SARALE NICOLINO: Fede e Carità in Don Luigi Orione.

Sacerdote e scrittore italiano, nella Segreteria di Stato vaticana dal 1978 al 1995, fu assistente ecclesiastico dell'Associazione Santi Pietro e Paolo. Morì il 27 settembre 1995.

FEDE E CARITÀ IN DON LUIGI ORIONE

Nicolino Sarale




IL MESSAGGIO DI DON ORIONE

Nel marzo 1936, Don Orione da Buenos Aires inviava – inciso su disco – agli amici e ai benefattori d’Italia il suo messaggio sulla carità, che in seguito gli sarebbe poi servito come traccia per la sua prima conferenza all’Università Cattolica di Milano, il 19 dicembre 1937 (In Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine, III ed., Ed. Piemme, Casale M., 1995).
Nel suo messaggio, Don Orione comunicava di aver aperto a Rosario di Santa Fè scuole gratuite per più di cinquecento fanciulli poveri e di essersi recato a Santiago del Cile per fondare anche là un «Piccolo Cottolengo»: «Charitas Christi urget nos! – diceva - «Noi siamo dei servi inutili, ma è la carità, e l’amore di Cristo e dei fratelli che ci anima, che si stringe e ci incalza.» E dopo aver citato gli esempi di San Paolo, di San Giovanni Apostolo, di San Francesco d’Assisi, di San Vincenzo de Paoli, di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, elevava – come italiano e sacerdote – l’inno della carità, volendo «fare echeggiare quaggiù quella melodia che risuona nei cieli».
«La carità ci edifica e ci unifica in Cristo. La carità è paziente e benigna, e soave e forte, e umile, illuminata e prudente, compatisce gli altrui difetti, gode del bene altrui, ripone la sua felicità nel fare del bene a tutti, anche ai nemici, si fa tutta a tutti, e onnipossente e trionfatrice di tutte le cose… A partire da Cristo, la religione diventò ispiratrice di carità e con lei è talmente congiunta che il Cristianesimo senza carità non sarebbe che un’indegna ipocrisia… Il nostro Dio è un Dio appassionato di amore; Dio ci ama più che un padre ami il suo figlio; Cristo Dio non ha esitato a sacrificarsi per l’amore dell’umanità. Nel più misero degli uomini brilla l’immagine di Dio».
E concludeva il messaggio tracciando un programma concreto per l’esercizio autentico della carità: «Siamo apostoli di carità, di amore puro, di amore alto e universale, facciamo regnare la carità con la mitezza del cuore, col compatirci, coll’aiutarci vicendevolmente, col darci la mano a camminare insieme. Seminiamo a larga mano sui nostri passi opere di bontà e di amore, asciughiamo le lacrime di chi piange. Sentiamo il grido angoscioso di tanti nostri fratelli, che soffrono e anelano a Cristo; andiamo loro incontro da buoni Samaritano, serviamo la verità, la Chiesa, la Patria, nella carità. Fare del bene a tutti, fare del bene sempre, del male a nessuno».

È un messaggio appassionato e stupendo, che a distanza di anni sempre commuove e stimola, perché sempre valido e sempre attuale. Ma è un messaggio che ci fa anche riflettere sull’origine e sui motivi di tale carità in Don Orione.
La sua carità, così totale ed eroica, così umile e così esigente, era fondata sulla fede cristiana- cattolica, integra e logica, che egli accoglieva con illuminata intelligenza e viveva con impegno, nell’ideale primario della propria personale santificazione.


IL CONFLITTO TRA «VERITA'» E «CARITA'»

Oggi il problema – che talvolta può diventare anche un dramma – è proprio il conflitto tra «verità» e carità», tra «dogma» e «pietà». Sembra che i valori assoluti siano soltanto quelli riguardanti la convivenza pacifica e soddisfatta, nella pianificazione dei beni, nella tolleranza e nel rispetto di ogni idea e di ogni costume, nella fratellanza e nell’aiuto reciproco, senza più affanni metafisici e trascendenti, senza l’assillo della Rivelazione e della Redenzione cristiana, che essendo divine devono avere necessariamente un valore assoluto e universale.
Don Orione innalzava l’inno della carità e la praticava, ma sul fondamento della fede in Cristo e nella Chiesa, non cedendo mai sui principi del dogma, della morale e dell’ascetica, e tutti invitando e stimolando all’unica vera religione.

