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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Don Orione e chierici armeni, 29 aprile 1929.

Un gruppo di orfani del genocidio armeno del 1915-18 fu accolto nel 1925, per volontà di Don Orione, nel suo istituto agrario nell’isola di Rodi. Otto di questi fanciulli chiesero di entrare in Congregazione; due diventarono sacerdoti.

DON ORIONE PADRE DEGLI ORFANI

DEL GENOCIDIO ARMENO

Paolo Clerici*

Una delle definizioni più appropriate che la fede popolare ha riservato a Don Orione ancora vivente è quella di “Padre degli orfani”.[1]

Gli anni tra il 1908 e il 1918 sono il periodo storico in cui Don Orione si rivelò con la sua carità padre degli orfani, perché furono quelli gli anni più tragici per l’Italia del suo tempo:il terremoto di Messina e di Reggio Calabria del 28 dicembre 1908;il terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915;la prima guerra mondiale del 1915-18, si moltiplicarono le istituzioni per gli orfani a Genova,a Magreta, ad Anzio, a Villa Charitas in Tortona, a Castelnuovo Scrivia, a Reggio Calabria, a Borgonovo Val Tidone, a Fano, a Mestre.[2]

   Abbiamo una pagina illuminante di Don Orione in proposito, intitolata “Il primo nostro dovere: gli orfani”, commentata da Don De Luca. Riportiamo solo alcune significative espressioni:

“Noi daremo per gli orfani la vita! Ad essi dopo Dio e la Chiesa, le migliori nostre energie, gli affetti più puri del cuore! Ogni fatica, ogni sacrificio più umile, più nascosto sarà dolce pur di riuscire a fare di noi stessi un olocausto per gli orfani[…]. Noi andiamo ad  essi.... Allargheremo le braccia e il cuore per accogliere il più gran numero di orfani e la Provvidenza di Dio aumenterà ogni dì più, come aumentano i fanciulli derelitti e gli orfani  da accogliere  […] non dubitate, no: la nostra educazione ha spiccato carattere cristiano e di italianità. Vi daremo dei giovani che crederanno alla Patria perché credono al Vangelo e alla Chiesa. Aiutateci e non dubitate: gli orfani troveranno dei padri…”.[3]

Pagina meno nota della sua paternità è quella riservata agli orfani del genocidio armeno che raccolse e protesse dopo che le loro famiglie furono massacrate  perché cristiani.[4]                                                                             

L’Armenia è terra dalle reminiscenze bibliche, dai richiami nostalgici di un passato martoriato e glorioso, terra di aneliti di libertà e di lotta di sopravvivenza. L’Armenia  è soprattutto la patria di uno dei popolo più antichi del vicino Oriente con una fisionomia etnica, linguistica, politica e culturale distinta e peculiare, con una storia di oltre 25 secoli.[5]

Lo storico Giancarlo Bolognesi così la descrisse:

“Tra l’altopiano  anatolico e quello iranico, tra la catena del Caucaso e la pianura della Mesopotamia si estende una regione montuosa per lo più aspra e impervia, ma di rara bellezza, dominata dalla massiccia mole dell’Ararat, solcata da vallate entro cui scorrono il fiume Arasse e il tratto superiore del Tigri e dell’Eufrate, una  regione  disseminata di azzurri laghi anche di grandi dimensioni come i laghi di Van, di Sevan e di Rizai’yyeh.

È l’Armenia, sede storica di un popolo che non svolse mai il ruolo di una grande potenza egemone; anzi, coinvolto nello scontro di potenze maggiori, non ha potuto per lo più affermare la propria indipendenza e sovranità.

Eppure proprio lì, quasi ai piedi dell’Ararat, i segni cuneiformi di una grande iscrizione urartea attestano inequivocabilmente che alcuni decenni prima della tradizionale data della fondazione di Roma, su una collina dominante l’altopiano, nel 782 a.C. fu fondata la città di Erebuni, l’attuale Yerevan, chre, a differenza delle più potenti e opulente metropoli ittite, accadiche, mede e  persiane, riuscirà a sfidare i secoli e i millenni ‘ben tetragona ai colpi di sventura’, risorgendo continuamente da lutti e rovine, per riaffermare la propria indomita resistenza e la propria inestinguibile vitalità.

E nel destino di questa città è ben raffigurato il destino stesso del popolo armeno, che, nelle alterne vicende della sua storia millenaria, ha saputo sempre  mantenere viva la coscienza del proprio sentimento nazionale e della propria individualità storica, senza mai confondersi e assimilarsi completamente alle potenze di cui subiva il predominio, come è avvenuto per tanti altri popoli antichi del Vicino e Medio Oriente che, pur avendo fondato imperi che sembravano intramontabili, si sono prima o poi eclissati e dissolti nel nulla, scomparendo completamente dalla scena della storia umana, o lasciando tutt’al più monumenti archeologici che possiamo ammirare solo come mute testimonianze di uno splendore irrimediabilmente passato”.[6]

Eppure l’Armenia e gli Armeni sono rimasti per lo più sconosciuti a molti e solo nel secolo scorso si sono ripresentati sulla scena storica per l’evento del loro genocidio.

Il viaggio di Giovanni Paolo II in Armenia realizzato dal 25 al 27 settembre 2001 ha riproposto all’attenzione mondiale il problema dell’Armenia e in particolare quello dello sterminio di un milione e mezzo di Armeni, perpetrato dal Governo dei Giovani Turchi (1908-18) durante la prima  guerra mondiale. Questo è generalmente considerato il primo genocidio del XX secolo, come afferma il Comunicato congiunto firmato a Roma da Giovanni Paolo II e dal Catholicos degli Armeni Karekin II il 9 novembre del 2000.[7] “Il  XX secolo è stato contrassegnato per noi da un’estrema violenza. Il genocidio armeno, all’inizio del secolo, ha costituito un prologo agli orrori che sarebbero seguiti…”.[8]

La stessa verità è riaffermata nella Dichiarazione comune sempre firmata da Giovanni Paolo II e Karekin II nella cattedrale di Etchmiadzin, il luogo più sacro e caro agli Armeni, dove tra le altre cose si legge: “Lo sterminio di un milione e mezzo di Armeni cristiani, ciò che generalmente  è considerato il primo genocidio del XX secolo e il seguente annichilimento di migliaia di persone sotto il precedente regime totalitario, sono tragedie ancora vive nella memoria dell’attuale generazione”.[9]

Senza dubbio sulla Turchia e sull’intero Occidente grava una colpevole rimozione o negazione della tragedia armena.[10]

Come sappiamo, sono numerosi i problemi ancora controversi in sede storica, o rimasti ancora aperti, sullo sterminio degli Armeni.[11]

Il 24 aprile 1915 è considerato l’inizio del genocidio armeno, perché quel giorno i capi della comunità armena di Costantinopoli furono arrestati, deportati e uccisi, successivamente i Turchi eliminarono oltre un milione e mezzo di Armeni.

Con il declino dell’Impero Ottomano, sul finire del  XIX secolo, si sviluppa in Turchia il movimento nazionalista dei “Giovani Turchi”[12] che prende il potere nel 1908 e lo manterrà per 10 anni. Scopo del movimento è la creazione di un grande impero panturco esteso dal Mar Egeo ai confini della Cina. Gli  Armeni situati  a mò di cuneo fra i turchi dell’Anatolia e quelli del Caucaso, sono un ostacolo: dunque vanno eliminati.

L’occasione per realizzare il piano si presenta nel 1915, quando le potenze europee nella Prima guerra mondiale non possono interferire nelle faccende interne della Turchia. Sono chiamati alle armi tutti gli Armeni validi e, separati dai loro reparti, vengono uccisi. Vengono poi arrestati e uccisi tutti gli intellettuali, i sacerdoti, i dirigenti politici. Nelle città e nei villaggi abitati dagli Armeni restano solo donne, vecchi e bambini. La loro sorte è la deportazione, operata con il pretesto della vicinanza alle zone di guerra. Molti muoiono per fame, sete, malattie e stenti. Le vittime sono un milione e mezzo, la quasi totalità degli Armeni di Turchia.

Al termine della Prima guerra mondiale, sconfitta la Turchia, cade il regime dei “Giovani Turchi”. Il nuovo governo istituisce una corte marziale per giudicare i responsabili dello sterminio ma verrà sciolta senza aver terminato i lavori. Lo Stato turco inaugura così una politica del silenzio.[13]

Contro il genocidio protestò il Papa Benedetto XV che era costantemente informato di ciò che stava accadendo sia dalla stampa dei Paesi dell’Intesa, sia degli ambienti della diplomazia che si rivolgevano al pontefice perché facesse udire la sua voce di condanna per quanto stava accadendo. Ma la sua fonte più certa e diretta era il suo delegato a Istanbul, mons. Angelo Dolci, il quale nell’agosto del 1915 scriveva al Segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri : “Orrori raccapriccianti  sono stati commessi da questo Governo contro Armeni nell’interno dell’Impero. In alcune regioni sono stati massacrati,  altri deportati in luoghi incogniti per morire di fame durante il tragitto…”. La linea che la Santa Sede in quel momento decise di adottare fu quella di condannare apertamente le stragi e le deportazioni di cristiani innocenti, senza fare distinzione tra cattolici, ortodossi o protestanti.

Nel Concistoro del 6 dicembre 1915, Benedetto XV denunciò davanti al mondo civile “l’estrema rovina” che si era abbattuta sul popolo armeno. La sua fu una delle poche voci che si alzò a quel tempo in difesa “del popolo armeno gravemente afflitto, condotto alla soglia dell’annientamento”.

