MESSA PER I LAICI. Commento al formulario liturgico

L'articolo offre una attenta analisi del formulario liturgico della "Messa per i laici" evidenziandone gli importanti elementi di dottrina e spiritualità secolare.

LA MESSA PER I LAICI

Spunti di spiritualità secolare dal formulario liturgico

Don Flavio Peloso

 

            Sappiamo che per la tradizionale e nota relazione tra "lex orandi" e "lex credendi" i testi liturgici esprimono in preghiera la fede e la comprensione della Chiesa a riguardo dei misteri salvifici celebrati e delle realtà della vita cristiana. Le orazioni proprie del formulario della "Messa per i laici" sono un ottimo osservatorio per cogliere quanto la Chiesa pensa e celebra circa la vocazione e la missione dei laici. Di qui l'interesse a riflettere su questo formulario, inserito nel Messale del dopo Concilio Vaticano II, con l'intento di offrire alcuni spunti di spiritualità laicale secolare.

 

            ANTIFONA DI INGRESSO

        "Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna impasta con tre misure di farina, perché la fermenti tutta" (Mt 13,33).

           
              L'antifona d'ingresso generalmente prende dal Vangelo o da un altro testo sacro lo spunto per gettare una luce sul particolare tema, o evento salvifico, o personag­gio, celebrato nella Messa.
            Il testo evangelico scelto per illuminare la realtà della vocazione e del ruolo dei laici nella Chiesa è molto significativo. Basterebbe fermarsi ad analizzare questa semplice frase di Gesù per capire la missione stessa della Chiesa. "Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna impasta con tre misure di farina, perché la fermenti tutta" (Mt 13,33).

            Una prima sottolineatura. Con l'espressione evangelica è ricordato che al centro del discorso su laicità e secolarità sta la realtà del "Regno dei cieli". Ogni consacra­zione, ogni missione - i profeti, Gesù, gli apostoli, la Chiesa, i cristia­ni - ha questa prospetti­va: il Regno.
            "Oggi si parla molto del Regno, ma non sempre in consonan­za col sentire ecclesiale. Ci sono, infatti, concezioni della salvezza e della missione che si possono chiamare "antropocen­triche" nel senso riduttivo del termine, in quanto incentrate sui bisogni terreni dell'uomo" (Redemptoris missio, 17).

            Che cosa si intende per il "Regno"?  Possiamo trovare un riferimento sicuro della fede della Chiesa leggendo i testi della "preghiera eucaristica". Vi si parla del Regno e dei suoi protagoni­sti: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo; e poi la Madonna, i Santi, la Chiesa tutta, trion­fante, purgante e peregri­nan­te; il mistero del Regno è già compiuto e, insieme, incamminato verso la pienezza escatolo­gica; il Regno ha dimensioni visibili e invisibili; è eterno e cresce nella storia. Il Regno è "Dio con noi". "Il Regno si manifesta nella persona stessa di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, il quale è venuto 'a servire e a dare la sua vita in riscatto per molti' (Mc 10,45)" (Lumen gentium, 5).
            E la missione del cristiano consiste nell'edificare il Regno di Dio.

            "Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna impasta con tre misure di farina, perché la fermenti tutta" (Mt 13,33).
            Probabilmente, questa frase di Gesù è stata scelta nella Messa per i laici perché, con il suo dinamismo, meglio esprime il tipo di presenza dei laici nella Chiesa, il loro compito e missione. Notiamo il dinamismo... "che una donna impasta con tre misure di farina, perché la fermenti tutta". Il "Regno", allora, non è qualcosa di già tutto fatto,  ma è qualcosa che, per certi aspetti, è ancora da fare ("impa­sta").
            C'è già il lievito, c'è già questo impasto del mondo consacrato ("il Regno è già in mezzo a voi"), ma occorre continuare l'azione nella storia e nei sacramenti per "instau­rare omnia in Christo" (Ef 1,10).

