PARROCCHIA DI SAN MICHELE DI TORTONA

Giuseppe Decarlini presenta la storia della Parrocchia fino al '900, mentre don Giulio Florian nel periodo in cui passò agli Orionini
LA PARROCCHIA DI SAN MICHELE DI TORTONA[1]
- Dalle origini fino al 1900
Secondo il Goggi, la chiesa di S. Michele risale all’epoca longobarda (VI- VII sec.) e la sua intitolazione all’Arcangelo protettore dei guerrieri, tanto caro ai Longobardi, sembra suffragare tale ipotesi.
Afferma il Carnevale “che una chiesa parrocchiale sotto questo titolo da tempi antichissimi esistesse in Tortona è fuori d’ogni contestazione” ma, aggiungiamo noi, bisogna pervenire a tempi ben più recenti per poter documentare in modo inconfutabile l’esistenza della chiesa.
Nel cartario di Rivalta fanno esplicito riferimento a San Michele di Tortona solo i documenti CCXXVIII del 1261 e CCXXIX del 1286. Sempre il Goggi, traendoli dal cartario dell’Abbazia Cistercense cita due documenti anteriori, rispettivamente del 1182 e del 1193. Si parla però solo di una chiesa di San Michele senza precisarne la località per cui potrebbe trattarsi di edifici sacri omonimi del circondario (Alessandria, Sommariva, Sarezzano).
Procedendo a grandi passi nel tempo, troviamo citata la chiesa nel breve pontificio di Eugénio IV del 1431 e nel sinodo del Vescovo Rampini, del 30 maggio 1435, al quale partecipò il rettore Lanfranco de Lagaletta.
La chiesa di S. Michele viene poi ricordata nell’elenco di mons. Zazi del 1523 ed in quello del 1543. In tale anno era rettore don Giovanni Agostino Guidobono e nella chiesa vi era una cappellania “della Visitazione” di cui era titolare il presbitero Matteo Da Varisio.
Sempre il Carnevale, nel volume manoscritto “Delle chiese che anticamente esistevano in Tortona e suoi contorni” dà una particolareggiata descrizione dell’edificio sacro che dice grandioso e a tre navate con ben dodici cappelle. Lo scritto pare comunque frutto di fantasia e ben poco attendibile. Di veritiero c’è solo che l’edificio sacro era di forma basilicale così come appare anche nella famosa stampa cinquecentesca del cartografo Pietro Bertelli raffigurante la città di Tortona.
Dalla visita apostolica di mons. Ragazzoni del 9 giugno 1576 apprendiamo che, oltre all’altare maggiore, esisteva solo quello di Santa Elisabetta (o della Visitazione) per il quale venne ordinato che, entro il termine di quattro mesi, si facesse un affresco raffigurante la Visitazione della Beata Vergine.
Il rettore, Leonardo Crispo, venne severamente ammonito per la sua avarizia e gli venne ordinato di risiedere nella casa parrocchiale.
Sul finire del Cinquecento la chiesa dovette essere interessata da lavori di restauro o ricostruzione in quanto mons. Maffeo Gambara, nella visita del 18 gennaio 1957, ordinava di riscuotere le somme necessarie «per finire questa chiesa et in ciò il rettore vi usi ogni diligenza».
Anche in tale visita pastorale viene ricordato l’altare della Visitazione della Madonna in cui erano patroni i nobili Rampini e titolare il rev. Vincenzo Rossi che godeva di un reddito di 30 scudi circa.
Nel 1597 era parroco don Bartolomeo da Monleale, titolare già dal 1952 per la rinuncia fatta dal Crispo. Pur non essendo ricordata nella visita, va precisato che dall’ottobre del 1587 venne accolta nella parrocchiale la Confraternita di S. Rocco (già istituita presso la vicina chiesa abbaziale di S. Stefano). Vi rimase fino al 1626, quando, per contrasti insorti con il parroco, Domenico Dall’Ara, la Compagnia costruì un proprio oratorio.
Un documento dell’archivio parrocchiale del 5 settembre 1617 ci permette di stimare i redditi della parrocchia che ammontavano a lire 167 soldi 17 e denari 9, derivanti dagli affitti di case e terreni.
