Le stragi dei fondamentalisti islamici di Parigi hanno provocato morti. E qualche interrogativo sulla libertà.
Nel mese scorso, ha fatto grande impressione l’attacco di estremisti islamici contro la redazione parigina del giornale francese “Charlie Hebdo”. Il 7 gennaio, due uomini incappucciati e vestiti di nero sono penetrati nella sede del giornale satirico francese, noto per il suo stile provocatorio, e hanno fatto strage con le mitragliatrici: 12 morti, tra i quali il direttore del giornale, e 11 feriti. Motivo di tanta ferocia sarebbero state le molte vignette blasfeme contro Maometto e l’islam in generale.
Quattro giorni dopo, domenica 11 gennaio, a Parigi due milioni di persone hanno marciato per manifestare la solidarietà per le vittime delle stragi terroristiche con lo slogan: Je suis Charlie. Ad aprire la manifestazione, tenendosi a braccetto, erano il presidente francese Hollande e i leaders internazionali, da Matteo Renzi ad Angela Merkel, il britannico David Cameron, lo spagnolo Mariano Rajoy, il russo Sergey Lavrov, e, insieme, persino il palestinese Abu Mazen e l'israeliano Benjamin Netanyahu.
L’idea fu ottima, l’immagine dell’unità trovata per dire no al terrorismo è un segno di speranza. Senonché quel Je suis Charlie si è trasformato in una adesione non solo alla libertà di informazione ma al libertarismo ideologico, di cui la rivista Charlie Ebdo è esempio. Personaggi ed eventi di tutto il mondo hanno cominciato a esibire le magliette e il logo Je suis Charlie.
Non ci sono parole per deprecare l'attentato di Parigi e ogni forma di violenza, ancor più inorriditi perché giustificata "in nome di Dio". Però anch’io sono tra quelli che non si sentono di dire "Je suis Charlie", perché non intendo condividere le offese e la volgarizzazione del sacro attuate più volte da Charlie Ebdo contro l’Islam e anche contro il Cristianesimo. Di fronte al libertarismo individualistico rappresentato da Charlie Ebdo, anch’io come molti dico "Je ne suis pas Charlie".
Due milioni di persone in marcia di solidarietà a Parigi indicano una reazione civile a sostegno della libertà che la follia omicida dei fondamentalisti ha cercato di soffocare. È un grande fatto di civiltà. Per quel che può valere la mia opinione, però, distinguo, dissento e non mi metto in marcia con quanti oltre a manifestare la solidarietà per gli uccisi e per la libertà di opinione, hanno usato la marcia e la giusta reazione alla strage per promuovere l’adesione alla ideologia laicista e libertaria di Charlie Ebdo, perché la ritengo irrispettosa delle identità e delle persone.
Il vilipendio contro la religione (e non solo) e contro chi la professa, che ha scatenato la reazione pazza e omicida di alcuni islamici, è lo stesso vilipendio attuato ripetutamente da Charlie Ebdo anche contro la religione cristiana, altri valori, altre persone e appartenenze. L’offesa è sì una manifestazione della libertà, ma è la peggiore. In questo, "Je ne suis pas Charlie".
Ho visto le vignette “satiriche” e volgari che dissacrano la Madonna, il mistero della Trinità, il Papa e offendono i cristiani. La satira molte volte non è solo espressione di libertà ma anche di una ideologia prepotente che ritiene non vi sia niente di vero e di sacro e “giocatolizza la religione”, secondo l’espressione di Papa Francesco, che ha affermato: «Ognuno ha non solo il diritto ma anche l’obbligo di parlare apertamente, ma senza offendere. Non si può insultare la fede degli altri. C’è un limite”.
Il terribile evento di Parigi ha scosso il mondo intero. Spero provochi anche un sano ripensamento nella direzione di Charlie Ebdo e in tutto il mondo della comunicazione, perché si giunga liberamente e responsabilmente a maggiore rispetto dei valori del sacro e si sia più attenti alla dignità delle persone che in essi si identificano, abbandonando la strada della blasfemia e della volgarità.
I Vescovi francesi, dopo gli attentati di Parigi, hanno pubblicato un messaggio dal titolo "Quale società vogliamo costruire insieme?" e dicono "Arriverà il momento in cui dovremo avere il coraggio di interrogarci per capire come la Francia ha potuto far crescere nel suo seno tali focolai di odio".
Il libertarismo è una infiammazione patologica della libertà individuale che in nome della “mia” libertà oltraggia quella altrui. Mi è sempre stato insegnato che la mia libertà finisce dove inizia quella del mio prossimo e che l’insulto è una grave offesa all’integrità della persona. Vale per i mussulmani e vale per Charlie Ebdo e per il laicismo intollerante.
Il libertarismo individualista sta producendo pesanti forme d’intransigenza nei confronti di persone, di appartenenze, di segni esteriori di ogni espressione religiosa. Aveva ragione Don Orione ad affermare che certi “liberali sono i despoti della libertà” (Scritti 71, 5). Spesso avviene così. Non mi pare sia da accettare un concetto di libertà e di democrazia che è la negazione delle identità e non il rispetto di tutte. Je ne suis pas Charlie.
E concludo con il nostro Don Orione. “«Una nazione per essere libera bisogna che sia virtuosa», già disse il fondatore dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America. La libertà vera è generata dalla fede, dalla pratica della virtù e della cognizione delle verità secondo la parola di Gesù. Dal triplice conserto di scienza e di fede unite alla carità vedrete sublimarsi la ragione della vostra esistenza e, nel Signore, sapienza scienza e fede, animate, fanno prodigi e salvano il mondo!” (Scritti 64, 309; 96, 10).