           Le "tre misure di farina" indicano una possibi­li­tà, ma anche una parzialità, un limite. I cristiani hanno orizzonti amplissimi - e devono averli! - però insieme devono considerare  "le tre misure di farina" che sono il luogo del Regno, dell'im­pasto. Sono lo spazio della concretezza, dell'incarna­zione.
            Ognuno è a contatto con realtà ben precise, con possibili­tà e limiti e resistenze. Da una parte, si riconosce che c'è questa vita, il Regno; questo dinamismo è attivo, grande, inarresta­bile, divino; dall'al­tra parte, non va dimenticato che la partecipa­zione alla costru­zione del "Regno", all' "insta­urare omnia in Christo" passa attraverso quelle "tre misure di farina" quotidiane, feriali, secolari.
            Questa immagine del vangelo ha il valore e la poesia delle cose semplici, della vita. Propone l'impegno ad essere ben dentro le nostre "tre misure di farina": sciolti, comunica­tivi, oblativi, evitando il rischio di raggrumarsi, di autoconservarsi.  La liturgia, nel parlare dei laici, richiama questo dinamismo evangeli­co di apertura, di collegamento, di amalgama.

            I cristiani, da una parte sono chiamati ad essere accogli­en­ti del mondo in cui vivono e dall'altra propositivi, tensio-attivi. Per impastare occorre, però, che il lievito si lasci sciogliere. Attività e passività. È necessario questo sciogli­mento, questo accoglie­re la massa; a volte la massa ci urta, a volte cerchiamo di isolarci, ci ripugna; c'è, infatti, il peccato, c'è il male, c'è l'insa­pore, c'è l'inodore, il non senso... Non è facile "subìre la massa", subìre le nostre "tre misure" di vita.

            Gesù ha "subìto" concretamente un popolo, i discepoli, la folla; li ha accolti, gli sono pesati. La passione e la croce di Gesù rappresentano, come simbolo e come realtà concreta, il suo subìre l'umanità peccatrice; è la conseguenza della sua incarnazione. Ma è la condizione per poter "effondere lo Spirito", impastare, salvare.

            "Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna impasta con tre misure di farina, perché la fermenti tutta" (Mt 13,33). Basta questo flash di luce evangelica per dire della situa­zione di laici nel mondo.

 

            COLLETTA

O Dio che hai dato al mondo il tuo Vangelo come fermento di vita nuova, concedi ai laici, che vivono la loro quotidiana esperienza al servizio della comunità umana, di portare nelle realtà terrestri l'autentico spirito del Cristo, per l'edificazione del tuo regno. Per il nostro Signo­re.


            La Colletta comprende due elementi strutturali fondamenta­li: l'invoca­zione e la petizione. Per mezzo di essa si esprime l'indole della celebrazione e con le parole del sacerdote si dirige la preghiera a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito santo. E' il testo eucologico più importante da un punto di vista della significazione specifica dell'indole della celebrazione.

            La Colletta della Messa per i laici propone come caratterizzante la simbologia del "lievito". E' detto chiaramente che il fermento è il Vangelo, è la vita divina, vita nuova, origina­le e originante, autenti­ca. Il fermento non è una dottrina nuova, non sono valori nuovi, non una morale nuova, riti nuovi, non una nuova religiosità. E' "anche" tutto questo. Il fermento è la "vita nuova" data dall'"autentico spirito del Cristo". Il fermento è un "avvenimento" storico, reso a noi presente per l'annuncio e per la grazia sacramenta­le; il fermento è Gesù di Nazaret, Figlio di Dio crocifisso, risorto, oggi vivo, unico salvatore e signore; il fermento è lo Spirito di Gesù in noi!

            "Concedi ai laici che vivono la loro quotidiana esperien­za al servizio della comunità umana...".
            L'espressione ricorda che lo specifico del laico non è il servizio della Chiesa in senso ministeriale, ma è il "servizio della comunità umana". Il Vaticano II descrive il laico in due prospettive: il laico è un christifidelis (LG 31a) ed è caratterizzato dall' indole secolare (LG 31b). L'Enciclica Christifideles laici, al n.23, mette in guardia circa "l'inter­pretazione arbitraria del concetto di 'supplen­za', la tendenza alla 'clericalizzazione' dei fedeli laici".

