CAVANIS: Luigi Orione e i Padri Cavanis.

Il ricordo dei Padri Cavanis sfollati dal Trentino e ospitati da Don Orione durante la prima guerra mondiale

LUIGI ORIONE E I PADRI CAVANIS


P.Ugo Del Debbio

Il P. Enrico Perazzoli, i chierici: Fedel Amedeo, Andreatta Aurelio, Janeselli Mario, Janeselli Luigi ed i Novizi: Fedel Valentino, Janeselli Mansueto, trentini sudditi austriaci, scoppiata la guerra con l'Austria, rimasero in Venezia dietro permesso di soggiorno da rinnovarsi ogni mese all'Arsenale, su modulo intitolato: Soggiorno degli stranieri in Italia.
Dopo l'invasione dell'Ottobre 1917, sentendosi anche in Venezia il rombo del cannone, era stata stabilita la partenza del Noviziato, del P. Perazzolli e di alcuni altri Padri, accompagnati dal P. Superiore, Augusto Tormene, pel 9 novembre 1917. Il nostro rifugio era il noviziato caritatevolmente concesso dai RR.PP. Cappuccini in Budrio, dove già li aveva preceduti il compianto fratello Bortolo Fedel.
Sospesa la partenza, rimasero in Venezia, decisi a qualunque evento, ma sopravvenuta la disposizione del Vice-Ammiraglio, per la quale nessun irredento poteva rimanere in Venezia, dopo replicati ed inutili ricorsi, furono costretti ad abbandonare la città e si recarono a Tortona presso il R D. Orione Luigi, che loro assegnò per abitazione la casetta attigua alla Chiesa di S. Rocco, con ufficiatura della medesima Chiesa» (Diario: Nei giorni d'esilio).
Fu il Patriarca di Venezia, Card. Pietro La Fontaine, a suggerire al P. Tormene di «scrivere a un Santo Sacerdote di Tortona, Don Luigi Orione, chiedendogli posto nel suo Noviziato per 7 trentini che dovranno partire il 4 gennaio» (Diario della Congregazione; 27-12-1917).
Don Orione rispose immediatamente: «Qualora i suoi cari figliuoli in Gesù Cristo dovessero lasciare Venezia, sono ben felice e reputo a grazia di Dio poterli subito accogliere» (lett. 30-12-1917).

La partenza per Tortona dei nostri sette confratelli avvenne il 22 gennaio 1918.
Citiamo da una lettera del P. Perazzolli scritta il 24 gennaio: «Alla stazione di Tortona ci aspettava il P. Orione, che ci accolse con paterna bontà... Il P. Orione ci fece proprio l'impressione di un Santo, specialmente la sera, quando ci venne a trovare, che pregato da noi della sua benedizione, si schermì dapprima, ma vedendoci inginocchiati, uscì con indicibile umiltà ed unzione in queste parole: «Benedictio Dei omnipotentis et B.M. semper Virginis, Matris nostrae, descendat super me, super vos et super fratres vestros, in nomine Patris, et Filii et Spiritus Sancti. Amen». Il P. Orione ha sempre in bocca «cari figliuoli, come sono contento che siate venuti qui». E il chierico Mario Janeselli: «Tutte le sere andiamo a prendere la benedizione dal nostro benefattore: la prima volta non voleva; la seconda si voleva rifiutare. Ma io benedirvi... io mi vergogno... ma noi saldi; si è abituato e adesso ce la dà ogni sera, con la solita formula, aggiungendo sempre: Che il Signore vi consoli miei cari figliuoli; per questo fa un memento speciale nella Messa... Ha sempre timore che ci manchi qualche cosa... Ha la prudenza dei Santi» (28-11918).
Don Orione aveva scritto al P. Tormene il 23 gennaio «appena arrivati i cari profughi. È lettera di un Santo» (Diario). Un'altra lettera portala data del 5 febbraio. «Più, più assai io avrei dovuto fare, (così Dio me ne dà il desiderio) per questi 4 suoi ottimi figliuoli nel Signore. Ma la mia miseria è tanta, che soffoca quasi lo spirito buono che nostro Signore sento che mi dà; pur tuttavia io lo prego il Signore che mi aiuti, perchè queste care anime non abbiano da patire scandalo dalla mia miseria, e che mi conduca avanti per la via del suo santo servizio e carità, e conduca essi e tutti avanti insieme a me, tranquillamente in Domino».

