CONTEMPLAZIONE IN SAN LUIGI ORIONE (G. Rigo)

Don Orione fu un contemplativo? E come?
LA CONTEMPLAZIONE IN SAN LUIGI ORIONE
GIUSEPPE RIGO
“San Giovanni della Croce, per far vedere l’intensità crescente dell’unione con Dio, non insiste sull’estensione dello stato mistico circa le diverse facoltà, ma sulle purificazioni passive che questa unione richiede […]. Le purificazioni dei sensi e dello Spirito denotano così un progresso nella intensità della conoscenza e dell’amore di Dio. Così infatti egli dimostra come la purificazione progressiva delle virtù, sbarazzata da ogni miscuglio, conduce a una contemplazione più semplice, più alta e una unione più intima”.(1)
Ho voluto prendere questo testo di Garrigou-Lagrange come pista di questa mia ricerca. Si sa che nessuno è sfuggito a queste purificazioni interiori proprio perché la sua anima avesse da brillare della stessa luce di Dio.
Tuttavia le purificazioni in un’anima sono più o meno forti a seconda del grado di unione a cui Dio vuole innalzarla. Voglio, quindi, arrivare a capire qualcosa di più sulla contemplazione di Don Orione proprio a partire dalle purificazioni a cui Dio ha voluto sottoporlo.
LA PURIFICAZIONE
La purificazione può essere di due generi: attiva o passiva. La purificazione attiva delle potenze consiste in quello che l’uomo può e deve fare, con l’aiuto della divina grazia, per liberarsi dalle sue imperfezioni. La purificazione passiva, invece, riguarda l’azione di Dio nell’anima.
In questa ricerca non mi occuperò di quest’ultima.
Vorrei premettere che quando si sonda l’interno di un’anima, si entra nel segreto, nel mistero tra il santo e Dio; tutti i nostri tentativi di studio e di analisi in realtà non fanno che sfiorare ciò che è stata la sostanza vera del rapporto anima-Dio, quando addirittura non rischiano di portarci del tutto fuori strada.
Nonostante la mia incapacità, ho fiducia nel Signore che nella sua bontà divina, per edificazione del mondo, a volte alza un po’ il velo che copre le ricchezze dei santi. E questo studio va fatto in un atteggiamento di preghiera. L’analisi spesso rischia di schematizzare, di immobilizzare ciò che invece è un’enorme vitalità, cosicché alla fine c’è la tentazione di mettere un santo dentro un cassetto. La mia intenzione è di cogliere un po’ delle inesauribili ricchezze che il Signore ha profuso nell’anima di Don Orione.
Parlando delle purificazioni interiori bisogna chiarire che:
La purificazione non si opera in modo completo prima che si attui la contemplazione. Come dice il Marin “nel lungo cammino che l’anima deve percorrere per conseguire la santità, il processo purificativo va di pari passo con quello della sua illuminazione e con quello dell’intimità della sua unione con Dio”(2).
Nel caso di Don Orione, non dobbiamo dimenticare che è stato un grande apostolo, non solo un contemplativo, e che quindi il luogo primario di questo suo incontro con Dio fu la vita attiva come fa intendere Garrigou-Lagrange: “Notiamo che presso le anime interiori, che non sono chiamate alla vita puramente contemplativa, le purificazioni passive sono spesso nascoste in mezzo alle sofferenze ordinarie della vita o a quelle che si incontrano nell’apostolato: la luce della contemplazione è allora meno manifesta, ma ciononostante veramente reale”.(3)
Quando si parla di purificazioni passive, si pensa che l’anima è già in qualche misura di Dio, è nella sue mani; dal momento che in queste prove chi opera è Dio, certamente il santo è già un suo strumento passivo. Allora dobbiamo chiederci se Don Orione è stato davvero un mistico e come lo è stato.
