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Nella foto: Stazione ferroviaria di Tortona (AL), 9 marzo 1940.
Autore: Alessandro Belano
Pubblicato in: Don Orione oggi, n.3/2017

Dopo aver salutato sacerdoti e chierici, Don orione sale nell’automobile che lo conduce alla stazione. Si reca nella sala di attesa di terza classe, aspettando il treno che, via Genova, lo condurrà a Sanremo.

Stazione ferroviaria di Tortona. Sabato, 9 marzo 1940. All’alba, don Orione ha celebrato la Santa Messa nella Casa Madre e si è confessato da un suo confratello. Dopo aver salutato sacerdoti e chierici, sale nell’automobile che lo conduce alla stazione. Si reca nella sala di attesa di terza classe, aspettando il treno che, via Genova, lo condurrà a Sanremo.

Le sue condizioni di salute sono preoccupanti. Agli inizi di febbraio ha subito un grave attacco di angina pectoris che lo ha portato quasi alla tomba, con conseguente ricaduta di bronchite. Ce lo riferisce lo stesso protagonista, con le seguenti, commoventi parole indirizzate a mons. Leone Nigris, delegato apostolico in Albania: “Il giovedì 8 febbraio mi portarono in giro e mi stancai forse un po’ troppo. Ritornai alla sera, mi sentivo affaticato, ma senza tuttavia avvertire sintomi allarmati. Nella notte, invece, fui colpito da un attacco cardiaco insolitamente violento. Ebbi appena la forza, nella stretta del male che mi soffocava, di chiamare soccorso. Conscio all’estremo pericolo che correvo, chiesi e ricevetti il Santo Viatico e la Estrema Unzione. Poi, anche la mente si annebbiò, mentre continuava un rantolo affannoso che sembrava proprio quello della morte.

Non ricordo bene per quanto tempo rimanessi così: il cuore resistette e, a poco a poco, il rantolo scomparve. Mentre si credeva ormai superato il pericolo, a breve distanza, l’insulto si ripeteva ed in forma tale che ancora una volta la mia esistenza parve sospesa tra la vita e la morte. Fu avvertito il nostro venerato Visitatore apostolico ed anche i nostri figliuoli in Cristo delle case più lontane. In seguito ad un consulto mi vennero d’urgenza praticati due salassi e la speranza della salvezza rinacque. Mi ripresi, benché assai lentamente, e dopo una settimana di letto potevo avere dai medici il permesso di celebrare. Non era ancora finita. Avevo voluto alzarmi per dire la S. Messa ai miei sacerdoti di qui, che si raccolgono in cappella alle 4,30. Data l’ora mattutina e il clima ancora rigido di Tortona, presi forse del freddo e mi capitò addosso una bronchite che mi costrinse all’immobilità per altri dieci giorni. È solamente da sabato che lascio il letto, ma sono sempre molto debole.

Il Signore, Eccellenza, non mi ha voluto ancora con sé, e spero così ritornare presto al mio umile lavoro. Sento, ora più che mai, di essere un povero straccio inutile: confido nella misericordia del Signore e nelle preghiere, alle quali devo – ne ho ferma convinzione – questa vita che Iddio mi ha conservato. Per quel poco che il Signore vorrà da me, eccomi pronto”.

Allarmati da questa situazione che si protrae ormai da tempo, confratelli e medici hanno convinto don Orione a trascorrere un periodo di convalescenza presso Villa Santa Clotilde, a Sanremo, nella speranza che il clima salubre della cittadina ligure possa rimetterlo in salute. Ha accettato controvoglia, esprimendo in pubblico il suo disappunto: “Non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo!”. Poi ha finito per obbedire.

Adesso è lì. Con lui, il chierico Modesto Schiro, che fa da infermiere e assistente. Alla stazione, si uniscono gli amici Paolo Marengo e Michele Bianchi, accompagnati dal giovane chierico Giuseppe Zambarbieri, futuro terzo successore del Fondatore. Il treno arriva, affollatissimo. Qualcuno ha il tempo di scattare un’istantanea. Questa è la vera ultima fotografia di don Orione vivente. L’immagine è sgranata, impastata, crepuscolare. Sembra il fotogramma di un film drammatico in bianco e nero, alla Bresson. Un saturno indica il sacerdote in partenza. Davanti a lui, di spalle, gli amici fidati che, con il chierico Modesto Schiro, lo accompagneranno in viaggio. Sullo sfondo, una anonima famigliola sta salendo sul treno, in una delle carrozze di terza classe. In primo piano, indifferente all’evento, un signore ben vestito, con bastone da passeggio, cappello e papillon.

Nella sua scarna semplicità, la fotografia è emblematica. Ritrae il “povero straccio inutile” indistinto tra la folla, immerso in quella multiforme umanità che, in tutta la sua vita, ha servito e portato a Dio e alla Chiesa. Non ci è possibile cogliere lo sguardo di don Orione, ma possiamo intuire i suoi pensieri e le sue preoccupazioni in quell’addio a Tortona. Fra alcuni istanti don Orione prenderà posto su un sedile in legno di terza classe. Il treno si muove. L’ultimo viaggio sulla terra, prima di quello in cielo.

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