Don Orione chiese a Romolo Murri, importante esponente del cattolicesimo politico di inizio Novecento, di scrivere un articolo con questo titolo. Spunti storici e riflessioni.
LA MADONNA E LA DEMOCRAZIA
A partire da una singolare richiesta di don Orione.
Don Aurelio Fusi
Nel volumetto di don Antonio Lanza Don Orione negli anni del modernismo[1] mi sono imbattuto in una pagina del nostro Fondatore che contiene una richiesta piuttosto singolare rivolta all’amico Romolo Murri,[2] nel tentativo di aggiustargli la testa come egli stesso ebbe modo di dire: “Mio caro fratello Murri, tu, o mio caro fratello Murri, non vai mai più a pensare chi è che ti scrive. Sta all’erta, perché è un prete birbaccione, che stavolta vuole fare un po’ di bene, e vuole bene a molti dei tuoi amici, e ora vengo, in nomine Domini a cercare te perché sento che m’hai anche tu da aiutare un poco… Ora mi sei venuto in mente tu: tu mi devi scrivere qualcosa di bello, tutto pieno della tua fede e dell’anima tua; vorrei che fosse qualcosa come la Madonna e la democrazia o in quel senso; vedi che è un campo vastissimo e tutta luce e anche inesplorato. Sarà anche l’omaggio tuo alla Madonna in quest’anno!.[3] Che ti pare? Non mi dire di no, so che sei tanto buono”.[4] Non avevo mai pensato che si potesse scrivere qualcosa su questo tema, tanto più che il vangelo è così parco nel parlarci di Maria. Nei trattati di mariologia, come nelle conferenze o nelle omelie, specie negli anni del post-concilio, si è fatto il tentativo ben riuscito di avvicinare la Vergine santa al popolo di Dio e di presentarla come modello per la Chiesa, la famiglia, la donna… ma non avrei immaginato che la si potesse ammirare come modello della vita politica e sociale. E’ però vero che di Lei, numquam satis, non si dice mai abbastanza, dicevano i Padri antichi.
Nell’indirizzarsi all’amico continua ancora don Orione: “Se ti viene giù una gran bella cosa e me la dai per i miei piccoli galantuomini, io te la farò stampare bene, e te ne do fin che ne vuoi (di copie). E se non ti venisse, allora portami almeno un tuo sassolino e fammi qualche coserella pel foglietto che ti mando, e sit nomen Domini Benedictum…”.[5] La richiesta non ebbe molta fortuna, forse perché giunse in un momento in cui don Murri era assillato da problemi che non gli lasciavano sufficiente serenità di spirito per trattare certi argomenti. Su La Madonna non comparve l’articolo invocato, ma solo un modesto scritto del 15 maggio 1904 e siglato R.M. dal titolo: La terra ai colonizzatori. Era un semplice sassolino, una coserella di cui don Orione si dovette accontentare, che sollecitava la riflessione sull’emigrazione annuale di circa mezzo milione di italiani, costretti a cercare lavoro all’estero, senza essere effettivamente sostenuti dalle imprese italiane e dal governo nazionale. E si domandava con un po’ di retorica l’autore: “Perché le terre da colonizzare non dovrebbero essere scelte in Italia, piuttostochè al Brasile, all’Argentina o in Patagonia?”. Qualche anno dopo questo invito divenne concreto con la bonifica dell’Agro Pontino.
Dopo più di un secolo la proposta di don Orione mi sembra ancora valida e per questa ragione mi permetto di proporla all’attenzione di tutti i lettori di Messaggi nella speranza che la santa Madonna, come la chiamava il nostro fondatore, ci aiuti a vivere da esemplari cittadini, oltre che da buoni cristiani, in un contesto democratico e politico, come l’attuale, che non appare né lungimirante, né ricco di speranza. Ovviamente l’articolo non potrà toccare tutti gli ambiti della vita democratica e quindi, per forza di cose, ne preferirà alcuni su altri. In modo particolare ci si soffermerà sul ruolo della politica nella vita democratica i cui obiettivi e le cui modalità sono illuminati da quegli atteggiamenti di Maria che il vangelo ci presenta.
Il contesto nel quale don Orione fece questa richiesta a Romolo Murri è ben noto e profondamente studiato: è quello dell’inizio del pontificato di Pio X, ancora caratterizzato dalla Questione Romana[6] a livello politico e dalla diffusione del modernismo a livello filosofico e teologico. Questi due problemi che caratterizzarono l’intero pontificato di Papa Sarto lo portarono da una parte a chiedere allo Stato italiano e alla Comunità europea, come già avevano fatto i suoi predecessori, la restituzione alla Santa Sede di una sovranità internazionale e, dall’altra, ad affrontare la questione del modernismo prima con la pubblicazione del decreto Lamentabili del 3 luglio 1907 e poi, in modo più definitivo, con l’enciclica Pascendi Dominici gregis dell’8 settembre successivo.
In questo contesto, quale fu la posizione di don Orione sulla politica e sulla democrazia che, come egli diceva, “si avanza”?