Un evento che segnò la storia della chiesa fu il crollo del campanile che, distruggendo parte dell’antico edificio, rese necessaria una completa ricostruzione. L’avvenimento viene fatto risalire genericamente alla prima metà del Seicento. Dalla visita pastorale di mons. Ludovico Settala del 26 maggio 1666 apprendiamo che le opere di ricostruzione avvennero sotto il pontificato di mons. Paolo Arese. Si legge infatti nel documento: «Chiesa interiore. La quale è di architettura moderna ristaurata da mons. Arese di santa memoria del 1626 come dall’iscrittione in detta chiesa si vede».
Il Settala esorta poi a perfezionare la fabbrica “che resta in qualche parte d’essere aggiustata et stabilita” esortando i parrocchiani ad impegnarsi in tale opera. Afferma il Callegaris che la ricostruzione avvenne nella “classica forma delle chiese minori, dopo la Controriforma: abolite le navate, si riduce a una vasta sala, in modo che il celebrante e il predicatore si possano vedere da ogni parte; non è stato impegnato, per la costruzione, nessun materiale nobile e nessuna ricca decorazione. Sembra, pur nella sua chiara e dignitosa architettura, che la necessità e la fretta della ricostruzione, sia prevalsa sui motivi artistici”.
Anche il titolo della chiesa nel frattempo si è modificato essendo divenuto “San Michele e San Giovanni in Piscina”, titolo questo dell’antica chiesa del castello distrutta dall’esplosione della cattedrale avvenuta nel 1609, la cui giurisdizione venne ricondotta sotto quella di San Michele. Tale doppia intitolazione, oggi dimenticata, viene ricordata ancora nel 1749 quando il parroco DonCarlo Bartolomeo Pio Bocca relazionò dettagliatamente al Vescovo sullo stato della parrocchia.
Gli abitanti ammontavano a 1080 persone (di cui 740 da comunione), il reddito assommava a lire imperiali 670 oltre a lire 130 circa di “incerti”. In parrocchia risiedevano sei canonici della cattedrale, nove sacerdoti e alcuni chierici. Nel distretto parrocchiale vi erano poi l’oratorio di S. Maria di Loreto, cinque conventi(di S. Francesco, di S. Simone, di S. Stefano, di S. Maria Piccola e di S. Bernardino) e due monasteri: di S. Chiara (francescane) e di S. Caterina (domenicane).
Aprendo una breve parentesi di carattere demografico, ricordiamo che nel 1576 la popolazione parrocchiale era di sole 100 persone: nel 1592, in seguito all’assorbimento di parrocchie limitrofe soppresse ( S. Quirino e S. Stefano), le “anime” ammontavano a 1308 di cui 808 “da comunione”. Nel 1610 erano 1080, nel 1612: 1455; nel 1616: 1500 circa, nel 1666: 1000, nel 1689: 1200, nel 1726: 1120 e nel 1754: 1239. Nel 1838, secondo un dettagliato “status animarum” dell’archivio parrocchiale, erano 2157.
Nel 1844 la chiesa venne arricchita dalla cappella della Madonna del Carmine con il gruppo statuario attribuito al Montecucco e nel 1896 ebbero termine i lavori di restauro e decorazione interna, opera questa del pittore milanese Rodolfo Gambini. Il 7 dicembre di quell’anno il Vescovo mons. Igino Bandi, come ricorda la lapide posta sulla facciata della chiesa, consacrò l’edificio e l’altare maggiore.
Giuseppe De Carlini
BIBLIOGRAFIA
Archivio parrocchiale di San Michele.
Archivio Vescovile di Tortona.
C. Goggi, Storia dei comuni e delle parrocchie della Diocesi di Tortona, Tortona, 1973
C. Goggi, Per la storia della Diocesi di Tortona, II, Tortona, 1964.
C. Bonavoglia, Regesti del “Libro dei contratti” della Confraternita della Misericordia di Tortona, Tortona 1984.
G. Carnevale, Illustrazione della Diocesi di Tortona, ms., 1855.
G. Carnevale, Delle chiese che anticamente esistevano in Tortona e suoi contorni, ms. presso l’Archivio Vescovile di Tortona.
R. Callegaris, La chiesa di S. Michele, in “Pagina”, novembre 1982.
M. Tosetti, Il titolo di S. Michele, in “La Campana”, settembre 1964
I due documenti del cartario di Rivalta, citati nell’articolo, sono stati segnalati dal dr. Giuseppe Bonavoglia, che qui ringraziamo sentitamente.