La sua era una fede illuminata e coerente. È sintomatico il fatto che il 6 marzo 1940, sei giorni prima della morte, in procinto di partire per San Remo, dove non avrebbe voluto recarsi, desideroso di morire non tra le palme, ma tra i poveri, scrisse ancora una lettera ai Chierici dell’istituto filosofico di Villa Moffa, a Bra, nella quale, dopo aver tratteggiato la figura di San Tommaso d’Aquino «Angelo delle scuole e della teologia cattolica, nostro Maestro e Principe» e aver sottolineato di dover aderire «toto corde» ai principi esposti da Leone XIII nell’Enciclica «Aeterni Patris», così si esprimeva: «Niente aiuterà di più la causa della religione, come per nessuno fondamento sarà più saldo e granitico per tutte le scienze, e massime per la sacra teologia, che una filosofia pura, sana e profonda, sulla divina ed eterna pietra, che è Cristo… filosofia che sia animata da un grande amore di Dio».

Aveva perfettamente ragione! La crisi dei valori della civiltà moderna è una crisi filosofica che si è riflessa ed è penetrata anche nella Chiesa, tanto che durante il Sinodo straordinario, indetto da Giovanni Paolo II nel ventennio della chiusura del Concilio vaticano II, il Cardinale Joseph Höffner, Arcivescovo di Colonia, diceva: «Malgrado tutte le cose positive apportate dal Concilio Vaticano II, non si può negare che oggi gravi crisi hanno investito la Chiesa. La crisi attuale è dovuta in gran parte all’ingresso del mondo secolare nella Chiesa, soprattutto sotto forma di una emancipazione smisurata, di soggettivismo, di orizzontalismo, di una riduzione del peccato a semplice comportamento deviante, di consumismo» (Cfr. Inchiesta sul Concilio. Parlano i Protagonisti, Città Nuova Ed. Roma, 1985).

Don Giuseppe De Luca, tracciando un profilo di Pio X e di Don Orione, così li definiva: «…magnifici preti, poveri preti fino all’ultimo… non nemici del loro tempo, ma nemmeno entusiasti… intelligentissimi di natura, capivano tutto, sebbene non avessero troppe letture né troppe scienze». Don Orione aveva perfettamente capito che la carità per essere autentica ed efficace deve esser fondata sulla Verità e informata dall’umiltà, altrimenti può cedere alle passioni umane o addirittura esplodere nella rivolta e nella violenza.

Al termine della tragica bufera della 1a guerra Mondiale, Don Orione così scriveva: «Più fede, ci vuole più fede. Siamo sinceri. Perché non sempre rinnoviamo la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? Ci manca la fede, la fede calda! Viviamo poco di Dio e molto del mondo; viviamo in una vita spirituale tisica, manca quella vera vita di fede e di Cristo in noi, che ha insita in sé tutta l’aspirazione alla verità e al progresso sociale; che penetra tutto e tutti, e va fino ai più umili lavoratori… Manca la fede… Ecco la piaga!». E auspica, per il ritorno del secolo alla verità e per il rinnovamento della vita pubblica e privata nuovi e umili discepoli di Cristo, «anime vibranti di fede, i facchini di Dio» soggiungeva: «Di fede dobbiamo riempire tutte le arterie umane, tutte le vie del mondo. Senza fede avremo il gelo, la decadenza, la morte: senza fede è sterile, è nulla, è vuota la scienza e la vita».

Ma la fede autentica – che è dono della grazia – ha bisogno della conoscenza autentica. Don Orione voleva che la sua Congregazione fosse «non solo una forza religiosa, una forza di fede, una forza di apostolato per le anime, una forza di carità, ma anche una forza dottrinale, una forza di sana e purissima e forte dottrina filosofica e teologica». Infatti, la sana dottrina «non nuocerà alla carità, ma la alimenterà, renderà più efficace e fruttuoso l’apostolato per le anime».
Don Orione così scriveva a Don Sterpi nel 1935 e con una geniale intuizione aggiungeva: «Ora tutti sanno; sapranno male, ma sanno; è di suprema necessità essere forti e ben corazzati a difesa della fede e della Chiesa. Non sarà l’ignoranza che ci farà santi; ma molto gioverà a portarci a Dio non solo la virtù dell’umiltà e della carità, ma la scienza di Dio»
(A Don Sterpi, 14 ottobre 1935).

