GALBIATI Benedetto e Don Orione. Documenti inediti.

Ricostruzione dei rapporti tra Don Orione e Don Benedetto Galbiati.
DON BENEDETTO GALBIATI
di Natal Mario Lugaro
Documenti inediti testimoniano la grandezza spirituale di Don Luigi Orione. Guidò con paterno amore il travaglio di don Galbiati.
Il sacerdote ambrosiano, grande predicatore, fu condotto da don Luigi alla pace dell’obbedienza.
Don Luigi Orione, l'umile prete di Tortona, è conosciuto per la sua immensa carità, che ha ottenuto la solenne conferma della Chiesa con la beatificazione. Ma anche nella carità dei santi vi sono orientamenti e indirizzi particolari. « Uno degli aspetti meno noti (e più evangelici) di don Orione – ci dice don Giuseppe Zambarbieri, che fu per molti anni fedele segretario del novello beato e tenne per un lungo periodo la direzione generale dell'Opera da lui fondata – è stata la sua fraterna sollecitudine per i sacerdoti in difficoltà. Quante spine dolorosissime ha tolto ai Vescovi, ricevendo nelle varie nostre case sacerdoti che non si erano comportati bene, e quanti è riuscito a riabilitarne. Sono le piaghe della Chiesa ed è ben giusto che si circondino di grande riserbo».
Don Zambarbieri soggiunge: «C'è poi il capitolo del modernismo. Per quanti e quanti (e nomi anche molto noti) don Orione, accanto a San Pio X, è stato il buon samaritano. Ma quanti altri sacerdoti devono all'infinita comprensione e bontà di don Orione se hanno superato situazioni difficili ed evitato passi che potevano portare a conseguenze irreparabili, con lacerazioni penose e danni per le anime».
Uno di questi casi riguarda don Benedetto Galbiati. Era un sacerdote ambrosiano, nato ad Agrate Brianza nel 1881 e ordinato nel 1906. Dopo le lauree in diritto canonico e in sacra teologia, il cardinale Ferrari lo aveva mandato a Pisa, dove, ospite del cardinale Maffi, collaborò con Giuseppe Toniolo alla fondazione dell'Unione popolare fra i cattolici italiani. Rientrato nell'Arcidiocesi milanese, diresse per qualche tempo «Il Cittadino» di Monza. Alla morte del cardinale Ferrari partecipò alla fondazione dell'Opera che ne prese e ne porta tuttora il nome. In una sua biografia si legge: «Carattere limpido, leale, signorile, fiero; mente eletta e cuor d'oro, dotato di non comune acume filosofico e di vastissima cultura, ebbe conoscenza singolare del suo tempo, sia per la sua dimestichezza coi massimi ingegni, sia per la grande diligenza nel tenersi aggiornato sull'evolversi del pensiero moderno, di cui conosceva anche le sfumature».
L'eloquenza al servizio della verità
Divenne famoso specialmente per l'oratoria. Parlatore efficace, cesellatore del pensiero, maestro nell'uso sapiente della parola, trovò il suo vasto campo d'azione nell'apologetica. A Milano, ma anche in altre città, nel Nord e nel Sud d'Italia, portò il valore dell'eloquenza al servizio della verità evangelica. Le folle riempivano le chiese dove predicava e le sale dove teneva discorsi e conferenze. Nella metropoli ambrosiana, negli anni Venti e Trenta, era capace di predicare due o tre quaresimali nello stesso giorno, e senza mai ripetersi. Benedetto XV lo definì: «Il Boccadoro del secolo». Pio XI vedendolo, durante un pellegrinaggio, inginocchiato in disparte, gli si avvicinò, gli pose la mano sul capo, e disse: «Oh, don Benedetto, dux verbi!».
Ma doveva giungere per questo «principe della parola» l'ora della prova. Non temprato alla prudenza, talvolta la sua oratoria inneggiava alla libertà in un tempo in cui essa era impedita. Venne direttamente da Storace l'ordine di togliergli la parola. Il cardinale Schuster, a causa di intemperanze in cui don Benedetto cadeva facilmente, gli tolse la facoltà di predicare a Milano e in tutta l'arcidiocesi. Fu un colpo tremendo per l'irruente sacerdote, che si vide privato della sua facoltà più congeniale. Intanto, l'Opera «Cardinal Ferrari» stava attraversando la famosa crisi. Don Benedetto, che aveva fatto di don Orione il suo confidente, si trovò solo perché il grande fraterno amico era partito, nel 1934, per l'Argentina.
Due lettere a don Benedetto dall'Argentina
Già nella Pentecoste del 1931 (la crisi della «Cardinal Ferrari» culminò nel 1929) don Galbiati aveva fatto promessa d'obbedienza, non alla Congregazione, ma personalmente a don Orione. Era un vincolo «ad triennium», che rinnovò nel 1934 e nel 1937. Non poté farlo nel 1940, per la morte di don Orione, ma si considerò tuttavia «oblato temporaneo dell'Opera».
