DON ORIONE E P. PIO: Un messaggio alla Chiesa del Terzo Millenio

La Postfazione di Bartolomeo Sorge al libro di Flavio Peloso, Don Orione e Padre Pio da Pietrelcina nel decennio della tormenta.

UN MESSAGGIO ALLA CHIESA DEL TERZO MILLENNIO

Bartolomeo Sorge S. I.


 

I santi sono la risposta della Provvidenza alle crisi della Chiesa e dell’umanità. Non nascono mai per caso, ma ognuno di essi è latore di un messaggio da parte di Dio. Più grave è la crisi, più forte e incisivo è il messaggio. Spesso, nei passaggi più difficili della vita della Chiesa, i santi arrivano a grappoli: non solo vivono nello stesso periodo di tempo, ma si conoscono tra di loro, i loro percorsi si annodano e, attraverso strade diverse e imprevedibili, concorrono al compimento del disegno della Provvidenza, che guida la storia.
E’ avvenuto così anche con Don Orione e il padre Pio. I documenti inediti, che ora vedono la luce grazie al prezioso lavoro di don Flavio Peloso, dimostrano che Dio li ha pensati insieme.

Il cosiddetto “decennio della tormenta” (1923 – 1933), che mise a dura prova le virtù eroiche del frate di Pietrelcina, fu l'occasione provvidenziale perché le strade di don Orione e del padre Pio si incrociassero, e i due santi religiosi insegnassero insieme – con la testimonianza della loro vita – come si ama e si serve la Chiesa. E’ questo il “messaggio” che essi trasmettono, da parte di Dio, alla Chiesa del terzo millennio.

Gli episodi, di cui parlano i documenti pubblicati da don Peloso, a prima vita sembrano marginali, se li confrontiamo con le vicende gravissime, che caratterizzarono i dieci anni difficili della prova: dai ripetuti interventi del Sant’Offizio, ai severi provvedimenti presi dall’autorità ecclesiastica, fino alla minaccia di sommosse popolari…
Eppure non è così. Infatti i documenti dell’“Archivio don Orione” non solo aiutano a ricostruire il retroscena di alcune vicende significative, ma soprattutto rivelano la fede straordinaria e l’amore per la Chiesa con cui esse furono vissute dai due protagonisti. La Provvidenza – come appare chiaramente dai particolari che ora vengono alla luce – dispose che don Orione fosse spiritualmente vicino al padre Pio nelle grandi prove a cui il santo cappuccino andò incontro sia a causa della sua straordinaria vita mistica, culminata con la impressione delle stimmate, sia a causa della “difesa” sbagliata di alcuni devoti esagitati, i quali rischiarono di compromettere ancora di più la già delicata situazione in cui venne a trovarsi il frate di Pietrelcina
Senza dubbio, però, l’aspetto più singolare del rapporto tra questi santi religiosi rimane il fatto che i due, pur essendo consapevoli della mutua vicinanza spirituale (come risulta da numerose testimonianze), però non si incontrarono mai di persona.

E’ utile quindi – a modo di “postfazione”- richiamare, in primo luogo, quanto i documenti finora inediti ci fanno conoscere della partecipazione spirituale di don Orione alla missione carismatica del padre Pio; vedere poi – in secondo luogo – come si sviluppò la tensione tra il carisma e la istituzione ecclesiastica; e -–in terzo luogo – quale fu il comportamento, pieno di fede e di amore verso la Chiesa, di cui entrambi i protagonisti diedero esempio. Alla luce – infine - di queste premesse, storicamente documentate, è più facile cogliere il messaggio che la Provvidenza, attraverso la singolare coincidenza spirituale tra don Orione e il padre Pio, invia alla Chiesa del terzo millennio


1. I carismi

La presenza dello Spirito nella vita della Chiesa e del mondo si manifesta chiaramente soprattutto attraverso i doni spirituali (i cosiddetti “carismi”), elargiti da Dio con maggior larghezza nei momenti. più difficili. La storia dimostra che lo Spirito Santo, da un lato, effonde la carità nella vita di ciascuno e nelle relazioni interpersonali e sociali, compiendo un’opera quotidiana e silenziosa di purificazione e di rinnovamento interiore; dall’altro, concede ad alcuni eletti forze spirituali e facoltà straordinarie, superiori al comune, al fine di alimentare e sostenere la crescita della Chiesa e della fede.