Due orfani del massacro armeno, poi religiosi della Piccola Opera, hanno lasciato dattiloscritta la loro testimonianza sulla sorte di numerosi ragazzi rimasti senza padre e madre.

Don Giovanni Dellalian[14]ricorda:
“Scoppiata la terribile rivoluzione della Turchia contro gli Armeni, molti, in pochi anni rimasero orfani dei genitori e vennero accolti dai Padri Armeni ad Angora, in un grande Istituto, misto di orfani ed orfane. Riparati così dall’ondata barbarica crescemmo sotto la guida di una buona educazione religiosa. Ma venne un giorno che il governo turco non volle più vedere questo istituto e allora  si pensò di trasferirci da Angora a Costantinopoli, dove il pericolo sarebbe stato minore. Ma essendo Angora all’interno della Turchia, per poter prendere il battello per trasferirci a Costantinopoli era necessario avvicinarci ad una città costiera. Così fummo trasportati, con un treno passeggeri e un treno merci in un altro paese, donde poi con una corriera giungemmo a Brussa. Mi ricordo qui come l’odio dei Turchi si inferocisse contro di noi. Accolti qui dalle suore di San Vincenzo, se non sbaglio ci fermammo  una notte e un giorno. Mi impressionò assai il modo cortese con cui fummo trattati. Come era in antitesi questa carità con l’odio che esternavano i  turchi! Erano sassate, bestemmie, calunnie che lanciavano. Essendo  breve il tratto che ci separava dalla meta, in poco tempo fummo a Costantinopoli dove fummo raccolti in un istituto grandioso e bellissimo diretto da sacerdoti Armeni, che funzionavano la vicina chiesa bellissima di San Gregorio Illuminatore, il Santo Taumaturgo e protettore dell’Armenia. Qui frequentammo le scuole elementari e fummo educati nelle scienze e nel culto. Passammo così circa quattro o cinque anni…”[15].

La testimonianza di Don Petròs Chamlian[16] è l’autorevole ricordo di quanto sua madre ha vissuto e gli ha narrato: “L’Armenia turca veniva praticamente svuotata dai suoi abitanti, come ho sentito raccontare da mia  mamma, io che ho avuto la fortuna di vivere a Saint Ouen in Francia, non tanto lontano dalla città di Gagny, dove tuttora abitano le mie due sorelle e mio fratello. Mia mamma è morta nel mese di luglio del 1965; io ho avuto la fortuna di vivere per almeno otto anni presso la mamma e quindi sentire di viva voce come ella fu costretta a mettere in orfanotrofio misto me e mia sorella Margherita” . “ La persecuzione turca – continua Don Chamlian – cominciata nel 1915 arrivò nel 1918 anche ad Ankara, portando via con violenza tutti i maschi dai 15 anni in su, quindi anche mio padre. Il Vescovo armeno cattolico mons. Giovanni Naslian, residente a Costantinopoli, mandò un suo sacerdote, G. Babagianian, perché raccogliesse, in una casa offerta da una ricca famiglia americana di nome Prinz, quanti ne poteva  di ragazzi e ragazze orfani. Anch’io fui accolto, assieme a mia sorella Margherita nel 1919. Al mio arrivo, trovai qui il piccolo Onik Dellalian, di quattro anni, che poi sarà il mio inseparabile amico fino al sacerdozio ricevuto il 12 luglio del 1942 ma anche oltre”. Poiché però, il Signor Prinz intendeva mandare questi orfani, lui protestante, in America, ad evitare pericoli per la loro fede, il citato Vescovo raccolse i fanciulli nella sua sede episcopale di Istanbul, mentre affidava le fanciulle a certe suore francesi nella cittadina di Samatia. Tutti poi passarono, dopo alcuni mesi, nei comodi locali di un convento nella cittadina di Orta – Koey.

“Eravamo circa 60 ragazzi, dai sette ai quattordici anni – continua Don Chamlian -  erano i primi giorni di ottobre del 1922. Poiché ad Ankara parlavamo il Turco, nei tre anni passati qui abbiamo imparato a leggere e parlare l’armeno, con un po’ di francese. Dopo tre anni, un bel giorno, erano le vacanze del 1925, arriva da Roma un seminarista armeno, che parlava l’armeno, il turco e l’italiano, e così abbiamo cominciato a imparare l’italiano e le principali preghiere, dicendoci che presto sarebbe arrivato dall’Italia un sacerdote, che ci avrebbe accompagnati tutti a Rodi, in un Istituto aperto per noi dall’Opera di Don Luigi Orione. Abbiamo saputo poi che il Vescovo di Istambul, non avendo più mezzi per mantenere circa 60 ragazzi, aveva cercato un’opera benefica a cui affidarci e non sappiamo per quale via misteriosa, era arrivato a Don Orione”.[17]

La via misteriosa di cui parla Don Chamlian ha un nome: il servo di Dio Mons. Fra Cirillo J. Zohrabian,[18] Vescovo missionario cappuccino. Egli ricorda: “Nel 1924, d’accordo coi Cavalieri di Malta, si decise di fondare una scuola agricola per i figli degli Armeni massacrati dai turchi. Pensavo, io Ordinario degli Armeni profughi in Grecia, di affidare detto orfanotrofio ad altre istituzioni. Prima di ricorrere a queste domandai consiglio al Senatore E. Schiaparelli[19] presidente dell’Associazione italiana “Italica Gens”[20] con sede a Torino. Questi dopo avermi ascoltato. Mi rispose: “Non le consiglio altro…le indicherò un santo vivente in carne ed ossa, umile, comprensivo, Don Luigi Orione…”. Io lo conoscevo soltanto di nome. I Cavalieri di Malta diedero due milioni a Schiaparelli, il quale aggiunge il necessario per comprare l’immensa proprietà dai Fratelli francesi delle Scuole Cristiane de la Salle di Rodi e organizzare la scuola agraria, che fu affidata ai Figli di Don Orione. Sono stato parecchio a Rodi per insegnare l’italiano ai fanciulli orfani Armeni. Il primo direttore di quella casa fu Don Bruno, poi Don Gatti…”.[21]         

  Il Senatore Schiaparelli già nel luglio del 1924 interessò  Don Orione  perché desse adeguata assistenza ad un gruppo di orfani Armeni in qualche suo istituto di Roma,[22] solo successivamente chiese dei religiosi per dirigere a Rodi un Istituto  agrario[23] avuto in dono dall’Ordine di Malta. Don Orione accettò la proposta e incaricò Don Gatti Vittorio di trattare con il Principe Chigi, Gran Maestro dell’Ordine di Malta per prelevare gli orfani Armeni [24] mentre nel luglio 1925 inviò come direttore Don Bruno Camillo con altri confratelli.[25]

Il 14 settembre 1925 un gruppo di orfani Armeni, dati in custodia al celebre Padre Cirillo dal Patriarca armeno di Costantinopoli vennero accolti. [26]

“Il primo annuncio di partenza da Costantinopoli dove passammo circa quattro anni – racconta Don Dellalian – fu quando, un giorno fummo chiamati tutti insieme noi Armeni in una grande sala, là vedemmo i nostri superiori sacerdoti Armeni con alcune autorità e un sacerdote venuto dall’Italia, mandato da Don Orione. Era il sacerdote Don Vittorio Gatti. Io ero piccolo, mi ricordo che parlarono a lungo circa il nostro trasferimento. Io nulla compresi, alla fine ci congedammo con un solenne applauso.

Venne il giorno 10 di settembre. Ci dissero di prepararci. Noi tutti spiacenti di lasciare il nostro istituto, ci preparammo, senza capire di preciso dove saremmo stati trasferiti.

Alla mattina andammo al posto dove ci aspettava la bellissima nave della compagnia del Lioyd Triestino “Celio”. Un sacerdote, ottenuto per noi tutti i passaporti dal governo turco, che li concedette a condizione che più non ritornassimo, ci accompagnò sulla nave. Eravamo circa una cinquantina di Armeni, la maggior parte orfani, chi di padre, chi di madre e chi di ambedue.

Sulla nave, ricordo, viaggiava un gruppo di giovani albanesi, vestiti con i loro caratteristici costumi, un corpetto bianco sul petto, una giacchetta e pantaloni chiusi al ginocchio da una specie di ciocia color castagno, colle scarpette di pelle con alle punte un fiocco, e in testa un fez bianco. A vederli solamente incutevano terrore, tanto più che già noi li conoscevamo per fama.

Viaggiando su una nave italiana, per la prima volta ci dovemmo adattare agli usi e costumi degli italiani . E mi ricordo una cosa particolarissima: essendo noi usi nel vitto usare la pasta solo pochissime volte, e al contrario, vedendo che gli Italiani ne facevano uso quotidiano, a noi sorse spontaneamente il dire questa frase, che fu la prima in ordine di tempo a essere imparata e pronunciata: “Italiani mangiare sempre macaroni”. In quei pochi giorni che passammo in mare, Don Gatti ci assisteva premurosamente perché nulla ci accadesse di male. E ringraziando il Signore si fece un bellissimo viaggio.

Finalmente una mattina in cui il cielo era ancora indeciso se annebbiarsi o divenire bello e azzurro, cominciammo a scorgere le sponde di un’isola, dove ci disse che eravamo diretti. Era il 14 settembre, giorno dell’esaltazione della Santa Croce.

Arrivammo al porto di Rodi. Fermatasi la nave in alto mare, incominciarono ad avvicinarsi barche e barconi, per venire a caricare persone e merci.

