Lettera circolare del 6 gennaio 2009.
“VEDERE E SERVIRE CRISTO NELL’UOMO”
6 gennaio 2009
Carissimi Confratelli
Deo Gratias! Siamo nel clima natalizio e di inizio Anno 2008. In questi giorni si moltiplicano considerazioni, bilanci, statistiche, ricordi. Tutto al passato. A parlare di futuro sono rimasti oggi gli astrologhi, i bambini e i preti.
“Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza” (Spe salvi 44).
In una cultura di attesa senza fatti e di tempo senza scopo, noi cristiani celebriamo l'avvento del Cristo, della Parola di Dio che si fa storia, dell'eternità che riempie il tempo. "Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14) suscitando e compiendo il desiderio del ritorno a quello che siamo: buoni, semplici, solidali, fraterni, figli di Dio. E’ un ritorno al futuro: cieli e terra nuova, dove regna la pace e la giustizia, l’amore e la verità. La nostalgia del Natale attrae al futuro, appassiona e mette in movimento. È speranza, non rimpianto.
Quel “bambino disceso dal cielo”, come “stella che brilla a Oriente”, è il “sole che sfolgora nel cielo di Pasqua”. Quella Luce svela, oltre il nostro piccolo cono di luce, un orizzonte di vita ampio ed eterno che rende belli, interessanti e amabili i passi del nostro cammino.
E’ Natale: alzati, andiamo!
“Sorgi e corri incontro alla nuova luce” (Don Orione).
Buon Natale e felice Anno nuovo, cari confratelli, Figli della Divina Provvidenza: “siate buoni della bontà del Signore, e poi non temete mai che la vostra opera vada perduta. La bontà vince sempre”.
Buon Natale e felice 2009, alle Piccole Suore Missionarie della Carità che don Orione ha chiamato a “vedere, sentire, servire Cristo nei poveri”.
Buon Natale e felice 2009, ai tanti laici e laiche dell’Istituto Secolare e del Movimento Laicale Orionino: per mezzo vostro “la grande melodia della Provvidenza si dilati e si diffonda, e sparga la luce e il fuoco della carità di Gesù Cristo per tutta la terra”.
Giunga il mio augurio di Buon Natale e felice 2009 a quanti abitano o frequentano le nostre case, le scuole, le parrocchie e le missioni: “Siate tutti e siate sempre benedetti”.
Agli Amici e Benefattori della Piccola Opera della Divina Provvidenza ripeto con Don Orione: “tutto è grande quando è grande il cuore che dà, ed è la carità di Gesù che muove a dare”.
E mi viene da augurare Buon Natale e felice Eternità anche ai tanti Confratelli, Suore e Laici amici che quest’anno hanno celebrato il “dies natalis” nella Casa del Padre. Anche ultimamente, ci hanno lasciato confratelli giovani, come Pe. Edvaldo Gonzaga (37 anni), P. Conrado Rodolfo Lopez (41), e anziani, come Fr. Thaddeus Sztuczko (93), Don Benedetto Micozzi (93), Don Armando Viel (92), e P. Luciano Garbelli (87). Formano la nostra Provincia religiosa del Cielo, “vivono ancora coi loro esempi, vivono coi frutti sempre nuovi delle loro opere, vivono negli Istituti in cui vissero con la soavità delle loro virtù, e vivono altresì per le grazie che ottengono da Dio a chi ha molta fede in loro” (Don Orione).
Pedagogia orionina della santità
Con la Circolare “La sola cosa necessaria”[1] abbiamo iniziato un piccolo ciclo di approfondimento della nostra identità spirituale e apostolica orionina, continuata poi con le successive “Pedagogia della santità”[2] e “Sia fatta la tua volontà”.[3]
Per dare continuità e visione d’insieme alla riflessione è utile riprendere alcuni punti essenziali.
“VEDERE E SERVIRE CRISTO NELL’UOMO”
Proseguiamo la nostra riflessione illustrando il terzo dinamismo di incontro tra azione e contemplazione caratteristico della pedagogia orionina della santità: l'esercizio della carità verso il prossimo.
Ogni santo, soprattutto ogni fondatore portatore di un carisma, ha avuto una particolare esperienza di Dio riconosciuto attraverso le vestigia della sua divinità: ad esempio nella sua Maestà per San Benedetto, o nella Verità rivelata per San Domenico, o nella Natura creata per San Francesco. Ebbene, Don Orione contempla Dio nell’Uomo. “Nel più misero degli uomini brilla l’immagine di Dio”.[6] Egli coglie in modo carismatico la identificazione evangelica di Cristo nel Povero e nel Fratello in genere.[7]
Conseguentemente, anche la modalità ascetica per coltivare l’unione con Dio dipende dalla sensibilità carismatica: per i Benedettini sarà soprattutto l’”opus Dei”, la divina liturgia; per i Domenicani sarà lo studio e la predicazione; per i Francescani la pratica di vita semplice e povera. Per Don Orione il modo per coltivare (e trasmettere) l’unione con Dio è “l’esercizio della carità verso il prossimo”.[8]
La carità verso il prossimo è la caratteristica più nota di Don Orione, ma vista soprattutto come apostolato e meno come spiritualità. Noi siamo più abituati a considerare la carità verso il prossimo come un effetto dell'esperienza di Dio e meno come una causa dell’esperienza di Dio, via e pedagogia a Dio, proprio in quanto è “vedere e servire Cristo nell’uomo”.[9] Questo è tipico della pedagogia orionina della santità.[10]
Lo vorrei richiamare con un episodio simbolico.