I disagi non potevano mancare. A questi fa un cenno il P. Perazzolli nella lettera del 22 febbraio, nella quale scrive pure: «Un giorno Don Orione ci disse: "Quasi, quasi vi domando perdono d'avervi messi qui", e pensava di darci luogo in casa grande, ma ivi non è possibile la vita comune a parte. Ma ormai, come le dissi, ci siamo adattati serenamente a tutto, tanto più che siamo vicini ad un uomo come Don Orione, che ha per noi una benevolenza incredibile. Un giorno ci disse: "Il vostro Istituto e questa baracca della D. Provvidenza si devono amare tanto, tanto". Talvolta ha una parola quasi ispirata: l'avesse sentito un giorno che fu a cena con noi».
Lo stesso Padre in una cartolina postale del 10 marzo scrive: «Dai colloqui con Don Orione s'esce sempre commossi. Come dobbiamo ringraziare il Signore!».

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Il P. Tormene partì per Tortona la sera di Pasqua (31 marzo) «a salutare quei cari figliuoli che vivamente lo desideravano come egli desiderava vederli e confortarli».
Ritornato a Venezia il 5 aprile così scrive nel Diario: «... I giovani confratelli sono sotto la cura e la guida di un uomo veramente Santo;... Don Orione è loro Padre!... Racconta tante cose belle col suo linguaggio da Santo che innamora. Quanto amore generoso, quanta fede ardente! P. Enrico e i chierici ne sono entusiasti, e ciò è di grande vantaggio al loro spirito - andando anche a confessarsi da lui - e di lenimento alla pena dell'esilio. Deo gratias, Deo gratias!».
Sempre nel Diario della Congregazione troviamo scritto sotto la data 15 giugno: «Oggi scoppiò l'offensiva austriaca su tutto il fronte del Grappa e del Piave. Le prime notizie sono impressionanti. Dio ci assista! Abbiamo sulla linea del Piave De Piante e Borella! Don Orione scrivendo al Preposito in data 11 corr. con previsione di Santo diceva: «Il Signore conceda a lei come a tutti i suoi religiosi uno speciale conforto per i prossimi giorni. Noi pregheremo tanto la SS. Vergine che li assista e difenda!». E il 19 giugno. «Il Nov. Sold. Piasentini di ritorno da Alessandria dove visitò Miotello, la sera stessa della sua partenza per Piacenza fu colto da febbre altissima e passato all'ospedale di Tortona. Don Orione desidera che la febbre cresca».
Il P. Enrico così aveva scritto al P. Tormene: «Ieri sera Piasentini doveva ripartire: ma è ancora in Tortona. Sia stata la pesantezza del viaggio od altro, ieri aveva la febbre quasi a quaranta, sicchè è all'ospedale. Don Orione ci disse di pregare che cresca» (18-6-1918), e il soldato Piasentini: «Padre amatissimo, preghi per me; non dico neanche che preghi per la mia guarigione, giacchè Don Orione prega perchè la febbre mi venga spesso; certamente ci sarà sotto qualche scopo» (20-6-19 18).
Diario, 29 giugno. «... Piasentini ristabilitosi dalla febbre avuta a Tortona e ritornato a Piacenza trovò che mezza della sua compagnia era stata mandata al Cavallino - proprio nei dì dell'offensiva -. Così si capisce perchè Don Orione disse che desiderava che la febbre crescesse».
Il 5 luglio nuovo viaggio del P. Tormene a Tortona. Ne fa il resoconto al suo ritorno il 16 luglio. Tra l'altro leggiamo: «Per le insistenti istanze di Don Orione, il Preposito si decise di accompagnare quindi i suoi cari profughi a Villa Moffa in Bandito (Bra), caritatevolmente offerta da Don Orione pel riposo autunnale... P. Enrico con i chierici vi resteranno a disposizione di Don Orione, e frattanto dal primo agosto faranno con la comunità dei Figli della Provvidenza i SS. Spirituali Esercizi».
Riguardo agli Esercizi ecco quanto scrisse il chierico Aurelio Andreatta: «L'ultimo colpo per gli Esercizi lo aspettiamo da Don Orione: vi saranno vestizioni e professioni. Si dice che Don Orione si commuova sempre al termine di questi santi giorni e che la sua parola si faccia più vibrante, più forte, più penetrante. C'è qui tutta la sua Congregazione che si trova raccolta a ritemprarsi nell'anima. Don Orione ha bisogno di stringerli in unione fraterna e trasfondere in loro tutto il suo spirito» (9-8-1918).
Interessanti alcuni particolari che ricaviamo da una lettera del P. Enrico. «... Don Orione fece recitare un Pater, Ave e Requiem pei nostri confratelli defunti ed, avendolo poi io ringraziato, mi disse che la sua Santa Messa l'aveva offerta pei medesimi nostri confratelli. Non fa che ripetere che i nostri Istituti si devono amare molto. Tra l'altre cose ieri ci disse che ci vuol mandare, come pegno d'unione tra i due Istituti, un aspirante, ma di quelli buoni, non di quelli mezzo e mezzo» (6 -8-1918).