Noi, essendoci messi in gruppo, vedemmo salire sul nostro piroscafo e venire incontro a noi un sacerdote abbastanza giovane, con barba rasa ma fitta, con una piccola macchia bianca sui capelli. Era il direttore, Don Camillo Bruno, della casa dove eravamo diretti. Mi ricordo ancora il primo sguardo che dette a noi con un dolce sorriso, che già esprimeva l’anticipata simpatia che poi sempre ebbe per noi Armeni. Ci accompagnò al Collegio: era un bellissimo palazzo a due piani, posto in un sito incantevole. Davanti, a quattro passi, si stendeva il mare. Nell’interno invece, oltre un bellissimo cortile (ciò che più interessava noi), vi erano dei prati con dei mulini a vento e un boschetto di mandarini.

Mentre osservavamo la casa, uscì dal portone centrale un chierico alto, piuttosto magro, che rivelava perfin dalla faccia una disciplinatezza e una severità non comuni. Era il chierico Ottavi, nostro futuro capo assistente.

Passarono i primi giorni, e poi dopo un mese circa incominciarono le scuole d’italiano. E perché si imparasse la nuova lingua, si era obbligati, due o tre volte alla settimana, a parlare in italiano, pena di saltare la pietanza al pranzo.

Passarono così alcuni anni, forse e senza forse gli anni più belli della mia vita”.[27]

Don Chamlian così ricorda questo evento:

“…ai primi di settembre del 1925, giunse da noi (ad Istambul ) un sacerdote italiano di nome Don Gatti (il nome non l’ho mai saputo), mandato da Don Orione per accompagnarci a Rodi e affidarci ad un giovane prete, direttore della nuova istituzione, di nome Don Camillo Bruno, che era coadiuvato dai chierici Filippo Ottavi, Giuseppe Gandini e Benedetto Gismondi.

Un mese più tardi, arrivò dalla Grecia il Padre Cirillo Zohrabian Cappuccino accompagnando altri 12 orfani che parlavano il turco e il greco. Il padre Cirillo che parlava così bene l’armeno, il turco, il greco e l’italiano, divise in tre classi noi altri secondo l’età e la scienza nel leggere il francese. Io e Onik ci siamo trovati insieme nella seconda classe  sotto il chierico Gandini.

L’Istituto essendo di ispirazione agricola, si studiava la mattina e nel pomeriggio, dopo la siesta, Don Bruno assegnava un lavoro, sia nei campi o nella stalla o nei pollai. Io ero addetto, insieme ad un altro ragazzo di nome Bergi Benlian, a badare le galline ed altre bestie nel pollaio…”.[28]

Luciano Berra, in una relazione di viaggio, durante una sosta a Rodi mentre è diretto in Terra Santa  descrive così l’attività della Congregazione nell’Isola:

“… tra i collaboratori dell’Arcivescovo[29]sono anche quegli Orionini che hanno pure qui una loro casa. Don Orione, apostolo della fede, non teme di passare i mari e ha mandato qui, con alcuni chierici, Don Gemelli, burbero volto nel nero barbone, ma cuore aperto e generoso, anima capace delle più dure fatiche pur di riuscire nella sua opera di conquista religiosa.

È dal 1925 che la casa è aperta, affidata a Don Orione dall’Associazione Nazionale per i Missionari Italiani la quale aveva avuto dall’Ordine di Malta l’incarico – e i mezzi – di organizzare e far funzionare in Rodi un Istituto Agrario il quale doveva servire, nel suo inizio, soprattutto per gli orfani Armeni. Ma negli anni successivi alla fondazione, assottigliandosi il loro numero l’Istituto cominciò a raccogliere alunni interni, semi-convittori ed esterni in prevalenza figli di operai, e dall’ottobre 1929 anche orfani di italiani del Levante affidati dalla Centrale associazione Maternità ed Infanzia”.

I corsi che si compiono nell’Istituto sono di due specie: elementare e medio.

La scuola di agricoltura, ha la durata normale di tre anni, ed ha lo scopo di preparare il personale capace di attendere alla direzione di modeste imprese rurali e lavori agrari in genere e di istruire nell’arte agraria i figli di agricoltori che desiderino dedicarsi con buone cognizioni tecniche alle conduzioni di fondi di qualunque tipo.  

Alla fine del terzo corso hanno luogo gli esami di licenza  presieduti da un commissario dal Governo delle Isole Egee.

Due sono i poderi dell’Istituto: quello di Acandia che è alle porte di Rodi e la Casa dei Pini che è a Mandorli, una località più lontana.

Ho trovato Don Gemelli che lavorava nell’orto. Anche qui gli Orionini lavorano – cappello di paglia e sottana impolverata – come già a Tortona quando Don Orione stava costruendo la chiesa di S. Bernardino.

Bianca e lieta la casa folto di verde il vasto cortile, ricco di verdura, di cereali, di frutta,di viti, d’animali il podere di Acandia che ho visitato. Don Gemelli mi ha rapidamente illustrato l’opera di bonifica compiuta in terreni aridi e sassosi, le attività sperimentali attuate dall’istituto specialmente per quanto riguarda la viticoltura, l’olivicoltura, non escludendo anche le coltivazioni legnose. In pochi anni si sono fatti notevoli progressi e si sono compiuti interessanti esperimenti che hanno permesso un sempre maggior sfruttamento di questi terreni nei quali da tempo immemorabile non  si affondava la lucente lama del vomero.

L’attività di Don Orione, mentre ha dunque vaste influenze spirituali, è nel tempo stesso preziosa e devota collaborazione all’opera che è animata dal Governatore stesso per la rinascita agricola dell’Isola. L’umile Sacerdote tortonese – coraggioso realizzatore di un magnifico programma che trova ogni giorno nuovi sviluppi – è così, ancora una volta, benemerito dalla Chiesa e della Patria….”.[30]

Queste poche notizie pervenuteci ci permettono di ricostruire i dati caratteristici della vita e della attività  che quotidianamente svolgevano gli orfani nell’Istituto di Rodi: le ore di lavoro erano alternate alle ore di scuola, la quale “aveva lo scopo di educare ed istruire i giovanetti alla cultura intensiva e razionale dei campi”. Accanto a questo primo intento di formare il “vero agricoltore, l’uomo del campo, non più incerto del domani, non più estraneo alla terra da lui lavorata”[31], le scuole all’interno delle colonie si proponevano di realizzare progetti anche più ambiziosi, come quello “di preparare il personale atto a dirigere i lavori agrari in genere e di istruire nell’arte agraria i figli di agricoltori che desiderano dedicarsi con buone cognizioni tecniche alla conduzione  dei fondi rustici di qualsiasi tipo”.[32] Don Orione cercò inoltre, di connotare l’educazione dei suoi istituti con i tratti di un sistema formativo integrale, che egli denominò cristiano-paterno: [33]

“Noi vogliamo e dobbiamo educare profondamente l’animo e cattolicamente la vita, senza equivoci: educare ad una vita cattolica non  in superficie, cioè di nome e non di fatto, ma ad una vita cattolica pratica, che abbia base nei sacramenti, vita di unione con Dio, di preghiera e di pietà vera, vissuta e ignìta di virtù”.[34]

Questi valori educativi cristiani voluti da Don Orione, come l’intensa vita spirituale, il largo uso dei sacramenti, la vita di preghiera, erano presenti anche nell’Istituto di Rodi come ci ricorda Don Chamlian: “…Don Bruno, ogni anno, durante i mesi estivi, si recava in Italia per i suoi esercizi spirituali e per parlare con Don Orione. Al suo ritorno, ci parlava sempre delle nostre case, che aveva visitato e soprattutto di quello che riguardava noi Armeni, in una di queste buone sere, sì buone sere, perché, qui a Rodi, noi 60 ragazzi vivevamo come fossimo in un seminario. Alla mattina verso le 7 ci svegliava una campanella, ma uno degli assistenti - subito dopo battute le mani per svegliare anche quelli che non avevano sentito il campanello o facevano finta di non averlo sentito  - intonava l’Angelus. Finita la pulizia personale si dicevano le preghiere del mattino, come era in uso nei collegi dell’Opera. Dopo la Santa Messa, c’era la colazione, poi una breve ricreazione e subito dopo la scuola. Dopo il pranzo la visita al Santissimo Sacramento. Dopo la cena avevamo la ricreazione. Con le preghiera della sera c’era sempre un pensierino di buona notte detto da Don Bruno o dai chierici: si recitavano persino quelle consuete tre Ave Maria prima di andare a letto…”.[35] Quest’ambiente  spiritualmente sano, la vicinanza di esemplari superiori e assistenti, la narrazione di quanto Don Orione faceva e lo svilupparsi delle sue istituzioni in Italia e in America operarono i alcuni la conversione alla Chiesa cattolica[36] e nel cuore di un piccolo gruppo di quei ragazzi un forte desiderio di servire il Signore entrando a far parte della  Piccola Opera della Divina Provvidenza. La  piccola vicenda di alcuni di quei fanciulli Armeni s’incrocia con quella di Don Orione  e della sua Opera: “…e mercè l’educazione spirituale amministrataci per due e tre anni, sorsero alcune vocazioni al sacerdozio. Si cominciò a conoscere l’Opera in cui già vivevamo da alcuni anni. Su cinquanta sorsero otto vocazioni, cifra non disprezzabile. In questo gruppo d’eletti c’ero pure io, mi ricordo ancora quando quella mattina svelai il mio desiderio, covato per più di un anno, al direttore, che mi disse queste parole: “Vieni, vieni, che mangerai anche tu il pane della Divina Provvidenza”.[37] “…quando Don Bruno, al suo ritorno dall’Italia nel settembre del 1927 -  aggiunge Don Chamlian -  ci parlò di Don Orione e come sarebbe contento d’aver nella sua Congregazione dei preti o religiosi Armeni, ci disse che chi si sentisse la vocazione alla vita religiosa, l’anno prossimo, quando sarebbe partito per l’Italia ci avrebbe accompagnati e presentato a Don Orione: ci dava dunque un anno di riflessione. Io che mi trovavo nella stessa classe con Stefano Deragopian e Onnik Dellalian e Giorgio Sciahinian, ci trovammo sovente assieme per discutere e come andare a riferire al direttore la nostra intenzione d’andare in Italia per studiare e diventare preti”.[38]