La nostra politica è quella del Pater noster
Molte volte abbiamo sentito attribuire a don Orione, e forse prima ancora a don Bosco, questa frase che sembra evitare ogni forma di impegno politico e quasi segnare uno stile di rapporto “sospettoso” con la polis. Lo sappiamo bene, come ci insegna anche il Concilio, che il cristiano è invece chiamato ad un impegno maturo per migliorare le condizioni di vita di questo mondo, con uno stile e con scelte che siano in sintonia con il vangelo.[7] Vivere la politica del Pater noster, allora, non significa rinunciare ad agire, ma al contrario impegnarsi in prima persona affinché le richieste contenute in questa preghiera siano l’obiettivo ispiratore delle scelte concrete di chi è impegnato nella politica: venga il tuo Regno… dacci il pane quotidiano… Ora, l’avvento di tale Regno, la realizzazione della sua volontà... presuppongono tutto meno che un passivo quietismo di fronte alle giuste esigenze sociali. La difesa dei diritti dell’uomo fa parte del dovere di un politico cristiano.
Per essere ancora più chiari occorre precisare bene che cosa si intende per politica. Vi è una politica di ordine tattico e se vogliamo tecnico che può anche trovare legittimamente divergenti gli stessi cristiani. Non esistono, infatti, sul suo piano programmi o soluzioni cristiane per eccellenza. Vi sono però delle questioni che coinvolgono la sfera etica della società e dell’individuo di fronte alle quali nessun fedele può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia della politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società.[8] Non si tratta di per sé di valori confessionali, poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale. Esse non esigono in chi le difende la professione di fede cristiana, anche se la dottrina della Chiesa le conferma e le tutela sempre. In questo contesto, l’impegno politico dei cattolici è necessario per il contenuto delle questioni dibattute e per una maggior credibilità anche della stessa Chiesa. [9]
Don Orione in più occasioni ha ripetuto che la nostra politica è quella del Pater noster. Con questa frase egli intendeva escludere ogni impegno diretto, come invece fu ad esempio per don Luigi Sturzo o altri sacerdoti, ma non certamente il dovere di esprimere democraticamente con il voto il proprio orientamento politico per favorire l’elezione di esponenti cattolici nelle cariche pubbliche,[10] come mostra la lettera che scrisse al cardinale Merry del Val a nome di mons. Bandi in occasione delle elezioni del 1904, quando ancora erano valide le tassative disposizioni del Non expedit di Pio IX: “A questo mio veneratissimo mons. Vescovo si fanno premurose ed autorevoli istanze perché in un importante collegio elettorale di questa Diocesi, si permetta che i cattolici prendano parte alle elezioni politiche, e ciò allo scopo di escludere il candidato socialista del luogo, la cui rielezione sarebbe molto dannosa. Ora, a nome di mons. Vescovo, domando umilmente a vostra Eminenza se, in questo caso, almeno possa tollerarsi -e passive se habere- l’intervento dei cattolici alle urne politiche…”.[11]
Oltre a questo aspetto, e cioè favorire la presenza di politici cattolici per un autentico servizio alla patria, credo che a don Orione altro non abbia interessato del mondo della politica, specie dei partiti, proprio per poter essere libero di incontrare singolarmente ogni persona e arrivare a costruire un profondo rapporto umano con uomini tanto diversi, anche per indirizzo politico, come Alessandro Fortis, Tommaso Gallarati Scotti, Ignazio Silone, Achille Malcovati…[12]. Quindi, sembra assente in don Orione un qualsivoglia interesse per la politica in termini di scontro ideologico e partitico, di gestione della cosa pubblica, anche se un orientamento di fondo chiaro non poteva essere assente: “noi restiamo democratici cristiani fin al midollo dell’ossa come lo fummo alla prim’ora nel senso inteso e voluto dal Papa”.[13] La sua tensione era quella dell’apostolo che ama la Patria, educa i giovani ma non si immischia nelle questioni di partito: “Altro è parlare, lodare, servire la patria educando i giovani e noi stessi all’amore di patria…, altro è fare politica”.[14] “Altro è amare la patria, e altro è fare politica. La patria è qualche cosa di più alto della politica”.[15] “Non dobbiamo mai fare della politica, mai guardare alla politica e mai, parlando della patria, lasciarci trascorrere nel campo pericoloso della politica”.[16] Questa scelta non costituiva un semplice impegno personale, ma doveva servire a garantire la piena libertà d’azione delle sue opere e dei suoi religiosi.[17]
Mentre costatiamo questo preciso atteggiamento nei confronti dei partiti, in don Orione notiamo una viva partecipazione alle grandi questioni del suo tempo, specie quelle che coinvolgevano Chiesa e Stato, come la Conciliazione.[18] Inoltre ebbe un’attesa positiva nei confronti della democrazia, vista come una nuova manifestazione provvidente di Dio che conduce la storia umana: “La democrazia avanza… non impauriamocene, però, o amici miei… la democrazia si avanza, accogliamola amichevolmente, incanaliamola nel suo alveo cristianizzandola nelle sue fonti che sono la gioventù”.[19]Anche in questo passaggio epocale la Chiesa ha una sua funzione dalla quale non può fuggire: essa stessa dovrà trattare con i popoli.
Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio
Con questa frase Gesù precisa che ci sono degli ambiti politici e degli ambiti di fede che non vanno confusi né sovrapposti, ma distinti perché di ordine diverso.[20] Questa separazione è ormai ovvia e universalmente recepita nella società occidentale mentre non è acquisita in altri contesti culturali e religiosi.