Secondo San Tommaso lo stato mistico è la condizione dell’anima sotto l’azione permanente o abituale dei doni dello Spirito Santo. La vita mistica è una vita caratterizzata non dalla presenza dei doni, ma dal predominio dell’esercizio dei doni su quello delle virtù.
Il Maritainha una geniale teoria sui doni: nello stato mistico ci sono due categorie di anime: “Le une posseggono i doni più elevati, della Sapienza e della Intelligenza, che si esercitano in modo particolare: esse rappresentano la vita mistica nella sua normale pienezza; e non solo la vita interiore in genere, ma in modo particolare la loro azione sarà mistica […]. Nelle altre anime si esercitano specialmente i doni meno elevati della gerarchia settenaria. Esse vivranno quindi nell’ordine mistico, ma soprattutto per ciò che riguarda la loro attività e le loro opere […]. Il dono della Sapienza interverrà in modo temperato e discontinuo”.(4)
Molto bene ha intuito Divo Barsotti in una sua conferenza: “Mistico è colui che vive assiduamente sotto l’influsso dei doni dello Spirito Santo, potenziandoli al massimo. Ora tali doni non sono solo, come si suol dire, doni per la preghiera e la contemplazione, ma pure per l’azione. Anche essa diviene effetto mistico”.(5)
A riguardo Don Ignazio Terzi riporta la singolare teoria della Schlink che accresce il numero dei doni dello Spirito Santo; alcuni di questi sono quelli dell’insegnamento, del perdono, della riconquista dei peccatori, dell’incontro con Cristo nei poveri, doni tutti che Don Orione sicuramente ebbe.(6)
Direi che l’esperienza mistica di Don Orione lo pone come uno strumento passivo nelle mani dello Spirito Santo che lo trascina dove vuole: “Iddio mi portava avanti come il suo straccio”. (7) E ancora: “Ho sofferto fame, sete e umiliazioni le più dolorose: e pur parevano biscottini di Dio! Mi sono anche coperto di molti debiti; ma la Divina Provvidenza non mi ha mai lasciato far fallimento. E avrei a grande grazia, se Gesù volesse concedermi, per le vocazioni, di andare mendicando il pane sino all’ultimo della vita”. (8)
Parlare dei doni dello Spirito Santo, in che modo interessa la nostra ricerca sulla contemplazione di Don Orione?
“I doni dello Spirito Santo rendono l’anima prontamente docile, completamente libera, capace di vincere le difficoltà e tutta raccolta in Dio nella preghiera e nella contemplazione. Tale effetto non può essere prodotto neppure dalla virtù della religione, né dalle sole virtù teologali”. (9) E Don Orione si esprime così: “Io non vedo che un cielo; un cielo veramente divino, perché è il cielo della salvezza e della pace vera: io non vedo che un regno di Dio, il regno della carità e del perdono dove tutta la moltitudine delle genti è eredità di Cristo e regno di Cristo. La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi”(10).
È vero che Don Orione vive lo stato di passività rispetto ai doni attivi; tuttavia, secondo San Tommaso, tutti i doni sono legati tra loro e non possono perciò sussistere in un’anima senza il dono della Sapienza.
I TRATTI DELLA CONTEMPLAZIONE ORIONINA
Dobbiamo concludere allora che la contemplazione di Don Orione è uguale a quella di una Santa Teresa o di un San Giovanni della Croce? Direi di no. Ci sono episodi e indizi nella sua vita che fanno pensare che abbia raggiunto gradi elevati di contemplazione: si parla di estasi e di visioni. Tuttavia una pagina di San Tommaso mi spinge a considerare che probabilmente Don Orione abbia avuto in via ordinaria, un altro tipo di contemplazione: “Le persone il cui stile di vita è attivo, avranno la grazia della contemplazione, ma di una contemplazione travestita, non apparente […]. La misteriosa contemplazione non si rivelerà nella loro preghiera cosciente, ma forse nel modo con cui volgeranno lo sguardo ad un povero, od osserveranno i sofferenti”. (11)
Non voglio applicare alla lettera questo scritto a Don Orione; non ci riecheggiano, tuttavia, nel cuore alcune sue espressioni come “vedere e sentire Cristo nell’uomo”,(12) oppure “nel più misero degli uomini brilla l’immagine di Dio”? (13). Scrive ancora: “Noi vediamo nel prossimo e nei poveri le membra di Gesù Cristo, ed in essi amiamo il nostro Dio. Nulla vogliamo se non in Dio e per Dio”(14) . La passività del santo nei confronti dello Spirito Santo, lo condusse non a vedere semplicemente, ma a contemplare Dio nell’uomo, soprattutto nel più povero.