“Un bel giorno di maggio, - è sempre Don Chamlian a ricordare - Don Bruno, in una buona notte, parla del suo prossimo viaggio in Italia e ci ricorda la proposta che aveva fatto all’inizio dell’anno scolastico. Subito dopo la buona notte tutti e quattro andiamo a trovare il Direttore per esprimere la nostra intenzione. Egli allora ci disse che già si erano presentati altri quattro e quindi, fin dall’indomani avrebbe visto come procurarci i passaporti per partire insieme a lui alla fine delle scuole, cioè alla fine di giugno del 1928”.[39]

Alla fine di giugno del 1928, otto di questi giovinetti danno la loro adesione e si preparano a raggiungere Roma, “preparati una specie di passaporto – ricorda Don Dellalian - mediante l’opera del governatore potemmo venire in Italia”. Questi sono i nomi: Chamlian Pierre di anni 14; Dellalian Onnik di anni 12; Benlian Bergi di anni 14; Bodurian Pasquale di anni 15; Delimentinian Giuseppe di anni 14; Deragopian Stefano di anni 14; Deragopian Giacomo di anni 15; Sciahian Giorgio di anni 14. [40]

La partenza è stabilita per il 29 giugno 1928 “era una bella mattina di sabato- dice Don Chamlian -  quando c’imbarcammo, otto ragazzi Armeni con a capo Don Bruno Camillo, che ci accompagnava in Italia. Il caso volle che la stessa nave di nome Cyntia della Società Marittima di Loyd Triestina, che tre anni prima ci aveva portati da Istambul a Rodi, ci portasse ora a Brindisi in Italia.[41] La nave, dopo essersi fermata per circa sei ore nel porto di Pireo, ch’è il porto di Atene e quindi passando per lo stretto di Corinto, si fermò per qualche ora anche a Corfù e finalmente il giorno dopo arrivò a Brindisi. Qui, dopo un pasto frugale in un ristorante ci dirigiamo alla stazione. Il treno, partendo verso le 18, arrivò a Roma l’indomani, verso le ore 10”.[42]

Il 3 luglio 1928, il gruppetto di ragazzi Armeni, arriva in treno a Roma; ad attenderli alla stazione era stato inviato dai superiori il ch. Paolo Malfatti che con due “carrozze” li condusse prima alla parrocchia di Ognissanti accolti dal parroco Don Roberto Risi e successivamente sistemati nell’Istituto S. Filippo Neri di Via Alba dove era direttore Don Giuseppe Fiori: “Qui a Roma – dice Don Dellalian – ci incontrammo con altri sacerdoti anziani della Congregazione come Don Risi, parroco di Ognissanti, e Don Fiori direttore del S. Filippo Vecchio, ora direttore dell’Istituto di Roma”.[43]

“L’indomani, il 4 luglio, verso mezzogiorno – ricorda Don Chamlian – il ch. Malfatti ci condusse ad un altro nostro Istituto in Via Sette Sale, dove Don Orione ci aspettava, venuto espressamente per noi da Tortona”. Con commozione sempre Don Chamlian narra quell’incontro: “Ci ricevette come un padre che riceve i figli suoi, che non ha più visti dopo tanto tempo. Noi, secondo il nostro costume, gli abbiamo baciato la mano e portato la stessa mano sulla fronte in segno di rispetto e di riverenza. Lui, dopo averci baciati tutti sulla fronte, ci domandò se avevamo fatto un buon viaggio, se eravamo contenti d’essere venuti in Italia, e poi ci espresse la sua contentezza di avere nella sua Congregazione degli Orientali nella persona di noi Armeni. Ci parlò dell’Armenia martire e della persecuzione recente turca contro gli Armeni. Ci invitò poi a scendere a pranzo e, dopo pranzo, ci fece cantare nella nostra lingua”.[44] Il più piccolo orfano, Onik Dellalian, così ricorda quel primo incontro con Don Orione: “Quivi per la prima volta ci trovammo con Don Orione, il quale ci accolse con più affetto di un padre i suoi figli”.[45]

Il ch. Malfatti, su incarico dello stesso Don Orione, accompagnerà per tutto il mese di luglio gli otto  ragazzi a visitare le bellezze di Roma, le basiliche e le catacombe: “Questa visita di Roma – dice Don Chamlian – fu il più bel regalo che poteva farci il nostro fondatore”. Furono poi, destinati alla Colonia Santa Maria di Vicolo Massimi a Monte Mario, vi giunsero l’8 agosto del 1928 accolti dal giovane direttore Don Luigi Orlandi. La casa ospitava piccoli probandi ma soprattutto era occupata da  tanti orfanelli tanto che “il Direttore ci aveva preparato sei letti nella soffitta sopra la stalla – ricorda Don Chamlian – dove ci diceva che Don Orione aveva passate tante notti dormendo nella mangiatoia; e due letti presso il suo studio, che gli serviva anche da camera da letto nella parte dell’Istituto detto “Casa Vecchia”. [46]

In due anni di permanenza in questo probandato, frequentarono tutti con successo la prima e la seconda ginnasio, e ogni volta che Don Orione veniva a Roma, saliva a Monte Mario, dove stavano altri aspiranti italiani, per visitare i suoi Armeni.” In una di queste visite, piuttosto serotine - narra Don Chamlian - dopo la cena, tutti noi probandi, Armeni e Italiani, accompagnavamo Don Orione verso la porticina d’ingresso, accanto alla quale si trovava una nicchia, attorniata da un fitto fogliame d’edera e in questa nicchia, si trovava una piccola statua in gesso della Madonna di Lourdes. Tre piccole lampadine elettriche illuminavano il viale delle acacie: l’ultima si trovava sopra la porticina e rischiarava debolmente anche la statuetta. Si era quasi cinque metri dalla statuina, quando Don Orione, tirando il braccio di Don Orlandi, gli dice: “Ma di che cosa sono fatti gli occhi della Madonna? Non vedi come luccicano e si muovono?... “Don Orlandi, come noi Armeni che attorniavamo Don Orione, ci sforzavamo di guardare gli occhi della Madonna, ma non li vedevamo né luccicare né muovere. Alcuni dei piccoli probandi, come anche Onnik affermavano di aver visto il fenomeno straordinario. Il fatto sta che Don Orione, che aveva tanta fretta di partire, stette lì per quasi un’ora per parlare della Madonna e constatare con le proprie mani se la statua era di gesso e se gli occhi erano dipinti su gesso. Ci aveva anche raccomandato di lasciare questa statuetta sempre nella sua nicchia”.[47]  Il fatto è narrato anche da Don Dellalian in uno scritto steso a Los Angeles (Chile) il 14 gennaio 1963: “Ricordo il fatto della Madonna che all’Istituto Santa Maria muove gli occhi. Avevo una veste di lana grossa, Don Orione mi teneva per la manica: “Guarda Giovannino, la Madonna come sorride!”. Ma io non vedevo, e non vidi nulla. Stavamo accompagnando Don Orione al tram; saranno state le 9 di sera; era, il 4 aprile 1928. Passando davanti a quella devota statuetta, presso il cancello di uscita, volse gli occhi per un saluto, una preghiera… E vide che la Madonna volgeva gli occhi intorno e sorrideva. Lo disse. Don Orlandi non vedeva nulla, non credeva. Don Orione se ne inquietò e quasi lo mise contro la rete che proteggeva la nicchia: “Misura col compasso se non ci credi!” Eravamo pochi, 8 chierici e qualche ragazzo… Prima di andarsene Don Orione disse a Don Orlandi: “Questa statua non muovetela più da qui!”. Ma quando giunse il mese di maggio, Don Orlandi non tenne conto di quell’ordine e volle muovere la Madonna per portarla in processione. Ohimè, la Madonna cadde e si fece in pezzi. C’era presente Stefano, un armeno morto e non so chi altro…Don Orlandi restò costernato, anzi irritato; poi corse ai ripari. Era lì con noi, al Santa Maria, un tipo strano, ma valente artista, anzi, a quel che si diceva anche pittore assai noto e stimato, un certo prof. Torti. Lo teneva lì Don Orione e gli dipingeva delle Mater Dei. Insieme, Don Orlandi e il Torti, raccolsero i pezzi e si chiusero in una stanza; alle 17,30 tutto era finito e la Madonna apparve nuovamente intatta; il Torti l’aveva aggiustata benissimo ma ci volle un sacco di scagliola… Don Orlandi non osò più portare la Madonna in processione”. [48]