Anche di recente si è ribadita la separazione tra questi due ambiti e di conseguenza tra i soggetti che ne garantiscono lo sviluppo e la giusta autonomia: lo Stato e la Chiesa. Nelle visite del Presidente del Consiglio Prodi (13 ottobre 2006) e del Presidente della Repubblica Napolitano a Papa Benedetto XVI, pur con accentuazioni diverse, questo concetto è stato ripetuto per evitare sovrapposizioni che potrebbero minare l’equilibrio di libertà e di autonomia tra lo Stato italiano e la Chiesa. In un contesto positivo e di stima, dopo aver ricordato che i messaggi del Papa “ci toccano e ci confortano”, il Presidente della Repubblica ha ribadito nel suo discorso del 20 novembre scorso che in Italia “l’armonia dei rapporti tra Stato e Chiesa è stata e resta garantita dal principio laico di distinzione sancito nel dettato costituzionale … per una reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese”. Dopo aver precisato l’ambito e l’autonomia dell’azione politica, il Presidente ha continuato aggiungendo che comunque “avvertiamo come esigenza pressante ed essenziale il richiamo a quel fondamento etico della politica, che fa tutt’uno con il patrimonio della civiltà occidentale e si colloca tra gli autentici valori della cultura del nostro tempo”.[21] Nel suo discorso di benvenuto all’illustre ospite, il Papa, dopo aver anch’egli ricordato che Chiesa e Stato sono pienamente distinti ha precisato che, “sono entrambi chiamati, secondo la loro rispettiva missione e con i propri fini e mezzi, a servire l’uomo, che è allo stesso tempo destinatario e partecipe della missione salvifica della Chiesa e cittadino dello Stato. E’ nell’uomo che queste due società si incontrano…”.[22]
Sono proprio queste ultime considerazioni del Presidente e del Papa che ci aiutano a comprendere la vera grandezza della politica che non è un esercizio metafisico del bel parlare, come qualche volta se ne ha l’impressione, né, tanto meno, un obiettivo da raggiungere per vantaggi partitici o personali, ma un servizio autentico alla società civile. Ed è proprio per questa caratteristica della politica che Maria emerge come autentico modello.
E’ chiaro, dunque, che sta agli antipodi rispetto al Principe di Macchiavelli che agisce per assicurarsi il potere con finalità e metodi che calpestano il fondamento etico ricordato dal Presidente Napolitano. Maria, invece, appare come l’incarnazione delle parole di Gesù quando dice che “non sono venuto per essere servito ma per servire e per dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Questo atteggiamento di Gesù e di Maria si oppone al modo di agire di molti che, invece, utilizzano il potere per finalità non lecite e che Gesù, poco prima di presentarsi come modello di servizio, denuncia: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti i capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Tra voi, però, non sia così; ma chi vuole essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10, 42-44).
Quali atteggiamenti e scelte ci può indicare Maria -e qui, finalmente, entriamo più direttamente nel nostro argomento- sul complesso tema di fede e politica che ha coinvolto la Chiesa e i cattolici in questo ultimo secolo anche con scelte difficili? Anzitutto a non separare impropriamente il credente dal cittadino in quanto anche la dimensione sociale, e non solo quella spirituale, è parte integrante della persona.[23] E’ l’episodio evangelico di Lc 2,1-7 che ci indica questa profonda unità in Maria che, dopo aver obbedito a Dio nell’episodio dell’annunciazione, obbedisce anche all’autorità costituita, Cesare Augusto, e con Giuseppe si mette in cammino verso Betlemme per farsi registrare; obbedisce, come ogni altro Israelita, al volere dell’imperatore in vista di un censimento generale dell’impero organizzato in Palestina da Quirinio. Con questo atteggiamento, Maria sottolinea come il cristiano sia costruttore anche della città terrena, nel rispetto della giustizia e della legge.
L’importanza dell’impegno in politica dei cristiani è stata tanto chiara che alla penna di san Clemente di Roma è dovuta la più antica preghiera della Chiesa per l'autorità politica: “O Signore, dona loro salute, pace, concordia, costanza, affinché possano esercitare, senza ostacolo, il potere sovrano che loro hai conferito. Sei tu, o Signore, re celeste dei secoli, che doni ai figli degli uomini la gloria, l'onore, il potere sulla terra. Perciò dirigi tu, o Signore, le loro decisioni a fare ciò che è bello e che ti è gradito; e così possano esercitare il potere, che tu hai loro conferito, con religiosità, con pace, con clemenza, e siano degni della tua misericordia”.[24]
In secondo luogo Maria ci invita a perseguire sempre il bene più alto che non è dato dalle realtà di questo mondo ma dalla Parola che salva. Ci dice di relativizzare ciò che non è eterno e quindi anche l’attività politica che per il cristiano è finalizzata ad una liberazione più grande: la redenzione dell’uomo. In questa lotta, come dice l’Apocalisse, la “Madre del Verbo incarnato viene collocata al centro stesso di quella inimicizia che accompagna la storia dell’umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza”.[25]
In terzo luogo Maria illumina l’attività politica rendendola segno di un grande servizio: il servizio all’uomo, specie ai piccoli dei quali è portavoce: ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Risponde in modo attivo, in collaborazione aperta e creatrice con Dio che guida la storia umana. Ciò significa che l’amore di Maria, il suo modo di vivere l’intimità con Dio in Cristo risulta inseparabile dal suo amore verso gli uomini. Per questo i poveri ascoltano la sua voce nel convincimento che Maria, pur nella gloria, non ha mai smesso di occuparsi di loro.[26]
Infine ci suggerisce di applicare anche alla dimensione sociale la caratteristica essenziale del vangelo: la categoria dell’universalità. Ella, che ha risposto positivamente al volere di Dio dando alla luce il Figlio per l’intera umanità e senza alcuna riserva, diviene modello dell’agire politico che non si ferma al benessere o agli interessi di una sola parte. Questa ultima considerazione ci introduci in un nuovo aspetto della democrazia: il conseguimento del bene comune.
