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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Sant'Anna dei Palafrenieri, Città del Vaticano.
Pubblicato in: Messaggi di Don Orione, 36(2004), n.114, p.27-56.

Don Orione e la sua congregazione ebbero la cura pastorale della chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri dal 1904 al 1929. Vi fu rettore il servo di Dio Don Gaspare Goggi; era punto di incontro di personalità intraprendenti e sante. Divenuta parrocchia, passò agli Agostiniani. Nel 1940, gli Orionini assunsero il servizio del Centralino telefonico e delle Poste.

Il 1° maggio 1904, fu affidata a Don Orione e alla sua giovane Congregazione la cura pastorale della chiesa di Sant’Anna al Vaticano, sede della confraternita dei Palafrenieri di Palazzo. Gli Orionini vi restarono fino al 1929. In quell’anno, con i Patti Lateranensi, venne costituito il territorio dello Stato della Città del Vaticano e la chiesa ne venne a far parte. Essendo stata costituita quale sede della parrocchia per i cittadini vaticani, ed essendo, per antica tradizione, la parrocchia vaticana officiata dagli Agostiniani, gli Orionini dovettero lasciarla.

 

Sant'Anna dei Palafrenieri

La chiesa di Sant’Anna è assai nota. Chi, a Roma, da piazza Risorgimento imbocca la via di Porta Angelica, diretto verso San Pietro, la incontra alla sua destra, prima di giungere alla piazza della Città Leonina. Proprio davanti ad essa, oggi, è posto il più frequentato ingresso alla Città del Vaticano.

La chiesa ha linee architettoniche armoniche con il portale sormontato da un ricco frontone artistico.[1] Si accede ad essa salendo alcuni gradini posti sulla destra, dopo aver attraversato una grande artistica cancellata, prospiciente sulla via di Porta Angelica.

Risale al 20 novembre 1565, la Bolla pontificia con la quale Pio IV concesse ai Palafrenieri del Papa, ai quali si erano aggiunti quelli dei cardinali, un’area in Borgo Pio per la costruzione di una chiesa dedicata a Sant’Anna, loro patrona. La nuova chiesa fu progettata dell’architetto Giacinto Barozzi, figlio del famoso Vignola. L’Arciconfraternita dei Palafrenieri di Palazzo raccoglieva tutto il personale del Palazzo Apostolico e aveva un proprio cappellano che officiava la chiesa e svolgeva le varie funzioni liturgiche.

 

1904: Don Orione a Sant’Anna

A inizio Novecento, l’Arciconfraternita era rimasta a lungo priva del proprio cappellano; la chiesa di Sant’Anna fu chiusa al culto per qualche anno.

 Proprio in quell’inizio di Novecento, Don Orione si trovava a Roma. Il giovane Fondatore risiedette stabilmente alla Colonia “Santa Maria” a Monte Mario dal 4 agosto 1903, giuntovi in occasione della elezione di Pio X, fino al 27 aprile 1904. Nell’immediata periferia di Roma, quasi contemporaneamente, nel 1901, egli aveva dato vita a tre colonie agricole: una, dedicata a “San Giuseppe”, con la popolare aggiunta “degli stracciaroli”;[2] un’altra era ubicata presso il Vicolo della Nunziatella, fuori Porta San Sebastiano; la terza, era la fattoria del defunto Card. Domenico Jacobini, situata sui pendii di Monte Mario, limitrofa a quella di San Giuseppe, e prese il nome di Santa Maria del Perpetuo Soccorso.[3]

Fu soprattutto la benevolenza del Papa Pio X e di Monsignor Bisleti, Maestro di Camera di Sua Santità e Primicerio (Presidente) del Sodalizio dei Palafrenieri, a far sì che fosse offerta ai Figli della Divina Provvidenza di Don Orione la cappellania della chiesa di Sant’Anna.[4] Don Orione accolse molto volentieri la proposta perché aspirava con tutto il cuore ad avere una sede nei pressi del Vaticano. La chiesa di Sant’Anna era in una felice posizione: sotto lo sguardo del Papa, sotto le finestre dell’appartamento pontificio; la casa annessa, in Via Borgo Pio 102a, dava la possibilità di costituirvi una comunità con dei chierici che potevano frequentare le università romane.

        A Sant’Anna, Don Orione celebrò già nei giorni 14, 15, 16 marzo di quel 1904[5] e, dopo i necessari contatti con Mons. Bisleti e con Pietro Bonatti, decano dell’Arciconfraternita, il 1° maggio 1904, egli poté firmare la Convenzione che prevedeva l’affidamento della chiesa, dei locali annessi e dell’ufficio di cappellano ai suoi religiosi. Don Orione annunziò subito l’evento a Don Sterpi: “Ho accettata la chiesa di Sant’Anna presso il Vaticano e dovrei avere un sacerdote per il 15 maggio; detto sacerdote dovrà fare anche da Vice curato della Cappella Paolina in Vaticano e avrebbe da confessare nel Palazzo”.[6] Il giovane Fondatore era contento della nuova sede[7] e vi dimorò il più possibile, specialmente agli inizi. Lo testimonia il registro delle Messe. “Non feci presentazioni del nuovo Cappellano, perché pensavo di stabilirmici anch’io a S. Anna e di aggiungere qualche altro, che avesse potuto prendersi la cura di quei giovanetti, i quali attendono alla Sacristia di S. Pietro, e per cui Mgr. Caccia Dominioni già ripetutamente, e anche nell’ultima mia venuta, ebbe a pregarmi.[8]

Il 17 luglio 1904, l’antica e devota chiesa di Sant’ Anna, abbellita di splendidi restauri, veniva riaperta al culto. A riaprire casa e chiesa ci pensò Don Orione con l’aiuto di don Lorenzo Piana, che già si trovava nella vicina colonia “Santa Maria”.[9] Questi era uomo pio, disponibile e generoso, zelante, ma di salute malferma.[10] Egli, con l’aiuto di chierici, aveva provveduto alla sistemazione dell’ambiente esterno, a ripulire i locali, i banchi e le suppellettili, in preparazione della festa di Sant’Anna, tenuta in grande venerazione dai romani. Si celebrò la novena con grande concorso di popolo, ogni sera, con la benedizione solenne impartita sempre da illustri prelati e vescovi.[11]

Il 25-26 luglio successivi si svolsero le celebrazioni solenni in onore della santa Patrona.[12] Mons. Virili consacrò l’altare della Santa nella magnifica cappella a lei dedicata, opera di Augusto Carletti. La gente fin dal mattino si accalcava nella chiesa, presso l’altare della Santa. Le Messe principali furono celebrate dal cardinal Gennari e da Mons. Pardini. Per la prima volta, in Roma, si eseguì la “Missa Benedicamus Domino” del maestro Lorenzo Perosi, coetaneo e concittadino di Don Orione. Il card. Macchi impartì la Benedizione eucaristica pomeridiana.[13] Don Orione, dopo la festa, scrive a Don Gaspare Goggi: “Ieri, per la festa di S. Anna ci furono molte confessioni. Il S. Padre mandò ad aiutarmi il suo segretario mgr. Pescini. E poi si è affacciato lui stesso alla finestra”.[14]

 

1904-1908: Don Gaspare Goggi

Come primo Rettore della chiesa di Sant’Anna, Don Orione scelse un sacerdote giovane e valido, all’altezza di servire alle soglie della Casa del Papa: Don Gaspare Goggi.[15]

La scelta non poteva essere più felice per la chiesa di Sant’Anna, luogo di facile riferimento per la vicinanza a San Pietro e per le funzioni che il cappellano doveva espletare tra persone della Curia vaticana e del Sodalizio. Don Goggi era la persona adatta, sia per santità di vita ed eletto ingegno, che per generosità di servizio e cuore grande. Egli infatti procurò alla Congregazione molte meritate simpatie, e strinse relazioni anche in altri ambienti.

Don Gaspare Goggi raggiunse la nuova destinazione nei primi giorni del mese di agosto del 1904. Quando egli si presentò in Sant’Anna come nuovo cappellano, gli assidui alle funzioni s’accorsero d’avere in lui, soprattutto, un fedele custode della casa di Dio ed una amorosa sentinella del Tabernacolo. Alto oltre la media statura, con la barba bionda rasa regolarmente, i capelli castani “all’orionina” e cioè tagliati corti, pulitissimi ma non curati, alla distinzione della persona univa nobiltà, tutta interiore, di spirito sacerdotale, di finezza d’animo, di zelo per le cose di Dio. Non fu visto mai perdere la pazienza; sempre affabile e attento alle persone. I fedeli avevano verso di lui un profondo senso di devozione, ascoltavano volentieri le sue omelie. A lui ricorrevano, per le confessioni e per consiglio, non solo gli abitanti del Borgo Pio ma anche persone molto distinte, sacerdoti e alti prelati del Vaticano, attratti dalla sua bontà e dalla sua santità. Confessava moltissimo ed era sempre pronto ad ogni richiesta. Il suo confessionale, a Sant’Anna, era, dei due esistenti, quello di destra. “Pio X mandava le sorelle a confessarsi da Don Goggi; ascoltavano la Messa a S. Anna”.[16]

I Palafrenieri, chiamati popolarmente i fratelloni, erano molto esigenti e bisognava essere accorti nel servirli. Don Gaspare però, con la sua diligenza impeccabile, col suo tratto signorile e delicato e, soprattutto con la sua umiltà e pazienza, seppe acquistarsi la loro stima e venerazione. Sapeva ben provvedere alle pratiche d’ufficio; era tempestivo nella corrispondenza; pulitissimo nell’alloggio, pur poverissimo. Attendeva ai poveri che, sempre numerosi, accorrevano per aiuto. “Quando Don Gaspare era a Sant’Anna – ricorda Don Orione – tutti i poveri dei Borghi lo conoscevano, specialmente di Borgo Pio”.[17] Anche se non c’era molto per soddisfare i bisogni della piccola comunità, tuttavia mai fu mandato a mani vuote chi bussava a quella porta, e non solo per aiuti materiali, ma anche per avere luce e pace per l’anima.