Durante l'opera di soccorso dopo il terremoto della Marsica (1915), un alto funzionario del Ministero degli Interni, Ernesto Campese, andò a incontrare Don Orione. "Infatti, ero stato inviato con treni di roba ad Avezzano e fui colpito da questo prete in così cattivo arnese, che correva qua e là, ovunque portando fiducia. Volli parlargli, e, abbordatolo mentre si spostava da un punto all'altro, mi invitò a seguirlo. Ma che passo teneva! Per tenergli dietro inciampai in una trave tra le macerie; non seppi trattenere una bestemmia. Don Orione si fermò a guardarmi; ma, strano! Mi guardava come quando da ragazzo ne facevo qualcuna, mi guardava mia madre. Poi mi chiese: “A che punto siamo in fatto di religione?”. Io gli risposi: “Tabula rasa”, e lui: “Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?”, ed io: “Eh! Se mi si mostra!”, e Don Orione: “Veda ogni giorno di fare un pochino di bene”".[11]
La carità fa vedere Dio. È questa la terza via della pedagogia della santità orionina.
Questa "via" si inserisce con nuova e accentuata attualità nella vita della Chiesa che oggi con nuova lucidità e concretezza riconosce che “C’è un felice legame tra evangelizzazione e opere di carità” (Deus caritas est 30). Benedetto XVI ha scritto che mostrare questo legame è lo scopo dell’enciclica “Deus caritas est”: “Vivere l'amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica” (n.39).
Questa enciclica è particolarmente “orionina”; riprende e approfondisce con autorevole e chiara riflessione teologica ed ecclesiale i temi caratteristici della dinamica della carità del nostro Fondatore e della nostra Famiglia religiosa.
Dell’enciclica vorrei riproporre la riflessione semplice e convincente con cui Benedetto XVI illumina un concetto caro a Don Orione: “la carità apre gli occhi alla fede”.
Se Dio non mi è “estraneo” ma “è più intimo a me di quanto lo sia io stesso” – scrive il Papa al n.18 -, allora anche gli “altri” non mi sono estranei, perché “il suo amico è mio amico”. “Qui sta l’interazione necessaria tra amore di Dio e amore del prossimo, tipica della vita cristiana, di cui la Prima Lettera di Giovanni parla con tanta insistenza. Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell'altro sempre soltanto l'altro e non riesco a riconoscere in lui l'immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solamente «pio» e compiere i miei «doveri religiosi», allora s'inaridisce anche il rapporto con Dio.[12] Allora questo rapporto è soltanto «corretto», ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama”.
Benedetto XVI afferma che questa regola vale sia nella esperienza personale di Dio (“il servizio al prossimo apre i miei occhi su Dio”, n.18) e sia nell’azione apostolica nei confronti degli altri (“l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio”, n.31c).
Don Orione è pienamente dipinto e "spiegato" in queste parole del Papa. Egli insisteva: "La nostra predica è la carità". Per lui evangelizzare era, prima di tutto, aprire un Piccolo Cottolengo, un orfanatrofio; era occuparsi dei bambini, dei vecchi; era - in una parola - compiere le opere della carità. Quali opere di carità?[13] Quelle materiali e spirituali, quelle descritte in Matteo 25 o in Rm 12, 9-21 o in 1 Cor 13.
Quante volte ribadì: “È prassi presso di noi di unire sempre all’opera di culto un’opera di carità”,[14] spiegando che “tanti non sanno capire l'opera di culto e allora bisognerà unire l'opera di carità. Siamo in tempi in cui, se vedono il prete solo con la stola, non tutti ci vengono dietro; ma se vedono attorno alla veste del prete i vecchi e gli orfani, allora si trascina... La carità trascina. La carità muove, porta alla fede e alla speranza”.[15]
Anche Sant'Agostino rifletteva: "Siccome tu Dio non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo, amando il prossimo purifichi l'occhio per poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (cfr. Gv 4,20). Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti condurrà il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente?".[16]
La carità fa vedere Dio. Don Orione fece di questa verità la base della sua via mistica e anche della sua via apostolica. Ne fece un cardine della sua pedagogia della santità.
Lo spiega impartendo direttive pratiche a Don Adaglio ai tempi dei primi sviluppi dell'Opera in Palestina: "Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa, nata e sgorgata dal Cuore di Gesù; opere di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio".[17]
«Se vedi la carità, vedi la Trinità » scriveva sant'Agostino. Questa osservazione è citata anche da Benedetto XVI in Deus Caritas est 19.
Simile osservazione fece anche un signore di Genova, ricco e incredulo, Salvatore Sommariva: “Non credevo in Dio, ma ora ci credo perché l'ho visto alle porte del Cottolengo".[18] Fu l’andirivieni di persone che donavano e di persone che chiedevano, le scene di povertà e di carità, e quant’altro, a fargli pensare “Dio c’è”.
La vita di Don Orione è tutta fiorita di episodica che rivela questa pedagogia della carità o "strategia della carità", secondo l'indovinata espressione del cardinal Luciani, poi canonizzata da Giovanni Paolo II.[19]
Don Orione incontra Dio nell'uomo da aiutare con l’esercizio della carità.
“Tante volte ho sentito Gesù Cristo vicino a me, tante volte l'ho come intravisto, Gesù, nei più reietti e più infelici”.[20] "Nel più misero degli uomini brilla l'immagine di Dio".[21] "Servire negli uomini il Figlio dell'Uomo".[22]
Don Orione aiuta l’uomo a incontrare Dio con l’esercizio della carità.
“Fine speciale della Congregazione è diffondere la conoscenza e l'amore di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa, specialmente nel popolo… mediante l'apostolato della carità fra i piccoli e i poveri”.[23] E' il suo carisma di fondazione. E' questa la sua via di evangelizzazione, il suo modo di essere apostolo, la sua "piccola opera" per contribuire ad "Instaurare omnia in Christo" (Ef 1,10).