Una meta desiderata per i giovani probandi dell’Opera era la vestizione del “Santo abito” e questa avveniva dopo qualche anno di ginnasio. Don Orione, anche ai suoi seminaristi Armeni parlava da diverso tempo di vestizione ma a loro desiderava imporre la veste che indossavano i seminaristi Armeni della Propaganda Fide,con fascia rossa, pur mutando alcune particolarità perché diceva: “Voglio darvi una divisa da Armeni ma Armeni della nostra Congregazione”. Questo è confermato da Don Chamlian quando afferma: “Era il 29 febbraio, quando Don Orione venne a trovarci alla Colonia e ci invitò tutti ad andare a trovare il Direttore del Seminario Armeno Cattolico di Via San Nicolò da Tolentino presso la Piazza Barberini. Lo scopo di questa visita era di vedere se poteva dare ai suoi chierici Armeni lo stesso modello di veste che indossavano i seminaristi Armeni con la fascia rossa. Il Direttore del seminario era allora un giovane sacerdote di nome Padre Garabed Agagianian, che poi, in pochi anni, fu creato Vescovo e divenne Cardinale negli anni ’40 per mano di Pio XII. Ebbene, Don Orione ebbe tutta l’autorizzazione di vestirci come i chierici del seminario Armeno. Le suore della Colonia si misero subito all’opera e ci prepararono 7 vestiti su misura e sette cotte con tanto di cappa magna”.[49]

Da Tortona il 30 marzo 1929 alle ore 18.45 Don Orione invia un telegramma al Direttore della Colonia Agricola S. Maria di Monte Mario a Roma dove afferma: “Vestizione Armeni entro settimana, presenzierà Bruno. Benedizione pasquale tutti.  Orione”. [50]

Il 4 aprile 1929, Don Orione nella cappella della Colonia Santa Maria, celebrò la vestizione di 7 di quei giovani[51] benedicendo e imponendo l’abito sacro secondo il costume armeno e la fascia rossa. In tale circostanza Don Orione con gioia pronunciò la seguente omelia:

 Sia lodato Gesù Cristo! Veramente una grande gioia sentiamo nel dire “sia lodato Gesù Cristo!”. Penso che sentirete tutto quello che sento io. Un sia lodato Gesù Cristo cordiale, non è solamente un saluto, un augurio per una semplice vestizione di un armeno, perché è la Provvidenza che ha preso giovani e li ha portati dall’Armenia attraverso la Turchia e poi a Rodi fino a Roma, basta a farci riflettere e commuovere molto più ci fa lieti questo evento che nella nostra piccola Congregazione si trovino uniti qui in questo luogo davanti al Santissimo Sacramento orientali e latini. Di questa unione già  si parla nel primo decreto di approvazione della Congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza. In questo decreto vi è detto che scopo non secondario della Piccola Opera della Divina Provvidenza è di riunire anche l’Oriente alla Madre Chiesa. Ed ecco che per riunire i fratelli separati d’Oriente la Provvidenza ci ha mandato questi giovani i quali poi a loro volta saranno mandati apostoli nella loro Patria perché coi latini difficilmente ci si riuscirebbe. Perché dovete sapere che gli Armeni non sono tutti uniti alla Madre Chiesa, come ci sono i Greci Cattolici e i Greci Ortodossi e scismatici, così anche gli Armeni. E quelli che sono attaccati alla Chiesa sono perseguitati e uccisi per la fede. E questi stessi giovani che voi vedete qui sono quasi tutti figli di martiri, alcuni hanno martiri dei fratelli, altri hanno avuti uccisi i genitori, chi il padre e chi la madre, tutti insomma hanno un congiunto, un amico che  hanno dato il sangue per la Fede. E io dico sempre a questi cari figlioli: Pregate per la vostra Patria affinché cessi la persecuzione, preghiamo davvero anche noi per l’Armenia insanguinata affinché per le nostre preghiere e molto più per quelle delle molte legioni di martiri, voglia Iddio concedere la pace, non solo, ma faccia sì che il sangue non sia stato sparso invano e anche gli infedeli e mussulmani vengano in grembo alla vera Chiesa.

   L’Armenia unica nazione cristiana in mezzo al mondo maomettano vede più volte scorrere il sangue dei suoi figli per suggellare la fede in Gesù Cristo, ed è per questo che, cari miei figliuoli, anch’io vi cingo d’una fascia rossa, affinché portandola vi ricordiate della vostra patria martire, dei vostri antenati che diedero il loro sangue a difesa della fede di Roma e siate pronti a versarlo anche voi mostrando di essere figli non indegni dei vostri padri.

   Come vi dicevo dunque è una grande consolazione per il nostro cuore il vedere qui riuniti davanti al Santissimo Sacramento e latini e orientali.

   Questo trovarci qui riuniti ci dice quello che sarà la nostra Congregazione in cui vi saranno individui di tutte le razze.

   Questo trovarci qui ci dice quello che sarà la nostra Congregazione  il giorno in cui vi saranno individui di tutte le razze.

   Platone ha definito la bellezza “pulcritudo est unitas in varietate”. E allora come sarà bello quando voi vedrete in Congregazione copti, greci, latini, eccetera, tutti uniti nella unità di fede che novelli apostoli andranno a spargere la buona novella in tutte le parti del mondo. Questa sera noi sentiamo come un’alba radiosa di quello che sarà quando nella piccola Congregazione parleranno tutte le lingue, si celebrerà la Santa Messa in tutti i riti approvati dalla Chiesa. Noi questa sera abbiamo sentito cantare il Pater Noster in armeno, ma cosa sarà quando nella nostra piccola Congregazione si canterà il Pater Noster in tutte le lingue

   Questo è il voto che io depongo ai piedi di Gesù Sacramento nella gioia di quest’ora. E questi giovani che la Provvidenza ha raccolto sotto il suo manto continueranno a studiare le lingue orientali e ad istruirsi per essere consacrati nel loro rito con le loro proprie cerimonie.

   Quando noi dobbiamo, non solo con i nostri voti ma con la preghiera più fervida anticipare la letizia di quell’ora tanto desiderata in cui si gusteranno tutte le bellezze dell’unità di fede, bellezza, gioia così grande che solo può essere paragonata alla letizia della comunione dei Santi cioè a quell’unione che lega in un sol amore tutti gli eletti del cielo…”.[52]

Mentre conclude l’omelia, rivolto ai chierici Armeni dice “Intonate le litanie in armeno!”

I Confratelli allora presenti ricordano ancora l’entusiasmo con cui Don Orione parlava dell’Oriente, di quanto riguardava la vita di quelle chiese manifestando tutti i suoi programmi ecumenici.

Don Chamlian il 16 giugno 1943 stende le sensazioni interiori vissute in tale circostanza : …Si vedeva la commozione che aveva dipinto sul volto e nello stesso tempo la gioia di avere un gruppo di chierici Armeni che cominciavano in qualche modo a realizzare la sua viva brama di riportare in Congregazione l’universalità dei riti della Chiesa Romana e quel senso di cattolicità di cui aveva pieno lo spirito. Fece un discorso che gli veniva dal cuore. Disse tutta la sua gioia di poter, con la vestizione dei primi chierici Armeni con l’abito liturgico in uso nel Collegio Armeno di Roma, di poter così fare qualche cosa per l’unione delle chiese dissidenti alla Chiesa Romana. Sperava che con la nostra perseveranza nella vocazione saremmo poi diventati sacerdoti e esercitato il nostro ministero nel nostro rito, tra i nostri connazionali cattolici e lavorato per l’unione degli Armeni ortodossi che sono tra gli orientali quelli che più facilmente si uniscono alla Chiesa Romana. Gli Armeni, essendo stati dispersi dalla persecuzione turca, vedono nella Chiesa di Roma il vincolo religioso che li tiene uniti e formano, quantunque dispersi, un popolo inconfondibile che porta con sé attraverso i secoli le tradizioni sacre dei suoi martiri e dei suoi santi patriarchi.

E proprio in  questa occasione volle far rilevare il significato della fascia rossa di cui ci cinse. Disse che non era stata scelta a caso la fascia rossa, ma che voleva avere un significato profondo. Avrebbe dovuto ricordare a noi il sangue dei nostri martiri ed animarci ad una vita di sacrificio e di abnegazione preparandoci così ad una vita di sacrificio e di abnegazione preparandoci così ad emulare le gesta eroiche dei nostri Maggiori…”.[53]

L’evento è anche ricordato sempre da Don Chamlian con queste parole: “La nostra contentezza era immensa, benché la veste talare ci impedisse di lavorare agevolmente e correre per giocare a ladri e carabinieri”.[54] Don Dellalian dice: “Il 4 aprile del 1929 fu un giorno non più dimenticabile, ci diede una veste e cotta in rito armeno…”.[55]

Don Orione, da Roma – via Sette Sale – il 6 aprile 1929 scrive a Don Sterpi: “… l’altro ieri ci fu alla colonia la vestizione di sette Armeni, bene! ...Ieri mattina poi ha loro celebrato lassù Don Bruno, e dopo furono sulla tomba dei Beati Apostoli e di Pio X poi pranzarono qui e andarono ad Ognissanti. Tutti contenti”.[56] L’importanza del fatto merita di essere comunicata anche al Vescovo di Tortona Mons. Simon Pietro Grassi, al quale il 7 aprile 1929 scrive: “Mi decisi di venire a dare l’abito chiericale a sette giovani Armeni, che erano già da qualche anno a Rodi, e qui a Roma da sette od otto mesi”.[57]