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Il 4 settembre il P. Tormene arriva a Villa Moffa e vi si ferma fino al 19. Togliamo dal Diario: «... Il 6 settembre partì per Tortona insieme ai 4 chierici Fedel Amedeo, Andreatta Aurelio, Janeselli Mario, Janeselli Luigi, i quali il giorno 8 furono ordinati Suddiaconi in Episcopio... Don Orione sempre cordialissimo li circondò di attenzione paterna: volle poi che il Preposito si fermasse un po' a Tortona e il martedì ritornasse a Villa Moffa dove erano rimasti P. Enrico e i due Novizi. Ivi si fermò il Preposito fino al giovedì 19 corr. per attendere Don Orione che difatti venne il martedì 17 notte e rimase tutto il 18 edificando tutti colla sua parola, con l'instancabilità della vita, e coll'affetto. Vuole bene ai 7 nostri e all'Istituto, ma tanto, tanto. Spera che i due Istituti si completino a vicenda lavorando insieme. Lasciamo fare a Dio.

Finita la guerra, il P. Tormene in data 7 novembre, «chiesto consiglio al Patriarca, va al comando della Piazza Marittima in Arsenale a presentare istanza scritta pel ritorno da Tortona dei sette confratelli trentini; e dopo piccola difficoltà l'ottiene» (Diario).
Il 10 è a Tortona e il 14 «col P. Enrico e i 6 giovani trentini partiva da quella città ospitale dove la Divina Provvidenza era stata larga di benefici spirituali e temporali»; e così continua nel Diario: «... Gli esempi di quelli esemplari religiosi e il contatto, i colloqui, la famigliarità edificanti e impressionanti del Santo Fondatore Don Orione, furono di grande loro ammaestramento e ammirazione, così da ringraziare la Provvidenza che disponendo per loro la prova dell'esilio, li condusse però là dove il loro spirito ne avrebbe guadagnato in virtù... Dire del gran cuore di Don Orione e dei suoi Figli nei 10 mesi di carità squisita usata loro, non è possibile... Don Orione assente telegrafò al Preposito a Tortona congedando i suoi cari ospiti come un vero Padre lascia partire un figliuolo rallegrandosi con lui e insieme dolendosene. La mattina stessa della partenza altro telegramma: Don Orione ricevuto in udienza dal S. Padre ottenne pei Cavanis la benedizione apostolica».
Arrivo a Venezia il 15. «Inutile dire della gran gioia in comunità al loro ritorno!» scrive il P. Tormene nel Diario, e aggiunge: «Sia sempre benedetta e ringraziata la Provvidenza Divina mirabile e amorosa nelle sue disposizioni: il bene ricevuto ci è noto, come ci sono noti molti vantaggi spirituali ricevuti: altri disegni può Essa aver avuto, mettendoci sui passi si un Santo: fiat, fiat! Dopo questa prova così consolante della protezione amorosa di Dio sull'Istituto, con maggior cuore ci sentiamo spinti ad abbandonarci in Lui ripetendo il motto dei nostri Padri Fondatori: "lasciamo fa re a Dio"».
Il 31 dicembre scrive: «... Anche noi abbiamo provato dei giorni tristi, ma la bontà del Signore ci sostenne, ci aiutò provvidenzialmente in ogni bisogno: i sette profughi a Tortona trovarono asilo, pane, scuola e soprattutto amore, grande amore in Don Orione e suoi Figli della Provvidenza».