La componente ideale e spirituale della politica: il bene comune
Può sembrare eccessivo parlare di componente ideale e spirituale della politica, ma questa espressione è stata utilizzata dal Presidente Napolitano sempre nel discorso al Santo Padre già ricordato: facilita il raggiungimento del bene comune che è lo stimolo e il traguardo dell’agire politico.
Per bene comune si deve intendere “l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”.[27] Il bene comune interessa la vita di tutti. Esige la prudenza da parte di ciascuno e più ancora da parte di coloro che esercitano l'ufficio dell'autorità. Esso comporta tre elementi essenziali, come precisa il Catechismo della Chiesa Cattolica.
In primo luogo, esso suppone il rispetto della persona in quanto tale. In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha il dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione. In particolare, il bene comune consiste nelle condizioni d'esercizio delle libertà naturali che sono indispensabili al pieno sviluppo della vocazione umana: tali il diritto “alla possibilità di agire secondo il retto dettato della propria coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso”.[28] La via della democrazia se, da una parte, esprime al meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall’altra si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona. Su questo principio l’impegno dei cattolici -come già espresso sopra- non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la partecipazione democratica. [29]
In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e il suo sviluppo. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali. Certo, spetta all'autorità farsi arbitra, in nome del bene comune, fra i diversi interessi particolari. Essa però deve rendere accessibile a ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana: vitto, vestito, salute, lavoro, educazione e cultura, informazione conveniente, diritto a fondare una famiglia, ecc.[30]
È compito dello Stato e specialmente della comunità politica difendere e promuovere il bene comune della società civile, dei cittadini e dei corpi intermedi.[31] Questo dovere viene garantito quando vi è il rispetto delle parti più deboli della società, un rispetto che fa come da cartina tornasole per verificare la crescita della società verso il bene comune.
Ancora una volta Maria, donna vissuta due millenni or sono, può esserci modello nel raggiungere questi obiettivi che profumano di modernità. Certamente non ci può aiutare il contesto storico in cui è vissuta, caratterizzato da soprusi e da violenze ad opera dei romani. Di conseguenza anche i diritti fondamentali come il vitto, il vestito, l’educazione erano privilegi di pochi e cioè di chi apparteneva alle classi sociali elevate o all’esercito. Sono, invece, le parole espresse nel Magnificat che ci illuminano sul bene comune, specialmente per quanto riguarda i diritti dei più deboli. Infatti, il Magnificat mentre celebra la misericordia di Dio, proclama un radicale capovolgimento operato a favore degli oppressi: la liberazione promessa nell’AT è finalmente giunta in mezzo a noi[32] perché il Cristo liberatore è realmente presente nel seno di sua madre e una speranza nuova riempie i cuori di tutti. Maria, in altre parole, ci indica la via privilegiata per raggiungere il bene comune: l’attenzione ai più deboli.
Il canto della visitazione antitutto parla alla Chiesa insegnandole a riconoscere la propria piccolezza davanti a Dio; contemporaneamente, gli chiede di contemplare l’amore preferenziale di Dio per i poveri. In altre parole, il Magnificat di Maria ricorda alla Chiesa che conoscere Dio significa conoscere e amare i piccoli i quali sono i primi del Regno perché non posseggono denaro né potere sulla terra: sono i poveri, gli zoppi, i ciechi che Gesù ha incontrato durante la sua predicazione e ha arricchito con la sua presenza.
Anche la Chiesa -come l’antico Israele e come Maria- condivide la sofferenza degli uomini, in una condizione di povertà davanti a Dio e ai dominatori di questo mondo. Essa sa e proclama che la salvezza del Signore è più forte delle ingiustizie e del peccato ancora tragicamente operanti nel mondo. Crede sulla parola del suo Signore che la sconfitta delle forze del male è già avvenuta in Cristo (cfr Gv 16,33) e che il principe di questo mondo è stato sconfitto (cfr Gv 12,31). Guarda a Maria, “l’icona perfetta della libertà e della liberazione dell’umanità e del cosmo. [A lei guarda] per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza”[33].
Il canto di Maria non esprime una speranza, ma annuncia un evento compiuto d’importanza decisiva, irreversibile per gli ultimi. È la vittoria di Dio sui nemici e sulle forze che ostacolano la salvezza del suo popolo. L’intervento di Dio che ha spezzato il potere del male ed ha invertito i rapporti di forza imperanti nel mondo, è ormai una realtà.