            Il laico può anche dedicarsi ad un servizio ministeriale nella Chiesa, ma non è questo lo specifico. Lo specifico del laico è "essere" e "diffondere" il Vangelo nelle "tre misure di farina" della propria esperienza quotidiana; è impastare il Vangelo nelle tre misure della sua comunità umana.

            "I settori di presenza e di azione missionaria dei laici sono molto ampi. 'Il primo campo... è il mondo vasto e compli­cato della politica, della realtà sociale, dell'economia...' sul piano locale, nazionale e internazionale" (Redemptoris missio 72).
            L'obiettivo dell'impa­sto della Chiesa nel mondo è quello di "portare nelle realtà terrestri l'autentico spirito del Cristo". E ce n'è bisogno. "Convertite­vi e credete al vangelo" (Mc 1,15). E' la missione affidata dal Cristo risorto ai discepoli: "andate... a tutte le nazioni" (Mt 28,18-20), "predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mt 16,15). I cristiani sono "debitori del vangelo" verso tutti. "Noi non possiamo tacere" (At 4,20).

            La missione di evangelizzazione, di "consecratio mundi" presuppone non una visione illusa circa la bontà dell'uomo e del mondo - l'uomo e il mondo sono anche regno del male, regno dell'egoi­smo, della violenza, della sopraffa­zione, della falsità -; e neanche si basa su una visione pessimi­stica che consideri il mondo come dannato, perso, profano, senza Dio.

            Il cristiano, come Gesù di Nazaret, il Cristo, si mette dentro al mondo con questa vita nuova che viene dal Vangelo (Rm 6,4), la vita della Grazia divina, lo Spirito Santo; ci si mette dentro con l'atteggiamento di chi sa che "il mondo è di Dio", è già di Dio, ma è anche in balia del Maligno e dei suoi tanti accoliti e collaboratori, orgogliosi del male o inganna­ti.

            Il cristiano è, e positivamente si pone, "dentro al mondo" per portare nelle realtà terrestri lo Spirito del Cristo per l'edifica­zione del "suo Regno": "venga il tuo Regno!". Il cristiano che vive e agisce nella Grazia di Dio contribuisce a ché il mondo venga ordinato come Regno di Dio attraver­so il passaggio lento della "nuova creazione" (2Cor 5,17), della santificazione. Se la santificazione dell'uomo è realizzata per mezzo dei sacramenti ed ha il sacerdote come "ministro", la santificazione delle realtà terrestri è attuata tramite la scienza, la tecnica e gli impegni temporali, ed ha come "ministri" i cristiani laici (Giuseppe Lazzati).

            Un altro spunto. Gesù richiama in più occasioni la lentezza del fermento o della crescita del buon seme. A volte, anche in cristiani fervorosi, si insinuano lo smarrimento o lo sconforto dovuti all'impressione che il mondo non migliori o che, addirittura, peggiori. Ma non è vero che il mondo sia sempre lo stesso.
            Certo, le modalità e le manifestazioni dei limiti, del male e del peccato ritornano, però c'è una crescita personale e c'è anche una crescita di popoli, di epoche. Noi siamo "dentro" alla nostra storia (la pasta) e neanche ci possiamo rendere conto dei suoi progressi, soprattutto di quelli spirituali. Ma se per una di quelle magie che avvengono nei films o nei libri di avventure, potessimo confrontarci con un uomo o con la vita dell'epoca romana o del 1000, o del 1700, avrem­mo un'idea del cambia­mento enorme, dell'innalza­mento avvenuto nella sensibili­tà comune, di società, di umanità. E' chiaro che la miseria, le ricadute persona­li e sociali si susseguono, ma Gesù nel Vangelo ci assicura che il seme, una volta gettato, cresce perché ha una vitalità propria, interio­re.