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I chierici Fedel Amedeo, Andreatta Aurelio, Janeselli Mario e Janeselli Luigi furono ordinati Diaconi il 21 dicembre dal Patriarca Pietro la Fontaine il quale poi «li volle con sè a colazione». Verranno ordinati Sacerdoti dallo stesso Patriarca il 5 aprile 1919. Invitato, Don Orione così scriveva al P. Tormene il 19 marzo: «Dica pure ai suoi figliuoli che intanto prego e farò pregare perchè lo Spirito del Signore discenda copioso su di essi, e ne faccia quattro sacerdoti veramente tali da essere di grande conforto e di aiuto alla nostra dolcissima e Santa Madre Chiesa, e di immensa gioia, ora e sempre e di consolazione al loro tanto benemerito Istituto. Le ossa benedette dei Padri Fondatori esulteranno di gaudio, e le loro anime discenderanno per un momento dal Paradiso per trovarsi anch'essi insieme. Che la Vergine SS. li prenda tutti nella palma delle sue mani».
Don Orione arrivò a Venezia la notte del 4 aprile. «Quanto affetto in quel cuore di Santo, e quanta gioia in noi nel rivederlo qui» (Diario).
Alla sacra cerimonia «Don Orione e il Preposto assistevano i cari ordinandi». La domenica 6 prime Messe solenni. Don Orione fece da Padrino al P. Mario. Al Vangelo rivolse agli alunni «parole di alto insegnamento sul sacerdozio cattolico.
Durante la piccola accademia il Preposito «additò ai ragazzi Don Orione padre e benefattore dei 4 neosacerdoti durante la loro permanenza a Tortona, e gli tributò pubblicamente l'omaggio della gratitudine dell'Istituto, invitando gli alunni a ringraziarlo anch'essi. Allora rispose Don Orione con parole di grande umiltà e commozione» (Diario).
Ripartì per Tortona 1'8 aprile. «Prima di lasciarci, leggiamo nel Diario, si alzò per dire parole di santa Carità, ringraziando dei bei giorni che godette fra noi, assicurandoci del suo affetto e disposizione a voler che i due Istituti si amino sempre, lavorino insieme: raccontò commosso l'impressione che provò la prima mattina quando celebrò nella cappella del centenario, e vide che l'Istituto era nato lì all'altare del Crocifisso, come il suo Istituto era pure nato ai piedi del Crocifisso: vide due gigli ai fianchi del Crocifisso, e ravvisò in essi i due Istituti: quattro palme con due rose ciascuna che gli parlarono di amore vicendevole: purità d'intenzione e di vita, carità fraterna, ecco i due legami che devono stringere i due Istituti presso il crocifisso.
Ricordò i buoni esempi e caro ricordo lasciati dai 7 profughi nostri a Tortona, e promise costante preghiera per noi». «Caro Santo! Continua P. Tormene. Tale appunto ci si manifestò stasera specialmente quando ci aperse il suo cuore. Sia benedetto e ringraziato il Signore che si servì della sventura per farci conoscere ed amare un tale Santo e il suo esemplare Istituto dei «Figli della Provvidenza».

L'11 aprile il P. Tormene riceve una lettera affettuosissima di Don Orione che conferma i suoi sentimenti di fraterno affetto. La riportiamo.
«Caro Padre Superiore. Ecco è la prima lettera che scrivo, ed è tutta la giornata di ieri e anche oggi che sentomi un gran bisogno di subito scrivere a Lei e a tutti codesti cari Padri e Religiosi. Ma ora, in verità mi trovo imbarazzato assai, perchè non trovo nulla che valga ad esprimere anche una parte di quello che l'anima sente. Sia dunque lodato Gesù Cristo! In questo c'è tutto e fuori di questo c'è il vuoto e c'è il nulla! Sia lodato Gesù Cristo di tutte le gioie spirituali e soavissime di questi giorni di benedizione passati a Venezia. Sia lodato Gesù Cristo per tutta la fraterna carità sua, caro P. Superiore, e di tuti di codesto Istituto che ha veramente guadagnato l'anima mia. Oh dove domina la carità di Dio, come si sente che tutte le cose di questo mondo sono un nulla!
Sia dunque glorificato tutto e solo Nostro Signore, glorificato nei quattro novelli Sacerdoti, glorificato nella carità che è la nota distintiva di codesta Casa come dei veri discepoli di N. Signore Gesù Cristo, e sia anche e sempre glorificato sulle mie miserie.
Che Gesù Crocifisso ci unisca per sempre in terra e in Paradiso nella perfetta consensione della volontà e dei cuori in Cristo stesso e nella Chiesa sua, e fra le braccia della Madre nostra, con la dolcissima carità che ha stretto insieme i due Istituti, nati ai piedi della sua Croce. E la santa Croce e più Gesù Crocifisso sia il nostro centro di unione, per la misericordia sua, come per la misericordia sua è tutto il nostro tesoro e la nostra scienza. E in Gesù Cristo Crocifisso La abbraccio, o caro Padre, e in Lei abbraccio in osculo sancto tutti, ad uno ad uno, i suoi Padri presenti e assenti, e i novelli Sacerdoti e poi i Fratelli e Novizi sino al più piccolo che è nel Noviziato, e a tutti dico: grazie della vostra carità, e Dio ve ne ricompensi! E vogliate sempre pregare per me e per questi miei nel Signore, che ora e sempre saremo i fratellini vostri nel Signore e nella Madonna. E sia lodato Gesù Cristo! Suo Aff. mo in Domino Sac. Orione L. della Divina Provvidenza».