Consideravo poc’anzi la presenza delle purificazioni interiori in Don Orione che supponevano una totale passività all’azione dello Spirito Santo, e sono arrivato a conoscere un po’ come lo Spirito ha fatto breccia nel suo cuore e lo ha innalzato ad una contemplazione tutta particolare. Ma lo Spirito Santo, secondo un’espressione di Maritain, non è solo santificatore, ma anche sacrificatore.
La vita di Don Orione, infatti, che è stata secondo lo Spirito di Dio, fu un autentico olocausto. Cercherò ora di approfondire quest’opera sacrificatrice dello Spirito. Non voglio ricordare la quantità e l’intensità delle tribolazioni che Don Orione ha incontrato nella sua vita ‘esterna’; dico solo che esse dovevano rendere sempre più perfetta la sua carità e quindi sono state necessarie. È significativo a proposito, quanto scrive Santa Caterina da Siena riguardo a coloro che sono nella carità perfetta: “Perché il vostro frutto sia più abbondante e saporito, io vi travaglio con numerose tribolazioni, affronti, ingiurie, oltraggi, disprezzi, rimproveri… La tribolazione è il segno dimostrativo che fa giudicare della perfezione o imperfezione della carità in un’anima”.(15)
A riguardo delle prove interiori sembra che anche Don Orione abbia fatto esperienza di certe ‘notti dello spirito’. Lui stesso accenna a ‘grandi prove’ e ‘forti tentazioni’ e addirittura ad ‘angosce mortali’.
“Non ci spaventino le prove, non le tribolazioni, non i dolori; alle anime e alle opere che Iddio ama, moltiplica le tribolazioni e dolori. Le opere del Signore, tutte o quasi, nascono tra il dolore e si fortificano nel dolore; e i dolori più profondi fanno le gioie più alte e più sante. Solo dobbiamo saper nascondere le nostre lagrime nel Cuore aperto di Gesù Crocifisso, e cercare di cavarne emendazione sincera ed umile di vita, e utilità, con virtù religiose, e specialmente da questi segni, da queste morti, da queste chiamate di Dio vediamo di comprendere bene, e interiormente, ciò che Iddio vuole da noi e dalla nostra umile Congregazione. […] Se, dopo questa, altre e altre pene verranno – come prego e come spero – se altre morti seguiranno, e il nostro cuore, o fratelli, sanguinerà e n’andrà spezzato, invochiamo l’aiuto del Signore, che non mancherà; e poi venga, ben venga il Signore a piantare, e dentro e fuori e sopra di noi, la sua Croce adorabile, pegno divino del suo amore; ben venga Gesù Cristo a regnare sovrano sui frantumi della nostra umanità, della nostra miseria, e ogni dolore provochi un’offerta più generosa, una risoluzione più santa, una benedizione più grande” (16).
È il ‘tunnel dell’oscurità’ attraverso il quale devono passare i grandi contemplativi. È una purificazione profondissima, chiamata da alcuni autori ‘tomba dell’anima’ in quanto l’anima muore in tutto a se stessa e rinasce trasformata in Gesù Cristo. Questa ‘discesa nella tomba’ è necessaria alle anime prescelte da Dio alle alte vette. Scrive il Barsotti: “L’unica cosa che proporziona l’anima a Dio è la sua purezza, il suo vuoto”.