            La Chiesa, i laici nel mondo, possono trasmettere e diffondere ("impasta­re") la vitalità del fermento, ma è il fermento stesso che fa crescere. E poi c'è l'azione misteriosa e potente del "dito di Dio", della "mano della Divina Provvi­denza"!
            "Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpi­ti da non pochi fatti negativi, che posso­no indurre al pessi­mismo. Ma è, questo, un sentimen­to ingiustifi­cato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà e misericordia. La speranza cristiana ci sostiene nell'impe­gnarci a fondo per la nuova evangelizzazione e per la missione universale, facendoci pregare come Gesù ci ha insegna­to: 'Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra'" (Mt 6,10)" (Redemptoris missio, 86). 

            La missione dei laici cristiani "diffusi nel mondo" è quella di trasforma­re piano piano le "tre misure di farina". Per la presenza di Cristo e dei cristiani, il mondo, questo mondo, diviene Regno di Dio, Regno dei cieli.

 

              SULLE OFFERTE

O Dio, che nel tuo disegno universale di salvezza chiami anche i laici a un impegno di apostolato, concedi loro di essere lievito di santifica­zione per rinnovare l'umanità nella luce del Vangelo. Per Cristo nostro Signore.


            L'orazione sulle offerte conclude il rito della presenta­zione dei doni per il sacrificio eucaristico. In essa si chiedono a Dio le disposizioni interiori necessarie affinché la comunità cristiana viva quanto in quelle offerte, poi trasfor­mate nella presenza di Cristo, è significato.

            Il testo della Messa per i laici richiama soprattutto l'aspetto attivo dell'impe­gno del cristiano nell'apostola­to. "O Dio, che nel tuo disegno universale di salvezza chiami anche i laici a un impegno di apostolato".

            Quel "chiami anche i laici", a prima impressione, sembrerebbe quasi insinuare che l'apostolato è "roba da preti, frati e suore", e che, per i laici, è qualcosa di aggiunto, di secondario... Ma sappiamo bene che, invece, richiama la dottrina, antica e nuova, del Concilio Vaticano II, secondo la quale la Chiesa è "tutta" chiamata alla evangelizzazione e all'apostolato. "Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evange­lizzare" (Evangelii nuntiandi 14). "La missione è di tutto il popolo di Dio... si esplica in svariate forme, è compito di tutti i fedeli. La partecipazione dei laici all'e­spansione della fede risulta chiara, fin dai primi tempi del cristianesimo, a opera di singoli fedeli e famiglie, sia sia dell'intera comunità" (Redemptoris missio 71 e 72; Christifideles laici 35).

            Tutti i cristiani, rinati dall'acqua e dallo Spirito, sono diventati "un sacerdozio regale e una nazione santa", appunto con il compito di "proclamare le opere meravigliose di lui" che ha chiamato l'umanità "dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1Pt 2,9). Per diventare "apostolo", dopo che con il battesimo è "rinato a vita nuova" e con la cresima è diventato "testimone", il cristiano non ha bisogno di alcun atto ulteriore, di nessun’altra investitura particolare, salvo che per particolari ministeri ecclesiali.

            Di questa preghiera merita una sottolineatura il "concedi loro di essere lievito". E' una grazia l'essere lievito, l'essere evangelici, l'essere nell'auten­tico spirito del Cristo.
            Il "lievito" non è solo un simbolo per illustrare un comportamento; indica l'importan­za del dono di Dio, ai fini di "ess­ere lievito". Qui è detto chiaramente che tale dono - stato di vita - occorre chiederlo a Dio: "concedici di essere lievito di santificazione".

            Non manchi nel cristiano la coscienza che il fatto di "essere lievito" è una grazia. Non è per un ideali­smo, per una coerenza morale, per un progetto umano che i cristiani si impegnano. È per un dono; è perché la "vita nuova" è penetrata nell'intimo della personalità di credenti, di "consa­cra­ti". E nella misura in cui siamo raggiunti dal fuoco dello Spirito incendie­remo gli altri della stessa fiamma; nella misura in cui saremo lievito, faremo lievitare di vita nuova persone e realtà con le quali siamo in contatto. "Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e irradiazione" (Evangelii nuntiandi 41-42).
            Non cessi mai la preghiera umile, filiale per chiedere "il dono di essere lievito". E non venga meno la cura amorosa e fedele di questo dono.