Il 1 maggio giungeva in Istituto il «carissimo Don Carlo Sterpi da Tortona portandoci un ricco calice dorato che Don Orione volle offrire all'Istituto» (Diario).
Il dono era accompagnato da una lettera dello stesso Don Orione che porta la data del 26 aprile.
«Al caro Padre Tormene, Superiore dei Figli dei Cavanis, grande amico e vero fratello in Cristo. Caro Padre, voglia ricevere questo calice, già consacrato e già usato dai Sacerdoti figli della Divina Provvidenza, come segno di unione fraterna e santa dei nostri umili e poveri Istituti, e si degni adoperarlo il 3 maggio, e, se Le è possibile, all'altare del Crocifisso nella Cappella dove i loro Benedetti fondatori iniziarono l'Istituto. Io e i miei di qui in quella mattina e nella S. Messa, le saremo particolarmente uniti all'altare. Che la SS. Vergine e Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso ci uniscano per sempre a servizio della Santa Chiesa e a salvezza della gioventù: ci uniscano in terra, e poscia ci accolgano e ci tengano a Loro uniti in Paradiso».
Il 3 maggio P. Tormene celebrò la S. Messa nella Cappella del Crocifisso presenti il Noviziato e Don Sterpi: subito dopo celebrò Don Sterpi. «Come è bella questa armonia di anime e quanto deve piacere a Dio!» (Diario 3 maggio 1919).
Don Orione ritornò a Venezia il 21 maggio. «Quanto ci è cara la presenza di questo Santo» (Diario).
Il giorno 24 parlò ai piccoli della Madonna Auxilium Christianorum e il 25 parlò ai grandi della Madonna «con parola ispirata». La sera stessa ripartì per Tortona.

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I due Istituti si trovarono ancora uniti per l'ordinazione sacerdotale di due Figli della Divina Provvidenza: Don Domenico Draghi e Don G.B. Manca.
Leggiamo nel Diario 31 agosto: «Sulle 9 e mezza giunse Don Orione, ed oggi a tavola le due Famiglie dei Cavanis e dei Figli della Provvidenza si fusero nella carità del Signore e nella santa comune letizia. Si festeggiò l'ordinazione dei due novelli sacerdoti come si usa fra noi per i nostri, e Don Orione tenne posto in mezzo fra i suoi due ordinati alla tavola principale». Il primo settembre i due neosacerdoti celebrarono la Santa Messa nella Cappella del Crocifisso assistiti da Don Orione e dal P. Tormene, «presenti parecchi confratelli e fedeli».
Il 4 aprile 1921 il P. Tormene unitamente al P. F. S. Zanon ricordò il 25.mo della sua ordinazione sacerdotale «ricevuta dalle mani del Card. Sarto poi Pio X, in S. Agnese presso la tomba dei PP. Fondatori, il Sabato Santo 4 aprile 1896». Fu presente anche Don Orione il quale parlò a tavola «con parola ispirata, rallegrandosi della S. Carità che osserva nell'Istituto, e augurando ai festeggiati di poter un dì celebrare la S. Messa dei Fondatori proclamati dalla S. Chiesa Beati».

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BEATO LUIGI ORIONE! Ti ringraziamo per quanto hai fatto per il nostro Istituto. Continua a volerci bene e a pregare perchè possiamo sempre lavorare «a servizio della Chiesa e a salvezza della gioventù» e perchè anche noi possiamo presto invocare Beati i nostri Fondatori come tu avevi tanto desiderato e augurato.