Le doti di Don Goggi si riverberavano su tutta la casa: bene ordinata nel servizio e nella vita interna. Sant’Anna era anche sede di un piccolo seminario; ospitava un gruppetto di chierici orionini che frequentavano le università romane. “A Sant’Anna si viveva molto poveramente e si faceva tutto da noi studenti: per qualche anno anche la cucina. Ma vi regnava tanta buona armonia, tanta serenità, incoraggiati e confortati soprattutto dall’esempio di Don Gaspare, che era assai premuroso nei nostri riguardi e sempre molto paterno e delicato, anche quando doveva farci qualche richiamo o darci qualche avvertimento”.[18]

Don Enrico Contardi,[19] che fu chierico studente e sacrestano a Sant’Anna dal 1904 al 1908, ricorda: “A Sant’Anna c’erano Ferretti, Montagna e Adaglio che andavano alla Gregoriana a fare filosofia. Avevamo qualche polacco e un ungherese. Venivano molti Monsignori a celebrare la Messa. Don Goggi li esortava a prendere il caffè. Ogni sabato veniva il giardiniere del Vaticano con un mazzo di fiori. Sua Santità vuole che i più bei fiori dei giardini vaticani siano per Sant’Anna. Una sorella di Pio X si chiamava Anna. Ogni tanto Pio X mi mandava per mezzo delle sorelle un cero da tenere acceso giorno e notte. Una volta, in udienza, mi sono nascosto dietro un tavolo. Passò Pio X preceduto da Mons. Bisleti. “Questo qui, disse Mons. Bisleti, è il chierico di Sant’Anna”. Ed il Papa: “Come sta Don Orione?”. “Bene, Santità”. “Tu sei quello che va ad innaffiare i fiori sulla terrazza. Il Papa ti vede, ti vede”. Altra volta Pio X si lamentò che avevamo suonato prima del tempo”.[20]

 

Un cenacolo di giovani talenti e di santi

Aristide Leonori,[21] del quale è in corso la causa di beatificazione, fu ingegnere e architetto, poliglotta, musicista e violinista di non comune valore, studioso geniale del progresso scientifico e letterario. Fu anche un’ardente anima di cattolico, fedele alla gerarchia ed aperto ai fratelli più poveri, dei quali fu per tutta la vita benefattore costante, discreto e silenzioso.[22] A Roma, egli si prese cura di ragazzi poveri e abbandonati e per loro aprì una casa al Vicolo Orbitelli, presso Via Giulia, col preciso intento di impartire a quei piccoli i primi rudimenti del sapere e d’un mestiere col quale prepararli a guadagnarsi il pane. Leonori chiamò in aiuto per tale impresa parecchi dei suoi amici, sacerdoti e laici, i quali di gran cuore si prestarono all’opera buona. Fra gli altri, sono da ricordare Mons. Faberi e Giulio Salvatori, che alla gloria della letteratura e dell’insegnamento unisce quella della santità; anche di lui è in corso la Causa di beatificazione.

Il Prof. Luigi Costantini[23] è qui tutti i giorni, ed è una benedizione del Signore”, scriveva Don Goggi a Don Orione.[24] “Fra di loro s’intendevano a meraviglia, fra loro si rispecchiavano a vicenda”,[25] ricordò poi Don Orione. Il Prof. Costantini aveva raccolto un gruppetto di ragazzi poveri ma molto dotati e li andava indirizzando a una professione per il futuro, soprattutto all’arte musicale. Da Via Ottaviano i ragazzi frequentavano anche San Pietro, prestavano la loro opera e le loro voci bianche alla Cappella Sistina, dove conobbero ed ebbero anche l’amicizia del maestro Lorenzo Perosi. Venuto Don Gaspare Goggi a Sant’Anna dei Palafrenieri, essi cominciarono a fare sosta consueta e gradita in quella chiesetta e casa.

Quando le due iniziative, del Leonori e del Costantini, dovettero cessare per difficoltà di vario genere,[26] Don Orione, ispirandosi ai loro criteri, diede vita all’Istituto San Filippo Neri, nel quartiere Appio.

A Sant’Anna, durante gli incontri con Leonori, Salvadori, Costantini, Don Perosi e Don Goggi, santità e genialità si fondevano a meraviglia. Furono di nutrimento sostanzioso per quei ragazzi che mai in vita poterono dimenticare quei giorni di grazia e di luce, di ispirazione e di studio, animati da così eccezionali maestri. Alcuni dei loro nomi divennero poi famosi, come Ezio Carabella, affermatosi nel campo della musica sinfonica, lirica e operettistica, e il fratello Giovanni Carabella, maestro di Cappella in Albany (U.S.A.); Annibale Bucchi, musico, affermatosi nell’ambiente di Santa Cecilia.

È una constatazione cui giunge facilmente chi studia di santità e agiografia: le anime elette, all’incontrarsi, si riconoscono e più non si separano; godono anzi in ritrovarsi e parlare di Dio. Sant’Anna divenne un cenacolo di persone santamente impegnate nei vari campi del sapere, dell’arte, della carità. Vi affluivano i già ricordati Aristide Leonori, Giulio Salvadori,[27] il Prof. Luigi Costantini, e poi il Prof. Pietro Baldoncini, Cleto Luzzi, pittore di grande fama, Piero Misciatelli, letterato e studioso, i fratelli Carlo – poi cardinale - e Lorenzo Perosi, Padre Annibale Di Francia, Don Luigi Guanella e il suo braccio fidato Don Bacciarini, poi Vescovo di Lugano, Padre Giovanni Semeria, Mons. Bianchi, addetto alla Segreteria particolare di più Papi.[28] Anche la Serva di Dio Madre Teresa Michel Grillo, venendo a Roma, non mancava di visitare Sant’Anna, legata com’era a Don Orione e alla sua Congregazione. Quegli uomini santi e geniali, lì, all’ombra del cupolone e soprattutto del luminoso San Pio X, si edificavano a vicenda, si nutrivano insieme di Dio, dell’amore alla Chiesa e al prossimo. “Il nostro incontro – scrisse Don Guanella - era pieno di giubilo, e come fratelli sedevamo insieme alla mensa frugale ma cordialissima presso il carissimo Don Goggi direttore della chiesa e dello studentato a S. Anna presso il colonnato di San Pietro. Fu sempre valido appoggio a Don Orione nell’opera sua e ne ricopiava lo spirito e lo zelo”.[29]

Sant’Anna era come un porto di mare. Doveva essere cordiale e ambita l’ospitalità se Don Orione sentì il bisogno di intervenire: “Non si accettino forestieri a Sant’Anna, ad eccezione di Don Luigi Guanella e del can. Annibale Di Francia”.[30]

Don Gaspare Goggi, uomo di fiducia di Don Orione a Roma, si trovò a svolgere anche il ruolo di Procuratore della Piccola Opera della Divina Provvidenza: faceva da tramite presso gli uffici vaticani per autorizzazioni, dispense, richieste affidategli da Don Orione. Teneva i contatti con Prelati nelle faccende che riguardavano la Congregazione, come ad esempio, nelle questioni relative alla colonia agricola di Monte Mario, nelle trattative per assumere la cura dell’Eremo di S. Oreste sul Soratte e in quelle per l’apertura dell’Istituto San Filippo e l’avvio della parrocchia di Ognissanti in Roma. Ebbe modo di esprimere anche le sue qualità di scrittore dal pensiero profondo e dallo stile chiaro e incisivo.[31]

Nel maggio 1907, Don Gaspare Goggi venne chiamato a servire ancora più direttamente la Chiesa quale segretario del cardinale Carlo Perosi e convisitatore ai seminari della Sicilia. Per oltre un mese fu così impegnato in uno stancante viaggio, con continui spostamenti e incontri. Sèguito inatteso di quell’incarico, e certamente delle precedenti prove di valore sacerdotale da lui fornite alle porte del Vaticano, fu un insigne riconoscimento: venne proposto per la nomina a Vescovo. Ma i disegni di Dio su di lui erano altri.

Dopo soli quattro anni di rettorato, Don Gaspare Goggi, sempre gracile e di poca salute, crollò in una terribile crisi psico-fisica. Nel tentativo di riprendersi, lasciò Roma per riposarsi al paese natio, Bettole, in Piemonte. Ma non gli giovò. Fu ricoverato all’ospedale di Alessandria in una situazione desolante, privato anche dell’abito sacro che indossava per non destare meraviglia. Non si riprese più, nonostante le cure, e morì il 4 agosto 1908, compianto da tutti anche dal Santo Padre Pio X che celebrò a lutto e per quel giorno non diede udienze.[32]

 

Due incontri di Don Orione

Don Orione aveva eletto la casa di Sant’Anna come sua sede di riferimento a Roma. Alla sua presenza a Sant’Anna sono legati due famosi incontri: con il beato Padre Riccardo Gil Barcelón e con il giovane Ignazio Silone.