2. Gli Orionini a San Michele
Verso la fine del 1904 Don Orione andava affannosamente cercando una sede per i suoi 300 ragazzi studenti, alloggiati sino allora nel Collegio S. Chiara, vasto edificio che sorgeva di fronte alla chiesa di S. Michele, in via Emilia, al posto dell’attuale palazzo Frascaroli. Il contratto di affitto del Collegio S. Chiara scadeva alla fine dell’anno 1904 e il Comune di Tortona aveva già intimato lo sfratto.
Don Orione pose l’occhio su uno stabile proprio di fronte al Collegio, di proprietà del Vescovo mons. Bandi, e che era affiancato dalla chiesa parrocchiale di S. Michele.
Dopo lunghe e difficili trattative, nei primi mesi del 1905 Don Orione poté ottenere in acquisto la suddetta Casa, chiamata allora “Casa degli Oblati”, e assieme allo stabile avrebbe ottenuto anche l’annessa parrocchia di S. Michele. Il 14 giugno 1905 l’edificio, e anche la chiesa, restava definitivamente assicurato alla Congregazione.
Un rescritto del S. Padre Pio X, del 4 luglio successivo, confermava il permesso al Vescovo di Tortona di vendere detta Casa “unendo e cedendo all’Opera della Divina Provvidenza la parrocchia di S. Michele appena si fosse resa vacante per morte o rinuncia dell’Oblato parroco”. Il versamento delle 25 mila lire pattuite avveniva il 15 novembre successivo.
Il suddetto Oblato parroco in quel momento era don Carlo Milanese, uomo intelligente e arguto, già in antecedenza molto amico di Don Orione. Forse proprio per questa amicizia egli non rinunciò al suo incarico pastorale e vi si mantenne fino alla sua morte avvenuta il 2 maggio 1934. Don Orione con i suoi ragazzi e poi i chierici si servivano normalmente della chiesa di San Michele per preghiere e celebrazioni, scendendovi da una scaletta interna che immetteva direttamente nella sacrestia.
Alla morte di Don Carlo Milanese, spettava ad un religioso di Don Orione prenderne il posto e Don Orione presentò come candidato alla nomina di parroco, don Candido Garbarino. Alcuni del clero diocesano fecero pressione sul vescovo Simon Pietro Grassi perché la parrocchia cittadina di San Michele restasse alla Diocesi. Ci fu un tempo di incertezza che si concluse l’anno seguente quando il nuovo Vescovo mons. Egisto Melchiori attuò il Decreto del 30 settembre 1935 della Sacra Congregazione del Concilio che confermò il precedente Decreto di mons. Igino Bandi confermato con Rescritto da Pio X che prevedeva di "unire e cedere alla stessa Pia Opera della Divina Provvidenza il beneficio parrocchiale con la relativa Chiesa posta sotto il titolo di San Michele Arcangelo, esistente in Tortona, aderente alla casa di cui trattasi".[2]
Il primo parroco orionino di S. Michele fu dunque don Candido Garbarino, uomo di grande mitezza e di pietà straordinaria, specialmente mariana.
I libri della biblioteca della sua canonica, quelli di carattere ascetico, si sono trovati tutti fittamente postillati ai margini, conseguenza del suo entusiasmo e del suo fervore nella lettura. Non mancava giorno che egli non si recasse al Santuario della Guardia a fare una visita alla Madonna, che era anche l’unico argomento delle sue prediche. Fece il suo ingresso come parroco a S. Michele il 27 ottobre 1935.
Era nato a Torriglia. Egli non era un dinamico innovatore, e conservò nella chiesa di S. Michele le antiche devozioni che si praticavano da secoli. Vi figuravano la statua di S. Espedito, il quadro di S. Rita e quello di S. Antonio da Padova. Nella nicchia di un altare vi era una preziosa statua seicentesca, in grandezza quasi naturale raffigurante S. Michele Arcangelo, tutta dorata, che in seguito scomparve. Numerose vi erano le immagini della Madonna.
A succedere a don Garbarino[3] venne chiamato don Camillo Bruno, oriundo della Val Borbera, uomo di austero carattere, che allora si trovava a Voghera come Direttore di quel Probandato per aspiranti al sacerdozio. Egli fece il suo ingresso a San Michele nel dicembre del 1937. Già minato dalla tisi, egli espresse, nello spazio di quasi tre anni, tutta la forza del suo carattere e le sue energie. Dietro una scorza rude nascondeva un grande cuore. I suoi ragazzi di Voghera lo chiamavano “il burbero benefico”.