(17)
Anche se Don Orione ha provato in qualche modo questa oscurità interiore, non parlerei in lui di silenzio di Dio, di solitudine mistica. La sua esperienza è diversa da quella di San Giovanni della Croce o di un Hermano Rafael o di una Teresa Verzeri. “Nell’esperienza della Verzeri – scrive il Barsotti – Dio trae a sé l’anima, non dà di sé alcuna esperienza diretta, ma rende l’anima incapace di qualsiasi altra esperienza di amore”. In Don Orione si può dire che Dio non gli fa fare nessuna altra esperienza se non quella di un amore travolgente, null’altro gli comunica che il fuoco divino della carità che lo consuma.
E nelle parole del santo numerose sono le tracce di queste ‘scottature’ divine. Scriveva a don Carlo Perosi: “In certi momenti il Signore mi preme il cuore e allora bisogna che pianga e che rida di carità grande e corra, ed è una cosa che non si può ben dire, ma è un fuoco grande che ha bisogno di dilatarsi e di infiammare tutta la terra”. In uno scritto del 1922 esplode in questi bei versi: “O amore di caritade, perché m’hai sì ferito? Lo cor tutto ho partito et arde per amore!”. (18)
In un’altra lettera prega così: “Signore scrivete sulla mia fronte e sul mio cuore il tau sacro della carità… Che la mia vita fiammeggi, come in un altissimo rogo, davanti a te Gesù!”.(19)
È – dice San Giovanni della Croce – come quando il fuoco, dopo aver ferito il legno con la sua fiamma e averlo disseccato, infine lo penetra e lo trasforma in sé.(20) E San Tommaso: “Solo il fuoco può rendere un corpo incandescente; solo Dio può deificare le anime”. Infatti Don Orione si sentiva proprio come ‘un carbone acceso’
…(21) La morte, il vuoto, l’annichilimento in Don Orione non sono operati solo dalle esigenze concrete della carità ma dal fuoco divino che lo consuma dentro. La carità, per dimorare in un’anima, esige il vuoto; e una volta che vi ha posto sede, continua a bruciare tutto ciò che è impuro, anche le più piccole imperfezioni. Scrive San Giovanni della Croce: “Dopo aver purificate le imperfezioni più esterne, il fuoco di amore torna a ferire per consumare l’anima e purificarla più internamente. In tal caso le sofferenze sono tanto più intime, raffinate e spirituali, quanto più il fuoco le va mortificando le più intime delicate e spirituali imperfezioni radicate nell’interno dell’anima”.(22)
Si può dire quindi che Don Orione abbia vissuto l’esperienza mistica del fuoco-amore. Parliamo di passività nello Spirito Santo, non solo rispetto all’esercizio dei doni attivi, ma anche rispetto a questa fiamma interiore, dal momento che lo Spirito è essenzialmente amore. Infatti quando si parla di fiamma che lo consuma, si intende proprio l’amore dello Spirito Santo che affina, rende perfetta l’anima. Il fuoco trasforma l’anima di Don Orione consumandola.
Si dice che San Filippo Neri sentiva una così grande fiamma al cuore, per il divino amore, che il calore, aprendosi un varco fra le costole, le dilatò fortemente e ne ruppe due, così poteva ricevere aria per refrigerarsi. Si racconta ancora che San Stanislao Kostka, a quattordici anni, – secondo i biografi – era talmente assalito d’amore verso il suo Salvatore, che spesso cadeva estenuato e doveva applicare al petto pezzuole di acqua ghiacciata per diminuire il bruciore che sentiva.
In Don Orione non ci sono stati questi fenomeni, ma anche in lui la fiamma dell’amore di Dio era ben viva. Non era solo un forte sentimento: in Don Orione questa fiamma si identificava con lo zelo apostolico.