Chi siete?”, aveva chiesto Don Orione a un prete che, molto modesto, sui gradini della Chiesa Nuova di Corso Vittorio, pregava con fervore e raccoglimento, nelle prime ore di un mattino assai freddo del febbraio 1909. “Sono un figlio della Divina Provvidenza”, rispose quello sconosciuto. “Anch’io lo sono! Allora mi appartenete un poco – conclude con un sorriso Don Orione -. Io ho una Congregazione i cui membri si chiamano Figli della Divina Provvidenza”.[33]

Quel prete era Padre Riccardo Gil Barcelón,[34] spagnolo, pellegrino nella città eterna per vedere il Papa e ricevere la sua benedizione apostolica. Don Orione intuì che in quel fortuito incontro si nascondeva un disegno di Dio. Lo prese con sé, lo animò e lo affidò, per qualche giorno, alla piccola comunità dei religiosi di Sant’Anna dei Palafrenieri. In seguito, lo accompagnò dal Santo Padre, Pio X, per sciogliere un voto che quel prete aveva fatto. Padre Riccardo decise di restare per sempre con Don Orione, prima in Italia e poi nella propria patria, in Spagna, ove aprì le porte della Congregazione. Affrontò con coraggio la persecuzione religiosa, negli anni dei disordini sociali in Spagna del periodo 1931-1936. Arrestato a Valencia ed invitato a rinnegare la fede in cambio della vita, morì gridando: “Viva Cristo Re!”. La sua causa di beatificazione per martirio è conclusa.[35]

Il secondo incontro riguarda Ignazio Silone. Secondino Tranquilli – questo il vero nome del noto scrittore (1900-1978) –, dopo il drammatico terremoto della Marsica (13 gennaio 1915) che gli distrusse la casa, la famiglia e anche la salute, fu accolto da Don Orione nelle proprie case. Poté così continuare gli studi di Liceo, prima a Sanremo (1915-1916) e poi a Reggio Calabria (1916-1917).[36]

Nell’anno 1919-1920, Silone viveva a Roma, ormai sempre più proiettato nell’impegno politico, nel movimento giovanile socialista. A Roma, il problema principale divenne per lui il denaro, la sopravvivenza, il lavoro, quasi impossibile a trovarsi perché noto come socialista sovversivo. Secondino girovagava per Roma alla ricerca di qualche lavoro occasionale, mangiava quando poteva, trovando rifugio alla notte in luoghi di fortuna, molte volte in un cantuccio del Colosseo.

È di quest’epoca l’episodio che si fissò nella memoria di Silone, quasi come una parabola della fine umanità di Don Orione. Così lo raccontò in una circostanza quanto mai impegnativa: la sua testimonianza al Processo di beatificazione di Don Orione, a Tortona, il 10 novembre 1964.

“Avevo circa vent’anni e facevo il giornalista in un periodico molto avversato e quindi vivevo miseramente alla insaputa di tutti. Il giorno di Natale andai in una trattoria,[37] cercando di stare in una cifra modestissima, ma alla fine il conto superò la cifra in mio possesso. L’oste volle il mio consunto impermeabile come pegno per il resto della somma. Pioveva.

Uscito, ricordai che pochi giorni prima avevo visto Don Orione passare in carrozzella. Decisi di recarmi a cercarlo a Sant’Anna, sperando di trovarlo.

Il portiere, pur assicurandomi della di lui presenza, non voleva farmi entrare. Insistetti e mentre confabulavo con il portiere, Don Orione scese e dopo avermi salutato ficcò una mano in tasca e poi mise in mano a me una somma di poco superiore a quanto dovevo pagare. Cosa singolare il gesto di Don Orione, al quale fino a quel giorno mai avevo chiesto denaro”.[38]

Questo episodio fu poi ricostruito, con altri particolari attinti da Silone stesso, da don Gaetano Piccinini nel suo libro “Quel tuo cuore… Don Orione”.[39]

1908-1929: Don Roberto Risi e Don Giuseppe Opessi

A Sant’Anna si succedettero nel servizio vari e meritevoli religiosi di Don Orione. In comunità si succedettero numerosi chierici che studiavano filosofia alla Gregoriana e in altre università.

Don Roberto Risi[40] fu mandato per alcuni mesi, alla fine del 1905, a collaborare in quella chiesa, e vi ritornò come confessore dal 1907 al 1910, mentre era cappellano alla Lungara.[41] Il 21 aprile 1910, la cappellania della chiesa di Sant’Anna venne affidata definitivamente a lui. Don Orione, che seguiva sempre con molta attenzione quella comunità, era prodigo di raccomandazioni “dovete farvi in quattro, e non mancare a S. Anna”[42] e ancora “voi, caro don Risi, che siete uno dei primi e che ora in Roma costituite il capo della Congregazione, al posto di don Gaspare, immaginate di quanta prudenza e carità dovete assolutamente essere fornito per l’anima vostra e per guidare gli altri con l’esempio”.[43] Don Risi non deluse le aspettative. Si prodigò con zelo e sacrificio, secondo le esigenze e le norme stabilite dall’Arciconfraternita, e con grande soddisfazione dei fedeli del territorio vaticano.

In un passaggio di lettera, Don Orione ebbe modo di esternare tutta la propria soddisfazione per l’operato dei confratelli. “Quanto a Sant’Anna, in questi dodici o più anni, mi pare che si sia data vita alla Chiesa, e tutti i Sacerdoti che vi ho messi furono di buon esempio, zelanti al confessionale, mentre prima era una Chiesa quasi abbandonata e ora vi si fa del bene come forse in una Parrocchia. Vostra Eccellenza forse lo ignora, ma uno dei miei più cari Sacerdoti vi ha lasciata la vita, il Sac. Prof.r Don Gaspare Goggi, tanto dotto quanto pio. La Chiesa era stata affidata alla mia Congregazione con facoltà al Superiore di mettervi quei Sacerdoti che avesse reputati più adatti e, come mi occorse di dire al Santo Padre nell’ultima Udienza, quello che attualmente vi ho messo fu sempre sacerdote di vita illibata ed esemplare e di pietà. (…)”.[44]

Qualche problema dovette pur sorgere, come testimonia una minuta di lettera diretta al Decano della Confraternita dei Palafrenieri, della quale non è possibile ricostruire il contesto ma che mette in luce l’umiltà e la cordialità di tratto di Don Orione. “Gentilissimo e caro sig.r Decano. Ho capito che lei deve essere un po’ in collera con me, ma io desidero far pace, perché D. Orione è sempre stato e deve essere l’uomo della concordia e della pace. E mi spiace di non essere a Roma che verrei da lei personalmente. Quando potrò venire, le darò tutte le spiegazioni possibili e tutte le scuse che sento di dover fare. Ma intanto voglio che siamo sempre buoni amici, e Don Orione, che ha sbagliato, è giusto che paghi, e quindi io la prego di gradire amichevolmente alcune bottiglie, due delle quali sono proprio il vino della pace. Lei è tanto bravo che non dubito vorrà restituirmi tutta la sua antica e cara amicizia (…)”.[45]

Motivo di grande gioia furono in quegli anni alcune inaspettate visite del Papa Benedetto XV a Sant’Anna. Abbiamo notizia da Don Orione stesso di almeno tre visite. La prima è del 26 ottobre 1915: “Domenica, 24 corr., alle ore 3, abbiamo avuto il S. Padre in S. Anna, e gli ho parlato due volte. Andò via contento. Era in abito da Papa, in bianco con cappello rosso. Passò dal lato interno; la Chiesa era chiusa. C’era anche D. Risi”.[46]

Non conosciamo la data della seconda visita, ma deve essere avvenuta a breve distanza dalla prima: “Il Santo Padre sta benissimo, faceva pensare e commoveva a vederlo là piissimamente raccolto davanti a N. Signore con tutta la Chiesa illuminata, la veste candida del Papa pareva risplendere, ma più risplendeva la sua fede. Quindi Don Risi a darsi attorno per mandarmi un telegramma sibillino sì, ma tale da poterlo bastevolmente intendere. E il Santo Padre uscì dal Vaticano verso le 10 e, per una porticina interna, entrò in Sant’Anna e rimase in adorazione per una ora e minuti. Era accompagnato dai Monsignori Migone e Testoni, da due palafrenieri in rosso con torce; la Chiesa di Sant’Anna, per quel tempo, era libera, eccettuato due Monsignori della Segreteria di Stato, Padre Massimo,[47] il Procuratore degli Scalabriniani, mio amico fidato, due altri miei Sacerdoti, e sei o sette altri addetti ai Sacri Palazzi e alla persona di Sua Santità e appartenenti alla Arciconfraternita. È la seconda volta che questo Papa esce dal Vaticano, viene a Sant’Anna, che è fuori del terreno extra territoriale. L’altra volta fu quando andò a visitare la Chiesa di S. Pellegrino degli Svizzeri, riattata, ed era allora di giorno, accompagnato da Mgr. Vescovo di Coira e da Mgr. Oreggiorni d’Eril”.[48]

La terza visita avvenne tre anni dopo: “Il S. Padre venne a fare un’ora di adorazione a S. Anna, dalle 10 alle 11 e un quarto di notte del 28 luglio (1919),[49] segretamente. Vi erano le Quarant’Ore. La chiesa si tenne chiusa”.[50]

La chiesa di Sant’Anna fu sempre più amata dalla gente di Borgo Pio. La feste divenne sempre più popolare e partecipata. Ecco una relazione di Don Orione sulla festa del 1917. “Alle ore 20, ci fu il pio esercizio in onore di Sant'Anna. La Benedizione col Santissimo Sacramento fu impartita dall’Eminentissimo Cardinale Vannutelli, Decano del Sacro Collegio e Protettore della Arciconfraternita. Vi assisteva pure Sua Eccellenza Rev.ma Mgr. Giov. Tacci Arcivescovo e Maggiordomo di Sua Santità. Vi fu grande concorso di Confratelli come di popolo, e vi assistettero pure dodici sediarî pontificî nel loro costume rosso, di raso ad arabeschi, come servono davanti al Papa. Vi fu sceltissima musica, eseguita dai cantori pontificî. Nei giorni di sabato, domenica e lunedì, 28, 29, 30, luglio abbiamo avuto le Sante Quarant'ore solennissime, con gran numero di Sante Comunioni. E l'Ottavario di Sant'Anna si chiuderà il 2 Agosto col canto del Te Deum e Benedizione solenne impartita da un Eminen.mo Principe di Santa Romana Chiesa”.[51]

Don Roberto Risi, dopo circa dodici anni di servizio, il 31 ottobre 1920 lasciò Sant’Anna tra il rammarico di tutti.

