Don Orione e l'Anno straordinario della Redenzione, indetto da Pio XI nel 1933.
Anno straordinario della Redenzione, indetto da Pio XI. È il 1933. Tra i numerosi fedeli accorsi a Roma per l’acquisto del giubileo c’è anche don Luigi Orione. È accompagnato da una sessantina di suoi Confratelli sacerdoti e da 40 chierici, studenti presso le pontificie Università romane. Venerdì 14 luglio, a conclusione degli esercizi spirituali, il gruppo si reca di buon mattino nella basilica di San Paolo, sulla via Ostiense. I pellegrini attraversano la porta Santa e si disperdono all’interno della basilica. Don Orione si scosta dal resto del gruppo, per raccogliersi in preghiera. Nell’occasione, l’anonimo fotografo, senza saperlo, scatta una delle foto più significative di don Orione. La qualità dell’immagine non è molto buona, ma la potenza espressiva e simbolica che emana dall’istantanea è sorprendente.
Don Orione è ritratto in piedi. Tra le mani, un libretto di preghiere per l’acquisto delle indulgenze. È assorto e concentrato. Sopra di lui la statua in marmo di San Pietro. Per uno straordinario effetto prospettico, certamente non voluto dal fotografo, la mano del Principe degli Apostoli è perfettamente in asse con la testa di don Orione, a simboleggiare benedizione e protezione.
Solo loro due: in alto, Pietro, a rappresentare la Chiesa fondata da Cristo; ai suoi piedi, don Luigi Orione, il figlio obbediente e fedele, il Fondatore di una Congregazione che si prefigge come fine speciale “di diffondere la conoscenza e l’amore di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa specialmente nel popolo e di trarre e unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla Sede Apostolica”. Siamo nel cuore del carisma orionino. Il legame ideale (e reale!) che unisce queste due realtà (la Chiesa e don Orione) è simboleggiato da quella fotografia in bianco e nero, scattata nella penombra di una navata.
Quello stesso giorno (venerdì 14 luglio 1933) il gruppo guidato da don Orione vive un altro grande avvenimento: l’udienza con Pio XI. Alle ore 12, alla presenza del Papa, don Orione pronuncia il seguente indirizzo di omaggio e saluto: «Beatissimo Padre, gli umili Figli della Piccola Opera della Divina Provvidenza sono qui ai vostri piedi! A Roma siamo venuti per il santo Giubileo, ma anche per mirare e venerare in voi Pietro! Che gioia grande poter ripetere ai vostri piedi benedetti la professione della nostra fede: in voi vediamo Pietro, in voi vediamo Gesù Cristo...
E una parola ancora lasciateci dire, o Padre amantissimo; vi diciamo che vi amiamo tanto! Che siete con Gesù Cristo Crocifisso e con la Santa Madonna la nostra pacifica e invincibile orifiamma per muovere, sorretti dalla divina grazia, a conquistare anime e anime al Signore! L’amore al Papa è il nostro credo: dell’amore al Papa noi viviamo, nell’amore al Papa meditiamo, preghiamo, lavoriamo e aneliamo a santificarci tutti i giorni... Eccoci, Padre Santo, qui prostrati, sacerdoti e chierici: ai vostri piedi benedetti deponiamo i nostri cuori, tutta la nostra vita e le nostre povere opere...
La benedizione apostolica, che umilmente imploriamo su di noi e sulla piccola Congregazione, ci faccia sempre più di nostro Signore Gesù Cristo e vostri, sì che possiamo, vivi e morti, essere come i più umili figli e stracci vostri e della Santa Chiesa di Dio».
Di questo spirito orionino, incentrato nell’amore alla Chiesa, esistono altre curiose espressioni, formulate in forma di ossimoro. Per don Orione occorre vivere “camminando in ginocchio ai piedi della Chiesa”, “d’inginocchio fin con la testa”. Si tratta della stessa convinzione, della stessa tensione esistenziale, dello stesso amore che ritroviamo disseminato nell’immenso suo epistolario, dove la frase “ai piedi della Chiesa” ricorre più di 80 volte. Nel 1936 don Orione scrive all’abate don Emanuele Caronti, Visitatore apostolico: “L’unico mio sospiro è di vivere e morire d’amore ai piedi di Gesù crocifisso, del Papa e della Chiesa, stretto alla Madonna SS.ma. E finisco”. Non c’è migliore conclusione di questa. Finisco anch’io.