Il carattere mistico dello zelo è emblematico nella figura del Beato Domenico della Madre di Dio. Divo Barsotti scrive di lui: “Sembra che l’ansia apostolica sia per il Beato Domenico la purificazione passiva più efficace a rendere puro e perfetto l’amore”. (23)
Mi pare di poter scorgere, in questo brano, il medesimo carattere dello zelo di Don Orione: la passione apostolica che consuma l’anima del Santo è passione violenta di amore. Lo esprime lui stesso: “Lo splendore e l’ardore divino non mi incenerisce ma mi tempra, mi purifica e sublima e mi dilata il cuore, così che vorrei stringere nelle mie piccole braccia umane tutte le creature per portarle a Dio”.(24) E in un altro scritto: “Si diffonda su tutti l’onda della tua carità, [o Signore], che tutti ci purifichi e pervada e ci trasformi […] in un oceano di carità”.(25)
Don Orione ha sete di animee il suo cuore arde per la loro salvezza. Ciò che si muove dentro di lui è l’anelito prepotente di diffondere l’amore a Gesù Cristo. Don Orione vive in una unione tutta speciale con Gesù: egli infatti partecipa, nel più profondo, della stessa missione redentrice del Cristo e per essa offre l’intera sua vita e si strugge al solo pensiero che un’anima possa dannarsi.(26)
San Francesco di Sales nel Teotimo scrive: “L’amore stesso ferisce alcune anime talvolta nella sola considerazione della moltitudine di coloro che disprezzano l’amore di Dio, onde per tal modo spasimano di tristezza come accade a colui che diceva: “Il mio zelo mi ha consumato di dolore, perché i miei nemici si sono scordati delle tue parole”(Sl 118; 139)”.(27) È forte il dolore di un’anima abbandonata a questa fiamma, che vuole incendiare il mondo, ma è consapevole dei suoi limiti. A causa del grande amore per il Signore l’anima s’addolora e soffre grandemente del poco che fa per Lui e se le fosse lecito sarebbe contenta di annientarsi per Lui mille volte.
IL MISTERO DELLA CROCE
L’amore si comunica all’anima – e di qui si può intuire il grado di unione con Dio – ma anche la incendia. Scrive San Giovanni della Croce: “Il fuoco d’amore non solo tiene l’anima a sé congiunta, ma fa sprigionare in lei fiamme d’amore”.(28) E non dobbiamo pensare che questo incendio interiore si estingua una volta compiuta l’opera di purificazione cioè quando l’amore in un’anima è reso perfetto. Infatti “l’amore non sta mai ozioso, ma in continuo movimento come la fiamma getta sempre lingue di fuoco qua e là” (29); e nel loro movimento, queste fiamme appiccano il fuoco tutt’intorno.
Don Orione scrive al riguardo: “Noi dobbiamo chiedere a Dio non una scintilla di carità, ma una fornace di Carità da infiammare noi e da arrovellare il freddo e gelido mondo con l’aiuto e per quella grazia che ci dà il Signore”.(30)
Don Orione sente questo calore divino che vuole diffondersi e invoca la Vergine Santissima: “Foco, dammi foco, foco di amore santo di Dio e dei fratelli: foco di divina carità che accenda le fiaccole spente, che tutte le anime!”.(31) […]
“Ogni nostra parola deve essere un soffio di cieli aperti: tutti vi devono sentire la fiamma che arde nel nostro cuore e la luce del nostro incendio interiore: trovarvi Dio e Cristo”.(32)
Penso che in questa prospettiva si comprenda un po’ di più il mistero della croce in Don Orione. Il fuoco interiore, infatti, si alimenta proprio col patire: “Non c’è altro legno capace come quello della croce di far divampare nell’anima il fuoco dell’amore” scrive Suor Elisabetta della Trinità.(33) E S. Teresa di Lisieux dice che l’amore si nutre di sacrifici anzi, più un’anima cresce nell’amore, più deve crescere nella sofferenza. (34)
Thomas Merton in ‘Semi di contemplazione’ ha questa profonda espressione: “Il Cristo è sempre un Crocifisso; per essere un contemplativo, non un illuso, entra nella tenebra della rinuncia interiore, spoglia l’anima tua dalle immagini e lascia che Cristo si formi in te con la sua croce”.
