E' il momento della festa. Il fondatore è sereno, il volto è luminoso e sorridente, segno dell’interiore compiacimento per quella istituzione così importante, iniziata e portata a compimento nel segno della divina Provvidenza.
“Il mondo è fatto a scale: c’è chi scende e c’è chi sale”, recita una adagio nostrano. Lui le sta salendo con passo deciso e volto ilare. La fotografia è stata scattata il 26 maggio 1938, in occasione della prima festa patronale dell’Istituto San Filippo Neri, in Roma, aperto da don Luigi Orione per l’istruzione e la formazione dei figli del popolo.
Al mattino, il card. Eugenio Tisserant ha celebrato la Santa Messa, durante la quale ha amministrato i sacramenti dell’Eucaristia e della Cresima a sessanta alunni dell’Istituto. Nel corso della celebrazione, don Orione si è messo a disposizione per le confessioni.
Le cronache del tempo riferiscono altri particolari: “Il pomeriggio, nell’ampia sala-teatro, i neo comunicati e i cresimati, una rappresentanza degli alunni e parecchi intervenuti, hanno presenziato alla rappresentazione di una operetta lirica, interpretata esclusivamente da giovani studenti dell’Istituto. Concludeva l’indimenticabile giornata la benedizione eucaristica solenne, impartita su un improvvisato altarino nello spazioso porticato della scuola”.
Osserviamo la foto: è il momento della festa. Il fondatore è sereno, il volto è luminoso e sorridente, segno dell’interiore compiacimento per quella istituzione così importante, iniziata e portata a compimento nel segno della divina Provvidenza. Dietro, seminascosto, un tricorno: è quello dell’allora parroco dell’annessa chiesa di Ognissanti. In basso, una mano si aggrappa all’inferriata che, dal cortile interno, sale tortuosa verso i porticati laterali. Accanto al fondatore, un sorridente piccolo alfiere, tal Silvano Dattino, emblematico rappresentante di tutta la schiera degli alunni che, da alcuni mesi, ha dato vita e prestigio all’Istituto.
Don Orione sale spedito: l’anonimo fotografo attira la sua attenzione e gli chiede di fermarsi per un attimo. Lo scatto lo immortale su quella scala che cela in sé significati reali e simbolici. Di scale, infatti, don Orione se ne intende. Talvolta sono quelle impegnative della ricerca e della fatica: “Per le vocazioni dei fanciulli poveri ho camminato tanto: ho salito tante scale, ho battuto a tante porte! Dio, che mi portava avanti come un suo straccio, Dio solo lo sa. Per essi ho sofferto la fame, la sete, le umiliazioni più dolorose; erano i biscottini di Dio”.
Scale e gradini, al termine dei quali c’è, talvolta, il diniego: “Sono otto giorni e più che sono qui a salire e scendere tutte le scale di parecchi Ministeri, di Deputati, di persone autorevoli e influenti, ma finora nulla potei ottenere...”.
Nella vita di don Orione non ci sono soltanto le scale materiali, percorse con il fiato corto, alla ricerca di vocazioni o di un pezzo di pane. C’è anche un diverso salire, una “ascesa” spirituale, anzitutto nella perfezione della vita, nell’incoraggiamento rivolto ai giovani per spronarli a guardare sempre più in alto: “Addestriamoci ad ascendere verso Gesù, a salire in alto, sino a lui, perché tutte le altre volate sono nulla! La perfezione deve servire di scala per salire in alto, excelsior!, per salire a Dio e all’amore della Santa Chiesa di Dio, che è il nostro grande e sacro amore”.
Anche ai suoi sacerdoti e chierici rivolge lo stesso pressante invito: “Ogni pena, ogni dolore, ogni distacco ci deve essere scala per salire a Dio... Bisogna salire più alto, andare fino a Gesù che è Dio, all’Eucarestia dove Gesù è luce, dove Gesù è virtù divina”.
In questa singolare “ascensione” non mancano altre significative parole che don Orione indirizza alla grande schiera di benefattori e amici: “Con Cristo tutto si eleva, tutto si nobilita: famiglia, amore di patria, ingegno, arti, scienze, industrie, progresso, organizzazione sociale. Senza Cristo, tutto si abbassa, tutto si offusca, tutto si spezza: il lavoro, la civiltà, la libertà, la grandezza, la gloria del passato, tutto va distrutto, tutto muore! Allarghiamo i nostri orizzonti, eleviamo il nostro spirito a tutto ciò che è alta vita, che è luce, che è bello, buono, vero, santo!”.
C’è, infine, un salire diverso, una “scala” più segreta e intima, quella che segna l’esperienza della vita spirituale di don Orione. Percorsi interiori, ai più inaccessibili, segnati dalla mistica e dalla poesia, dalla sofferenza e dall’amore: “Soffrire, tacere, pregare, amare, crocifiggersi e adorare, lume e pace di cuore. Salirò il mio calvario come agnello mansueto. Apostolato e martirio, martirio e apostolato. Le nostre anime e le nostre parole devono essere bianche, caste, quasi infantili, devono portare a tutti un soffio di fede, di bontà di conforto che elevi verso il cielo”. Scale terrestri, scale celesti.