Ora, non c’è dubbio che il padre Pio sia stata un’anima privilegiata, investita dallo Spirito di una missione carismatica particolare. Lo dimostra tutta la sua vita, intessuta di fenomeni soprannaturali, numerosi e straordinari. La impressione delle stimmate, avvenuta il 20 settembre 1918, non fu che la manifestazione mistica principale, alla quale si possono collegare tutte le altre.

Ebbene, i documenti, che ora si pubblicano per la prima volta, mostrano che don Orione fu spiritualmente vicino alla missione carismatica del padre Pio, proprio nel periodo di maggiore sofferenza che il frate dovette attraversare, dopo aver ricevuto le stimate. La vicinanza spirituale di don Orione si realizzò sempre in forma discreta e riservata; tuttavia essa recò un sostegno indiretto di non poco conto al santo cappuccino, divenuto immagine vivente del Crocifisso.

Come si desume dai documenti, l’appoggio di don Orione alla missione carismatica del padre Pio si esercitò concretamente soprattutto attraverso l’opera di due medici: il dottor Giorgio Festa e il prof. Giovanni Battista Morelli. Il primo, incaricato con altri esperti di compiere le prime indagini scientifiche sulle stimmate del padre Pio, il 7 febbraio 1925 si rivolse spontaneamente a don Orione. Pur non conoscendolo ancora di persona, gli chiese lumi su come comportarsi e su che cosa fare per difendere meglio la verità del fenomeno soprannaturale, di cui egli si era personalmente convinto, dopo aver esaminato e studiato le piaghe Il dott. Festa poi ringraziò don Orione dei consigli ricevuti, gliene fu grato e li seguì.
Il secondo medico, noto psichiatra e grande amico di don Orione, si recò invece a Milano all’Università del S. Cuore, desideroso di conoscere direttamente e più da vicino le ragioni della posizione negativa del padre Gemelli, per confrontarla poi con la posizione favorevole di don Orione, convinto assertore della natura soprannaturale del fenomeno. Lo stesso prof.
Morelli, alla fine della sua ricerca, stese una importante relazione di sette pagine, datata 18 – 19 febbraio 1928, che ora viene pubblicata integralmente e nella quale prende posizione, come don Orione, in difesa della autenticità delle stimmate.

Al di là del sostegno concreto che don Orione potè dare alla missione carismatica del padre Pio attraverso i due medici, resta la singolarità del modo in cui questa “vicinanza” tra i due santi religiosi si realizzò; essa infatti, - come abbiamo già rilevato – si mantenne sempre sul piano spirituale, senza che i due protagonisti si incontrassero mai di persona. La Provvidenza volle che don Orione, favorito di un raro dono di discernimento spirituale, che tutti gli riconobbero, sostenesse la missione carismatica del padre Pio, attraverso un'azione indiretta, ma forse proprio per questo più efficace, che egli condusse sia presso le autorità ecclesiastiche, non escluso il Papa (di cui don Orione godeva la piena fiducia), sia presso quanti altri desideravano conoscere il suo parere, per orientarsi nella complessa situazione, che si era creata a San Giovanni Rotondo.