"Il Signore ci giudicherà secondo le opere, e secondo la carità delle opere, perché anche le opere senza la carità di Dio che le valorizzi davanti a Lui, a nulla valgono".[24]
Se non abbiamo la carità di Dio in noi, se non abbiamo la vita di Dio in noi, le nostre opere possono anche far spalancare di meraviglia gli occhi su di noi, ma non “aprono gli occhi su Dio”, non trasmettono e non svelano la sua Presenza. E allora?[25] Tutti dobbiamo fare un buon esame di coscienza.
Qual è la differenza tra un “facchino della Divina Provvidenza” è un “attivista sterile”? La carità. È l’unione con Dio di colui che opera.
Don Orione: "Meditiamo ciò che dice Gesù Cristo al cap.7 di S. Matteo, dove ci insegna che potremmo dannarci anche con fare gran lavoro, ma non quello che è veramente grato a Dio. “Multi dicent mihi in illa die: Domine, Domine, in nomine tuo prophetavimus, et in nomine tuo virtutes multas fecimus!”. Ingannati! Confidavano in un falso zelo! “Et tunc confitebor illis, quia nunquam novi vos!”. E' grande istruzione questa che ci dà Gesù Cristo; con essa ci mostra che non basta lavorare molto e affannarci e alzare edifici: non basta voler fare del bene e molto, ma bisogna farlo bene, per meritare e salvarci. San Paolo Apostolo rassomiglia il missionario che lavora mosso da falso zelo, da zelo non secundum scientiam Jesu Christi, lo rassomiglia, dico, a colui che corre, ma all'impazzata, a chi dà gran colpi, ma non fa che percuotere l'aria inutilmente”.[26]
La scientia Christi è la carità. Senza di essa, come avvertiva San Paolo, “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1Cor 13, 1-3).
Quanto io e poco Dio c’è a volte nel nostro agire.
“È venuto il momento di riaffermare l'importanza della preghiera di fronte all'attivismo e all'incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo” (Deus caritas est 37).[27]
Ricordo l’impressione dell’affermazione, forte ma detta con tono dolce e quasi supplice, di Benedetto XVI ai partecipanti all'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio Cor unum: “L'aiuto che si offre non deve mai ridursi a gesto filantropico, ma deve essere tangibile espressione dell'amore evangelico”.[28]
In Don Orione abbiamo uno splendido e affascinante modello di unificazione di azione e contemplazione realizzata dalla carità.[29]
Sappiamo con quale intensità Don Orione, toccato dalla Grazia, viveva di amore per il Signore ("Dio solo!", immerso come un pesce nell’acqua). Configurato a Gesù, viveva il suo rapporto con Dio mediante la preghiera, il fare la volontà del Padre e la carità verso i fratelli bisognosi di aiuto, di pane, di dignità e di fede. Per questo in Don Orione l'azione di carità è contemplazione, oltre che apostolato. È la carità ad operare questa unificazione.
"Amare Dio e amare i fratelli: due fiamme di un solo sacro fuoco. Ed è di questo fuoco che vogliamo vivere e consumarci: questo è il fuoco che ci deve trasformare, trasportare e trasumanare. Charitas Christi urget nos!".[30]
"La carità ha fame di azione: è un'attività che sa di eterno e di divino. La carità non può essere oziosa".[31]
La preghiera alimenta la carità dell'azione.
L'azione alimenta la carità della preghiera.
E ambedue uniscono sempre più a Dio.
Don Orione vive la sua unione con Dio in Cristo, proprio nel donarsi concretamente agli uomini. Nel suo servizio iperattivo egli vive una santità che non lo isola dagli uomini e non lo separa da Dio. E' la carità che unifica la sua vita turbinosa e apparentemente disordinata con il raccoglimento abituale nell’intimità con Dio.
Questa esigenza incalzante di fare di più, di correre, di arrivare a tutto, a tutti, viene dalla carità che unendo a Dio e ai fratelli chiede tutto, di più, con sacrificio crescente, con gioia e martirio di immolazione. “Seminare la carità lungo ogni sentiero, seminare Dio in tutti i modi, in tutti i solchi: inabissarmi sempre infinitamente e volare sempre più alto infinitamente, cantando Gesù e la Santa Madonna e non fermarmi mai”.[32]
Don Orione esprimeva questo stato d’animo con il motto paolino "Charitas Christi urget nos!”, usuale sulle sue labbra. E spiegava: “Noi siamo dei servi inutili, ma è la carità, l'amore di Cristo e dei fratelli che ci anima, che ci spinge, che ci incalza. Sia gloria a Dio".[33]
La dinamica propulsiva della carità è illustrata con parole, tanto vicine a quelle di Don Orione, da Benedetto XVI in Deus caritas est 35: “Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: «Siamo servi inutili» (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. (…) Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: «L'amore del Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14)”.
Don Orione osserva: "Questo santo amore, che prende nome di carità, è il risultato della comunione con Gesù Cristo. E' il fervore della Grazia onde non può stare e ha bisogno di espandersi, charitas natura diffusiva est. La carità è diffusiva".[34]
E' “la dinamite della carità”.[35]
C'è una lettera-confessione del giovane Don Orione a Don Carlo Perosi - concittadino, amico, padre e poi cardinale - che testimonia come gli impulsi della carità mistica (amore a Dio) si trasformino in carità apostolica (amore al prossimo).