Queste riflessioni possono servire a noi che siamo così restii ad abbracciare la croce, così timidi e paurosi di fronte alle sofferenze e magari quando sopportiamo qualcosa ci sentiamo degli eroi o peggio delle vittime mentre dovremmo dire con San Paolo “Sovrabbondo di gioia nelle tribolazioni” e ringraziare il Signore perché ci dà delle occasioni particolari per manifestargli il nostro amore.
Il Padre Sicari, nel suo profilo su Santa Teresa, fa un’acuta riflessione che cito a senso: la gioia non viene dopo la sofferenza e neppure nonostante la sofferenza, ma è nella sofferenza. La croce è la sorgente della gioia, nella croce e nel Crocifisso c’è tutto. In una sua lettera Santa Teresa di Lisieux scriveva: “Per una Carmelitana una giornata passata senza sofferenza è una giornata perduta” (35). Oh se questo potesse essere vero anche per un orionino!
Il binomio carità-croce è ben presente in Don Orione: “Ma, o figli miei, non dobbiamo avere il tempo di ‘volgere il capo a mirare l’aratro’ tanto che la nostra missione di carità ci spinge e ci incalza, tanto l’amore del prossimo ci arde, tanto il divino fuoco di Cristo ci consuma. Noi siamo gli inebriati della carità e i pazzi della Croce di Cristo Crocifisso”.(36)
CONTEMPLAZIONE E AZIONE
Ci sarebbe ancora molto da rilevare, sul mistero del Crocifisso, in Don Orione, rispetto a quello che si è scritto fino ad oggi; ma vorrei riportare l’argomento sulla contemplazione, anche se si può parlare di una autentica unione di Don Orione col Crocifisso.
Se le brevi riflessioni sulla profondità della purificazione che il santo ha subito dalla Carità divina ci hanno fatto intuire il grado di contemplazione raggiunto, dal momento che la contemplazione, come dice il Lallemant, procede dall’amore e tende all’amore, esse ci aiutano a comprendere anche il legame profondo tra contemplazione ed azione. Don Orione è invaso dall’amore di Dio, è tutto carità. “La carità, come dice lui stesso, ha fame d’azione; è un’attività che sa di eterno e di divino. La carità non può essere oziosa. Noi moriamo in Dio e viviamo in Dio”.(37)
È proprio questo ‘vivere in Dio’, cioè nella carità, che dà la formula della sua esperienza mistica tesa tra contemplazione e azione. Molto bene ha espresso questo concetto il Barsotti: “Il Beato Luigi Orione vive questa dipendenza, anzi questa passività nei confronti di una carità divina che lo muove, lo agita, lo trasporta, lo travolge […] In lui l’attività non è contraria alla contemplazione, egli è un grande contemplativo nell’azione”.(38) In Don Orione non vi è il problema di conciliare preghiera e apostolato. Egli vive bruciato da un unico amore, dal fuoco della carità divina che vuole espandersi, che lo getta continuamente nel cuore di Cristo e nel cuore dell’uomo. Scriveva al Galassi Paluzzi: “Oggi purtroppo dovrò fare molte cose, dovrò correre di qua e di là, ma prima di uscire di casa getterò il mio cuore nel tabernacolo e lo lascerò là con Nostro Signore. Povero me, che vita è mai la mia! Sia fatta la volontà di Dio!”.