Dal novembre 1920 al 7 agosto 1929, cappellano di Sant’Anna fu Don Giuseppe Opessi.[52] Don Orione lo presentò a don Adaglio: Presto verrà a Roma don Opessi. È veramente un santo sacerdote, al quale puoi dare in mano l’anima”.[53] Anch’egli si dedicò con tutte le sue forze perché ogni attività fosse svolta in modo soddisfacente ed edificante per i numerosi frequentatori della chiesa.

Con soddisfazione dava relazione ai Superiori del buon esito delle feste di Sant’Anna del 1926: “Quest’anno le solite feste di S. Anna hanno rivestito una particolare solennità. Tutto il giorno fu un affluire continuo di devoti; non è esagerazione affermare che parecchie migliaia di persone si prostrarono davanti al simulacro della Santa, che da parecchi secoli riceve omaggi ed è testimonio dei sospiri di tanti devoti. La comunione generale fu amministrata da S. E. il card. Capotosti, e S. Ecc. Mons. P. Zampini celebrò la Messa Pontificale; S. E. il Card. Protettore Vincenzo Vannutelli, nonostante la sua età, volle onorarci dando la S. Benedizione. In occasione della festa inaugurò in sacrestia, un’edicola per collocarvi la reliquia di S. Anna. Anche le SS. Quarantore si sono svolte in modo solenne e con numerosa partecipazione. L’adorazione notturna fu fatta anche dai nostri chierici delle Sette Sale che tanto edificarono gli adulti”.[54]

Dopo i Patti Lateranensi del 1929, la chiesa di Sant’Anna fu incorporata nello Stato della Città del Vaticano e ciò comportò la partenza dei Figli della Divina Provvidenza, perché fu costituita come sede della parrocchia.

Don Orione, che si interessò e seguì le trattative che portarono ai Patti Lateranensi, già nel 1927 informava il suo vescovo di Tortona: “Sant’Anna farà parte della Città Vaticana, e pare venga eretta in parrocchia pel personale di palazzo; e, rifatta la casa annessa, vi passerebbe gli Agostiniani, che da secoli sono parroci della Corte papale. Il S. Padre richiese gli statuti della Arciconfraternita per esaminarli; a noi non fu comunicato ancora nulla, ma i nostri stracci sono sì pochi, che ci basterà saperlo qualche ora prima”.[55] E così fu: la fondazione della Parrocchia pontificia avvenne con la Costituzione apostolica di Pio XI “Ex Lateranensi pacto” del 30 maggio 1929.[56] E gli Orionini lasciarono. “Tanti anni fa, come oggi, la piccola nostra Congregazione prendeva possesso della chiesa di Sant’Anna, che tenne per 25 anni. Dopo i Patti Lateranensi è stata incorporata nella città del Vaticano; ora è parrocchia di tutti i cittadini vaticani”.[57]

 

Da Sant’Anna a San Giacomo a Scossacavalli

Lasciata libera chiesa e casa di Sant’Anna dei Palafrenieri, Don Orione chiese ed ottenne di poter avere a disposizione per una sua comunità qualcosa di analogo. La scelta cadde su San Giacomo a piazza Scossacavalli, nel borgo antistante piazza San Pietro.[58] La proprietà era del Capitolo di San Pietro, il quale cedette, in uso perpetuo, chiesa e annessi locali. Ottenuta quella chiesa, Don Orione ringraziò il card. Merry del Val: “Io e i miei poveri Religiosi non dimenticheremo mai questa grande carità che viene a confortarci in un grande bisogno del nostro spirito”.[59] “C’è locale, tanto – fece sapere a Don Sterpi -. Però ci vorranno subito un 50.000 lire per aggiustare Chiesa e Casa. Ma c’è convenienza ad avere una chiesa pubblica nostra in Roma e vicinissima a S. Pietro, su di una piazza. Nella casa c’è posto per 20 chierici e per 3 o 4 sacerdoti”.[60]

La presa di possesso della chiesa avvenne già nel giugno 1930.[61] L’accettazione formale da parte della Congregazione fu fatta con atto del 3 luglio 1930.[62] Il 19 luglio successivo, Don Orione informa: “Il 25 corr. apriamo la nuova Casa in Roma con chiesa, al posto di S. Anna. È la chiesa di S. Giacomo a piazza Scossacavalli. C’è molto più locale; fu data in perpetuo. Ci spendiamo un cento mila lire: ha sette altari. Possono starvi, con camere distinte, 7 sacerdoti e 20 chierici in camerone”.[63] Nel manifesto fa scrivere: “Venerdì, 25 luglio, festa dell’Apostolo San Giacomo, detto il Maggiore, si riapre la Chiesa a Lui dedicata, che è a piazza Scossacavalli, proprietà del Rev.mo Capitolo di S. Pietro, ci assista l’intercessione del beato Apostolo! Essa sarà officiata dai Figli della Divina Provvidenza che erano a S. Anna in Borgo”.[64]

Rettore fu Don Silvio Ferretti, distinto per pietà e ottimo formatore dei chierici.

Per conto del Capitolo di San Pietro, seguiva l’andamento della chiesa Mons. Bernabei a cui Don Orione manifestò tutta la sua riconoscenza.[65]

Parlando agli Amici e Benefattori, proprio nella chiesa di San Giacomo a Scossacavalli, il 14 marzo 1934, il Santo fondatore esternò la sua soddisfazione: “È una consolazione il trovarmi in questa Chiesa di San Giacomo, così vicina al Papa e che il Capitolo Vaticano ha voluto affidare ai Figli della Divina Provvidenza. (…) Abbiamo tenuto per tanti anni la chiesa di Sant’Anna al Vaticano, che poi abbiamo dovuto lasciare, quando venne fatta Parrocchia. Allora chiesi questa chiesa (di san Giacomo) perché desideravo avere una Chiesa vicino al Vaticano; vicino al Papa, perché noi siamo del Papa dalla testa ai piedi, siamo nati impastati di amore al Papa. Perché tutti i Figli della Divina Provvidenza devono vivere di una fiamma inestinguibile di amore alla Chiesa e al Vicario di Gesù Cristo!”.[66]

La gioia di Don Orione per la nuova chiesa vicina al Vaticano sarebbe stata di breve durata perché, nel 1936, venne decisa la costruzione della larga “Via della Conciliazione” che comportò la demolizione di non pochi edifici della Spina dei Borghi, tra Borgo Vecchio e Borgo Nuovo e anche la chiesa di San Giacomo fu rasa al suolo.[67] Gli Orionini dovettero smobilitare ancora una volta.

La gioia di Don Orione per la nuova chiesa vicina al Vaticano sarebbe stata di breve durata perché, nel 1936, venne decisa la costruzione della larga “Via della Conciliazione” che comportò la demolizione di non pochi edifici della Spina dei Borghi, tra Borgo Vecchio e Borgo Nuovo e anche la chiesa di San Giacomo fu rasa al suolo (vedi foto).[67]
Gli Orionini dovettero smobilitare ancora una volta.

 

 

 

 

 

 

 

1940: al Centralino telefonico e alle Poste vaticane

Il desiderio di prestare un servizio presso il Vaticano non venne meno anche dopo il secondo forzato trasloco,  ma non si hanno tracce di altre iniziative o proposte[68] fino al dicembre 1939. E’ di quest’epoca una risposta di Don Orione al Card. Canali che evidentemente gli aveva prospettato la possibilità di un qualche impegno dei Figli della Divina Provvidenza in Vaticano. “Le chiedo mille scuse di non essere ancora venuto: sento Eminenza una grande vergogna di me, e non so come vincere certo senso di ritrosia. Ora sarei venuto subito  a Roma, ma non sono ancora in forze, onde mando da Vostra Eminenza Rev.ma, il Sac. Carlo Sterpi, Vicario della Congregazione per sentire bene, e vedere se ci fosse mai possibile fare qualche umile cosa a servigio del Vicariato di N. Signore con fedeltà  senza limite devota. Dio volesse che i Figli della Divina Provvidenza già  fossero in grado di poter dare al Santo Padre  la modesta prova di amore e di devozione che Vostra Eminenza Rev.ma ci propone!”.[69]

Dopo la annunciata visita di Don Sterpi, la proposta del card. Canali prese corpo: la Santa Sede intendeva affidare agli Orionini il servizio dei Telefoni vaticani. Don Orione diede subito il proprio assenso e già il 21 dicembre informò Don Roberto Risi, che fungeva da Procuratore della Congregazione: “Avremmo scelto i cinque che dovrebbero essere applicati a quel consaputo Ufficio etc. Sono cinque buoni elementi che, per intelligenza e buono spirito, per attività e fedeltà, ho fiducia che faranno bene. Va, dunque, dall’Eminentissimo e senti se e per quando si dovrebbero mandare. Poi chiarisci bene se possono portare la veste talare, poiché già la indossano, essendo tutti nostri Religiosi con Voti; o se sono obbligati a vestire da borghesi”.[70]

L’assunzione del nuovo servizio si realizzò nel breve volgere di alcuni giorni. Don Orione scelse i cinque chierici che sarebbero dovuti andare a lavorare al Centralino Vaticano risiedendo nell’Istituto di Via delle Sette Sale 22.