Sono state rese note ora due lettere di don Orione dall'Argentina e don Benedetto. La prima è del 2 ottobre 1935. Gli scrive: «Dopo che il nostro Santo Padre Pio XI mi ha parlato con tanto interessamento e amore di te, e il periodo di alcuni anni di probazione durante i quali non ho mai avuto sul conto tuo la più piccola osservazione, ma sempre ottime relazioni da vescovi e da arcivescovi, ti accolgo nel nome di Dio e con grande letizia per un secondo triennio quale sacerdote oblato della Piccola Opera della Divina Provvidenza». E gli dà alcune esortazioni, fra cui questa: «Viviamo sempre piccoli e fedeli ai piedi del Papa e dei vescovi, in un'obbedienza piena e senza limiti».
La seconda lettera è datata da Tortona, il 6 dicembre 1937. Tornato dall'Argentina, don Orione aveva trovato l'amico gravemente depresso. E si era dato subito da fare per consolarlo. Nella lettera gli riferisce di essere stato in udienza dal cardinale Schuster. «A Sua Eminenza, dunque – egli dice – ho parlato di te, mio caro don Benedetto, a cui tutti vogliamo un gran bene, come tutti da anni soffriamo con te». E più avanti: «Sappi che egli, il cardinale Schuster, ti ama tanto, e deve avervi sofferto la sua parte, e ti ama proprio con il cuore di Sant'Ambrogio, di San Carlo e del cardinal Ferrari. Ora tu, mio caro Galbiati, scrivigli una buona lettera da figlio a padre, si, e come parlassi con il tuo cardinale Ferrari e al Signore. E prima di predicare in diocesi di Milano, va da lui, e digli che ti dia una bella paterna benedizione». La lettera continua, ricca di consigli spirituali e di conforto, infiammata d'amore per Dio e per le anime, che raccomanda alla sollecitudine di don Benedetto.
L'intervento di don Orione aveva infatti ottenuto per l'afflitto confratello la facoltà di predicare ancora a Milano. Lo farà per molti anni, e negli ultimi tempi proprio nel santuario di San Bernardino, dove s'incontrava sovente con l'arcivescovo cardinale Schuster. Quando, il 12 marzo 1940, don Orione morì, don Benedetto scrisse una pagina che è un documento d'alta poesia e di veemente amore, in cui si rivolge al suo grande amico e benefattore, dicendogli: «Finalmente posi, stanco com'eri e sfinito. Dagli anni giovanetti agli estremi, non hai saputo negare un palpito a nessun fratello che l'invocasse: quante lacrime hai inghiottite tremando? Per quanti gemiti ti sei dilatato? Per quante disperazioni aggricciato fino allo spavento?». E alla fine dell'invocazione così concludeva: «Ora posi nel tuo Santuario, vigilato dalla Guardia di Maria, in quella che fu la città del tuo pianto e del tuo amore; ma io ti sento in me più vivo e più intimo di quando gioimmo sensibilmente e piangemmo insieme. Sii meco sempre, dolcissimo materno amico. L'anima che t'ho dato, è tua: in te rinchiusa e custodita attende nel silenzio che si disveli il segno di Dio e nell'oracolo della Santa Chiesa divampi tra gli uomini il nimbo della tua gloria, guarentigia della sua propria salvazione, o Cuor dei Cuori!»
Sodalizio fraterno fra due grandi anime
Don Benedetto Galbiati, ormai pacificato, si spegneva in Milano l'11 agosto 1956, assistito da don Zambarbieri. Nelle ultime sue ore di vita terrena, era andato a visitarlo il cardinale Montini, allora arcivescovo di Milano. A chi gli ricordava don Orione, assicurava di sentirlo tanto vicino. Dopo avere ricevuto l'olio santo, aveva detto: «Alle 10… alle 10…». E alle ore dieci precise si era spento. Il suo travagliato spirito, finalmente, aveva trovato riposo nell'altra vita.
«Quando ho intuito che era alla fine – ci dice don Zambarbieri – e lo guardavo, così forte e sereno, con la sua bella barba bianca, da farmi pensare a un patriarca, gli ho chiesto se avesse qualche desiderio da esprimere». «Riportatemi in braccio a mia madre», mi ha risposto. Intendeva nel piccolo cimitero di Agrate, vicino alla mamma, un'umile contadina che aveva amato con un amore e una riconoscenza indicibili, così che, ricordo, non sapeva nominarla, nelle prediche, senza commuoversi e tradire un nodo alla gola. Come faceva, del resto, quando nominava don Orione».
Nella gloria che ora illumina l'aureola di don Orione è bello ricordare un episodio poco noto della sua carità, che è stata capace di stringere un sodalizio fraterno fra due grandi anime sacerdotali.
* NATAL MARIO LUGARO, nato a Vado Ligure nel 1904 , collaboratore del quotidiano cattolico genovese Il cittadino, ne diventa redattore capo nel 1937, dopo aver fondato il mensile Rinascimento letterario. Nel 1938 si trasferisce a Milano entrando nella redazione de L'Italia di cui fu a lungo redattore capo e critico cinematografico. Muore a Milano il 5 maggio 1999.