"Mi pare che il nostro Signore Gesù Cristo vada chiamandomi ad uno stato di grande carità, per cui in certi momenti il Signore mi preme il cuore e allora bisogna che pianga o rida di carità grande e corra, ed è una cosa che non si può ben dire, ma è fuoco grande e soave che ha bisogno di dilatarsi e di infiammare tutta la terra. Caro Signor Don Perosi, mi perdoni se le dico questo, ho timore che sia superbia, ma è una cosa ben più grande ancora che non le so dire. Sento un grandissimo bisogno di gettarmi nel Cuore del nostro caro Signore crocifisso e di morire amandolo e piangendo di carità; e mi pare che nostro Signore deve essere molto adirato con me: perché gli dico sempre che sono tutto suo e poi non lo sono mai".[36]
Ecco cosa capita in un "cuore senza confini, perché dilatato dalla carità di Cristo".[37] Questa tensione del “maggior bene” creava problemi a Don Orione stesso e ai suoi collaboratori. Pensiamo all’irresistibile appello ad andare in soccorso dei terremotati di Reggio e Messina (28.12.1908) con il “baraccone della Divina Provvidenza” ancora tanto precario. La sua permanenza in l’America Latina (1934-1937) invece di una “visita” divenne un vortice di attività che consumarono lui e fecero disperare Don Sterpi che da Tortona lo richiamava alla prudenza e a non chiedere più religiosi dall’Italia.
Fu la legge dell'amore a urgere Don Orione all'azione, all'immolazione totale di sé. Non fu un idolatra del "fare", ma un mistico, un "pazzo della carità",[38] sempre più immerso nell'amore di Dio e delle Anime. Davvero, come ha osservato Giovanni Paolo II, "dalla sua vita, tanto intensa e dinamica, emergono il segreto e la genialità di Don Orione: egli si è lasciato solo e sempre condurre dalla logica serrata dell'amore!".[39]
Sempre, quando mi capita di presentare gli esempi e gli insegnamenti di Don Orione, provo il timore che la sua “eccezionalità” possa rendercelo meno vicino, meno quotidiano, meno “compagno”, lui e il suo insegnamento.
Quanto stiamo dicendo è sì meraviglioso, ma anche normale, facile, possibile a tutti. Gli effetti della vita vissuta nella carità li riconosciamo anche in tanti confratelli e un poco anche in noi stessi. Dio ci aiuti ad acclimatarci sempre più stabilmente nel calore della carità. “La faccia della terra si rinnovella al calore della primavera ma il mondo morale solo avrà vita novella dal calore della carità. La causa di Dio e della Sua chiesa non si serve che con una grande carità di vita, e di opere. Solo la carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni, e salvarle.”.[40]
Don Orione conosceva bene, con realismo di padre, i suoi figli e discepoli. Eppure proprio a loro, proprio a noi, con la nostra concretezza di limiti e di aspirazioni, di slanci e di debolezze, egli propone: "Dobbiamo essere una profondissima vena di spiritualità mistica, che pervada tutti gli strati sociali: spiriti contemplativi e attivi, servi di Cristo e dei poveri... Portiamo dentro di noi, e ben dentro di noi, il divino tesoro di quella carità che è Dio”.[41]
Ancor oggi, nel clima di riflusso individualistico e borghese che influenza anche noi religiosi, è facile riconoscere come, tra i confratelli, i più attivi, i più zelanti nella pastorale, i più generosi nel donarsi agli altri, i più aperti a rispondere ai cambiamenti che situazioni e tempi richiedono… sono quelli che hanno più “carità”, più vita di Dio, più entusiasmo, più “dinamite”.
Fu questo dinamismo della carità a spingere molti Orionini che, in patria o in missione avrebbero potuto evangelizzare e battezzare a volontà riempiendo i loro giorni di bene e di soddisfazione, sono andati a cercarsi le “grane” degli handicappati, dei ragazzi di strada, dei poveri a Bonoua, a Tananarive , a Payatas, a Henrikow, ecc., e ultimamente a Kafurugi e di Bagamoyo.
In Costa d'Avorio gli handicappati non esistevano; li hanno “inventati” i nostri missionari; prima non c'erano (erano nascosti). A Torino, c’erano centinaia di giovani operai che dormivano sotto i portici o sotto i ponti, ma solo Don Pollarolo[42] li “vide” e ne sistemò degnamente un migliaio. È la carità che apre gli occhi e fa vedere Dio e i Poveri. A Firenze, Don Secchiaroli[43] ha fatto famiglia per 40 anni con dei giovani e uomini “difficili” e senza nessuno.
Cito questi esempi, perché la maggiore tentazione[44] oggi, immersi anche noi nella cultura delle pantofole, é quella di accontentarci di quello che facciamo, a livelli sempre più bassi. Ce n'è fin troppo! E poi c’è chi, criticando chi corre tutto il giorno e tribola a lavorare, se ne sta bellamente seduto ore alla TV o al computer, senza far nulla. Magari ci fosse l’opposizione tra attività e preghiera! Più spesso l’opposizione è tra carità (dell’attività e della preghiera) e indolenza.
E voglio concludere con un episodio che mi ha scritto Don Roberto Simionato. “Quando ero provinciale a Carlos Pellegrini, veniva sempre un ubriaco alle 10-11 di sera. Feci campagna col tirocinante perché venisse prima di cena e un po' ci riuscimmo, ma non troppo, perché l'uomo veniva ugualmente tardi quando ormai era chiuso. Finché ci siamo stancati e io ordinai al chierico di non aprire e di lasciarlo pure picchiare la porta. L’anziano Padre Cabri, che era direttore, contraddicendomi in buone maniere, disse al chierico di aprire lo stesso (anche contro l'ordine del Provinciale), perché "Don Orione ci insegnò che mai un povero deve allontanarsi dalla nostra porta maledicendo". Padre Cabri aveva l'autorità morale per fare questo, perché era stato alla scuola del fondatore, e io approvai”.