Erano gli anni in cui cominciava ad affermarsi, come era negli intendimenti di Don Orione, l’attività degli Oratori per i giovani. Coadiuvato dai migliori chierici del Paterno, egli diede forte impulso a questa forma di apostolato. Si spense piamente nel novembre del 1940.
Vi era in quegli anni a S. Michele un affiatatissimo gruppo di uomini ci “Uomini di Azione Cattolica”, assai legati per simpatia alla parrocchia. Si sono distinti in questo gruppo Carlo Calvi e Pietro Sicbaldi, per lunghi anni anche sacrestano in S. Michele. Più tardi questo gruppo fu curato da don Sparpaglione e pose la sua sede in S. Bernardino.
All’inizio dell’anno 1941, la cura della parrocchia fu affidata a don Antonio Simioni, nativo di Galliera Veneta (Padova), uomo estroso e intelligente, dotato di una magnifica voce, che esibiva generosamente nelle liturgiche assemblee. Ebbe grande cura del decoro della chiesa e specialmente delle funzioni sacre, arricchite assai dal suo canto e da quello dei migliori chierici di Liceo e Teologia del vicino seminario di Don Orione. Il coro di S. Michele venne conosciuto allora in città e fuori. Prima di essere parroco aveva ricoperto cariche importanti nelle Case di formazione per i chierici orionini ed era stato anche vice-maestro dei novizi a Villa Moffa (Cuneo). Durante la sua permanenza a S. Michele egli si orientò verso gli ideali missionari, ed infatti, seguendo l’invito di Don Orione, partì per l’America nel 1946.
Con lui ebbe grande sviluppo l’attività oratoriana. In quel tempo il parroco di S. Michele non aveva con sé un vice-parroco o curato ma si serviva abbondantemente dell’opera dei chierici e dei sacerdoti residenti nella Casa Madre della Piccola Opera, detta “il Paterno”.
Furono tempi di intensa vita e di grande fervore e soprattutto di volenterosa e lieta collaborazione. Parrocchia e Casa Madre si erano come fuse in una sola istituzione.
Validissimi collaboratori, specialmente nell’Oratorio, furono in quei tempi don Pellicciotti, don Masci, don Pesce Maineri. Anche un ragazzo santo venne ad arricchire in quel tempo la famiglia parrocchiale, il chierichetto Leonardo Cavarretta, del quale don Pesce Maineri scrisse una bella biografia. Fra i chierici orionini che diedero una impronta alla vita parrocchiale e all’Oratorio non si può dimenticare un Giovanni Dellalian, armeno di origine poi missionario in Cile, e i chierici Berri, Caroli, Testa, Cassol e altri. Don Simioni attraversò tuttavia tempi assai difficili a causa del ciclone della seconda guerra mondiale che si abbatté sull’Italia proprio in quel tempo.
A don Simioni successe, all’inizio del 1946, don Paolo Bidone, uomo pratico ed energico, con doti di organizzatore specialmente nelle attività dirette alla gente matura, pur non dimenticando la gioventù, l’oratorio e i chierichetti. La sua permanenza a S. Michele non fu lunga. Venne chiamato ben presto dalla fiducia dei Superiori della Congregazione, per la realizzazione di fondazioni all’estero, specialmente in Inghilterra e Irlanda.
Gli successe colui che era stato il primo curato vero e proprio della parrocchia di S. Michele: don Mario Tosetti. Egli fece il suo ingresso nel luglio del 1949. Stavano sorgendo tempi nuovi e nuovi indirizzi nella liturgia, nella pastorale, e in ogni settore della vita della Chiesa. Don Tosetti fu per 30 anni pastore zelante e operoso delle anime (erano circa tremila allora).