Il Magnificat parla anche allo Stato che proprio ai poveri deve garantire giustizia e crescita sociale come dicelo Stato che proprio ai poveri deve garantire giustizia e crescita sociale come dice la Carta Costituzionale che ha tra i suoi cardini la dignità e il pieno sviluppo della persona umana. L’attuale ricca ermeneutica del Magnificat -privilegiata particolarmente nei paesi dell’America Latina- consente di scoprire atteggiamenti per cui Maria diventa interprete e voce dei poveri per confortarli e soccorrerli nella loro indigenza. Ancor più, proclama e suscita una liberazione di carattere sociale. Sull’esempio di Maria, vicina ai poveri con una «prossimità» empatica e materna, anche la comunità civile deve riscoprire la preziosità dei sofferenti e decidere quali scelte operare per promuovere la loro dignità, la giustizia e il progresso.
Maria, infine, è modello di tutti gli uomini di buona volontà, consapevoli della necessità etica e profetica di lottare contro ogni stato di cose oppressive e di impegnarsi per la realizzazione di un mondo più giusto, con la logica conseguenza della condivisione dei beni, pur nelle fragili trame della storia terrena[34]. Con Maria essi sono chiamati a decifrare i segni del tempo, impegnandosi di più e meglio nel campo della giustizia distributiva e sociale, affinché vengano abbattute quelle strutture di peccato che continuano a tener prigionieri dell’ingiustizia popoli e nazioni.[35]
Valori che garantiscono la vita democratica: libertà e sicurezza
Gli atteggiamenti di Maria che ci vengono trasmessi dal vangelo hanno anche una valenza sociale, oltre che personale e mistica, per cui sono di insegnamento per una corretta vita democratica. Questi atteggiamenti, in verità, indicano dei valori che fanno da fondamento per una convivenza civile tra i popoli e all’interno della stessa nazione.
Anzitutto Maria ci richiama il grande valore della libertà che ha vissuto pienamente sia nella sua dimensione verticale, cioè verso Dio, come in quella orizzontale, verso gli uomini. Possiamo dire che Maria è la vera donna libera che, con intelligenza e sensibilità tipicamente femminile, legge la proposta di Dio per la sua vita, ne vaglia la portata, chiede chiarimenti e poi, con un atto di autentica libertà personale, si fida di Dio senza ripensamenti. Questo atteggiamento porta, come risultato, il dono della fecondità del suo grembo che appare problematico per il futuro sposo Giuseppe. Quanto sottolineato, ci aiuta a riflettere sul grande dono della libertà di coscienza che, pur appartenendo alla parte più intima di noi stessi, può comunque essere promosso attraverso il rispetto, l’istruzione, i valori positivi… o, al contrario, venir violentato dall’esterno, come è avvenuto con i regimi dittatoriali che hanno tentato, spesso riuscendoci, di privare gli individui e la società anche dei loro valori e dello stesso uso della coscienza. Maria, manifesta di essere pienamente libera quando, associandosi alla missione del Figlio, decide di condividerne le sofferenza per raggiungere un obiettivo ancora più grande: la redenzione dell’umanità. Il servizio, ci dice Maria, accolto e amato è la forma più grande di libertà personale.
La libertà di coscienza si completata con la libertà di espressione e di azione nella società, specie quando sono in gioco i valori religiosi. Infatti, la libertà religiosa -che non è l’unica forma di libertà dell’individuo e della società- di fatto è la più delicata e, se realizzata, indica il grado di civiltà di una società. Anche in questo ambito Maria è di esempio, più con i fatti che con la parola, perché, andando contro corrente e superando tradizioni, punti di vista, precetti religiosi… ha accolto e fatto crescere la vita del suo grembo presentandosi come la donna totalmente libera dinanzi agli altri, capace di realizzare la volontà di Dio.
La libertà può esprimersi quando viene garantita dalla sicurezza sociale, e qui entriamo nel secondo valore che lo Stato è chiamato a garantire per i bene dei cittadini. Proprio in queste ultime settimane abbiamo assistito all’aggravarsi della criminalità nel nostro Paese, specie nella città di Napoli, dove l’insicurezza ha raggiunto un livello intollerabile. L’autorità nazionale e locale deve garantire, con mezzi onesti e proporzionati alla gravità della situazione, la stabilità e la sicurezza della società e dei cittadini.
Anche in questo ambito Maria ha qualcosa da suggerirci con i suoi atteggiamenti. Anzitutto per quanto riguarda l’incolumità fisica ci colpisce la sua attenzione nei confronti di Gesù, come ci viene raccontato nell’episodio dello smarrimento al tempio. Maria teme per il proprio figlio che pensa essere nel pericolo e che ritrova solamente dopo tre giorni mentre sta dialogando con i dottori del tempio. Questo racconto ci parla non solo dell’affetto della madre verso il figlio, ma anche dell’importanza della persona e del rispetto a livello fisico, psichico e spirituale che le si deve. I legami tra i genitori e Gesù sono più volte sottolineati dall’evangelista Luca per ricordare che l’incolumità della persona passa attraverso il riconoscimento dell’autorità genitoriale… “stava loro sottomesso”, il diritto alla famiglia e alla casa. Ai credenti, poi, il passo evangelico citato ricorda una relazione ancora più grande di quella dei rapporti naturali e che garantisce la realizzazione più completa per l’uomo: è la sua familiarità con Dio. Infatti, le parole di Gesù, “non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio” (Lc 2,49), se hanno un significato particolare per lui che è il Figlio dell’Altissimo, si applicano anche a tutti noi che riconosciamo la peternità di Dio sulla nostra vita.