Senza l’estroversione alimentata dalla carità si cade nell’introversione, inevitabile, dell’io debole, conservatore e difensivo di sé, “sotto le più diverse forme, quali il bisogno di protagonismo e la insistenza esagerata sul proprio benessere fisico, psichico e professionale, la preferenza per il lavoro in proprio o per il lavoro prestigioso e firmato, la priorità assoluta data alle proprie aspirazioni personali e al proprio cammino individuale senza badare agli altri e senza riferimenti alla comunità”.[45]
“Le persone consacrate possono e devono ripartire da Cristo. Ripartire da Cristo significa ritrovare il primo amore, la scintilla ispiratrice da cui è iniziata la sequela. È suo il primato dell’amore. La sequela è soltanto risposta d’amore all’amore di Dio” .[46]
La vita religiosa è tutta ordinata a questo scopo, come è ricordato nell’art.91 delle Costituzioni: “con la professione dei consigli evangelici nella Chiesa intendiamo liberarci dagli impedimenti che potrebbero ritardarci nel fervore della carità, veniamo consacrati più intimamente al servizio di Dio e viviamo per lui solo”.
Don Orione usava e ripeteva una piccola espressione latina “Nunc incipio” per raccomandare questo ripartire da Cristo.
“Nunc incipio. Nel tuo nome Gesù, oggi incomincio! Sia rinnovato il cuore, sorgente dove scaturisce il puro amor di Dio e del prossimo. Nunc incipio, oggi incomincio una nuova vita, vita santa. Tutto quello che fate ai poveri, ai piccoli, lo fate a Nostro Signore stesso. Non è un’idea mia. Gesù stesso l’ha detto: tutto quello che farete al minimo di questi lo terrò come fatto a me”.[47]
Nunc incipio! Con l’accettare le esigenze dell’amore di Dio che mi richiede fedeltà nei tempi e modi di relazione e di preghiera.
Nunc incipio! Nel coltivare la carità fraterna in comunità, perché essa svela la carità di Dio, la purifica, la alimenta.
Nunc incipio! Rispondendo agli appelli della carità pastorale, educativa e assistenziale che formano il tessuto stabile della mia vita, ovunque e in qualunque età io sia.
Nunc incipio! Evitando la eccessiva burocratizzazione e “informatizzazione” nelle relazioni e nel servizio alle persone, in parrocchia, come al Piccolo Cottolengo o nella scuola.
Nunc incipio! Assieme alla carità mediata (= organizzata, istituzionalizzata) troverò tempi e modi di carità immediata (= diretta, personale, a tu per tu) verso i poveri.
Nunc incipio! Non mi difenderò dalla vita scomoda, “rotta” dagli imprevisti della carità, dai bisogni degli altri, aperta ai fatti e alle persone.
Ognuno continui inserendo qualcosa nelle linee del Progetto personale di vita. Ma “ripartire da Cristo”, “radicati e fondati nella carità” (Ef 3,17), è questione di vita o di morte della nostra vita religiosa, della nostra orioninità.
VITA DI FAMIGLIA
Comunicare
Le notizie di Famiglia Orionina ora hanno modo di circolare più rapidamente e globalmente. Come sappiamo, con i moderni strumenti informatici il problema non è avere notizie: ne arrivano tante, di tutti i tipi, da tante fonti. Il problema è scegliere quelle che interessano e quelle importanti per la nostra vita. Troppa informazione può significare nessuna informazione, ma frammentazione, dispersione, superficialità.
Con questa premessa invito a selezionare bene la propria informazione, quella dei giornali, di radio e televisione, e quella di internet.
Mi permetto di raccomandare a tutti gli internauti di selezionare tra i siti “preferiti”, da visitare regolarmente, il sito della curia generale: www.donorione.org. Quanti già lo frequentano sanno che vi sono sempre notizie del giorno e di tutta la Famiglia Orionina, suore e laici compresi. Sostituisce sintesi fax - vi ricordate? – e molto di più. Lo cura il consigliere Don Silvestro con alcuni collaboratori. Lo uso anch’io come strumento per comunicare con la Congregazione: metto notizie e qualche commento. Comunicate tempestivamente a uso@pcn.net le principali notizie di Provincia e case affinché possano essere inserite nel sito di Congregazione.
Di questi ultimi quattro mesi segnalo alcuni eventi più significativi.
Congresso educativo di Buenos Aires
Il Congresso internazionale degli educatori orionini si è svolto in un clima di grande allegria e fraternità a Pilar, presso Buenos Aires, dal 29 settembre al 3 ottobre. Aveva per tema: La carità educativa: verso una nuova spinta evangelizzatrice. È risultato valido come contenuti, ottimo come clima di famiglia e di consapevolezza della missione educativa secondo il carisma orionino. C’erano rappresentanti di 15 Paesi ove la Congregazione provvede a più di 40 mila alunni.
Vorrei sottolineare una novità congregazionale risultata dal Convegno. Nel settore educativo ci sono tre prevalenti modalità di risposta nella nostra Congregazione: le classiche scuole di livello primario e secondario, i centri di formazione professionale e – questa la novità - le scuole speciali per “diversamente abili”. Mi ha sorpreso e interessato la consistenza di numero e di qualità di queste ultime. Accanto a quasi tutti i nostri Piccolo Cottolengo e istituzioni simili sono sorte molte di queste scuole speciali. E’ un frutto nuovo e direi “tipico” della nostra Famiglia Orionina nel tempo attuale. C’è veramente da rallegrarsi.
Assemblea Generale delle PSMC
Dal 15 al 23 ottobre si è svolta a Roma l’Assemblea generale delle Piccole Suore Missionarie della Carità. Hanno invitato anche me con alcuni altri consiglieri ad alcune giornate. Con l’Assemblea si sono proposte di discernere e condividere quale sia l’attuale punto critico nella vita della Congregazione e di individuare il dinamismo di conversione da assumere e decidere come congregazione per il prossimo triennio. So che hanno posto al centro del rinnovamento le relazioni fraterne, il coraggio della comunione.