 

 

 

 


P. Mansueto Janeselli
HO PASSATO UN ANNO ACCANTO A UN SANTO



II giorno 23 gennaio 1918 mi incontrai per la prima volta con Don Luigi Orione a Tortona. Lo sviluppo della guerra mondiale mi fece abbandonare Venezia e portarmi in Piemonte, accolto nella casa stessa del Santo e così ebbi modo di godere della sua compagnia per quasi un anno intero.
Uomo serio ma nello stesso tempo affabile e di una umanità proprio da santo. Era sacerdote, a capo di un Istituto da lui stesso fondato per gli orfani e per i ragazza abbandonati. «lo sono povero e sono nato povero»: questa era la sua carta d'identità. All'età di otto o nove anni dovette lavorare assieme con il suo babbo che faceva il muratore, specializzato nel lastricare le strade. Luigi faceva il manovale in tutto il tempo libero dalla scuola. Voghera era il campo del suo lavoro.

«I compagni di mio padre, raccontava, erano tutti socialisti, bestemmiatori e sparlatori di primo grado. lo per non imparare a fare altrettanto, quando avevo un momento di libertà, mi portavo in chiesa a pregare, e dalla pila dell'acqua santa bevevo qualche sorsata, raccomandandomi a Dio di conservarmi buono e non imparare a ripetere quanto sentivo di sconveniente».
Aveva avuto la fortuna d'incontrarsi nella sua giovinezza con Don Bosco e ne era rimasto entusiasmato della sua opera, tanto che fece domanda di farsi Salesiano. Don Bosco gli ordinò di non entrare nel suo Istituto, ma di farsi sacerdote secolare. Alla morte di Don Bosco era presso di lui e fu miracolato. Una schiera enorme di persone visitava la salma e tutti volevano avere un ricordo. «Si pensò, mi disse Don Luigi, di far toccare del pane dalle mani del defunto e distribuirlo ai devoti come mezzo per ottenere delle grazie. Tra gli incaricati di quest'ufficio ci fui anch'io e nella fretta di tagliare le fette di pane mi tagliai un dito. Era uno di quelli indispensabili per essere ordinato sacerdote. Ebbi un istante di smarrimento, ma subito andai presso Don Bosco e con la mano sanguinante toccai la sua mano e mi trovai istantaneamente guarito; e così andato dopo qualche anno in seminario fui ordinato sacerdote. La sua vita sacerdotale la spese per i poveri e specialmente per gli orfani. E come li amava e come si occupava del loro bene spirituale e materiale! Mi trovai un giorno con lui nel cortile dell'Istituto assieme ad altri ecclesiastici. Ci passò vicino uno dei suoi giovani e Don Orione fermatolo gli disse senza preamboli: «Và a confessarti subito!» L'interpellato cercò di trovare delle scuse, ma il nostro Santo replicò: «Vai a confessarti o dico qui in pubblico quello che hai fatto». «No, no Padre, vado subito». Aveva letto in quell'anima qualche disordine morale. Don Orione voleva che i suoì giovani fossero buoni amici di Dio sempre; non voleva il peccato in casa sua.

Era esemplare nella umiltà e nella povertà. Lo trovai una sera che andava verso casa e aveva in mano una bella fetta di polenta. «Sono, mi disse, goloso di polenta». Veniva dalla canonica del parroco di S. Michele, chiesa di Tortona, e quella polenta fu certo per quel giorno la lauta cena di Don Orione.
A Roma aveva fondato a monte Mario una colonia agricola e vi teneva un discreto numero di giovani e uomini a lavorare. Aveva osservato il lusso di tanti alberghi della città che facevano contrasto con la miseria di tanta povera gente e volle dare una lezione per mostrare che anche i poveri sono fratelli dei ricchi. Terminata la giornata lavorativa, prese con sè un bel gruppo dei suoi ragazzi così come erano, sporchi e con la tuta da lavoro e si presentò all'ingresso di uno dei più lussuosi alberghi. II cameriere si fece avanti e fece capire a Don Luigi che si era sbagliato: certa gente non la poteva accettare; si pagava molto e quindi non era per i poveri. «Ma io voglio, replicò Don Orione, che i miei giovani facciano almeno una volta una buona cena», e fece sedere nel bel mezzo di una sala i suoi cari amici e la cena fu fatta. Al termine si presentò il cameriere con il piatto del conto e rimase sbalordito quando si vide distendere da quel povero prete, accanto alla fattura, un bel bigliettone da mille lire. A quei tempi mille lire erano un capitale! Fece poi recitare davanti a tutti la preghiera di ringraziamento a Dio, e ritornò alla sua Colonia contento di aver data una buona lezione a quei ricconi.
Questi Santi sono tutti uguali!