Il tema della sicurezza sociale non si limita all’incolumità fisica ma si allarga ad altre forme di tutela dell’individuo e della società: cure agli indigenti, assistenza sociale ai disabili, sostegno in caso di infortunio, malattia… Ebbene, Maria nell’episodio della visita alla cugina Elisabetta (cfr Lc 1,39-45) tratteggia le modalità di assistenza al singolo come alle categorie. Si mise in viaggio in fretta, dice il vangelo. E’ importante la precisazione temporale “in fretta” per comprendere che la sicurezza sociale diviene debole quando non è in grado di rispettare i tempi del bisogno: alcune prestazioni sanitarie per non compromettere la salute dei pazienti. Anche lo Stato è chiamato a compiere il suo compito di garante della sicurezza, con interventi oculati, giusti e solleciti.
A questo punto è facile compiere ancora un passo in avanti e giungere alla conclusione che la sicurezza sociale si congiunge con la giustizia sociale verso la quale don Orione fu sensibilissimo. “Il più sentito bisogno della nostra società è quello di trovare una sintesi pratica della carità e della giustizia. Con mia grande sorpresa –diceva Douglas Hyde- ho trovato tale sintesi nella vita di don Orione e nelle Congregazioni da lui fondate… Quando imparai a conoscere meglio don Orione come uomo, compresi come fosse naturale in lui l’essersi reso conto che la carità dovesse essere rafforzata dalle sollecitudini per la giustizia”.[36]
Il primato della persona e la famiglia
La democrazia è davvero tale quando difende il primato della persona che è all’origine della società, come ci insegna Maria premurosa verso Elisabetta, verso Gesù appena nato “lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2, 7), verso Gesù dodicenne “tuo Padre e io angosciati ti cercavamo” (Lc 2,48), verso gli sposi di Cana di Galilea “non hanno più vino” (Gv 2,3)… Il suo modo di fare e di dire sottolinea le tre priorità della persona: ontologica, operativa e finalistica.[37]
Il primato ontologico dice che la persona viene prima della società e che questa è costituita da soggetti liberi e responsabili, capaci di relazionarsi con altre persone. Non è la razza, non è l’etnia, non è la classe sociale il primo fondamento della società: è la persona in relazione. A questo riguardo Maria ha molto da dirci soprattutto quando decide di assecondare la volontà di Dio e di pronunciare il suo sì definitivo in favore dell’incarnazione del Verbo. Qui emerge il primato di Maria che liberamente decide di offrire la sua vita al volere di Dio: in lei, primato della persona e libertà si congiungono fino alle estreme conseguenze e cioè fino ad accettare di perdere il Figlio per accogliere nella sua casa Giovanni, simbolo dell’umanità con cui iniziare un rapporto nuovo: le sarà madre per sempre.
La causa vera e quindi responsabile dell’agire di una persona non è la società in cui vive ma è la persona che pensa, che vuole e che agisce di propria iniziativa e sulla propria responsabilità. Questo è il primato operativo. Certamente, l’ambiente sociale può esercitare un influsso più o meno grande, ma se non è la persona stessa ad abdicare alla sua capacità propria di ragionare, alla sua libertà, nessuna società può prendere il suo posto. Maria agisce liberamente non solo quando decide per Dio ma anche quando sceglie di accogliere tutte le conseguenza di questa sua decisione. I momenti sereni come quelli preoccupanti (anche a te una spada trapasserà l’anima) sono conseguenza di una libertà operativa che Maria mette in moto giorno dopo giorno.[38]
Il primato finalistico, infine, è in un certo senso la dimensione più importante del primato della persona. Ogni persona esiste in vista di uno scopo suo proprio che dà senso alla propria vita. Nella luce della fede cristiana questo scopo è costituito dalla comunione di vita con Cristo. Ciò che è importante da capire è che questo fine riguarda la realizzazione della persona in se stessa. Volendo usare un termine tecnico, potremmo dire: è un fine immanente nella stessa persona. Maria anche in questa dimensione splende dinanzi a noi come la donna pienamente realizzata perché la sua comunione con Cristo è stata così perfetta da divenire carne nel suo grembo.
Nella vita concreta la persona, che è all’origine del piano creativo e redentivo di Dio, si presenta come una realtà fragile, bisognosa di relazioni stabili che trova nella famiglia.