Nel mio intervento, guardando all’insieme della Famiglia orionina, ho sottolineato che oggi, nelle relazioni FDP – PSMC, occorre reagire alla deriva di separazione che appare quasi inevitabile non per ragioni ideologiche, non per scelte separatiste, ma per ragioni che sembrano superarci: la riduzione di numero di religiosi/e e di comunità, le reali difficoltà di relazione/collaborazione FDP-PSMC e con Laici, le diverse accentuazioni/limiti nel vivere la medesima vocazione religiosa orionina. Occorrono scelte e strutture di comunione che convertano le difficoltà in dono, le particolarità in complementarietà, in vista della fedeltà al carisma dato e da vivere come Famiglia.
Corso di formazione per managers delle opere caritative
Presso il Piccolo Cottolengo Don Orione di Genova, ha preso avvio, il primo corso di "Formazione al management nei servizi di aiuto alla persona", destinato ai collaboratori e responsabili laici delle opere orionine in Italia. Il progetto, promosso dalle 4 Province italiane, è ben pensato e organizzato: ha la durata di 50 ore con sessioni residenziali in varie città, l’uso di video conferenze e di altre risorse multimediali.
Il corso è del tutto nuovo nella sua ideazione e in questa sua prima realizzazione. Vi partecipano 60 managers, quasi tutti già in esercizio presso le opere orionine.
È una risposta importante alla evoluzione nella gestione delle nostre opere. È motivo di speranza in ordine alla fedeltà al carisma che si esprime con molte istituzioni educative, caritative e pastorali che oggi hanno assunto la complessità e le dinamiche di imprese molto impegnative. Solo la comunione/collaborazione dei ruoli differenziati di religiosi e laici può assicurare tanto la qualità dei servizi quanto la qualità orionina e apostolica delle opere.
Formazione (iniziale e permanente) e psicologia
La Congregazione per l’Educazione Cattolica ha pubblicato, il 30 ottobre 2008, un breve e importante documento dal titolo “Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio”.
E’ un documento che giunge quanto mai opportuno per dare luce ed equilibrio su una problematica che tocca da vicino quanti si occupano di formazione e di ammissione al sacerdozio e alla vita religiosa: come utilizzare le competenze psicologiche nella formazione e nella valutazione dei candidati dei nostri seminari e case di formazione?
Da una parte c'è una tendenza a sovrastimare il contributo di psicologi e di psicologia: ci si uniforma con un certo senso di inferiorità a quanto essi dicono. Dall'altra parte c'è una tendenza persistente a sottostimare e diffidare dell'apporto della psicologia anche di fronte a gravi problemi di maturità/maturazione psicologica; alcuni ritengono che bastano la “buona intenzione” o “la preghiera” o un buon “formatore” per capire e superare lacune psicologiche profonde della personalità.
Particolare attenzione ha richiamato il n.10 del documento ove si dice esplicitamente: "Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, ecc.). Lo stesso deve valere anche nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere la castità nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l’equilibrio affettivo e relazionale".
L’aiuto alla vita nascente, una nuova linea li opere di carità
Sappiamo come un po’ ovunque si tende a emarginare e, sempre più, a eliminare la vita debole nascente o con gravi limiti o in diminuzione. Per gli anziani, abbiamo molte istituzioni e per i disabili (o diversamente abili) abbiamo una gloriosa tradizione. I nuovi tempi stanno stimolandoci a dare nuove risposte per i neonati in difficoltà.
Il 21 giugno 2008, a Genova-Quezzi le PSMC hanno aperto una casa di accoglienza denominata L’abbraccio di Don Orione e finalmente, il 4 novembre scorso, vi è arrivata la prima neonata, Fabiana. Ad essa sono seguiti altri bimbi accolti in collaborazione con ospedali e tribunale di Genova.
Dopo 20 giorni, il 23 novembre, ecco un altro “fiocco rosa”. È arrivata Nelly, la prima bimba ospitata assieme ai genitori nigeriani, all’Istituto “Marco Soranzo” di Campocroce trasformato in “seminario della vita”.
In entrambe le iniziative è fondamentale la collaborazione di laici che “vibrano” con Don Orione. So di altre iniziative analoghe. Che stia formandosi una nuova onda di “opere di carità” in favore della vita nascente?
A dare luce e incoraggiamento a questo impegno è giunto, il 12 dicembre, il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede dal titolo “Dignitas personae”. L’Istruzione tratta di alcune questioni di bioetica e costituisce un aggiornamento di “Donum Vitae”. E’ un altro documento che esprime il “sì” del Magistero della Chiesa alla vita umana, dal concepimento alla morte naturale. La prima parte richiama aspetti antropologici, teologici ed etici, mentre la seconda e la terza parte riguardano la procreazione e i problemi che emergono dall’evolversi delle possibilità scientifiche e tecniche.
Comunione di preghiere
Concludo, affidando alle vostre preghiere i confratelli malati, le nostre suore anziane e inferme, i nostri parenti, gli amici, gli ex allievi i benefattori.
Affidiamo alla bontà misericordiosa del Signore i nostri defunti.
I confratelli sacerdoti Don Thaddeus Sztuczko, Don Tarcisio Bestetti, Don Lorenzo Simoni, P. Germán Ruiz Calleja, Pe. Edvaldo Gonzaga, P. Conrado Rodolfo Lopez, Don Mario Villa, Don Benedetto Micozzi, D. Armando Viel, Pe. Augusto De França Vianna e P. Luciano Garbelli.
Le suore: Maria Carità, Maria Luisa, Maria Domicela, Maria Antonietta della Pace (Contemplativa di Gesù Crocifisso), Maria Vittoria della Sacra Famiglia (Sacramentina), e Maria Serva Crucis.