Ne scrisse a Don Silvio Parodi, direttore dell’Istituto: “Come saprai, Sua Eminenza il Sig.r Cardinale Canali ha chiesto cinque dei nostri che siano fidatissimi, ai quali sarebbe affidato il Centralino telefonico del Vaticano. È certo atto di grande fiducia verso la n/ cara Congregazione. So che il Santo Padre, informato da Sua Eminenza, ne è rimasto molto contento, così disse lo stesso Card. Canali a Don Risi. Ieri mi furono chiesti i nomi. Sarebbero: Bortignon Felice, di a. 25 (Vicenza); Contoli Giuseppe di a. 38 (Bologna); Dalla Libera Giov. di a. 26 (Padova); Mattei Raffaele, di a. 39 (Aquila); Scarsoglio Francesco di a. 24 (Alessandria). La n/ Congregazione, e questi nostri cinque ci riteniamo felici e altamente onorati di servire direttamente la S. Sede, e di dare alla persona del S. Padre umile prova del nostro amore, fedeltà e venerazione. Ora bisogna pensare dove metterli pel vitto e alloggio. Omnibus perpensis, bisogna che tu faccia un miracolo, e che te li prenda alle Sette Sale, potranno anche dormire nelle camere del Ricreatorio,[71] si capisce; ma con un po' di buona volontà, con un po' di sacrificio, il miracolo è fatto, e voglio che se ne tenga conto per la tua canonizzazione”.[72] A incoraggiare il confratello nel trovare soluzione per l’alloggio, Don Orione aggiunge: “Il Cardinale disse ripetutamente che il Vaticano passerà un tanto al mese a ciascuno, per cui non ti saranno di aggravio, ma penso ti porteranno un buon vantaggio. Noi non abbiamo accettato pel mensile, ma per ben altro, è bene tuttavia che tu sappia che non è un nuovo peso, ma saranno, anzi, un aiuto per la parte amministrativa”.[73]

L’inizio dell’attività in Vaticano fu fissato per l’inizio di febbraio. I chierici designati, da Tortona scesero a Roma. Don Orione li presenta a Don Parodi: “27 gennaio 1940. Ti accompagno i cinque, manderò una lettera di presentazione e Don Risi li presenterà prima all'Ingegnere Galeazzi, e poi a Sua Emin.za il Sig.r Cardinale Canali; questo dovrebb'essere non più tardi di martedì prossimo”.[74]

Don Orione non stava bene di salute e quasi si scusò di non poter egli presentare personalmente i confratelli nel nuovo servizio.[75] Affida tale compito a Don Sterpi: “Martedì sera, a mezzanotte (30 c. m.), giungerà a Sette Sale Don Sterpi, il quale presenterà i cinque sia al Sigr. Ing.re Galeazzi, che a sua Eminenza Rev.ma”.[76]

Da Tortona, il Fondatore segue con viva partecipazione ogni dettaglio della vicenda. A Don Risi, scrive: “Se sarai ancora interrogato sulla retribuzione, ti prego di mantenerti sulla posizione presa da Don Sterpi e da te: «Noi ci teniamo già altamente onorati dell'atto di fiducia e di fare atto di amore e di devozione al S. Padre, poi facciano loro quello che credono in Domino”.[77]

            Come previsto, il 31 gennaio, Don Sterpi era a Roma per presentare il gruppo dei cinque chierici. Non diede la notizia in pubblico, ma solo ne parlò con i confratelli chiedendo loro riservatezza.

            “Oggi Don Sterpi è andato a Roma a presentare in Vaticano i vostri cinque fratelli, che domani prenderanno possesso del loro ufficio. In Vaticano c'è il telefono, anzi c'è il centralino, perché tutto va all'ufficio centrale telefonico. L'attuale Sommo Pontefice ha voluto affidare l'importante ufficio a persone fedelissime e attaccatissime alla Santa Sede e al Papa. Come sia andata la cosa io non lo so; io non so come si sia pensato ai poveri Figli della Divina Provvidenza.  E' un atto del Santo Padre che non ci deve inorgoglire ma confortare in mezzo a tanti dispiaceri, e non mancano spine! Certo, o cari Figli della Divina Provvidenza, è stato un grande conforto per me! Quando ho saputo questo ho detto fra me: Ecco ora posso dire il Nunc dimittis, perché è venuto il giorno in cui i Figli della Divina Provvidenza sono chiamati a entrare in Vaticano e prestare un atto di immensa fedeltà, di amore, di servizio, di attaccamento al Vicario di Gesù Cristo. Questa cosa deve stare ancora fra noi”.[78]

            Già dal 1° febbraio, dopo una breve saluto all’ingegnere Galeazzi, i cinque chierici entrano subito in servizio.[79] Don Orione è al settimo cielo dalla contentezza.

“I nostri cinque chierici hanno preso possesso del loro ufficio, meravigliando quelli che erano là. Perché appena entrati là nella cabina, si sono messi subito la cuffia. Al vederli hanno detto: Sanno anche questo?! Pensavano che i preti sapessero solo un po’ di latinorum! [80] Quando poi Don Sterpi andò dal Cardinale Canali che ha l'amministrazione dei beni del Vaticano, non poté presentarli perché da un giorno essi erano già in servizio, forse glieli presenteremo più tardi, il Cardinale gli disse: "Ho già sentito tante buone notizie dei cinque". E sì che da un solo giorno erano in servizio!... E il Cardinale abbracciò Don Sterpi e gli disse:" Porti quest'abbraccio a Don Orione e gli dica che questo è uno dei giorni più belli della mia vita, d'aver potuto far entrare in Vaticano i Figli della Divina Provvidenza!".[81] Gli ascoltatori di quella confidenza annotarono ancora la commozione di Don Orione che proseguì: “Può darsi (tutto commosso) che abbiano già sentito la voce del Papa!... Dicono che il Papa abbia davanti a sé un tavolo pieno di numeri di telefono, come hanno tutti questi grandi uomini. Speriamo che sapranno mantenere la fiducia che si pone in essi. Ora però bisognerà gettare un bel secchio d'acqua fresca sulla testa di quei cinque, perché non abbiano a invanire; e anche per allontanare da loro fumi della testa!”.[82]

Chi conosce Don Orione e l’affocato amore al Papa che pervadeva ogni suo pensiero e azione può immaginare la consolazione e la trepidazione per quell’incarico al servizio della Santa Sede, in un “posto di somma fiducia e segretezza, poiché è come l’orecchio di Dionigi”.[83] Egli sentiva tutta la fierezza di un padre che gode per il riconoscimento e la responsabilità attribuita ai figli.[84] Quell’assunzione di un servizio in Vaticano era da lui considerata come una prova di maturità per la giovane Congregazione.

La notizia dei “preti telefonisti in Vaticano” venne divulgata dai giornali, nel giro di pochi giorni. “L’Italia” del 18 febbraio 1940 riferiva: “Tra le altre piccole ‘novità’ vaticane vi è anche quella del centralino telefonico che in queste ultime settimane è stato affidato ai Figli della Divina Provvidenza, la congregazione fondata da Don Orione. Non conosciamo le ragioni che hanno determinato il provvedimento; ma ci sembra si possa dire che appare intuitivamente saggio ed opportuno che un servizio tanto delicato come quello delle comunicazioni telefoniche sia affidato a dei religiosi. Così i Figli della Divina Provvidenza di Don Orione sono oggi insieme ai Salesiani di Don Bosco, le due congregazioni religiose che prestano in Vaticano l’opera loro a servizio diretto della Santa Sede”.

Sei mesi dopo l’arrivo dei primi religiosi addetti al Centralino, il Governatorato vaticano offrì alla Congregazione orionina anche la sovrintendenza delle Poste e dei Telegrafi. Don Orione era da poco morto (12 marzo), ma il suo successore, Don Carlo Sterpi, accolse anche questa richiesta con il medesimo entusiasmo e spirito di dedizione del Fondatore. Primo responsabile di questi servizi, con la qualifica di Ispettore, fu nominato Don Adriano Callegari. Iniziò così un servizio e una presenza in Vaticano che continua fino ad oggi. [85]

La cappellania di Sant’Anna riofferta nel 1940

Il ritorno degli Orionini in Vaticano nel febbraio del 1940, unitamente al ricordo e alla stima del servizio svolto in S. Anna, spinsero l’Arciconfraternita dei Palafrenieri ad offrire nuovamente alla Piccola Opera della Divina Provvidenza, la cappellania della loro Confraternita che, lasciata la chiesa di Sant’Anna al Vaticano, ora aveva sede presso la chiesa di Santa Caterina della Rota, vicino a piazza Farnese.[86]

Il Decano del Sodalizio, Pietro Monatti, aveva rivolto direttamente a Don Orione la richiesta: “Città del vaticano, 9.2.1940. Rev.mo Don Luigi Orione, Trovandoci nuovamente senza cappellani per la nostra Ve. Arciconfraternita, il primo pensiero, la prima offerta ritorna agli antichi nostri Cappellani che amammo sempre e sempre rimpiangiamo con affetto. Veda dunque, Rev.mo Padre, di venirci incontro con una risposta favorevole, che prego sia con la più cortese sollecitudine, indicandomi con chi dovrò trattare per i dettagli”.[87]

Don Orione, allora già gravemente sofferente, rispose prontamente.

15 febbraio 1940. Anime! Anime! Ho molto gradito la Vostra lettera del 9 corr., non Vi ho potuto rispondere subito perché proprio giovedì notte mi sono sentito tanto male che mi credevo di morire, e sono ancora a letto.