Mentre infuriava la «crisi modernista», con i ben noti drammi interiori di illustri personalità, personalmente conosciute e amorevolmente seguite da Don Orione, egli con estrema semplicità e linearità predicava e testimoniava la fede cristiana-cattolica unita all’ardente carità: «Il mondo fu convertito e si converte con la grazia divina e col Catechismo. Come il cristianesimo nacque e si stabilì con la predicazione semplice del Vangelo, ossia col catechismo; così lo dobbiamo conservare e ravvivare fra i popoli: la dottrina di Gesù rientri ancora nelle famiglie e nelle scuole come il primo elemento di educazione morale, come l’insegnamento necessario e base di ogni altro… Carità viva, carità grande, carità sempre! La carità del Signore nostro Crocifisso: ecco il segreto, ecco l’arte di tirare a noi, di toccare i cuori, di convertire, di illuminare e di educare i fanciulli, speranza dell’avvenire e delizia del Cuore di Dio!» (L’Opera della Divina Provvidenza», 13 febbraio 1907).

L’inno della carità è sempre unito in Don Orione all’inno della fede cristiana-cattolica ed è questo l’insegnamento che egli ci dà: la fedeltà al Vangelo esige che si viva totalmente la carità nella Verità.

Nella biografia del Beato Luigi Orione si legge questo interessante aneddoto: «Vidi all’Università Cattolica – così racconta Carla Cavazzoni – inginocchiarsi davanti a lui un professore dell’Università di Padova, ateo convintissimo, che non si era mai inginocchiato prima di allora. Questo professore, che precedentemente aveva inutilmente discusso con teologi e filosofi delle più illustri Congregazioni cattoliche, restando sulle sue posizioni ideologiche, dopo due mesi si confessava da Don Orione. A chi gli domandava come mai quel povero prete di campagna l’avesse convertito, rispondeva: «Ma Don Orione è un santo. Non può esser che vera una fede che eleva l’uomo a tanta altezza» (Cfr. L’Italia, 11 marzo 1965).

Ricordare Don Orione significa anche pensare tra tanti a Ernesto Buonaiuti, il noto storico del Cristianesimo, che indubbiamente molto errò nelle sue interpretazioni e nelle sue posizioni contro la Chiesa cattolica, ma anche molto sofferse, come appare dall’amara e dolente sua autobiografia spirituale intitolata «Pellegrino di Roma – La generazione dell’Esodo».
In quest’opera fondamentale per capire l’atmosfera del modernismo, Buonaiuti ricorda quando gli fu offerta la cattedra all’Università di Losanna a patto che entrasse nella Confessione acattolica.: «Dopo ardua meditazione io dovetti giungere alla conclusione che… dovevo rinunciare a simile prospettiva».E qui sottentra l’opera di Don Orione. «A quella figura di santo che mi aveva in qualche modo autorizzato con il suo autorevolissimo verdetto a celebrare la mia messa in privato, nonostante i decreti di scomunica, data la immutabile orientazione della mia coscienza, io avevo detto un giorno che non avrei voluto in alcun modo compiere gesti che potessero aver carattere di atteggiamenti scismatici. Ora a chi col tono più amabile mi prospettava la impossibilità di occupare definitivamente una cattedra in una Facoltà teologica protestante, senza aggregarmi alla Chiesa di cui questa Facoltà costituiva un segmento vitale, con funzioni di alta sovrintendenza, io sentivo di dover declinare l’invito» (Il pellegrino di Roma, Ed. Laterza, Bari, 1964, p. 342, 343).
Comunque si può dire che Buonaiuti non passò al Protestantesimo ufficiale anche per la promessa a lui fatta. Egli morì il Sabato Santo 20 aprile 1946 purtroppo senza riconciliarsi con la Chiesa. Ma nel «testamento spirituale» scritto nella notte tra il 18 e il 19 marzo confessò: «Posso aver sbagliato». Fra tante amarezze e tante delusioni volle che sulla tomba fossero incisi i simboli dell’eterno sacerdozio cristiano: il Calice e l’Ostia.


DON ORIONE NELLA NOSTRA VITA DI OGGI

Don Orione lasciava questa terra per il Paradiso il 12 marzo 1940: era un periodo doloroso e drammatico per l’umanità e per la Chiesa, perché nel settembre 1939 era iniziata la seconda Guerra Mondiale, che avrebbe causato stragi spaventose e immani rovine in Europa, in Asia, in Oceania. E tuttavia, confrontando quell’epoca con quanto è avvenuto in seguito, specialmente nel campo spirituale e morale e con quanto avviene tutt’ora, nella vita sociale, si può dire che Don Orione, nonostante le tribolazioni e le difficoltà della sua vita, non visse il peggio!
Ma noi che viviamo in questo periodo della storia e non solo ammiriamo e apprezziamo il suo spirito profondamente e coraggiosamente cristiano, ma lo invochiamo, dopo che la Chiesa l’ha elevato all’onore degli altari, ci domandiamo: che cosa farebbe oggi Don Orione? Come si comporterebbe oggi, nella società attuale, pluralista ideologicamente e moralmente, secolarizzata, consumista, senza più la luce delle verità trascendenti, metafisiche e rivelate?