 

            ANTIFONA ALLA COMUNIONE (prima)

 "In questo è glorificato il Padre mi­o: che diventi­ate miei discepo­li, e portiate molto frutto".


            L'antifona alla comunione introduce i fedeli a meditare, nel momento del convito eucaristico, sul significato e sui frutti dell'Eucare­stia, "culmine e fonte" della vita del cristiano.

            Il senso primario della liturgia sta - da parte della Chiesa - nel dare lode a Dio. E la lode al Signore in che cosa consiste? In che cosa "è glorifica­to il Padre"?
            Lo ricorda l'antifona: è glorificato dal fatto che noi siamo suoi discepoli, che noi "portiamo molto frutto". Lode a Dio è la vita buona, la vita santa. Uno dei Padri della Chiesa, S.Ireneo, afferma chiaramente: "gloria di Dio è l'uomo vivente", cioè l'uomo vivo, attivo, santo; e poi prosegue e dice: "vita dell'uomo è la visione di Dio" (Ad Haereses IV 20,7). 
            C'è reciprocità tra vita dell'uomo e gloria di Dio. E' il medesimo dinamismo che porta alla gloria di Dio, alla vita dell'uomo, al portar frutto e alla edifica­zione del Regno.
           C'è reciprocità tra il "diventare discepoli" e il "portare molto frutto": "solo se si è uniti a Cristo come il tralcio alla vite (cfr. Gv 15,5), si possono produrre buoni frutti. La santità di vita permette a ogni cristiano di essere fecondo nella missione della Chiesa... La partecipazione alla missione universale, quindi, non si riduce ad alcune particolari attività, ma è il segno della maturità di fede e di una vita cristiana che porta frutti" (Redemptoris missio 77).

            "Rinnoveremo noi e tutto il mondo in Cristo, quando vivremo Gesù Cristo, quando ci saremo realmente trasformati in Gesù Cristo", scrive Don Luigi Orione. "Ma questo calore, il vigore di una più alta e copiosa vita spirituale, come potremo noi darlo, come trasfonderlo negli altri, se non lo vivremo prima noi? E come potremo viverlo, se non attingendolo a quella sorgente divina, che è Cristo? Egli, ed Egli solo, è la fonte viva di fede e di carità che può ristorare e rinnovare l'uomo e la società" (Lettere II, p.500).

 

            ANTIFONA ALLA COMUNIONE (seconda)

Acclamate al Signore, popoli tutti, servite il Signore nella gioia, present­atevi a lui con esultan­za.


            Questa seconda antifona alla comunione mette in luce la prospettiva universale della salvezza di Dio. Dio è per tutti. La Chiesa è per tutti.

            Il cristiano è tutt'altro che un settario. E' intrinseco alla condizione di cristiani il desiderio che "tutti i popoli acclamino al Signore", che "venga il suo Regno", che Gesù di Nazaret sia riconosciuto da tutti come il Figlio di Dio, Salvatore e datore di vita eterna. Oggi, di fronte a tanti egoismi, chiusure, integralismi e violenze, la contesta­zione del cristiano è aprire le braccia, essere accogliente, dare la vita.

            La "accoglienza" delle diversità nell'unità è proprio del dinamismo cristiano: essere cristiano, essere cattolico vuol proprio dire essere universale. E' il dinamismo della paternità universale di Dio; della redenzione universale di Cristo ("sangue sparso per voi e per tutti"); dell'azione dello Spirito (1Cor 12,4); della missione della Chiesa, "sacramento universale di salvezza".

            L'antifona, dunque, richiama il laico agli orizzonti ampi del mondo, dei popoli. Il suo cuore e la sua azione devono espan­dersi, andare oltre, andare a tutti; il laico "nel mondo e con i mezzi del mondo" esprime la Chiesa missionaria che abbraccia tutte le genti. La Chiesa è missiona­ria come popolo, cioè con i laici, diversamente la sua azione è mortifi­cata.
            I laici, proprio per il loro ordinario inserimento nel mondo, tra la gente, tra chi non crede, tra chi è di altra religione, "si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana", come diceva Pio XII (Cfr. Christifideles laici, 9).