Quanto mi ha fatto piacere rivedere i vostri caratteri e sentire nelle Vostre parole l’antico affetto che ci ha uniti per ben venticinque anni nel servizio del Signore, ai piedi di S. Anna Benedetta, la buona nonna di Nostro Signore!

Come sempre, così ora, caro Comm. Bonatti, Vi dico che anch'io ho la migliore disposizione di ritornare a pregare S. Anna insieme con i miei cari e indimenticabili Palafrenieri di Palazzo, e sarò lietissimo se ci potremo fraternamente accordare, e mi auguro che almeno per altri venticinque anni, cioè anche quando io non ci sarò più, i miei Sacerdoti abbiano da crescere nello spirito di pietà e di divozione a S. Anna, come già il nostro santo Sacerdote Don Gaspare Goggi e gli altri che prima o dopo di lui edificarono nelle anime Gesù Cristo e servirono con fedeltà e fervore la Vostra Venerabile Arciconfraternita.

Poiché si temeva che io dovessi morire, per questo venne da Roma Don Risi, il quale pure fu Vostro Cappellano per anni; egli è ancora qui, benché io, grazie a Dio, ora stia tanto meglio che già oggi ho cominciato a levarmi per dir Messa. Incarico, dunque, il Don Risi di trattare con Voi e con chi Vi sta a fianco, e spero, data la buona volontà che c'è da ambo le parti e l 'antica nostra amicizia, che non sarà difficile combinare.

Se poi piacerà al Signore che ancora venga a rivedere Roma, verrò, verrò a dire una Messa ai piedi di S. Anna, e a ricordare alla cara nostra Santa tutti i buoni Amici della Arciconfraternita, vivi e defunti, pei quali ho sempre serbato il più caro ricordo e un affetto che sa di fraterno.           

Don Risi non potrà ritardare, dato che ha già tanti impegni nella vasta parrocchia di Ognissanti. Egli si farà tosto vivo con Voi.

Confido poi che da parte dei nostri Venerati Superiori non ci sarà difficoltà, quando sottoporremo alla loro approvazione la minuta della convenzione.

Addio, caro Commendatore Bonatti. Vogliamoci sempre bene nel Signore fate i miei rispetti più cordiali a tutti quelli della Arciconfraternita che mi conoscono, e abbiatemi quale mi sento, aff.mo Vostro Don Luigi Orione”.[88]

Don Orione informò subito Don Roberto Risi delle trattative in corso e delle condizioni poste per l’accettazione della Cappellania a Santa Caterina della Rota.[89] Il 9 marzo 1940, il Bonatti scrisse a Don Risi trasmettendo la bozza di Convenzione e concludendo: “Rinnovi la mia gratitudine al Car.mo Don Orione, i miei saluti, i miei fervidi auguri. Mi faccia sapere quando intendono prender possesso per regolarci noi. Saluti. Pietro Bonatti”.[90]

Don Orione morì il 12 marzo successivo. Pietro Bonatti, in data 29 marzo, si rivolse allora al successore di Don Orione: “La Ven. Arciconfraternita di S. Anna dei Palafrenieri, dopo aver preso viva parte al dolore della Congregazione per la morte del Venerato Don Orione, come era suo dovere, data la venticinquennale amicizia, porge ora alla Paternità Vostra, che è stata eletta a succederGli, i più vivi rallegramenti… Ella, Rev.mo Padre, è certamente a conoscenza delle trattative in corso per la ripresa della nostra Cappellania; per il prossimo 1° luglio noi desidereremmo che ne prendessero possesso. Don Risi, che fu incaricato dall’indimenticabile Don Orione a fungere da intermediario mi ha detto di rivolgermi direttamente a Lei e mettermi con Lei d’accordo. Abbia la bontà di farci sapere se Le sta bene l’epoca stabilita onde regolarci”.[91]

Questa volta fu Don Pensa a rispondere al Decano dell’Arciconfraternita dei Palafrenieri, con lettera raccomandata: “Tortona, 7 maggio 1940. Per incarico del mio Rev.mo Superiore Don Sterpi, rispondo alla Sua preg.ma che Gli ha inviata in data 29 marzo u.s. Egli ha tutte le buone disposizioni per una conclusione favorevole della trattativa di cui è oggetto la stessa Vostra preg.ma. Tuttavia, avendo sottoposto la cosa, come era di dovere, al rev.mo Visitatore Apostolico della Congregazione, Abate Caronti, Questi gli ha fatto conoscere che non si potrà da parte della Piccola Opera accettare la Cappellania offerta se prima non sia data dal Ven. Vicariato Romano la relativa debita licenza in iscritto. Veda dunque V. S. di procurare questa licenza ed inviarla al Rev. Sig. Don Sterpi che a sua volta la rimetterà al Rev.mo Padre Visitatore”.[92]

Praticamente non se ne fece nulla; quella chiesa con cappellania della Confraternita di Sant’Anna dei Palafrenieri non tornò più agli orionini.

 

Il Palazzo delle Poste Vaticane

 

 


[1] La chiesa fu progettata dell’architetto Giacinto Barozzi. Nel 1720, fu compiuta la facciata ad opera di Alessandro Specchi; Francesco Maglia fece l’angelo di destra, Francesco Moderati quello di sinistra. Nel 1745, il Navona disegnò la cupola e il soffitto. La chiesa fu dedicata a S. Anna, patrona dei Palafrenieri.

[2] La colonia aveva l’ingresso al n. 21/a di via della Balduina; comprendeva 27 ettari di terreno con due fabbricati rustici e uno civile.

[3] La Colonia S. Maria del Perpetuo Soccorso (Roma). Cento anni di storia (1901-2001), a cura di A. Belano, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 2001. La colonia di San Giuseppe, nel 1903, passò a Don Guanella; F. Peloso, Don Luigi Guanella e Don Luigi Orione. Amici tra loro, padri per gli altri in “Messaggi di Don Orione” 35(2003) 112, pp. 5-34.

[4] In Città c’erano due chiese libere: la Confraternita di S. Giovannino vicino al Vicariato e quella di San Carlo al Corso. Ambedue non rispondevano alle esigenze di Don Orione che preferì la cappellania del S. Anna per la vicinanza a S. Pietro.

[5] ADO, cart. S. Anna, Registro delle Messe.

[6] Scritti 59, 2.

[7] Altro motivo per cui Don Orione ha preferito la cappellania della chiesa di Sant’Anna è il fatto che ad essa attigue c’erano delle camerette utilizzabili per ospitare confratelli di passaggio e alcuni chierici studenti.

[8] Scritti 76, 171.

[9] Don Orione a don Sterpi, il 18 agosto 1902: “Chi lavora alla Colonia dell’Immacolata è la Madonna e quel piissimo don Piana”; Scritti 43, 83.

[10] Don Orione a Don Sterpi, il 27 luglio 1904: “C’è qui Piana che getta sangue la mattina per mezz’ora e la sera lo stesso”, Scritti 30, 96 e anche 10, 47.

[11] ADO, cart. S. Anna.

[12] Dei festeggiamenti svoltisi in quei giorni si fa memoria nel bollettino dell’Opera “La Madonna” in una relazione forse preparata da Don Goggi. Fino al 1870, tale festa veniva celebrata con grande solennità. Al mattino i palafrenieri vi andavano processionalmente muovendo dalla chiesa più vicina e cavalcando mule e portando sulla schiena il cappello cardinalizio dei loro padroni. Arrivata la processione in prossimità della chiesa era accolta dalle salve dei cannoni di castel Sant’Angelo.

[13] Dal Bollettino “La Madonna”, 15.8.1904, p. 64.

[14] Lettera del 27.4.1904; Scritti 30, 96.

[15] Gaspare Goggi, fu definito da Don Orione “un sacerdote angelo, Don Gaspare Goggi, questo era una colonna della Congregazione dal lato pietà e dottrina” (Parola VI, 282). Nacque a Pozzolo Formigaro (AL), il 6 gennaio 1877. A 15 anni, incontrò Don Orione e decise di unirsi a lui che stava fondando una nuova congregazione. “Prima professore, poi sacerdote'' fu la consegna del giovane Fondatore. Gaspare, si laureò in Lettere e filosofia all’università di Torino. Nel 1903, venne ordinato sacerdote. Pochi anni di intensa attività sacerdotale, nella stima e apprezzamento di superiori e fedeli, a Tortona, Sanremo e soprattutto come rettore della Chiesa di Sant'Anna al Vaticano. Nel 1907 fu convisitatore dei seminari della Sicilia, con il Card. Carlo Perosi. Poco dopo, San Pio X lo preconizzò ad una sede episcopale. Un rapido e progressivo indebolimento psico-fisico fermò il suo apostolato il 4 agosto 1908. Le sue spoglie mortali riposano nel Santuario della Madonna della Guardia, a Tortona. Don Orione stesso chiese di introdurre la causa di beatificazione (avviata poi ad Alessandria nel 1959) ed esortava a rivolgersi alla sua intercessione: ''Il nostro Don Gaspare Goggi, primo Figlio della Divina Provvidenza, era mente eletta, tempra di santo tanto pio quanto dotto che morì in concetto di santità. Vi dico che non mi sono mai raccomandato a lui, che non ottenessi quanto avevo richiesto”. Cfr. Postulazione Piccola Opera della Divina Provvidenza, Il Servo di Dio Sac. Prof. Don Gaspare Goggi, dei Figli della Divina Provvidenza, Roma 1960; F. Peloso - E. Ferronato, Don Gaspare Goggi, “Primo Figlio della Divina Provvidenza”, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 2002.

[16] Testimonianza di Don Contardi, ADO, cart. S. Anna.

[17] Discorso del 1 agosto 1925, Parola III, 75.