Curò molto l’edificio della parrocchia. Nel 1949, nell’imminenza dell’Anno Santo, egli, attraverso l’opera preziosa del pittore. Secchi, di Milano, dotò il Presbitero della chiesa di sei pregevoli e grandi affreschi, più due nelle cappellette laterali.[4]
Dopo il Concilio Vaticano II, con il suo rinnovamento, don Tosetti restaurò e semplificò nelle sue linee l’interno della chiesa, aggiungendovi lesene e altre parti in marmo. Restaurò il portale, l’organo, rinnovò i confessionali, il coro, l’impianto di illuminazione della chiesa e l’impianto fonico. Fu rifatto nuovo l’altare, il coro, e l’ambone per la liturgia della Parola.
Dotò la chiesa di impianto di riscaldamento e ricavò per l’oratorio un nuovo capace salone per le grandi riunioni, con teatrino. Furono particolarmente fiorenti allora le associazioni di Azione Cattolica e il coro parrocchiale. Ebbe per stretti collaboratori i sacerdoti don Aldo Dalla Libera, don Giulio Florian, don Ettore Corrò e don Luigi Sartor. Nel settembre del 1978, don Mario Tosetti terminò la cura pastorale di S. Michele dove profuso le sue energie e capacità.
Il 22 ottobre 1978, salutato festosamente dai parrocchiani di S. Michele, e dai suoi compaesani di Bagnaria (Pavia), faceva il suo ingresso il nuovo parroco don Mario Tambornini. Proveniva da Vigevano ove era stato per molti anni reggente della parrocchia di S. Maria di Fatima, affidata agli orionini. Egli fu parroco per quasi quattro anni, dopo i quali dovette ritirarsi per ragioni di salute, rimanendovi tuttavia per altri due anni come umile e prezioso collaboratore.
Don Enzo Frisino divenne parroco dal 1981 e vi rimase fino al 1991. Sacerdote mite, preparato pastoralmente, zelante, dai toni bassi e dall’atteggiamento amico, portò il contributo prezioso della sua giovinezza e del suo entusiasmo, nel solco di Don Orione, per l’edificazione della comunità parrocchiale di S. Michele.
A lui succedettero don Angelo Pellizzari, missionario proveniente dal Paraguay, e poi don Antonio Lecchi, don Maurizio Macchi, don Renzo Vanoi.
Nel 2021, nel quadro della ristrutturazione territoriale delle parrocchie di Tortona, la sede e la chiesa della Parrocchia passarono da San Michele a San Bernardino. La storica chiesa annessa alla Casa Madre rimase Rettoria in cui si svolge apostolato liturgico in collaborazione con la parrocchia di San Bernardino cui appartiene.
Don Giulio Florian
[1] Testi di Giuseppe Decarlini e di Giulio Florian, leggermente ritoccati e integrati da Flavio Peloso.
[2] Questo era il contenuto specifico delle richieste di Bandi al Papa: “I – di potere alienare alla pia Opera stessa una Casa degli Oblati del Sacro Cuore di Gesù, per abitazione dei membri dell’Opera della Divina Provvidenza. II – di potere impiegare la somma della Casa alienata, in lire venticinque mila, ad esonerazione dei pesi gravanti pel Seminario Diocesano di Stazzano; III – di unire e cedere alla stessa Opera della Divina Provvidenza il beneficio parrocchiale, colla relativa Chiesa sotto il titolo di S. Michele Arcangelo, esistente in Tortona, aderente alla Casa di cui trattasi, (…) e ciò non appena la parrocchia predetta venisse vacante o per morte o per rinuncia dell’attuale investito; riservando all’Ordinario la nomina, sopra presentazione del Superiore dell’Opera della Divina Provvidenza, di uno dei membri della stessa all’ufficio di parroco, e la rimozione del medesimo “ad nutum Episcopi”; Lettera del 24 giugno 1905 a Pio X; il successivo 4 luglio 1905, Pio X benignamente concedeva quanto era stato richiesto; Archivio Don Orione, cart. Bandi V, III. La Parrocchia di San Michele fu smembrata e ridotta ad una striscia di territorio fino al Santuario; con il territorio tolto, fu costituita la parrocchia del Duomo e furono ingrandite le altre parrocchie cittadine limitrofe.
[3] Finì i suoi giorni proprio nella sua terra natìa, il 15 agosto 1937, quando di ritorno dalla celebrazione della Messa in una chiesetta campestre, fu stroncato da un infarto e spirò lì, sul ciglio della strada.
[4] Nel 1973, tutti gli affreschi furono ripuliti e la chiesa tutta ritoccata o restaurata nelle decorazioni dal pittore Dino Bonalberti di Como.