LEONE XIV, IL NOME E IL SUO SIGNIFICATO

La scelta del nome "Leone" è una vera e propria dichiarazione di identità e di intenti. Richiamandosi a Leone (Leone Magno e Leone XIII), il Papa si colloca nell'atteggiamento che quei Predecessori vissero nel contesto storico della Chiesa del loro tempo: quello della fermezza dottrinale, della difesa dell’unità ecclesiale e, insieme, del dialogo e dell’impegno con la storia e le sue novità (Rerum Novarum) e della riforma radicata nella tradizione.

Chi è il Papa? Perché Leone?

 

Papa Leone XIV, ieri il 10 maggio, nella Cappella Sistina, ha incontrato "in intimità" i Cardinali che lo hanno eletto e ha detto loro parole molto importanti.
Invito a leggere il testo del suo discorso. Evidenzio alcuni passaggi che danno il volto umano e religioso di Leone XIV e del suo ministero appena iniziato. Ascoltiamo lui e non andiamo in cerca da altri di sapere “chi è il Papa”, "cosa pensa il Papa”, "cosa farà il Papa”.

Leone XIV ha esordito dando quasi una definizione di chi è il Papa.

“Il Papa, a cominciare da San Pietro e fino a me, suo indegno Successore, è un umile servitore di Dio e dei fratelli, non altro che questo. Bene lo hanno mostrato gli esempi di tanti miei Predecessori, da ultimo quello di Papa Francesco stesso, con il suo stile di piena dedizione nel servizio e sobria essenzialità nella vita, di abbandono in Dio nel tempo della missione e di serena fiducia nel momento del ritorno alla Casa del Padre. Raccogliamo questa preziosa eredità e riprendiamo il cammino, animati dalla stessa speranza che viene dalla fede”.

Non conta il protagonismo del Papa. Protagonista è Cristo Risorto e il suo Spirito che da vita al suo Corpo visibile, la Chiesa.

"È il Risorto, presente in mezzo a noi, che protegge e guida la Chiesa e che continua a ravvivarla nella speranza, attraverso l’amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5,5). A noi spetta farci docili ascoltatori della sua voce e fedeli ministri dei suoi disegni di salvezza, ricordando che Dio ama comunicarsi, più che nel fragore del tuono e del terremoto, nel «sussurro di una brezza leggera» (1Re 19,12) o, come alcuni traducono, in una “sottile voce di silenzio”. È questo l’incontro importante, da non perdere, e a cui educare e accompagnare tutto il santo Popolo di Dio che ci è affidato".

Il Papa ha invitato ad avere coscienza della bellezza e della grandezza della Chiesa. È una “famiglia”, è un “grembo” che genera, ma anche un “campo” e un “gregge” da curare.

"Nei giorni scorsi, abbiamo potuto vedere la bellezza e sentire la forza di questa immensa comunità, che con tanto affetto e devozione ha salutato e pianto il suo Pastore, accompagnandolo con la fede e con la preghiera nel momento del suo definitivo incontro con il Signore. Abbiamo visto qual è la vera grandezza della Chiesa, che vive nella varietà delle sue membra unite all’unico Capo, Cristo, «pastore e custode» (1Pt 2,25) delle nostre anime. Essa è il grembo da cui anche noi siamo stati generati e al tempo stesso il gregge (cfr Gv 21,15-17), il campo (cfr Mc 4,1-20) che ci è dato perché lo curiamo e lo coltiviamo, lo alimentiamo con i Sacramenti della salvezza e lo fecondiamo con il seme della Parola, così che, solido nella concordia ed entusiasta nella missione, cammini, come già gli Israeliti nel deserto, all’ombra della nube e alla luce del fuoco di Dio (cfr Es 13,21)".

Ha esortato a proseguire il cammino in continuità con il Concilio Vaticano II e con quelle caratteristiche tipiche e necessarie al nostro tempo.

"Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione apostolica "Evangelii gaudium", di cui voglio sottolineare alcune istanze fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cfr n. 11); la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cfr n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cfr n. 33); l’attenzione al sensus fidei (cfr nn. 119-120), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cfr n. 123); la cura amorevole degli ultimi, degli scartati (cfr n. 53); il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà (cfr n. 84; Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, 1-2).
Si tratta di princìpi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della Famiglia di Dio, di valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato e continua a rivelarsi nel Figlio fatto uomo, speranza ultima di chiunque cerchi con animo sincero la verità, la giustizia, la pace e la fraternità (cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, 2; Francesco, Bolla Spes non confundit, 3).

Su questa linea del Concilio Vaticano II, il Papa ha spiegato la ragione principale della sua scelta del nome “Leone”. Fu Leone XIII a dare alla Chiesa un forte orientamento pastorale e di dialogo con la società e i suoi problemi, ai quali ha importanti risposte da dare.
Si può dire che il Concilio Vaticano II iniziò con Leone XIII e continuerà con Leone XIV, con un fattivo atteggiamento di dialogo e di incarnazione nelle “cose nuove”
(Rerum Novarum) dell’umanità.

"Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica Enciclica "Rerum novarum", affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro".

Leone XIV ha concluso assumendo come propri i sentimenti e la preghiera di san Paolo VI all’inizio del Pontificato.

"Fratelli carissimi, vorrei concludere questa prima parte del nostro incontro facendo mio – e proponendo anche a voi – l’auspicio che san Paolo VI, nel 1963, pose all’inizio del suo Ministero petrino: «Passi su tutto il mondo come una grande fiamma di fede e di amore che accenda tutti gli uomini di buona volontà, ne rischiari le vie della collaborazione reciproca, e attiri sull’umanità, ancora e sempre, l’abbondanza delle divine compiacenze, la forza stessa di Dio, senza l’aiuto del Quale, nulla è valido, nulla è santo» (Messaggio all’intera Famiglia Umana Qui fausto die, 22 giugno 1963). Siano questi anche i nostri sentimenti, da tradurre in preghiera e impegno, con l’aiuto del Signore".