2. Carismi e istituzione

La tensione tra “carisma” e “istituzione”, tra il divino e l’umano, è parte essenziale della natura e della vita della Chiesa. Questa, infatti, è guidata sì dallo Spirito Santo ma, nello stesso tempo, è una istituzione storica e visibile, composta di uomini con i loro limiti e con i loro peccati Dunque, la dialettica tra carisma e istituzione, anche quando diviene duro confronto, non può mai trasformarsi in una vera e propria contrapposizione, ma tende sempre alla integrazione e alla complementarietà, per il bene della comunità ecclesiale. Da un lato Dio, attraverso i carismi, purifica e rinnova la istituzione; dall’altro, però, Dio stesso ha affidato alla istituzione il compito di giudicare e sancire la autenticità dei carismi. Pertanto anche le situazioni conflittuali, quando storicamente si verificano, come nel caso del padre Pio, rientrano – esse pure – nei piani misteriosi della Provvidenza.
Ecco perché si può applicare legittimamente all’esperienza carismatica del padre Pio il giudizio che la Chiesa dà sul rapporto tra l’istituzione ecclesiastica e i carismi della vita religiosa. “Ogni carisma autentico – afferma il documento Mutuae relationes, emanato congiuntamente dalla S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari e dalla S. Congregazione per i Vescovi (1978) – porta con sé una certa carica di genuina novità nella vita spirituale della Chiesa e di particolare operosa intraprendenza, che nell’ambiente può forse apparire incomoda e può anche sollevare delle difficoltà, poiché non sempre e subito è facile riconoscerne la provenienza dallo Spirito”; in ogni caso – conclude il documento – è da accogliere come un segno positivo la costante storica della “connessione tra carisma e croce, la quale, al di sopra di ogni motivo giustificante le incomprensioni, è sommamente utile a far discernere l’autenticità” dei carismi (n.12).

E’ quanto si è puntualmente verificato anche nel caso del padre Pio: le incomprensioni e i duri provvedimenti restrittivi, presi nei suoi confronti dall’autorità ecclesiastica, hanno fornito l’occasione migliore per dimostrare l’autenticità della santità e dei carismi del cappuccino. I documenti che ora si pubblicano lo dimostrano ampiamente, grazie ad alcuni particolari finora non pienamente conosciuti. Vediamoli brevemente.
Don Orione e il padre Pio ebbero a che fare con devoti improvvidi che, con l’intenzione di difendere il cappuccino dai duri interventi del Sant’Offizio, in realtà gli causarono solo gravi preoccupazioni e guai. I documenti parlano soprattutto di due personaggi: dell’avvocato Francesco Morcaldi (1889 – 1976), che fu pure sindaco di San Giovanni Rotondo, e di Emanuele Brunatto (1892 – 1965), un convertito irrequieto, testardo e vulcanico. I loro rispettivi Memoriali, custoditi nell’ “Archivio don Orione”, costituiscono una fonte preziosa che, integrata con il carteggio di don Orione, consentono ora di ricostruire alcune circostanze meno appariscenti, ma non meno dolorose, del calvario del padre Pio. Furono appunto queste circostanze a favorire l’ “incontro” spirituale tra don Orione e il frate di Pietrelcina.

L’occasione si presentò poco dopo che la Suprema Congregazione del Sant’Offizio aveva dichiarato, il 31 maggio 1923, “non constare la soprannaturalità” dei fatti. Infatti, già il 25 agosto 1923, all’inizio cioè del “decennio della tormenta”, da una lettera di don Orione al Vescovo mons. Antonio Valbonesi, emerge il conflitto che metterà a dura prova la virtù dei due santi religiosi: da un lato, la certezza dell’autenticità dei carismi del padre Pio, dall’altro, l’obbedienza amorosa e la fedeltà all’autorità della Chiesa, che invece ne diffidava al punto di confinare il cappuccino nella cella del suo convento e di tenervelo praticamente prigioniero. Don Orione, che fu sempre spiritualmente vicino al padre Pio, entrò con lui nella tormenta.

La situazione si fece critica, quando Emanuele Brunatto decise di raccogliere documenti e testimonianze per provare la verità dei fenomeni mistici del padre Pio e per denunciare la corruzione e i bassi interessi anche di alcuni alti prelati, che denigravano e accusavano il frate con le stimmate. Il Brunatto voleva convincere l’autorità ecclesiastica della santità del padre Pio e che si facesse giustizia sia rimovendo le persone indegne, sia restituendo al padre Pio la libertà e l’esercizio del ministero che gli erano stati tolti. Al principio, don Orione condivise l’idea del Brunatto; senonchè il suo libro (Padre Pio da Pietrelcina, Roma 1926), appena pubblicato, fu immediatamente condannato dal Sant’Offizio, formalmente perché privo dell’Imprimatur. Perciò, quando nel 1929 il Brunatto e l’avv. Morcaldi decisero, questa volta insieme, di aggiornare con un “libro bianco” (Lettera alla Chiesa) la documentazione sulle scorrettezze e sugli scandali che si nascondevano dietro la persecuzione contro il padre Pio, don Orione vi si oppose fin dall’inizio con tutte le forze, poiché esso era – come egli stesso lo definì – “un libro infamante per alcuni Prelati della Santa Sede”.