L’amore paterno di Don Orione verso gli Armeni è testimoniato da un singolare episodio ricordato da Don Chamlian: “Nel mese di maggio del 1929, c’era la Causa di Beatificazione del Martire Armeno Der Gomidas Komurgian; in quella circostanza il Papa Pio XI aveva concesso una udienza particolare solo agli Armeni che si trovavano a Roma, in quel giorno Don Orione trovandosi a Roma per assistere alla beatificazione di Don Bosco, era venuto a trovarci alla Colonia di Monte Mario. Gli dicemmo che saremmo andati all’udienza del Papa concessa solo per gli Armeni di Roma, ed Egli ci rispose: “Ebbene, ci vengo anch’io e se il Papa mi dirà qualche cosa gli dirò che anch’io sono armeno. Difatti si unì a noi e con noi entrò in una sala e si sedette accanto a noi. Quando il Papa entrando nella sala e dando a baciare la sua sacra mano a tutti gli Armeni disposti attorno alla sala giunse a Don Orione interruppe così: “Oh c’è anche Don Orione! Don Orione presentandoci al Santo Padre come suoi chierici disse: Padre Santo, in questo momento sono anch’io armeno, ed allora il Papa a lui: eh lo so: Don Orione omnibus omnia factus ed ora s’è fatto anche armeno…”.[58]

Gli alunni del Collegio Romano Armeno come seppero che Don Orione si interessava del loro rito e  aveva in Congregazione un gruppo di chierici Armeni non solo si meravigliarono per il fatto che mai si era verificato che sacerdoti di rito latino cercassero aspiranti di altro rito[59] ma tutto l’ambiente armeno della Capitale manifestò stima e venerazione verso il Fondatore come testimonia il Patriarca emerito di Cilicia degli Armeni, S. B. Hermaiagh Ghedighian, il quale incontrò Don Orione, quando, nei primi anni ’30, studiava alla Gregoriana di Roma. Più volte si recò a Via delle Sette Sale per partecipare alla sua Messa  ed  ascoltarlo.[60]

Don Orione è contento dei suoi chierici Armeni  e lo scrive anche al loro primo direttore Don Bruno in una lettera del 15 aprile 1929: “Caro Don Bruno… gli Armeni stanno tutti bene, sono contenti: pregano, studiano e lavorano che è un piacere, e tutti in fascia rossa. Deo gratis!”.[61]

Dopo due anni di ginnasio alla Colonia S. Maria di Monte Mario, Don Orione decide di inviare gli aspiranti Armeni per continuare la loro formazione, nel seminario minore di Voghera dove era direttore Don Camillo Bruno. Informa Don Sterpi con lettera del 14 ottobre 1929: “…prima di fine mese mando su gli Armeni”,[62] il giorno successivo precisa, sempre a Don Sterpi, l’aiuto economico: “Vi mando lire 5.000, che ho avuto da Don Orlandi. Sono la pensione degli Armeni…”.[63]

“…il 29 ottobre 1929 - ricorda Don Chamlian -  siamo partiti in treno per Voghera, facendo una breve tappa a Tortona per salutare Don Orione. Qui, con nostra grande gioia abbiamo rivisto Don Bruno Camillo, che era il direttore del seminario. Qui, tutti e  sette, abbiamo fatto la terza ginnasio, saltando la quarta con la scuola di fuoco (così detta perché si studiava durante i mesi estivi) a Sant’Alberto di Butrio . Abbiamo terminato la quinta ginnasio negli anni ’30 e ’31”. [64] “Don Orione veniva spesso a visitarci – ricorda Don Dellalian – ma sempre di passaggio, e si mostrava tanto paterno con noi Armeni…. Ci fu il presepio vivente a Voghera in quel tempo (lo si fece poi a Tortona). Quell’anno[65] feci io da angelo. Guai se, nella processione, uno degli angeli alzava gli occhi. Don Orione ci voleva a mani giunte e occhi bassi per l’edificazione del popolo, perché da quella manifestazione uscisse un senso vivo di religiosità. Quanta folla! Che grande impressione! Ricordo che la sera ci fece una vera predica nella cappella”.[66]

L’ultimo evento che il piccolo gruppo dei sette Armeni  vivrà insieme è la Festa della Madonna della Guardia del 1931 : “Dopo le vacanze del 1931 – dice Don Chamlian – il giorno del 27 agosto, tutti i chierici che ci trovavamo a Sant’Alberto ci siamo alzati alle quattro di mattina e, zaino sulle spalle, ci  siamo diretti a Tortona per partecipare all’inaugurazione del Santuario della Madonna della Guardia il 29 d’agosto. Per la prima volta noi sette chierici Armeni, vestiti colle nostre cotte smargianti, abbiamo percorso le vie della città, attirando gli sguardi della popolazione per il nostro strano modo di vestire.[67]

Dopo tale data, la vita dei chierici Armeni si divide. Don Orione il giorno successivo la festa della Madonna della Guardia comunica a Petròs Chamlian e a Stefano Deragopian l’intenzione di inviarli a Roma per  continuare gli studi filosofici e teologici all’Università Gregoriana perché si imbevessero di romanità viste le prospettive ecumeniche che poneva su di loro.[68] Gli altri continuarono la loro preparazione al sacerdozio per le ordinarie case di formazione, purtroppo diversi di loro lasceranno la Congregazione in questi anni[69] e persevererà solo Onik Dellalian. Con nostalgia Don Chamlian ricorda quel momento di distacco: “…con grande dispiacere abbiamo lasciato gli altri nostri compagni Armeni, alcuni dei quali non li vedremo più in questo mondo, mentre mi ritroverò ancora insieme al caro Don Giovanni Dellalian a Tortona nel 1942, nel mese di luglio, per la ordinazione sacerdotale”.[70]

Giovanni Dellalian nel 1931,  inizia l’anno di noviziato  a Villa Moffa, terminato il quale non può emettere la professione religiosa  perché appartenente ad un rito orientale e perché troppo giovane di età. I Superiori lo invieranno a Montebello della Battaglia dove nell’anno scolastico 1932-33 frequenterà la 5° ginnasio ed emetterà la prima professione il 16 agosto 1933 e ricorda che in occasione degli Esercizi Spirituali “Don Orione, ci riceveva uno ad uno a rendiconto. Passai a mia volta; avevo 17 anni, ero orfano, non avevo nessuno al mondo; Egli lo sapeva…. Mi abbracciò, mi strinse forte al petto: “Tu non hai né padre né madre – mi disse – ma sono io tuo padre e tua madre”. Sentivo la sua barba dura che mi pungeva la guancia”.[71] Sarà al Paterno sotto la guida di Don Sterpi negli anni 1934-36 per il corso di filosofia, poi inviato come tirocinante a Voghera negli anni 1936-38: “Nell’anno 1937 Don Orione torna dall’America - dice -  io ero a Voghera, assistente. Andò prima a Montebello e al ritorno venne tra noi. Mi parve cambiato: prima era tutto nostro, ci conosceva tutti, uno a uno, come un padre conosce i figliuoli. Adesso erano passati parecchi anni, aveva operato cose grandi in America, s’era addentrato in altri problemi, ci aveva perduti un poco di vista, i suoi occhi si spingevano molto in là del confine italiano… Ebbi l’impressione che fossimo un po’ distanziati da lui, che eravamo un po’ fuori dal suo raggio. Adesso non disponeva più di un minuto di tempo, era affollato da gente, oberato dai viaggi: riunioni settimanali di benefattori, malati… E presto anche le prime avvisaglie della malattia mortale. Rimpiangevo i tempi di quando era tutto per noi…”.[72] Dellalian rimase ancora a Tortona per la teologia dagli anni 1938 al 1941.

Chamlian e Stefano Deragopian nell’autunno del 1931 partirono per Roma: “Era il 5 novembre del 1931 – ricorda Don Chamlian – quando incominciammo a frequentare la prima filosofia all’Università Gregoriana. Durante le vacanze di quest’anno scolastico, che facevamo sul Monte Soratte, il mio caro amico Stefano prese un’insolazione: subito trasportato a Roma, il male s’aggravò e morì il 22 agosto 1932. Continuai gli studi insieme ad altri confratelli italiani, argentini e brasiliani, e c’era anche un jugoslavo di nome Coloman Kisilak”.[73] Don Orione per impegni istituzionli spesso  era a Roma ed era ospitato nella casa di Via delle Sette Sale dove si trovavano i suoi chierici studenti presso le Università Pontificie; un giorno, a mensa,  chiese a Petros Chamlian di cantare un canto armeno, il fatto è così ricordato: “Quando, nel 1932, facevo la prima filosofia all’Istituto di Via  Sette Sale, siccome a mezzogiorno avevo fatto un canto armeno, a cena Don Orione volle lo ripetessi, e, chiestomi se ne sapevo altri, io diedi fondo al mio repertorio, alcuni mesti, altri allegri. Tutti mi ascoltavano; ma specialmente Don Orione, il quale alla fine disse ai presenti: “Avete sentito quanta nostalgia e dolore in questi canti Armeni! Povera nazione martirizzata, un giorno così grande e indipendente, culla del cristianesimo, ora ridotta in schiavitù; i figli lontani piangono il misero stato della loro patria. Ebbene preghiamo tutti Iddio, che ridoni ancora la libertà a questa nazione travagliata e martire…”.[74] Anche Chamlian ha fatto l’anno di noviziato a Villa Moffa conclusosi con la prima professione pronunciata il 8 novembre 1936, dopo un anno di tirocinio a Tortona, ritornerà a Roma per terminare i corsi di teologia.