            La presenza accogliente e professante - e in taluni casi combattente - porta alla tensione ecumenica della Chiesa, in cammino verso l'"instaurare omnia in Christo" (Ef 1,10). Come conciliare il dovere dell'annuncio evangelico e il dialogo con chi ha altra fede, cultura, vita? Come proporre e persegui­re l'unità in Cristo e nella Chiesa e rispettare la diversità e talvolta le contraddizioni altrui?

            "Nessun timore di essere accusati di proselitismo può raggelare il nostro slancio apostolico. Il proselitismo, che noi fermamente respingiamo, consiste nel non rispettare la libera autonomia delle persone a decidere o nel cedere alla tentazione di percorrere per cristianizzare le vie della violenza, dell'astu­zia, delle indebite pressioni psicologiche. Noi dobbiamo e vogliamo contare soltanto, oltre che sulla Grazia illuminante del Signore, sul fascino naturale che la verità immancabil­mente possiede quando è efficacemente presen­tata e testimoniata dall'amore che da essa è sostenuto e promosso" (Card. G. Biffi).

            Noi cristiani, proprio perché abbiamo la convinzione che Dio è padre di tutti, che Cristo è redentore di tutti, che l'azione dello Spirito si fa sentire in tutti, abbiamo la fiducia che portare Cristo non è un principio di divisio­ne, ma è il vero e finale principio di comunione piena e duratura. La temporanea divisione, che a volte si verifica ("sono venuto a portare il fuoco... la divisione...; in una casa, tre contro due e due contro tre", Lc 12,49-53; Mt 24; Gv 15,18ss), è legata ai limiti del "cuore" umano, o anche è dovuta alla temporanea affermazione del male, sotto forma di ignoran­za, inganno, durezza di cuore o rifiuto cosciente o per una delle tante evoluzioni della "lotta fra le tenebre e la luce" (Gv 1,4-14; 8,12; Mt 6,23).

            Come Cristo, così la Chiesa è segno di contraddizione e di comunione. "Stendi, o Chiesa del Dio vivente, le tue grandi braccia, e avvolgi nella tua luce salvatrice le genti. O Chiesa veramente cattolica, Santa Madre Chiesa di Roma, unica vera Chiesa di Cristo, nata non a dividere, ma ad unificare in Cristo e a dar pace agli uomini!" (Don Luigi Orione, Lettere II,215).

            Il mondo ha bisogno di Cristo e della Chiesa per trovare la vera unità e pace.
            Anche se il cristiano, talvolta, pronunciando il nome di Cristo, facendo il segno della croce e persino ponendo i segni della carità, provoca reazioni, crea contrasti... deve lasciare che ciascuno, nella libertà, anche attraverso la negazione, prenda il suo posto di fronte a Cristo, davanti alla sua croce e alla sua tomba vuota. Per quanto sta in lui, è chiamato a tenere le braccia aperte, sempre e a tutti.

            Il cristiano è "cattolico". Non è facile conservare l'attitudine di comunione, special­men­te di fronte al rifiuto, all'indifferenza, alla lotta. Deve guardare alla Croce, mistero di unità. Presso la croce c'erano quanti avevano accolto Gesù e quanti, dalla croce, furono raggiunti dalla preghiera "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno" di Colui che nella sua grande misericordia ha "sparso il sangue per voi e per tutti".
            Nessun settarismo quindi, né attivo né subìto. Nessun settarismo, tanto meno, nei laici che della Chiesa sono le braccia avanzate per abbraccia­re i lontani. Tutti, tutti, tutti.