Se l’azione deriva da quella sorgente pura che è l’unione con Dio, arricchisce la preghiera stessa perché unione e amore si rimandano e si fomentano a vicenda: “La contemplazione mistica è tutta impregnata di amore e non può suscitare che un più grande amore”(39); è il circolo vizioso dell’amore. E qualora l’azione apostolica non ci rimandasse con più slancio a Dio, se non accrescesse in noi il desiderio di una maggiore interiorizzazione, dovremmo sospettare che non procede da un amore totalmente puro e retto. “I nostri ministeri non ci impediscono l’unione con Dio, ma servono piuttosto a stringere con Lui più forti e amorosi legami, permettendoci così di abbracciarlo in sé con la contemplazione e nel prossimo con l’azione”. (40) È dello stesso Lallemant questa espressione ancora più forte: “Chi è privo di raccoglimento interno, di spirito di preghiera, di unione col Signore, deve assolutamente astenersi dall’apostolato esteriore”. (41)
Anche Don Orione ha precisi ammonimenti contro i pericoli di un apostolato troppo esteriore e dissipato. “Portiamo con noi e ben dentro di noi il divino tesoro di quella carità che è Dio, e pur dovendo andare tra la gente, serbiamo in cuore quel celeste silenzio che nessun rumore del mondo può rompere e la cella inviolata Cristo Signore”
. (42) Don Orione certamente poteva gettarsi negli uomini e nei loro bisogni perché in lui non c’era altro che amor di Dio. Non ho trovato un passo così chiaro e profondo come questo del P. Gabriele o.c.d., di cui mi si perdonerà la lunga citazione, a proposito del rapporto contemplazione e azione: “L’amore è l’unica radice da cui sbocciano l’azione e la contemplazione; esso è l’unica forza che alimentando ad un tempo queste due attività, riesce infine a fonderle in piena armonia, affinché diano i frutti migliori […]. La carità perfetta, cioè l’amore puro e solitario che fiorisce nel contatto intimo con Dio, fa sì che l’anima impegnata nelle opere apostoliche sia, nello stesso tempo più che mai unita a Dio, più che mai contemplativa; l’amore l’ha talmente fissata in Dio che anche durante il lavoro il suo sguardo è sempre rivolto a Lui, per nutrirsi della sua divina presenza, per riflettere nella propria condotta le sue perfezioni infinite, per regolarsi in tutte le cose secondo l’espressione del suo beneplacito”. (43)
A noi, che siamo così poco imbevuti di Dio, prima di raggiungere la maturità spirituale per conciliare preghiera e azione, occorre, come suggerisce il P. Gabriele “percorrere un lungo cammino, durante il quale è assolutamente necessario darsi all’azione con prudenza, ed essere molto fedeli all’orazione, non lasciando invadere dal lavoro il tempo ad essa destinato”. (44)
Posso concludere dicendo che Don Orione è stato una vittima dell’amore, l’uomo dilaniato dal fuoco della carità e dallo zelo apostolico.
In lui l’amore è stato reso perfetto da un’opera continua e tremenda dello Spirito Santo a cui aveva abbandonato la sua vita. Ma quello stesso amore lo ha innalzato a Dio nella più alta contemplazione e lo ha reso capace di vedere il medesimo Dio nell’uomo.
Noi, che seguiamo il suo esempio, lasciamoci invadere dall’amore e accettiamo con gioia la sua opera di purificazione. Dio infatti ci conosce nel più profondo e le purificazioni che ci manda sono quelle che più si addicono per raggiungere la perfezione.
A conclusione di queste riflessioni documentate dalle sue stesse parole mi piace riproporre il mio pensiero. Resto sempre dell’avviso che la morte di Don Orione non sia stata dovuta solo ad un attacco di “Angina pectoris”, ma fra varie concause di morte ci sia stata anche la spaccatura del suo cuore causata dall’intenso amore a Gesù crocifisso; non a caso morì pronunciando: “Gesù, Gesù, Gesù!”. L’avrà visto in quel momento? L’avrà abbracciato realmente? Lasciatemi pensare che sia stato così. E poi ha detto: “vado”! Forse si può pensare che volesse dire: non posso più stare qui; Gesù è venuto a prendermi, perciò vado!