Don Orione dal 1934 al 1937 è per la seconda volta in sud-America e sappiamo della sua intensa attività caritativa e apostolica[75] ma non dimentica i suoi due  chierici Armeni che presto dovranno ricevere l’ordinazione e desidera che ciò avvenga secondo il rito armeno, perciò il 15 ottobre 1936 da Buenos Aires scrive a Don Sterpi in questi termini:

 “Per gli Armeni  rivolgetevi a Mgr. Rossum, alla  S. Congregazione degli Orientali, esponete il caso, sentite cosa vi dirà, riferitemelo. Io vorrei che, stando in Congregazione, siano però del loro rito, e si tengano pronti ad andare, quando la Santa Sede crederà, a lavorare in Oriente pei loro Armeni, tanto martoriati. Saranno un vincolo con Roma, tanto più che la maggior parte degli  Armeni sono scismatici: ce n’è molti anche qui, Armeni, ma scismatici coi loro sacerdoti scismatici.  Ossequiatemi Mgr. Rossum è uno dei capi della Congregazione per gli Orientali”.[76]

Non sappiamo se Don Sterpi abbia “esposto il caso” per iscritto o a viva voce a Mons. Rossum, l’archivio non conserva risposta scritta ma una testimonianza che afferma: “Dall’insieme dei documenti – del grosso fascicolo in fotocopia avuto dalla Sacra Congregazione Orientale – si ricava la volontà del Fondatore che i due sacerdoti Armeni: Don Dellalian e Don Chamlian siano mandati a lavorare tra gli Armeni in modo che possano esercitare il loro rito, in Francia  ed in Italia ed in altre nazioni vi sono colonie di Armeni. Si propone che i due sacerdoti siano posti in grado, come ci consta, desiderano di poter raccogliere vocazioni di giovani Armeni onde in un domani non lontano possano aprire in oriente una casa che serva a richiamare gli Armeni dissidenti alla Santa Madre Chiesa… Di tutti i separati sono quelli che più facilmente potranno entrare in seno alla Madre Chiesa avendo rito e credo uguali al rito e al credo degli Armeni uniti, eccetto la dipendenza da Roma”.[77]

I chierici Dellalian e Chamlian si ritrovano ancora insieme a Tortona  verso la fine del 1941, per prepararsi a ricevere gli ordini sacri,[78] non secondo il rito armeno, da loro desiderato e tanto auspicato da Don Orione ma secondo il rito latino. Tale scelta sembra essere voluta dalla prudenza del Visitatore Apostolico l’Abate Emanuele Caronti[79] che valutata l’incertezza del momento: si era in tempo di guerra, era appena terminato il primo Capitolo Generale della Congregazione (agosto 1940), risultava necessario conservare una situazione di normalità. Non è mancato da parte del Visitatore Apostolico la richiesta di consiglio alla stessa Sacra Congregazione “Pro Ecclesia Orientali” visto uno scritto a Lui indirizzato in data 8 ottobre 1941:

“Rev.mo P. Emanuele Caronti - Visit. Ap.  Piccola Opera Div. Provv.  Subiaco.

Questo Sacro Dicastero è persuaso che il restare i due chierici nel rito armeno non comporta nessun grave inconveniente per la pratica della regola e della disciplina dell’istituto latino a cui appartengono. Tutto si ridurrebbe alla celebrazione della S. Messa e alla recita del breviario in rito armeno: per il resto la loro attività potrebbe svolgersi in modo perfettamente uguale a quello dei loro confratelli latini. Ciò è suffragato dal caso del P. Alagiagian, anch’egli armeno entrato nella Compagnia di Gesù senza mutar rito, ed attualmente ministro nella casa del Gesù qui a Roma.

In ogni modo, la S. Congregazione, volendo addimostrarsi condiscendente al desiderio dei due giovani, accorda loro l’adattamento al rito latino per un quinquennio, durante il quale essi potranno comportarsi come latini, salvo però al ritornare, dopo tale periodo di tempo, al rito armeno, se le circostanze saranno mutate, nel senso che venisse a verificarsi la possibilità di un impiego di essi a favore di qualche opera armena.

Si compiaccia la P. V. di partecipare quanto sopra agli interessarti e voglia intanto gradire i sensi di stima…”.[80]

Dallo scritto risulta chiaramente che è desiderio dei due giovani conservare il rito armeno, pertanto si accorda “l’adattamento” al rito latino per un quinquennio in attesa di mutate circostanze; che questa fosse la volontà soprattutto dell’Abate Caronti è dimostrato dal rescritto sempre della Sacra Congregazione “Pro Eccesia Orientali del 8 gennaio 1942 che decreta: “Pietro Chamlian e Joannes Dellalian dovranno poi ricevere i Sacri Ordini; dato però che possono adattarsi al Rito Latino, sembra non sia fuor d’ordine che ricevano l’Ordinazione in Rito Latino e che si adattino al Rito Latino pur restando Armeni; tanto più che è stata una delle raccomandazioni  di Don Orione che la Sua Congregazione faccia qualche cosa per l’Oriente. In avvenire, se detta Congregazione potrà aprire una casa armena, i predetti ne saranno le basi e ritorneranno subito alla pratica del rito armeno. Tale l’idea dell’Abate Caronti”.[81]

Il 12 luglio 1942 Dellalian e Chamlian ricevettero l’ordinazione sacerdotale nel Santuario della Madonna di Caravaggio a Fumo di Corvino San Quirico (PV), con altri 12 confratelli, per l’imposizione delle mani del Vescovo di Tortona Mons. Egisto Melchiorri.

Tre settimane dopo l’ordinazione, Don Sterpi accompagna i due novelli sacerdoti a Castel Burio presso Castigliole d’Asti a riparare i locali per l’anno di pastorale dei nuovi ordinati.

 “Dopo quest’anno – ricorda Don Chamlian – sempre Don Sterpi ci manda tutti e due ad Arnesano presso Lecce; ma, dopo alcuni mesi, mentre io sono destinato come direttore del nostro  probandato di Colle Giorgi a Velletri, lui inizia l’Oratorio ad Arnesano e vi rimane per alcuni anni. Quindi diventa direttore dell’Oratorio di San Filippo a Roma e poi a S. Severino Marche. Io rimasi a Velletri fino alla fine della guerra, andai a Grotte di Castro (VT) e finalmente, dopo una sosta in Reggio Calabria, nel 1946, fui destinato a Palermo. Qui stetti circa sette anni, prima sul Monte Pellegrino, quindi alle falde, al Villaggio del Fanciullo”.[82]

In questi anni di intenso lavoro apostolico dei due confratelli Armeni, la Congregazione maternamente non dimentica che la Santa Sede aveva accordato loro l’adattamento al Rito Latino  per un quinquennio e terminando tale periodo di tempo il Procuratore Generale, Don Roberto Risi, il 19 giugno 1947, scrive alla Sacra Congregazione “Pro Ecclesia Orientali”: “Eminentissimo Principe, …chinato al bacio della Sacra Porpora, umilmente chiede che i rescritti N° prot. 225/41, concessi in data 27 gennaio 1941, riguardanti il conformarsi al rito latino dei due nostri sacerdoti Armeni, siano prorogati per altri 5 anni…”.[83] 

Il 4 luglio 1947, la Sacra Congregazione risponde a Don Roberto Risi in questi termini: “… se i due prelodati Sacerdoti potranno conservare il rito armeno, ciò servirebbe a dare alla benefica Opera della Divina Provvidenza una caratteristica di maggiore universalità e sarebbe una splendida conferma della larga generosità con la quale il venerato Fondatore ha accolto, ed ora spiritualmente accoglie, nelle sue case figli di ogni Nazione e di ogni Rito”.[84]

Questa “maggiore universalità” auspicata dalla Santa Sede, non sarà più rappresentata per i nostri due sacerdoti Armeni dal loro “rito” ma dalla scelta di servire la Congregazione in terra di missione: “Nel luglio del 1953 - fraternamente ricorda Don Chamlian -  ci trovammo insieme a Don Dellalian a fare i nostri Esercizi Spirituali a Genova dai Padri Gesuiti a Villa Sant’Ignazio. Qui, Don Giovanni mi ha rivelato il desiderio di partire come missionario nell’America del Sud. Il suo desiderio è accettato dai Superiori e l’anno seguente nel 1954, mentre io lasciavo l’Italia per la Francia, lui partiva per l’America del Sud, prima in Brasile poi in Cile ove, per essere più utile, prese la cittadinanza cilena, e servì con entusiasmo e fedeltà la Congregazione in diverse case per oltre trent’anni, finché il Signore lo chiamò a se in Rancagua (Cile) il 16 dicembre 1982, a 67 anni di età, 49 di professione religiosa e 40 anni di sacerdozio”.[85] Don Chamlian parte per la Francia, prima all’Istituto Saint Pierre di Cassoneuil, successivamente passò al Foyer Internazionale di Parigi Saint Ouen, dove per quasi trent’anni  servì i giovani bisognosi di aiuto e assistenza, e qui passò al Signore il 17 marzo 1993, a 79 anni di età, 56 di vita religiosa e 50 di sacerdozio  sempre decantando l’amore paterno che Don Orione gli ha riservato.

Don Orione ripete anche a noi  quanto con sentimento di paternità diceva allora ai suoi chierici: “Amateli questi vostri compagni, sono figli di martiri, i loro padri hanno sparso il loro sangue cristiano per la fede!”.

Don Orione non ebbe la consolazione di vedere sacerdoti Don Petròs Chamlian e Don Onnik Dellalian, l’uno e l’altro rimangono per la Congregazione il frutto delle paterne sollecitudini del nostro Santo Fondatore  per i figli della perseguitata Armenia, terra a lui cara e da lui prediletta.

 


* Direttore del Centro don Orione di Bergamo e dottore in Filosofia , Lettere e Storia.

[1] Cfr G. MARCHI, L’impegno di Don Orione per gli orfani, in La figura e l’opera di Don Luigi Orione (1872-1940). Atti dell’incontro di studio tenuto a Milano il 22 novembre 1990, Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 181-192; L. DEL ROSSO, Il padre degli orfani, in “Giovani Sempre”, numero speciale sul Convegno Ex-Allievi di Miradolo, 12-13 agosto 1951,Venezia, Scuola tip. Artigianelli 1952, pp.51-52.