Certamente Don Orione soffrirebbe terribilmente nel constatare lo spaventoso degrado morale dell’umanità: viviamo infatti in una società immensa, tormentata da gravissimi problemi demografici, ecologici, inquinanti, che ha raggiunto un altissimo vertice di progresso e di benessere e che tuttavia è inquieta, insoddisfatta, minacciata.
Certamente Don Orione sarebbe profondamente amareggiato nel vedere anche nella Chiesa contestazioni e contrasti in campo dottrinale e disciplinare, mentre il «complesso antiromano», come ha ben spiegato il teologo Urs Von Balthasar, tenta e avvince tanti cattolici.
E tuttavia Don Orione continuerebbe imperterrito prima di tutto a vivere pienamente convinto come credente-cristiano-cattolico e sacerdote e a predicare e insegnare l’unica e vera religione voluta da Dio, rivelata da Cristo e trasmessa infallibilmente dalla Chiesa Cattolica. Indubbiamente il proliferare di tante teologie, di tante interpretazioni ed ipotesi, può alla fine sconcertare e sconvolgere; ma Don Orione, fosse ancora qui in mezzo a noi, e scrivesse su giornali e riviste o predicasse in città, dal Piemonte alla Sicilia, dall’Italia alle Americhe, continuerebbe a dire: «O Chiesa veramente cattolica, Santa Madre Chiesa di Roma, unica vera Chiesa di Cristo, nata non a dividere, ma ad unificare in Cristo e a dare pace agli uomini! Mille volte ti benedico e mille volte ti amo!. – Bevi il mio amore e la mia vita, o Madre della mia fede e della mia anima!» (Lettera del 19-III-1935).

Don Orione – come dimostrano i suoi scritti – era anzitutto buon filosofo e profondo teologo; alla scuola dei Padri della Chiesa e dei grandi Maestri della Teologia e con l’esempio concreto di Don Bosco e del Cafasso aveva perfettamente compreso che solo Gesù Cristo è la Verità e che tale Verità rimane in eterno, assoluta e infallibile.

Sergio Zavoli, acuto indagatore della società moderna, ha criticato aspramente «gli apparati dottrinali abilitati a garantire la verità e a sancire il diritto dovere di classificare il bene e il male in base a principi invalicabili desunti da deleghe e poi da prudenze oscure ai più». Eppure noi sappiamo e dimostriamo che veramente Dio si è rivelato in Cristo, Luce del mondo e Verità, e che Gesù non poteva abbandonare l’umanità nella confusione e nella contraddizione, e perciò mediante la Chiesa, fondata su Pietro e i suoi successori, ha garantito la sua Parola e la sua Missione salvifica fino alla fine dei tempi.
Certamente ci sono state delle esagerazioni sia nella esposizione dottrinale sia nelle esigenze pratiche, elencate con amara ironia dallo Zavoli (Epoca, 8 novembre 1987); ma non ci sono state esagerazioni nel campo del dogma, perché lo Spirito Santo assiste la Chiesa e Gesù ha promesso la sua preghiera per Pietro, affinché la sua fede non venga mai meno e confermi così tutti i credenti.
La Verità religiosa, e cioè la conoscenza del vero destino dell’uomo e la pratica del culto divino, non è consegnata alle religioni storiche o al sentimento autonomo personale, ma a Cristo e perciò alla Chiesa da Lui voluta e fondata sugli Apostoli.
A proposito dell’incontro inter-religioso avvenuto ad Assisi il 27 ottobre 1986, il Cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, diceva giustamente: «Una interpretazione di Assisi che vede nel cristianesimo, nella Chiesa cattolica, solo una possibilità di dialogo, solo una piattaforma, sbocca in relativismo, in ideologia… Si dice: nessuna confusione, ciascuno resta nella sua identità, senza sincretismo e facciano il dialogo purché sappiano che queste identità sono solamente storiche. Ma questa è la rinuncia definitiva alla verità! Non può essere questo il modello! C’è dialogo quando ci si muove verso la verità. Solo muovendosi verso la verità rispettiamo tutti, rispettiamo noi stessi e possiamo alla fine arrivare ad una pace vera, che senza verità non esiste… E Cristo è la verità, quindi è la forza dinamica della storia, verso cui dobbiamo muoverci!» (Il Sabato, 24-30 ottobre 1988).