La strada per arrivare alla contemplazione è quella della nostra vocazione, perché Dio l’ha scelta per noi; l’unione con Dio deve essere il frutto di una orazione profonda e di un’azione caritativa intensa e deve procedere da quell’unico fuoco d’amore che ha consumato il nostro Fondatore.
NOTE
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1. Garrigou-Lagrange, La via illuminativa dei proficienti, Ed. Vivere in, 1984, p. 75.
2. R. Marin, Teologia della perfezione cristiana, Ed. San Paolo, Alba 10° ediz., p. 432.
3. Garrigou-Lagrange: ibid. p. 60
4. Jacques Maritain, Vita di preghiera, « Opera», Morcelliana 1976, p. 66.
5. Divo Barsotti, La spiritualità del Beato Luigi Orione,:«Messaggi di Don Orione», 16(1984) n.59, p. 22
6. I. Terzi, La nostra fisionomia nella Chiesa, Ed. Don Orione, Tortona 1984, 29 Agosto.
7. Lettere II, p. 24.
8. Ibid.
9. Tommaso di Gesù, L’orazione divina , «Bibbia e cristiani a confronto», cap. I, Ed. Herbita 1997.
10. D. Orione, Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine, I Triangoli, Casale Monferrato 1995, pp. 135-136.
11. San Tommaso, Summa Theologica, I-II, 68,5.
12. Nel nome, p. 135.
13. Cfr. Nel nome, p. 116.
14. Ibid. 15. Santa Caterina, La Provvidenza della Misericordia, Dialogo Cap. XI.
16. Lettere I, pp. 169-170.
17. Divo Barsotti, Magistero di Santi, p. 75.
18. Nel nome, p. 55.
19. Ibid., p. 83.
20. San Giovanni della Croce, Notte oscura 2, «Opere », Roma 1979, p. 429,10, 7.
21. Nel nome, p. 83.
22. San Giovanni della Croce, Cantico Spirituale,B 39, 14, p. 712 ss.
23. Divo Barsotti, Magistero di Santi, p. 45.
24. Nel nome, p. 81.
25. Ibid., p. 56.
26. “Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno, perché io, per la misericordia tua, la chiuda. Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine. ”È la sua preghiera, tanto eloquente, per capire come sia disposto a tutto pur di salvare le anime. In nome, p. 136.
27. San Francesco di Sales, Lettere ai laici, « Teotimo », Pro Sanctitate, 1976 Vol. I, cap. XIV.
28. San Giovanni della Croce, 2 Notte oscura 19,3, p. 463.
29. San Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore , B prologo 4, p. 822.
30.Lettere I, p. 181.
31. Nel nome, p. 89.
32. Ibid., p. 141.
33. Santa Elisabetta della Trinità, Opere, Post. Gen. OCD, Roma 1967, p. 217.
34. Santa Teresa di Lisieux, Lettere a Celina, n.58, pag. 424.
35. Santa Teresa di Lisieux, Lettere a Celina, n.26, p. 424.
36. Nel nome, p. 143.
37. FDP, Don Orione nella luce di Maria, IV, p. 2165.
38. Divo Barsotti, La spiritualità di Don Orione, «Messaggi di Don Orione», 16(1984) n.59, pp. 22-23.
39. San Tommaso, Contemplazione, «Dizionario di spiritualità», Studium, Roma 1975, I lect.2.
40. Lallemant, La Dottrina spirituale, Ancora 1984, p. 180.
41. Lallemant, ibid., p. 228.
42. Scritti, 66,I, p. 242..
43. P. Gabriele di S.M.M, Intimità divina, Monastero S. Giuseppe 1985, p. 1183.
44. Ibid. p. 1171.