficoltà, tipiche di alcune comunità, quali la diversità di impegni e quindi di orario, il superlavoro assorbente, le stanchezze”; p.86-88.
[23] La decisione 22 del 12° CG: “Ogni religioso dedica quotidianamente un tempo particolare a rinsaldare l’intimità con il suo Signore. Il superiore locale, con il suo esempio, e il provinciale, nel dialogo individuale con i religiosi, insistano perché questo momento diventi stile abituale di vita dell’orionino”.
[24] C. M. Martini, Perché Gesù parlava in parabole. Bologna 1988, 114.
[25] “La pietà, o miei figli in X.sto, nutre l’anima e la rende forte contro le tentazioni; la pietà tempera ogni dolore e addolcisce ogni amarezza. Essa, come parmi d’avervi già detto, deve essere ignìta e, insieme, solida, non debb’essere sentimentale né a gocce di rugiada”; Scritti 52, 57.
[26] Giovanni Paolo II, Discorso di apertura a Santo Domingo, 7.
[27] Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi della Svizzera, “L’Osservatore Romano”, 10 novembre 2006, 4.
[28] Epistolarium, libro 4, Epistola 31. Nella Costituzione Dei verbum, al n. 25: “Il concilio esorta con forza e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere "la sublime scienza di Gesù Cristo" (Fil. 3, 8) con la frequente lettura delle divine scritture. L'ignoranza delle scritture, infatti, è ignoranza di Cristo".
[29] Presbyterorum Ordinis, 13.
[30] Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della Vita Consacrata nel terzo Millennio, 25.
[31] Novo Millennio Ineunte (2001) 32.
[32] Scritti 55, 173.
[33] La meditazione è sempre sulla Parola di Dio, con l’aiuto di qualche sussidio sì, ma non è lettura spirituale o studio e neppure recita del Breviario.
[34] Da noi è ancora poco praticata; dove si fa se ne vedono i benefici. In qualche comunità è legata alla preparazione dell’omelia della domenica. In qualche posto, in curia generale per esempio, una volta alla settimana, si fa una meditazione partecipata sulle letture della Messa.
[35] È un altro aspetto importante del nostro essere discepoli e ministri della parola; va dalla dignitosa proclamazione della Parola all’impegno per la preparazione dell’omelia.
[36] Lettere di Don Orione, II, 278. Questa frase di Don Orione è stata citata da Benedetto XVI nel suo discorso durante la celebrazione in occasione della Giornata della vita consacrata del 2 febbraio 2008.
[37] Su “Don Orione innamorato del Vangelo” e sulla “Meditazione di Don Orione” si veda l’Introduzione a San Luigi Orione. Meditazioni sul Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, p. 23-41.
[38] Don Orione esprimeva questa convinzione con espressioni molto categoriche. “La giornata sarà come è stata fatta la meditazione”, “saltata la meditazione, è perduta la giornata”, perché “la meditazione serve per dare alimento alle anime nostre ed a quelle affidate alle nostre cure. E’ come l’olio della lampada” (Riunioni 14); “La meditazione metterà a posto molte cose” (Riunioni 3); “Chi lascia la meditazione ha finito di vivere bene, di vivere da buon religioso e perderà la vocazione” (Parola VI, 232).
[39] Lettere I, p.451-452.
[40] Riunioni, 14.7.1933, p.111.
[41] Sui passi di Don Orione, p.317.
[42] Lettere di Don Orione, Roma 1969, vol. II, 278.