Tuttavia, i documenti finora inediti non si limitano solo a rivelare molti particolari di questa burrascosa vicenda; essi lasciano vedere altresì il dramma interiore dei due santi religiosi, che si ritrovarono spiritualmente ancora più vicini, senza alcun bisogno né d’incontrarsi, né di scambiarsi il loro parere a voce o per scritto.


3. Don Orione e il padre Pio all’unisono.

Don Orione, quasi non avesse altro da fare, si buttò anima e corpo nella faccenda, compiendo ogni sforzo per evitare il danno che la pubblicazione del “libro bianco” avrebbe causato alla Chiesa. Cominciò a fare la spola da un cardinale all’altro, da un ufficio della Santa Sede all’altro; egli insisteva che si facesse giustizia, punendo – se era necessario – le persone indegne e restituendo la libertà al padre Pio. Il Morcaldi descrive così la linea seguita da don Orione, rifacendosi alle parole con cui egli stesso gliela aveva esposta. “La prova che la Chiesa era una istituzione divina – sosteneva don Orione – era proprio quella: (la Chiesa) continuava a trionfare, ad onta che molti di coloro che dovevano sorreggerla e servirla, facessero di tutto per minarne le fondamenta. Don Orione – continua il Morcaldi – insisteva molto nel consigliare prudenza e sottomissione cieca alla Chiesa, senza pretenzioni. Rendere edotte le alte gerarchie della Chiesa degli avvenimenti sconcertanti di San Giovanni Rotondo era un dovere, ma imporre i provvedimenti e pretendere l’immediata attuazione pregiudicava il prestigio della Chiesa e questo non poteva essere tollerato dall’alta autorità” (Memoriale, 7–8)

Che questa fosse effettivamente la posizione di don Orione è confermato, del resto, dalla lettera che egli stesso scrisse al Morcaldi il 3 aprile 1930: “ ‘Che cosa si deve fare?’. Pregare, o fratello, pregare, e avere piena fiducia nella Chiesa; di più, non pretendere di metterci noi al posto e al governo della S. Chiesa. E avere pazienza; Gesù Cristo ci ha insegnato la pazienza non solo colla sua vita, ma anche con la sua morte. (…) Il sacrificio col quale aspettiamo il tempo e il momento del Signore, e ci abbandoniamo dolcemente e da figli alle ammirande disposizioni della Sua Provvidenza e della Sua Santa Chiesa, vale molto agli occhi suoi: è una preparazione al tempo della letizia, la cui ora suona di sovente improvvisa (…). State da figli con la S. Chiesa e non da pretenziosi, ve ne supplico: state in ginocchio ai piedi della Santa Sede e della Chiesa, che è la nostra Madre: guai a colui che contrista sua madre (…) anche quando certe disposizioni vi sembra che non vadano, anche quando si tarda ne provvedimenti”.

Questo atteggiamento di don Orione non era – come potrebbe sembrare – di natura emotiva. Infatti, egli stesso espone le ragioni profonde del suo amore e della sua fedeltà inconcussa alla Chiesa nella lettera del 21 maggio 1930 a Emanuele Brunatto, l’altro protagonista della vicenda.