[18] Testimonianza in Don Gaspare Goggi, cit., p.219. Confessore della comunità era Mons. Carlo Perosi, poi cardinale. Don Goggi si confessava da Don Giuseppe Magnanigo.

[19] Enrico Contardi, entrato in Congregazione fu inviato a San Remo per gli studi, successivamente a Roma, alla Colonia S. Maria, e, il 29 luglio 1905, fu assegnato, insieme ad altri chierici, a S. Anna con Don Gaspare Goggi, per la frequenza dell’Università. Il 26 aprile 1908 venne ordinato Diacono.

[20] ADO, cart. S. Anna.

[21] Cfr. Domenico Mondrone, I santi ci sono ancora. Aristide Leonori, Ed. Pro Sanctitate, Roma 1979, pp. 114-132. Nazareno Faretti, Aristide Leonori, Unione Ministri Provinciali OFM, Roma, 1989. Niccolò Del Re, Leonori Aristide in Bibliotheca Sanctorum” 13, Prima appendice, Città Nuova Editrice, Roma 1987, coll. 770-771.

[22] Anche Don Orione ebbe a beneficiare della sua larghezza, in favore dei primi suoi orfanelli romani.

[23] Egilberto Martire, Costantini Luigi. 1864-1932, Libreria Emiliana Editrice, Venezia 1955; Il Prof. Luigi Costantini, “La Piccola Opera della Divina Provvidenza”, febbraio 1934, pp. 1-5.

[24] Don Gaspare Goggi, cit., p. 240. Egli prese a sostare a Sant’Anna tutte le sere: “Veniva con noi e assisteva alla nostra cena, intrattenendoci in piacevoli e utili conversazioni e, qualche volta, in letture spirituali”, ricorda uno studente di allora; Ibid. p. 241.

[25] Ibid., p. 242.

[26] Verso il 1907, grosse difficoltà finanziarie minacciarono quel vivaio di talenti coltivati dal Leonori e Costantini. Intervenne Don Orione e ospitò i fratelli Carabella nella nuova parrocchia di Ognissanti e li aiutò a raggiungere la meta che s’erano prefissi. Ezio Carabella, divenuto poi famoso, nel 1937, volle dedicare a Don Orione alcuni deliziosi suoi «Preludi religiosi», soffusi di soave misticismo.

[27] Cfr Enrica Mascherpa, Giulio Salvatori, Prefazione di Nello Vian, Vita e pensiero, Milano 1966; Tommaso Gallarati Scotti, Giulio Salvadori, poeta e servo di Dio, Vita e pensiero, Milano 1963; Nello Vian, Amicizie e incontri di Giulio Salvadori, Studium, Roma 1962; Mario Cingolani, Giulio Salvatori, Istituto di studi romani, 1949.

[28] Sono ricordati come assidui frequentatori e amici anche Padre Giuseppe Azbiewicz, polacco, apostolo tra i suoi connazionali, e Padre Germano, il passionista biografo di Santa Gemma Galgani,

[29] Don Guanella dedicò a Don Goggi un necrologio in occasione della prematura morte in “La Divina Provvidenza” settembre 1908, p.143. “A Sant’Anna si davano convegno anime di santi – testimonia Don Contardi -. Facevano la meditazione per un’ora attorno all’altare di S. Anna in ginocchio. Allora veniva Don Carlo Perosi a farci un po’ di conferenza e a confessare”; ADO, cart. S.Anna.

[30] Lettera del 21 febbraio 1910; Scritti 6, 11.

[31] Dopo che tali doti erano state apprezzate negli articoli pubblicati sul Bollettino della Congregazione e in altri giornali, Don Orione lo incaricò della redazione della rivista “La Madonna” che uscì con il primo fascicolo nel gennaio 1904. Si trattava di una rivista prettamente mariana, popolare ma sostanziosa, qualificata da illustri firme; vi collaborarono Lorenzo Perosi, Padre Ghignoni, il Barone Kausler, il Card. Capecelatro, Padre Giovanni Semeria, Don Romolo Murri.

[32] Cfr F. Peloso – E. Ferronato, cit., p. ..

[33] Flavio Peloso, Anche voi berrete il mio calice. Padre Riccardo Gil Barcelón e Antonio Arrué Peiró, martiri orionini in Spagna, Ed. Borla, Roma, 2002, pp. 9-11.

[34] È l’anno 1909. Padre Ricardo Gil Barcelón, nato a Manzanera (Teruel – Spagna) nel 1873. Fu ordinato sacerdote nel 1904. Venne a Roma pellegrino per vedere il Papa, incontrato Don Orione lo seguì fedelmente. Nel 1930 fu inviato a Valencia, in Spagna ad aprire una tenda orionina per i poveri più poveri. Il 3 agosto 1936 fu arrestato e, non volendo rinnegare la fede cadde sotto la raffica dei fucili nemici al grido di "Viva Cristo Re".

[35] F. Peloso, Anche voi berrete il mio calice. Riccardo Gil Barcelón e Antonio Arrué Peiró martiri orionini in Spagna, Ed. Borla, Roma 2001.

[36] Silone dedicò il più bel capitolo di Uscita di sicurezza a l’Incontro con uno strano prete – Don Orione appunto – che l’accompagnò da Roma a Sanremo, sede del Convitto “San Romolo”; I. Silone, Romanzi e saggi I. 1927-1944, II. 1945-1978 (a cura di B. Falcetto), I Meridiani - Mondadori, Milano. All’amicizia tra Don Orione e Ignazio Silone, si veda: F. Peloso, Don Orione, lo “strano prete”, e i fratelli Secondino e Romolo Tranquilli in AA.VV., Per Ignazio Silone, Biblioteca della Nuova Antologia, n.6, Firenze, 2003, pp. 111-157; G. Casoli L’incontro di due uomini liberi: Don Orione e Ignazio Silone. Con lettere inedite, Jaca Book, Milano, 2000; A. Ruggeri, Don Orione Ignazio Silone e Romoletto, Ed. D. Orione, Tortona 1981.

[37] Poi preciserà che si trattava dell’Osteria del Trentuno, in Via Rusticucci.

[38] Processo Apostolico, II parte, sessio CXXIV, Archivio della Postulazione Don Orione, pp. 646-647.

[39] Ed. Paoline, Alba, 1965, pp. 129-143.

[40] Roberto Risi, sacerdote zelante, responsabile prima della chiesa di Ognissanti, quartiere Appio, poi in Sicilia, a Noto, da qui a Roma, cappellano dell’Ospizio “Regina Margherita di Savoia” in cui avevano l’assistenza extra scolastica delle ospiti non vedenti o educande, le Suore di S. Giovanna Antida Touret; la direzione era affidata al Professore cieco Augusto Romagnoli; gli insegnanti erano secolari. Erano ovvie, tra queste differenti componenti le incomprensioni e le discordie: Don Risi era l’uomo dell’equilibrio, apprezzava il bene da qualsiasi parte venisse; amante del sacrificio pur di fare bene alle anime. Dall’ospizio numerose furono le vocazioni che raggiunsero poi Tortona all’Istituto delle Sacramentine non vedenti. Don Risi era il confessore delle Suore e di molte ospiti.

[41] Alla Lungara, c’era il Manicomio Provinciale; per qualche tempo ne fu offerta la cappellania ai religiosi di Don Orione, come questi riferì il 26.8.1906 a Don Goggi: “Mi hanno scritto quelli della Lungara; desidererei accettare, essendo cosa che anche mgr. Faberi diceva di accettare”; Scritti, 30, 103.

[42] Lettera del 14.6.1910; Scritti 6, 17.

[43] Lettera del 21.4.1910; Scritti 6, 16.

[44] Minuta senza data, indirizzata a una “Eccellenza” del Vaticano; Scritti 79, 64.

[45] Scritti 43, 192.

[46] Lettera a don Sterpi, Scritti, 12, 157; Sembra sia da riferirsi a questa medesima visita anche quanto riportato in 72, 171: “Quando allora passò sulla porta (che dà in un vicolo interno) all’invito tentennò un poco, si guardò attorno quasi a chiedere consiglio, e poi entrò, ma non si fermò che 10 minuti. Comunque, il passo era fatto”.

[47] Si tratta del servo di Dio Padre Massimo Rinaldi. Cfr Giovanni Maceroni, Il servo di Dio Massimo Rinaldi,“amico fidato” di Don Orione, “Messaggi di Don Orione” 36 (2003) n.111, pp.29-46.

[48] Scritti, 72, 171.

[49] Era il quinto anniversario dell’inizio della prima guerra mondiale.

[50] Lettera a Don Sterpi del 1.8.1919; Scritti 77, 75.

[51] Da note di cronaca di Don Orione per il Bollettino della Congregazione; Scritti 94, 72.

[52] Lettera del 11.4.1919; Scritti 4, 147.

[53] Lettera dell’11 aprile 1919; Scritti 4, 147 e anche 6, 176; 24, 111.

[54] ADO, cart. S. Anna.

[55] Lettera a Mons. Pietro Grassi del 7.4.1927; Scritti 45, 235.

[56] Il cambiamento era ormai prossimo, anche se il 6.4.1929, non era ancora stato ufficialmente deciso, come informa Don Orione: “Sant'Anna è inclusa nella Città Vaticano, e pare farà da parrocchia al Vaticano; il S. Padre richiese al decano di vedere gli statuti. A D. Opessi, finora, nulla dissero”; Scritti 17, 11. Don Orione non ne fece un dramma. Parlandone ai confratelli disse: “Siamo stati 25 anni a Sant'Anna, dove per grazia di Dio si è fatto molto bene, e siamo stati licenziati senza che ci avessero detto grazie. Dobbiamo servire Gesù Cristo, senza attaccarci ai muri come i gatti”; 15 agosto 1929, Riunioni 90.