 

            DOPO LA COMUNIONE

O Padre, che nel convito eucaristico ci hai comunica­to la forza inesauribile del tuo Spirito, fa' che i tuoi figli, impegna­ti nel costruire un mondo più giusto e fraterno, siano portatori del messaggio evangelico, per rendere presente e operante la tua Chiesa nei problemi vitali del nostro tempo. Per Cristo nostro Signore.


            La preghiera dopo la Comunione, in genere, serve a chiedere a Dio i frutti del mistero celebrato e a "mettere in cammino" la comunità cristiana, dalla celebrazione alla vita quotidiana.  Al termine della Messa, la preghie­ra aiuta il cristiano a dare uno sguardo al futuro prossimo e al futuro lontano. C'è poi sempre un accenno al Regno, al Paradiso, alla vita eterna, perché questo è l'orizzonte che misura e da senso alla vita quotidiana.

            Nell'orazione sulle offerte si era chiesto al Signore "concedi loro di essere lievito". Attraver­so quale canale il Signore concede il lievito della vita nuova? L'orazione dopo la comunione risponde: per mezzo del convito Eucaristico. "Nel convito eucaristico ci hai comunicato la forza inesauribile del tuo Spirito". Questo è il lievito.

            Il lievito uno non se lo può dare; non è una associazione cristiana, non è una congregazione religiosa che lo può dare; è dono del Signore. Il cristiano deve attingere la sua vita da Dio, come i tralci dalla vite; gli viene dall'essere personal­mente unito a Cristo.
            Il lievito va chiesto, accolto e poi comunicato nel convito eucaristico. Di qui l'importanza della Eucarestia nella vita di un cristiano. Per una persona consacrata, l'Eucarestia è il punto fondamentale. C'è la tentazione dell'abitudine. Occorre curare le buone disposizioni per "partecipare consape­volmente, attivamente e fruttuosamente" (SC 11 e 48); si tratta di reagire a quella che potrebbe diventa­re una ripeti­zione monotona. Certo. Ma, nell'Eu­ca­restia, è sì impor­tante quello che opera il sacerdote, quello che fanno i fedeli, che devono celebra­re "bene", ma molto più importante è quello che opera Dio. E Dio opera efficacemente; "comunica la forza inesauribile del suo Spirito". E non si ripete. E non si stanca.
            La fedeltà all'Eucarestia è la condizione della fedeltà all'"essere lievito".

            "I tuoi figli, impegnati nel costruire un mondo più giusto e fraterno, siano portatori del messaggio evangelico, per rendere presente e operante la tua Chiesa nei problemi vitali del nostro tempo".
            È richiamata la dinamica propria, secolare, dell'impegno missionario dei laici: "nel mondo e con i mezzi del mondo" (Primo feliciter, 6), essi sono portatori del Vangelo, sono presenza attiva della Chiesa nelle realtà di vita, quotidiane e laiche, bisognose di essere "salvate" e ordinate secondo il progetto di Dio. "L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione" (Redemptoris missio, 42).

            L'orazione ricorda, infine, la dimensione comunitaria/ecclesiale di questo "essere fermento nel mondo". "Evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale", "se ciascuno evangelizza in nome della Chiesa... deve farlo in comunione con tutta la Chiesa e con i suoi pastori" (Evangelii nuntiandi 60). E' la Chiesa il "corpo di Cristo", la "sposa di Cristo": solo nella Chiesa e in quanto appartiene alla Chiesa, il cristiano può diventare strumento di irradiazione soprannaturale (Cfr. Redemptoris missio 45 e 49).

            Il cristiano, e ancor più chi vive una speciale consacra­zione, è consacrato nella Chiesa, inviato dalla Chiesa; è ambascia­tore, testimone della Chiesa, specialmente dove ci sono delle scelte, degli orientamenti, dei comportamenti che toccano la vita della gente, della società per "instaurare omnia in Christo".

            "Essere nel mondo, cioè essere impegnati nei valori secolari, è il vostro modo di essere Chiesa. La vostra condi­zione esistenziale e sociologica diventa vostra realtà teologi­ca, è la vostra via per realizzare e testimoniare la salvezza" (Paolo VI agli Istituti Secolari, 20.9.1972).