Rinviando alla lettura integrale del testo di questa lettera, ora di pubblica ragione, basti qui riassumere le motivazioni, portate da don Orione a fondamento della obbedienza e dell’amore filiale che tutti dobbiamo avere verso la Chiesa e i suoi rappresentanti. La prima motivazione, ovviamente, è la fede. Don Orione preferisce ribadirlo con le parole del “testamento” di San Francesco: “Non voglio in essi considerare alcun peccato, perché veggo in loro il Figliuol di Dio”. La seconda ragione, addotta da don Orione, è la distinzione che si deve fare tra la missione affidata ai ministri della Chiesa, che è divina e viene dall’alto, e le carenze umane personali degli ecclesiastici o i metodi sbagliati da loro usati. La terza considerazione, infine, è il dovere di riflettere sempre sul danno che la disobbedienza alla Chiesa produce nelle anime e sulla sofferenza che essa genera all’interno della comunità cristiana e nel cuore del Papa. Ovviamente, ciò non significa affatto rinunciare a battersi affinché la giustizia e la verità trionfino nella Chiesa. E don Orione non si diede pace, fino a quando i provvedimenti restrittivi, imposti dal Sant’Offizio all’attività sacerdotale del padre Pio e la sua segregazione, non furono definitivamente revocati nel luglio del 1933.

Dal canto suo, anche il comportamento del padre Pio appare perfettamente in sintonia con quello di don Orione, che abbiamo appena descritto. L’uno e l’altro si muovono all’unisono. Tra le molte testimonianze che si potrebbero addurre per provarlo, basti citare anche qui due lettere molto eloquenti del santo cappuccino. La prima, del 2 aprile 1932, è indirizzata al nuovo vescovo di Manfredonia, mons. Andrea Cesarano: “Dal profondo silenzio della celletta – scrive il padre Pio – sento da un pezzo in qua l’eco di sinistre voci che si fanno intorno alla mia povera persona (…). Sono assai disgustato per la condotta indegna che tengono alcuni falsi profeti, che pur si dicono miei (…). Sono giunto anche a fare la diffida (…) per fermare questo loro falso entusiasmo e per richiamarli all’osservanza di quanto aveva disposto il Sant’Offizio”
Ancora più decisa e forte è l’altra lettera, che il padre Pio invia direttamente a Emanuele Brunatto: “Ti scrivo la presente – dice – per esternarti la mia sorpresa e il mio dolore nel sentire che vuoi dare alle stampe ciò che assolutamente non deve essere stampato non solo, ma che nessun essere umano deve conoscere. E il mio dolore aumenta quando penso che tu minacci di ciò fare se il sottoscritto non viene subito riabilitato. Ma io assolutamente non voglio ottenere la mia liberazione o riabilitazione con atti che ripugnano, che fanno arrossire il più volgare delinquente. Emanuele, mi vuoi davvero bene? E allora tu devi almeno per amor mio desistere da tale proposito e non pensarvi mai più. Anzi sono a pregarti e a scongiurarti di disfarti di tutta codesta robaccia. (…) Non posso assolutamente permettere che tu mi difenda o cerchi di liberare col gettare fango e quale fango in faccia a persone che io, tu e tutti abbiamo il sacrosanto dovere di rispettare. La tua difesa è per me un vero disonore e non voglio, ripeto, ottenere, se anche fosse possibile, la mia liberazione e le facoltà chemi sono state tolte, con simili mezzi”.

Scrive il padre Pio, ma sembra di leggere don Orione, tanta è la coincidenza spirituale tra i due. Non a caso, Brunatto prese la decisione di desistere dalla pubblicazione del “libro bianco” (che era già pronto), dopo un ulteriore intervento di don Orione, perfettamente in linea con il padre Pio, senza alcun accordo o contatto previo con lui. “Guai – scrive don Orione l’11 luglio 1933 – a chi si erige giudice di sua Madre e la trascina sul banco degli accusati! Guai a chi si alza a giudicare la Madre Chiesa e la affligge: maledictus a Deo qui exasperat Matrem! Non sono mai stato a San Giovanni Rotondo, né ho mai scritto a padre Pio, ma non dubito che egli deplorerebbe nel modo più forte l’azione ignobile che voi state per compiere.”

Solo tre giorni dopo, il 14 luglio 1933, giungeva la “Lettera liberatoria” del Sant’Offizio, con la quale si restituiva al padre Pio la facoltà di esercitare il suo servizio ministeriale. Fu una mera coincidenza o un segno di Dio?