I parenti: il papà di Don Adam Golebiak, di Don Ryszard Siadul, di Pe. Rafael Caldeira Barreto, di Don Vincenzo Marchetti e del Ch. George Gomes Amarante; la mamma di Fr. Ianus Cobzaru; il fratello di: Pe. Enrico Zardoni e di Pe. José Vicente; le sorelle di Pe. José Nascimento Ferreira Da Silva e di P. Juan Manuel Barbé Algorta.
Tra gli amici e benefattori: il Wilton Da Silva Garcia, papà del postulante Antonio Magela (Quatro Barras, Brasile), Francesca Boggiano Pico (Genova), Nelida Faubet e Lucia Bottaro (dell’ISO, Argentina), Giuseppe Bonavoglia (Tortona), Carlo Berruti (Asti), Osvaldo Dechamps (Florianópolis) e Feliciano Scussiato (Curitiba).
E avanti nel nuovo anno 2009, sotto lo sguardo e la protezione di San Luigi Orione e della santa Madonna. A tutti giunga il mio cordiale saluto che accompagno con la preghiera.
Don Flavio Peloso, FDP
(Superiore generale)
[1] Atti e comunicazioni, 2007 (61), n.224, p.187-203.
[2] Atti e comunicazioni, 2008 (62), n.225, p.3-16.
[3] Atti e comunicazioni, 2008 (62), n.226, p.107-122.
[4] Messaggio di Giovanni Paolo II per il centenario della PODP, 8.3.2003; si veda Novo Millennio ineunte 31; Vita consecrata 93; Ripartire da Cristo 20.
[5] Parola III, 33; Comunità orionina in preghiera, p. XI.
[6] Nel nome della Divina Provvidenza, p.107. Scrive Don Orione: “Amo Iddio nelle bellezze del creato e lo vorrei cantare con Francesco d’Assisi nel cantico della fraternità universale, ma piû lo sento e lo amo nell’uomo, negli infermi, negli orfani, nei poveri”; Scritti 57, 145.
[7] Niente di nuovo o di esclusivo in questi carismi. Tutto è già nel Vangelo. Di nuovo e di esclusivo è la concentrazione, l’intensità e la condivisione comunitaria dell’esperienza evangelica per il bene della Chiesa. Per approfondimenti, indico due studi orionini: Ignazio Terzi, La nostra fisionomia nella Chiesa, Ed. Don Orione, Tortona, 1984; Aa.Vv. Sui passi di Don Orione, Dehoniane, Bologna 1996; e due studi di esperti esterni alla Congregazione: Divo Barsotti, Don Orione. Maestro di vita spirituale, Ed. Piemme, Casale M., 1999; Giuseppe De Luca, Elogio di Don Orione, con altri scritti e commenti su di lui, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1999.
[8] Naturalmente questa modalità va congiunta con le altre tipiche della vita cristiana e in particolare la vita di preghiera (prima linea) e il fare la volontà di Dio (seconda linea) come insegnate da Don Orione, ma certo è forse la più tipica per accentuazione, per insistenza, per immediatezza di motivazioni.
[9] “Vedere e sentire Cristo nell’uomo”, Nel nome della Divina Provvidenza 135 e Scritti 63, 227; “Servire negli uomini il Figlio dell’Uomo”, Nel nome…, p.141 e Scritti 97, 251; L’espressione è costruita con molte varianti, ma l’espressione più classica e ricorrente (più di 100 volte) è “Cristo nei poveri”. “Noi vogliamo, in umiltà grande, amare e servire Gesù Cristo nei poveri”; Lettere II, 440; “L'altissimo privilegio di servir Cristo nei poveri”, Lettere II, 479; “Amare i poveri è amare Gesù: servire i poveri è servire Gesù… Oh, se io potessi farvi vedere Gesù Cristo nei poveri! Scritti 7, 107; “Noi vediamo nei poveri le membra di Gesù Cristo, e in essi amiamo il nostro Dio”, “Nei poveri voi servite, confortate ed evangelizzate Gesù Cristo”, Scritti 72, 217.
[10] Per noi orionini, una scuola di spiritualità si fa non solo in una casa di esercizi o nel raccoglimento di una chiesa, ma anche con qualche ora al Piccolo Cottolengo, o al confessionale, o in mezzo ai ragazzi.
[11] Summarium, p.540. Ernesto Campese, che racconta l’episodio, poi divenne un fedele benefattore della Congregazione cui lasciò in eredità tutti i suoi beni, compresa la sua casa di Roma, in Via Maratta 2a.
[12] Ne era tanto convinto il Fondatore da porre il criterio: “Chi manca di carità, non ha pietà”; Scritti 55, 193.
[13] Circolare Quali opere di carità?, “Atti e Comunicazioni”, 2005 (59), n.217, p.111-132.
[14] Lettera all’abate Caronti, 3 maggio, 1938, Scritti 117, 107.
[15] Verbali, riunione del 26 agosto 1930, p.95
[16] Sant’Agostino, Trattato su Giovanni, 17, 7-9 in CCL 36, 174-175.
[17] Lettera del 19.3.1923, Scritti 4, p.280.
[18] Riunioni 130. L’espressione fu riferita da Don Orione che definì il Sommariva “uno spregiudicato, che non può vedere né vuole sapere niente di religione” (Parola IX, 425). Anche questi poi divenne un generoso benefattore del Piccolo Cottolengo di Genova.
[20] Lettera del 24 giugno 1937; Nel nome della Divina Provvidenza, p.116.
[21] Lettere II, p.330.
[22] In cammino con Don Orione, p.324. Anche i testi della Messa in onore di San Luigi Orione ricordano questa esperienza. L'orazione propria dice: “O Dio, che hai concesso a san Luigi Orione, sacerdote, di amare il Cristo tuo Figlio nella persona dei poveri…”; il brano evangelico scelto per la Messa è quello di Matteo 25: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 31-46); il testo per l’ufficio delle Letture è quello famoso: “Anime, anime! Vedere e sentire Cristo nell’uomo”; Nel nome della Divina Provvidenza, p. 134-137.