[57] Parola 11, 257.

[58] Il 29 giugno 1929, scrisse al card. Merry del Val: “Dovendo la mia piccola Congregazione lasciare presto Sant’Anna dei Palafrenieri che, diventando chiesa parrocchiale del Vaticano, passa ai Padri Agostiniani; desiderando continuare ad avere una residenza presso il sepolcro del B. Apostolo Pietro e presso la Casa del Vicario di N. Signore, rivolgo umile preghiera a V. Em.za Rev.ma e al rev.mo Capitolo di S. Pietro perché vogliano degnarsi affidarmi San Giacomo a piazza Scossacavalli. (…). La chiesa di San Giacomo e annessa casa hanno bisogno di importanti restauri; ebbene, fidato alla Divina Provvidenza prometto che, gradualmente, si faranno tutti i lavori necessarî o anche convenienti al decoro di quella chiesa.                E come a Sant’Anna, per ben venticinque anni, si è fatto - col divino aiuto, un po’ di bene, sempre con soddisfazione generale: - così, sorretto dalla grazia del Signore, provvederò alla cura spirituale della chiesa di S. Giacomo con sacerdoti degni e zelanti, da rispondere ai desiderî di vostra Eminenza rev.ma e del rev.mo Capitolo Vaticano, a gloria di Dio e a bene delle anime.”; Scritti 48, 63-64; 101, 213; 116, 169.

[59] Scritti 94, 209.

[60] Scritti 17, 53 e 104.

[61] Scritti 17, 106.

[62] Scritti 53, 37. Il testo della convenzione in Scritti 70, 50.

[63] Scritti 21, 157. A Don Adaglio, 7.8.1930: “Col 25 Luglio ci fu affidata in perpetuo la chiesa di S. Giacomo a Piazza Scossacavalli in Roma, che ho riaperta quel dì stesso; Deo Gratias! È al posto di Sant'Anna”; Scritti 5, 471.

[64] Scritti 57, 268. Il testo del manifesto per la celebrazione di San Giacomo del 1931 in Scritti 75, 111.

[65] Don Orione gli scrive, il 20 luglio 1931: “Si avvicina la festa di San Giacomo, ed è per me un grato dovere di poter inviare a Vostra Eccellenza le prime copie dei foglietti a stampa che mando a Don Ferretti, perché, durante il triduo, li faccia distribuire ai fedeli. Credo farà anche un piccolo manifesto sacro da affiggersi alla porta delle Chiese. E così, Deo adiuvante, si compie un anno dacché, specialmente per merito e bontà di V. Eccellenza, ci venne affidata la Chiesa di San Giacomo. È vero che io non mi sono quasi fatto più vivo, ma assicuro Vostra Eccellenza che sempre La ho ricordata e La ricordo con profonda gratitudine, e sempre mi sono interessato, perché la Chiesa di San Giacomo fosse tenuta bene, sia per le funzioni e perché i fedeli vi trovassero comodità di frequentare i Sacramenti”; Scritti 75, 110.

[66] Parola VI, 75.

[67] Il 26.8.1936 chiede informazioni a Don Sterpi: “Don Ferretti è già fuori di S. Giacomo a Scossacavalli? È già demolita la chiesa o chiusa al culto?” (Scritti 19, 104). E l’11 novembre successivo raccomanda: “Quanto a S. Giacomo, don Ferretti non perda tempo. Si faccia stendere un esposto, non lungo e ben fatto, da Possenti e lo presenti al Capitolo Vaticano. L’Arciprete è il card. Pacelli, al quale potrebbe anche parlarne” (Scritti 19, 145b). Fu nel 1936 che una variante al Piano Regolatore del 1931 decise la demolizione della Spina dei Borghi. Il Duce, alle ore 9 del 28 ottobre 1936, vestendo la divisa di comandante generale della Milizia, giunse a piazza Pia, salì sulla terrazza di un palazzo e qui, diede il primo colpo di piccone. L'8 ottobre 1937 la demolizione di ben 600.000 metri cubi costruiti era terminata. Con l'apertura della grande Via andò perso un pezzo tra i più antichi della Roma medioevale e rinascimentale; come se non bastasse, tutti gli edifici dei lati esterni dei Borghi Vecchio e Nuovo furono amputati, traslocati o pseudorestaurati in modo di allinearli con i giardini di Castel S.Angelo e con il lungotevere che scorreva davanti a questo. Si demolì e si trasferì su via della Conciliazione, con una nuova forma, il Palazzo dei Convertendi, quello dei Rusticucci, la casa di Giacomo da Brescia. La bella fontana che ornava piazza Scossacavalli, costruita su progetto del Maderno, fu smontata e trasferita davanti a S. Andrea della Valle, a corso Vittorio Emanuele II. Sparì, tra le altre cose, la chiesa di S.Giacomo in piazza Scossacavalli, la chiesa di S.Michele Arcangelo.

[68] Con lettera del 1.5.1937, il Vicariato di Roma offerse a Don Orione la chiesa della Consolazione, ma non risulta altro seguito.

[69] Scritti 67, 224.

[70] Scritti 101, 203. Due giorni dopo, alla riunione dei Confratelli sacerdoti della Casa Madre, Don Orione dà la notizia: “Il Santo Padre ha dato alla Congregazione incarico di fiducia. Don Sterpi è andato a Roma appositamente. Che la Santa Sede abbia pensato a noi, che siamo gli ultimi, mentre vi sono tante altre Congregazioni rispettabilissime, ci deve confortare. Cinque dei nostri entreranno in servizio diretto del Santo Padre e saranno addetti ai telefoni. E’ un ufficio delicatissimo e di molta fiducia. Staranno alle Sette Sale e si daranno il turno”; Parola XI, 321.

[71] Si trattava dell’Oratorio “Sebastiani”.

[72] Scritti 88, 257-258.

[73] Scritti 88, 258. Ritorna sull’argomento due giorni dopo, il 29 dicembre: “Mi spiace di questo impiccio che devo darti, e proprio in questi santi giorni, ma, che vuoi? Per servire la Chiesa e il Vicario di Gesù Cristo ogni sacrificio diventa un gaudio e insieme un onore, per chi ha cuore di figlio; come noi tutti, grazie a Dio”; Scritti 8, 259.

[74] Scritti 8, 262.

[75] “Li avrei condotti io, ma jeri a Genova ho dovuto faticare un poco, e stanotte e stamattina ho avuto qualche disturbo per cui il Medico non mi lascia venire, spero, se a Dio piace, venire presto, se no, sia fatta la volontà di Dio! Domani e per qualche giorno starò in assoluto riposo, accontentandomi di dire la S. Messa qui in Cappella. Però non è il caso che si sappia da tutti di questi disturbi, è stata cosa leggera, solo te lo scrivo unicamente per poter scusarmi che non vengo”; Lettera a Don Risi del 29.1.1940; Scritti 9, 399.

[76] Ibidem.

[77] Ibidem.

[78] Buona Notte del 31 gennaio 1940; Parola XII, 82-84.

[79] La “Convenzione” tra il Governatorato della Santa Sede e la Congregazione fu stipulata il 10 giugno 1940, ma “con decorrenza dal 1° febbraio” del medesimo anno; ADO, cart. Comunità del Vaticano.

[80] Nel discorso sopra riferito, Don Orione aveva tra l’altro svelato che, a Tortona, i prescelti per il Centralino Vaticano “andavano qui fuori al centralino dei telefoni per imparare qualche cosa, per non mandarli là del tutto digiuni”.

[81] Discorsetto a tavola, dopo la lettura del Martirologio, il 4 Febbraio 1940; Parola XII, 96-97.

[82] Ibidem.

[83] Lettera dell’11 marzo 1940 a Don Filippo Milesi; Scritti 114, 11.

[84] Si veda anche la lettera del 15 Febbraio 1940 ai confratelli d’Argentina; Scritti 68, 160.

[85] Nei primi anni, fino al 1943, i religiosi risiedevano presso la casa di Via delle Sette Sale 22; solo dal 1943, a morivo del coprifuoco durante la guerra, cominciarono ad essere ospitati nella Città del Vaticano. Molti furono i religiosi che si succedettero nei servizi delle Poste e Telefoni; figura emblematica è quella di fratel Francesco Giai Baudissart, in Vaticano dal 1942 fino ad oggi. Dopo Don Callegari, furono ispettori Don Dionisio Di Clemente (1946-1972), Don Angelo Cordischi (1972-1997) e l’attuale Don Giorgio Murtas. Nel 1971, a motivo delle aumentate esigenze di lavoro, gli Orionini hanno lasciato il Centralino telefonico per occuparsi esclusivamente della direzione delle Poste e Telegrafo.

[86] La chiesa sorge sull’omonima piazza ed è testimoniata a partire dal 1186. Deve il suo nome all’assonanza dell’originale S. Maria “in catenaris” (dalle catene degli schiavi liberati che venivano appese all’altare della Vergine), successivamente trasformata nella dedica alla santa martire alessandrina. La costruzione attuale risale probabilmente alla fine del Cinque­cento ed è ritenuta opera di Ottaviano Mascherino. La facciata è stata rifatta nel 1730. Dal 1630 appartiene ai Canonici del Capitolo Vaticano.

[87] ADO, cart. S.Anna.

[88] Scritti 70, 120-121.

[89] La lettera è datata 7 marzo 1940 ed è dattilografata; forse Don Orione la dettò, essendo egli in precarie condizioni fisiche; Scritti 70, 117.

[90] ADO, cart. S. Anna.

[91] Ibidem.

[92] Ibidem.

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