Anzitutto il primo e fondamentale compito della famiglia è la formazione di una comunità di persone la cui anima è l’amore e il cui frutto immediato è la comunione. In secondo luogo la famiglia è la promotrice e la custode della vita, partecipe all’opera creatrice di Dio che ama e dona la vita. In terzo luogo partecipa allo sviluppo della società, così come insegna la famiglia di Nazareth con la sua laboriosità umile e silenziosa. Infine, la famiglia cristiana trova in Gesù, Giuseppe e Maria il più luminoso esempio di partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.[39]
Ma vi è ancora un altro compito della famiglia: l’educazione. Mi limito a ricordare quanto don Orione, discepolo di don Bosco, abbia insistito su questo argomento mentre ammoniva i suoi religiosi ricordando loro che i giovani sono di chi li accoglie e di chi li ama. “Avviciniamo i giovani come piccoli fratelli nostri, unendo al dolce, alla mitezza e bontà anche quel contegno dignitoso - ma non abitualmente severo - che valga a conciliarci la loro benevolenza. In tutto facciamo loro comprendere che vogliamo il loro verace bene, e che li vogliamo morali, cristiani, educati, civili e formati tali da essere di onore a sé, alla famiglia, alla loro città e alla Patria; giovani educati, onesti, laboriosi e professionalmente capaci di essere un giorno bravi operai, capaci di farsi largo nel mondo, perché sapranno guadagnarsi onorevolmente la vita e potranno aiutare le loro famiglie”.[40]
Maria è presentata nel vangelo come la vera educatrice perché Gesù stava loro sottomesso (a Maria e a Giuseppe). Durante i trent’anni di vita nascosta a Nazareth il ruolo di Maria nella crescita e nell’educazione di Gesù è stato fondamentale, come è quello dei genitori per ogni bambino. Infatti il suo ruolo materno non si è concluso nel dare alla luce il Figlio di Dio, ma si è esteso all’ educazione del bambino affinché crescesse bene dinanzi a Dio e agli uomini.
Avendo coscienza delle potenzialità e della fragilità della famiglia, Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio,[41] chiama a raccolta tutte le forze per una pastorale familiare coraggiosa ed efficace: lancia l’appello ai vescovi e ai presbiteri, domanda la collaborazione dei religiosi e delle religiose, interpella tutto il laicato: responsabili diretti, specialisti di problemi familiari, recettori e operatori dei mezzi di comunicazione sociale, giovani ed anziani, genitori e figli.
Conclusione
Vi sono altri aspetti della presenza di Maria nella società che andrebbero ancora approfonditi per poter comprendere come ella sia di esempio e di stimolo per la crescita della democrazia nel contesto attuale; vi sarebbe da riflettere ancora sul tema della vita, della donna…[42] che solo indirettamente sono stati toccati. Credo però, che quanto steso ci possa aiutare ad apprezzare il regime democratico nel quale viviamo e al cui sviluppo siamo chiamati a cooperare in modo umile ma efficace come è stato per Maria.
Non so se, dopo più di un secolo dalla sua richiesta, don Orione sia soddisfatto di queste pagine che sono qualcosa di più di quelle 44 righe che gli scrisse l’amico Romolo Murri. Il sassolino “portami almeno un tuo sassolino” con lentezza è cresciuto diventando una pietra per cooperare a costruire una società migliore.
[1] A. LANZA, Don Orione negli anni del modernismo in Messaggi di don Orione, 79 (1992) 13.
[2] F. PELOSO, Una rete di rapporti, in AA.VV. Don Orione negli anni del modernismo, Milano, 2002, 99-102.
[3] Don Orione desidera che l’amico Murri gli scriva un articolo sul periodico La Madonna da lui fondato per commemorare il 50° anniversario delle apparizioni di Maria a Lourdes e che uscì con il primo numero il 15 gennaio 1904.
[4] Scritti di Don Luigi Orione, 120 volumi dattiloscritti (Scritti), Archivio Generale, Roma, vol. 66, p. 199.
[5] Idem.
[6] A. LANZA, Don Orione, la Questione romana e la Conciliazione, in Messaggi di don Orione, 81 (1993) 33-54.
[7] Cfr Lumen gentium, 37: “(I pastori) lascino loro (ai laici) libertà e campo di agire, anzi li incoraggino perché intraprendino delle opere anche di loro iniziativa. Presbiterorum ordinis, 9: “I presbiteri non esitinoad affidare ai laici degli incarichi al servizio della Chiesa, lasciando loro libertà di azione e il conveniente margine di autonomia”.
[8] Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 3, in Enchiridion Vaticanum, Documenti ufficiali della Santa Sede, 21(2002) 1414-1416.
[9] Cfr I. TERZI, La Chiesa dovrà trattare con i popoli, in Messaggi di Don Orione, 20 (1974) 9-10.
[10] Il 2 marzo 1909 scriveva a don Sterpi: “Urgente mandare certificati elettorali per espresso a Montagna e ad Adaglio, e agli altri, ovunque siano, con ordine di venire giù, se sono del Collegio politico di Tortona”: Scritti, 11, 60.
[11] Scritti, 69, 306.
[12] Cfr G. VECCHIO, Don Orione e la politica del suo tempo in San Luigi Orione da Tortona al mondo. Atti del Convegno di studi. Tortona, 14-16 marzo 2003, Milano, 2004, 173.
[13] Scritti, 53,5.
[14] Parola di Don Luigi Orione, 13 volumi dattiloscritti (Parola), Archivio Generale, Roma, vol. 11, p. 6-7.
[15] Ibidem, 8.