4. Come si ama e si serve la Chiesa

A questo punto, alla luce dei documenti esposti, è possibile cogliere il messaggio che Dio invia alla Chiesa del terzo millennio, attraverso la lezione di santità del padre Pio, rafforzata dalla testimonianza di don Orione. Quel messaggio, più che nelle sofferenze e nelle prove esteriori del santo cappuccino, più che nelle stimmate e nei carismi straordinari, sta nella lezione che questi santi dei nostri giorni ci hanno impartito su come si ama e si serve la Chiesa.

Questa Chiesa. Una Chiesa cioè peregrinante nella storia, ancora “in esilio, lontano dal Signore” (2 Cor. 5,6), soggetta quindi a tutte le vicissitudini e ai condizionamenti degli uomini e del tempo; una Chiesa, “che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione” (Lumen gentium, n.8)
Infatti da Cristo, che è il Capo del corpo mistico, provengono sia la santità indefettibile della Chiesa e il dono dello Spirito, sia i frutti straordinari di santità e di trasformazione del mondo prodotti dalla Chiesa nei suoi duemila anni di storia. Dalle membra della Chiesa – che siamo noi, figli e peccatori – vengono invece, insieme con gli innegabili frutti di santità prodotti dallo Spirito, anche i limiti, le carenze, gli sbagli e i comportamenti difformi dal Vangelo. Di questi peccati dei suoi figli la Chiesa “santa” chiede ogni giorno pubblicamente perdono a Dio e agli uomini.

In una parola, il mistero della Chiesa è insieme divino e umano, soprannaturale e incarnato in strutture umane visibili e storiche. Come rileva il Concilio Vaticano II, è il medesimo mistero divino – umano della Incarnazione, che continua nella storia umana: “Per una non debole analogia, quindi, (la Chiesa) è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo” (ibid.)

Tenendo presente la natura umano–divina della Chiesa, si comprende allora perché Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente (1994), afferma: “E’ giusto che, mentre il secondo millennio del cristianesimo volge al termine, la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli”, chiedendo perdono per tutte quelle volte che i suoi figli hanno offerto al mondo, “anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo” (n.33)

Elevando il padre Pio agli onori degli altari, Giovanni Paolo II ha fato molto di più che riparare a quanto di troppo umano e di meno edificante vi è stato nelle umiliazioni e nelle sofferenze, inflitte dagli uomini di Chiesa al santo cappuccino. La proclamazione della santità dell’umile frate in piazza San Pietro, il 2 maggio 1999, è soprattutto il riconoscimento solenne della autenticità del messaggio che il padre Pio reca ai cristiani del terzo millennio da parte di Dio, insegnando loro come si ama e si serve la Chiesa.

Perciò, siamo grati a don Flavio Peloso per la pubblicazione di questi documenti inediti sulle vicende del frate delle stimmate. Il messaggio ne esce ravvivato e rafforzato dalla testimonianza personale di don Orione, che la Provvidenza volle spiritualmente accanto a lui.
I due santi religiosi, alla vigilia del terzo millennio, di fronte alle sfide della nuova evangelizzazione, ci ricordano insieme che obbedire e amare appassionatamente la Chiesa, fino al punto di seguirla fedelmente e di baciarne la mano anche quando fa soffrire, è premessa di una maggiore fecondità apostolica.

La croce, infatti, è la firma di Dio nelle sue opere, e le autentica, come fa l’artista firmando la sua opera. E se è vero che il peccato degli uomini giunge talvolta a deviare il corso del fiume, è altrettanto vero che nessun ostacolo potrà mai impedire alle acque di sgorgare alla sorgente e di irrorare la terra. La Provvidenza – come sempre fa – continuerà a inventarsi percorsi nuovi, che alla fine risulteranno più fecondi e più ricchi di quelli resi impraticabili dalla volontà dell’uomo.


Bartolomeo Sorge S.I., Attualmente superiore della Residenza San Fedele dei Gesuiti di Milano e direttore della rivista “Aggiornamenti sociali”.