[23] Cap.I delle Costituzioni dei Figli della Divina Provvidenza. Uguali concetti, con diversa veste letteraria, sono presenti nel Cap.I delle Costituzioni delle Piccole Suore Missionarie della Carità.
[24] Alle Suore di San Sebastiano Curone (19.6.1920); Scritti 39, p.80.
[25] Don Orione osservava che alcuni “lavorano molto sed non ad aeternitatem”; Scritti 55, 190; “Non ad aeternitatem. Senza pietà si può fare del rumore ma non del bene, non si fanno mirabilia, sed miserabilia”; Scritti 86, 80..
[26] Lettera a Don Alessandro Chiwilovicz (Zdunska Wola), da Tortona 20.3.1928, Scritti 32, p.122-124.
[27] Nel precedente n.36, il Papa aveva risposto a una obiezione che ancora oggi viene fatta: “Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell'emergenza e sembra spingere unicamente all'azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo”. “La beata Teresa di Calcutta” – ma avrebbe potuto ben dire San Luigi Orione - “è un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all'efficacia ed all'operosità dell'amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l'inesauribile sorgente”.
[28] Udienza ai Membri della Congregazione Plenaria del Pontificio Consiglio “Con unum”, 1 marzo 2008.
[29] Divo Barsotti, un santo esperto di santità, indica nell’unità di azione e contemplazione espressa da Don Orione uno dei punti di sua originalità e fascino; Don Orione, maestro di vita spirituale, Piemme, 2004, p.194-203.
[30] Lettere II, p.397. "L'amore di Dio e dell'umanità non formano che una cosa sola", Scritti 14, p.340. "Il nostro cuore dev'essere un altare su cui arde il fuoco della carità e il fuoco che arde deve essere la nostra stessa vita: il fuoco dell'amore a Dio verso il Cielo, il fuoco dell'amore del prossimo verso i fratelli", Scritti 79, p.339. E’ facile trovare parallelismi nella Deus caritas est: “Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell'amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo. L'amore cresce attraverso l'amore” (n.18).
[31] Lettere II, 397. p.102. Il beato Antonio Rosmini, nelle sue Massime di perfezione (p.76), insegna che il cristiano mostrerà la sua devozione a Dio se "professerà l'occupazione più continua, sicché non avvenga giammai di perdere né pur un briciolo di tempo, pensando spesso che il tempo è preziosissimo".
[32] Nel nome della Divina Provvidenza, p.82.
[33] Tratto dalla lettera scritta da Buenos Aires, nel marzo 1936, giustamente conosciuta come l'"inno della carità", Lettere II, p.327 ss. "La carità comanda di non appartarci in una comoda bastevolezza, ma di sentire e avere compassione fattiva per i dolori e i bisogni degli altri, dai quali non dobbiamo riguardarci separati, mentre sono una sola cosa con noi in Cristo", Scritti 80, p.283.
[34] Scritti 80, p.281.
[35] “Se voi mi chiedete quale è la nota che ci deve differenziare da tutte le altre Congregazioni, vi dico che è la dinamite della Carità. Dobbiamo essere di-na-mi-ci e non marmotte nella carità verso i più umili e più abbandonati dei nostri fratelli… E questo non in ‘umano modo’ ma ‘divino modo’!”; discorso ai religiosi del 2 gennaio 1938, Parola VIII, 3. Questo stile particolare è descritto nell’art.121 delle Costituzioni.
[36] E' tutta da leggere questa lettera del 4.4.1897! Lo spirito di Don Orione I, p.27-29.
[37] Don Orione. Intervista verità, p.69.
[38] Questo epiteto, caro all'agiografia orionina, ha suggerito anche il titolo della biografia di Don Orione scritta da A. Pronzato: Don Orione il folle di Dio, Gribaudi, Milano, 2004.
[39] Omelia durante la Messa di beatificazione, in Acta Apostolicae Sedis LXXII (1980) p.1087-1088.
[40] Nel nome della Divina Provvidenza, p.39.
[41] Nel nome della Divina Provvidenza, p.142-143. L’art.70 delle Costituzioni dicono che “La natura stessa dell’azione apostolica e caritativa racchiude una sua propria ricchezza che alimenta l’unione con Dio” che si realizza “servendo negli uomini il Figlio dell’uomo”. “Perciò – si dice poi nell’art.116 - tutta la nostra vita religiosa sia compenetrata di spirito apostolico e tutta l'azione apostolica animata di spirito religioso in intima unione con il divino Maestro”.
[42] Giuseppe Tuninetti, Giuseppe Pollarolo: un prete di frontiera (1907-1987), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.
[43] Don Umberto Secchiaroli, il “Padre”, nel decennale di pia morte, Litografica Orione, Borgonovo Val Tidone, 2005. A Don Secchiaroli e a Don Pollarolo fa cenno Douglas Hyde nel suo Il bandito di Dio, Ed. Paoline, Bari, 1960, p. 1012.
[44] “Funesta illusione” la definì Don Orione: “Preservatemi, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai sacramenti, delle anime fedeli e delle pie donne. Certo, il mio ministero riuscirebbe più facile, più gradevole, ma io non vivrei di quello spirito di apostolica carità verso le pecorelle smarrite, che risplende in tutto il Vangelo. Solo quando sarò spossato e tre volte morto nel correre dietro ai peccatori, solo allora potrò cercare qualche po' di riposo presso i giusti”; Nel nome della Divina Provvidenza, p.27.
[45] Tratto da Vita fraterna in comunità 39, citato nel Documento del 12° Capitolo generale, p.85-92.
[46] Ripartire da Cristo, n. 21.22.
[47] Parola, 1 gennaio 1932; IV, 405.