[16] Ibidem 11, 6-7
[17] Scritti 13, 99: “Io rispetto tutti, perché sono un cattolico, figlio della santa Chiesa Cattolica e devotissimo al Papa, e sento anche di molto amare la Patria, ma non voglio che il Governo entri nelle nostre Opere di Carità, perché le guasterebbe e le snaturerebbe; abbiamo uno spirito totalmente diverso… Solo voglio essere liberissimo nel bene, mentre nulla tralascio per costituire, d’amore e d’accordo con le Autorità Ecclesiastiche e del Governo, le nostre umili opere”. Queste parole non sono un invito all’intimismo religioso privo di orizzonte e di progetto sociale, come mostrano molti episodi della vita di don Orione: cfr F. Peloso, Don Orione e la Conciliazione del 1929. Fedeltà alla Chiesa e alla Patria alla prova, in Messaggi di don Orione, 34 (2002) 107, p. 32. Anche oggi continua ad essere urgente un rapporto serio con lo Stato e la sua legislazione, specie per una corretta conduzione delle opere di carità. A questo riguardo cfr F. Peloso, Quali opere di carità, in Atti e Comunicazioni della Curia generale, 217 (2005) 59, p. 118-119.
[18] Cfr F. PELOSO, Don Orione e la Conciliazione del 1929. Fedeltà alla Chiesa e alla Patria alla prova, in Messaggi di Don Orione 34 (2002) 107, 27-45; Conciliazione 1929 – Don Orione al Duce: firmiamo quei Patti, in Avvenire, 14.01.2000, 14.
[19] Scritti, 62,25.
[20] Parola, 10, 110: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio (Lc 20,25): vuol dire che Gesù Cristo ha insegnato a riconoscere i poteri della società. Date alle autorità di questa terra l’onore, il rispetto, l’ubbidienza, il riconoscimento, il tributo che loro spetta… Ma attenti bene! Non si è sempre obbligati ad obbedire a chi tiene in mano il potere politico. C’è qualche eccezione. Si deve obbedire in tutto fino a che non comanda cose contro coscienza”.
[21] Quotidiano, Corriere della sera, 21 novembre 2006, 275 (131) 6.
[22] Idem.
[23] Cfr L. DIOTALLEVI, Cittadinanza, in Il Regno documenti, 19 (2006) 662-670. Questo denso articolo è l’introduzione ai lavori dei gruppi in occasione del Convegno ecclesiale nazionale di Verona. L’autore ha delineato una risposta alle domande: Che cosa apporta la speranza cristiana all’impegno di cittadinanza? Come l’impegno civile può essere un modo della testimonianza cristiana?
[24] San Clemente Romano, Epistula ad Corinthios, 61, 1-2: SC 167, 198-200 (Funk 1, 178-180).
[25] Redemptoris Mater, 11: AAS 79 (1987) 373.
[26] Tra i numerosi esempi in cui possiamo ammirare la sollecitudine di Maria verso i sofferenti, segnaliamo le apparizioni della Vergine di Guadalupe. Dieci anni dopo la conquista spagnola e il crollo dell’impero aztecho nel Messico (1521-1531), la Madonna appare ad un povero messicano per dare inizio ad una rinascita spirituale e civile. Cfr V. ELIZONDO, Nostra Signora di Guadalupe simbolo di una cultura: la forza dei deboli, in Concilium, 2 (1977) 46-47.
[27] Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046; cfr Ibid., 74: AAS 58 (1966) 1096.
[28] Idem.
[29] Cfr CDF, Nota dottrinale 3, 1414-1416.
[30] Cfr. Gaudium et spes, 26: AAS 58 (1966) 1046
[31] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1905-1912.
[32] Cfr J. DUPONT, Le Magnificat comme discours sur Dieu, in NRTh 112 (1980) 342. L’autore precisa che la salvezza operata da Dio non astrae gli uomini dalle loro situazioni concrete, ma in esse agisce affinché i poveri e i deboli vengano liberati. Luca mostra Maria come la prima testimone di questa azione divina.
[33] Redemptoris Mater, 37: AAS 79 (1987) 361-433, 410. Sono numerosissimi gli interventi del Papa in difesa dei poveri e dei perseguitati; tutti , egli pone Maria come modello di sofferenza riscattata dalla risurrezione di Gesù.
[34] Cfr S. QUINZIO, La redenzione messianica nell’ebraismo e nel cristianesimo, in RassTeol, 5 (1987) 445.
[35] Cfr G. MATTAI, La Sollicitudo Rei Socialis: a vent’anni dalla Populorum Progressio, novità ed impegni emergenti, in RassTeol, 2 (1988) 127-141.
[36] Douglas Hyde in Giovanni Marchi, Don Orione, politica e politici, in AA. VV., Don Orione e il Novecento. Atti del Convegno di Studi (Roma, 1-3 marzo 2002), Catanzaro, 2003, 310.
[37] Cfr C. CAFFARRA, L’architettura cristiana della società, in Catechesi ai giovani, 2002.
[38] Cfr A. FUSI, Ha creduto meglio degli altri. Maria modello della Chiesa nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, Milano, 1999, 115-120
[39] Cfr Ibidem, 345-355.
[40] Lettere di don Orione, 21, 71.
[41] Cfr Familiaris consortio, 73-76: AAS 74 (1982) 170-175.
[42] Cfr R. FOSSATI, Don Orione e donne del Novecento, in AA.VV., Atti del Convegno di studi (Roma, 1-3 marzo 2002), Catanzaro, 2003, 255-276.