Di questo era luminosamente convinto Don Orione e, ben fondato nel Magistero perenne e infallibile della Chiesa, inculcava strenuamente l’amore al Papa come garanzia della Verità: «Non dimentichiamo – diceva - che la Santa Chiesa Cattolica e il Papa sono con Cristo il primo bene e la suprema risorsa delle anime» (25-12-1912).

Don Orione poi – se fosse ancora vivo oggi in mezzo a noi – continuerebbe a rimanere con coloro che soffrono, e cioè con i più umili, con i poveri, con i malati, con gli handicappati, con coloro che non hanno pane né casa né affetti; e sono sempre tanti!… Oggi, nella società neopagana, è aumentato l’egoismo, l’individualismo, fino all’autonomia orgogliosa ed esasperata, creando così fenomeni di spaventosa emarginazione, di terribile solitudine, di radicale disperazione. Quanto bisogno di amore e di carità ha il mondo moderno!
Don Orione, dinamico e lungimirante come era, non perderebbe certo tanto tempo a discutere e a progettare, ma vivrebbe totalmente la carità vicino a coloro che soffrono. Indubbiamente la storia dell’umanità è tragica, perché deriva dal «peccato originale», e cioè dal rifiuto dell’Amore Infinito; ma è anche sublime; perché l’uomo è sempre immagine di Dio e Dio stesso si è inserito nella storia incarnandosi.
Di fronte al mistero dell’Assoluto, che ha voluto creare la storia per amare gli uomini ed essere amato, Don Orione si piegava in ginocchio umilmente, adorando, e poi realizzava con ardore il comandamento della carità, anche se talvolta era una croce pesante: «Non cade foglia che Dio non voglia o lo permetta – così egli scriveva -. Tutto ciò che Dio vuole o permette, è tutto per nostro bene… Non perdiamoci d’animo! Il Signore per emendarci, per farci tenere la testa bassa, per renderci più buoni, per renderci più simili a sé, ci getta sulle spalle un pezzo della sua santa croce. Che faremo noi? Abbracciarla! Abbracciarla la santa Croce! Non basta venerarla, incensarla sull’altare: bisogna amarla, abbracciarla, riceverla: Gesù si ama e si serve in croce e crocifissi». Così certamente direbbe e farebbe ancora oggi Don Orione!

Ed infine, proprio in questa nostra società materialista e consumista e in questa nostra Chiesa tentata dal secolarismo e dall’autonomismo, Don Orione continuerebbe ad essere preoccupato fondamentalmente della salvezza delle anime. Egli aveva meditato a lungo sul dramma dell’esistenza umana, che è posta nel tempo tra due infiniti: l’infinito dell’adorazione e l’infinito della negazione; tutto dipende dalla «grazia divina» e tutto dipende anche dalla «libertà umana».
La vita è tremendamente seria, e con Dio non si può scherzare o discutere: Gesù parla chiaramente e ripetutamente di salvezza o di dannazione eterna. Anche se la ragione è sconvolta, la fede nella Parola di Dio non può venire meno.
Già nella Prima Messa Don Orione aveva chiesto la grazia di essere il prete di quelli che non vanno in chiesa, e il suo assillo fu continuo, ardente, doloroso: «Anime! Anime!– invocava nella sua splendida e suggestiva preghiera – tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto, tutte Cristo vuole salvare tra le sue braccia e sul suo cuore trafitto… Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno, perché io, per la misericordia tua, lo chiuda…».
Di qui sgorgava la sua ascetica eucaristica, il suo amore filiale e confidente in Maria SS. Don Orione oggi continuerebbe la sua «strategia escatologica». Tutto infatti deve convergere all’unico fine della salvezza eterna delle anime: teologia, sociologia, psicologia, collegialità, Sinodo, Conferenze Episcopali, consigli pastorali, aggiornamenti culturali…

Anche oggi, nel mondo moderno, Don Orione è maestro ed esempio. «Questo è che piace a Gesù – scriveva un giorno ormai lontano – si vive morendo e si fatica dolorando e immolandosi per il Papa, per la Chiesa, per la santificazione del clero, per le anime, per la conversione dei peccatori, per la conversione degli infedeli, per la pace del mondo, per chi piange, per chi soffre delle umane ingiustizie, per tutti, per vincere il male col bene!» (21 agosto 1939).
Sintesi meravigliosa e sempre attuale!