[2] Don Orione fu padre degli orfani anche fuori Italia, ad esempio in Acandia nell’Isola di Rodi dove mandò i suoi figli in un istituto con annessa scuola agraria per fanciulli di lingua italiana. In America sia nel primo sia nel secondo viaggio e primariamente verso i bambini orfani che prodiga le sue cure caritative. Cfr anche P.CLERICI,I Berna e Don Orione: un binomio inscindibile, in Messaggi di Don Orione, 119, Roma, 2006, pp. 67-89.

[3] G. DE LUCA, Elogio di Don Orione con altri scritti e commenti su di lui, Roma,Edizioni di Storia e di Letteratura 1999, pp.119-123; oppure Don Orione, l’apostolo tortonese. A 100 anni dalla nascita, Torino 1972, pp.111-119.

[4] Se si chiede a un armeno se è cristiano, ci si sente rispondere: “E’ naturale sono armeno!”. Per un armeno essere cristiano va oltre il concetto religioso, è una “seconda pelle”, come dichiaravano i martiri che la chiesa armena ha avuto per secoli. Lo storico Eliseo, descrivendo il modo in cui  la fede cristiana si era manifestata nei santi martiri che diedero la vita in difesa della fede nella battaglia di Avarayr combattuta nel 451 contro i persiani mazdeani,racconta che il comandante dell’esercito Vardan, rivolgendo le sue ultime parole ai compagni prima della battaglia disse: “Chi credeva che il  cristianesimo fosse per noi come un abito, ora saprà che non potrà togliercelo come non ci può togliere il colore della pelle”. La storia degli Armeni non si può comprendere, se non a partire dalla loro fede: dal primo momento del primo annuncio cristiano, che la tradizione attribuisce  agli Apostoli  Bartolomeo e Taddeo, le vicende del popolo armeno sono  costante testimonianza di fedeltà a Cristo, anche a prezzo della vita. Ne è testimonianza l’ultima, dolorosa ma eroica pagina del martirologio armeno, che ha registrato con il sangue di un milione e mezzo di Armeni il primo genocidio del  sec XX, perpetrato dall’impero ottomano, nel 1915.

Benché la  fede cristiana esistesse in Armenia già fin dal secolo I, la chiesa armena gerarchicamente fu costituita all’inizio del secolo IV, per opera di S. Gregorio,detto perciò l’Illuminatore, che convertì la corte del re Tiridate e gran parte del popolo. A giusto titolo dunque il popolo  armeno si gloria di essere il primo popolo ad aver proclamato il cristianesimo religione di  stato nel 301.

L’unità di fede perdurò in Armenia fino al 451, data della tenuta del Concilio di Calcedonia cui, per vari motivi, i  vescovi  Armeni non poterono partecipare. La rottura definitiva avvenne però più tardi, nel 555.  Oggi, la maggioranza degli Armeni sono separati dalla Chiesa di Roma e appartengono alla Chiesa Apostolica Ortodossa. Vari tentativi di unione, soprattutto nel sec. XII  e per opera di San Narsete il Grazioso, precursore dell’ecumenismo, ed altri vescovi, non diedero risultati duraturi. Gli Armeni cattolici, che si sono ricostituiti in patriarcato autonomo nel 1741, hanno la propria gerarchia ecclesiastica, con a capo il loro Catholicos Patriarca, sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, che ha la sua sede in Libano. Essi però mantengono relazioni fraterne e costruttive con le due sedi patriarcali della Chiesa Apostolica Armena, di Etchmadzine,in Armenia, e di Antelias in Libano.

[5] Per  una sintesi della storia del popolo armeno cfr. B.L.ZEKIYAN, L’Armenia e gli Armeni. Polis lacerata e patria spirituale: la sfida di una sopravvivenza, Milano, Guerini e Associati, 2000, pp.17-75; A.PERATONER (a cura di) Dall’Ararat a San Lazzaro,una culla di spiritualità e cultura armena nella laguna di Venezia, Venezia,Casa editrice Armena, 2006, pp. 11-47.

[6] G. BOLOGNESI, Prefazione, in B. L .ZEKIYAN, L’Armenia e gli Armeni…, op. cit., p.7.

[7] Il Papa Giovanni Paolo II nel pomeriggio di giovedì 9 novembre 2000 in occasione del Giubileo dell’Anno santo e per la ricorrenza del 1700° anniversario della proclamazione del cristianesimo come religione di stato dell’Armenia, ha ricevuto in udienza Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni. Al termine dell’udienza svoltasi nella Sala Clementina hanno firmato il Comunicato Congiunto.

[8] Osservatore Romano, Edizione settimanale 46, 17 novembre 2000, p.7.

[9] Osservatore Romano,  Edizione quotidiana  224, 30 settembre 2001, p. 4

[10] Il problema è ancora attuale se Hrant Dink, giornalista di origini armene, noto per le sue denunce del “genocidio degli Armeni” è stato ucciso il 19 gennaio 2007 da un ultranazionalista a Istambul davanti al portone della rivista “Agos” di cui era direttore e proprietario. Così  lo scrittore turco Orhan Pamuk, premio nobel per la letteratura 2006, nel 2005 è stato incriminato per aver parlato apertamente in un’intervista del genocidio perpetrato dai turchi contro gli Armeni nel 1915. È stato accusato  di “offesa deliberata all’identità nazionale turca”, rischiando tre anni di prigione. Come immediate e furibonde sono state le reazioni della Turchia quando la camera bassa del Parlamento francese il 12 ottobre 2006 ha approvato il progetto di legge che intende instaurare sanzioni penali, fino ad un anno di reclusione e 45.000 euro di ammenda, nei casi di negazione del genocidio armeno.

[11] Cfr. G. SALE, La strage degli Armeni, in CivCatt, 4 (2001), pp. 538-551.

[12] Il movimento dei Giovani Turchi, fondato a Parigi all’inizio del secolo XX da intellettuali turchi, riprese il progetto politico di riforma liberale dello Stato che i Giovani Ottomani alcuni decenni prima avevano messo a punto. I Giovani Turchi erano nello stesso tempo nazionalisti e liberali: essi volevano “ammodernare” lo Stato ottomano in senso liberale e democratico, “laicizzare” la società, riformare l’economia,l’amministrazione e l’esercito. A differenza dei partiti politici Armeni, essi non subirono l’influenza delle dottrine marxiste. Anzitutto chiedevano il ristabilimento della Costituzione abrogata, la quale garantiva a tutti i sudditi dell’impero l’esercizio paritetico delle libertà politiche e civili. Questo fece sì che buona parte dell’intellighentia  armena si schierasse apertamente dalla loro parte e solidarizzasse con i loro leader più progressisti .

   Tale movimento, inoltre, formava un gruppo ideologicamente eterogeneo. Al suo interno esistevano infatti più anime e quindi più correnti di pensiero: una più liberale, tendente a plasmare il Paese secondo un modello politico ed economico europeo e a far evolvere l’impero secondo un modello federalista; l’altra più “nazionalista” attenta cioè a rinforzare l’autonomia politica dell’impero ottomano sullo scacchiere internazionale, facendo leva soprattutto sul sentimento panturco a cui molti ufficiali dell’esercito erano sensibili. Nel  1907 si stabilì un legame tra questi diversi gruppi che sostenevano tale progetto di rinnovamento dello Stato; con essi solidarizzarano anche larghi settori dell’esercito, dando vita al Comitato di Unione e Progresso (Ittihad ve Terakki). Nel 1908 essi, con l’aiuto di una parte dell’esercito, si impossessarono  del potere e costrinsero il sultano a riesumare la Costituzione del 1876. Un successivo colpo di stato nel 1913 portò al potere la componente più intransigente e nazionalista del movimento dei Giovani Turchi, ed è a partire da questo momento, sotto il feroce triunvirato Talat - Enver –Djemal, che il progetto di sterminio sistematico del popolo armeno iniziò lentamente il proprio cammino.

   Esso però era stato messo a punto già da qualche anno prima durante una riunione segreta del partito, svoltasi a Salonicco nel 1911. In questa riunione  si dichiarò che “presto o  tardi  dovrà essere realizzata la piena ottomanizzazione di tutti i sudditi turchi; però sia chiaro che questo non si potrà raggiungere mai  tramite la persuasione e si dovrà ricorrere alla forza delle armi. Il carattere del regno deve essere islamico”. Cfr. B. L. ZEKYAN, L’Armenia e gli Armeni…, op.cit., p.52.

[13] Le fonti più significative sull’argomento sono quelle esibite dagli storici al Tribunale Permanente dei Popoli, riunito a Parigi nel 1984, che si proponeva di far luce in sede storica sul genocidio degli Armeni: TRIBUNAL PERMANENT DES PEUPLES, Le crime de silence. Le Genocidi des Armèniens, Paris, Flammarion, 1984, 82. All’incontro non parteciparono studiosi turchi, ma il Governo di Ankara inviò una relazione dell’lstituto de Politique  ètrangère. Fra gli altri studi più significativi ricordiamo: Y. TERNON, Les Armèniens: Histoire d’un genocide, Paris, Seuil, 1977; ID., La Cause Armenienne, ivi, 1983;  J. LEPSIUS, Deutschhland und Armenien: 1914-1919. Potsdam. 1919; A. BALIOZIAN, The Armenian Genocidi and the West, Jerusalem, 1984; C. MUTAFIAN, Breve storia del genocidio degli Armeni, Milano, Guerrini e Associati, 2000; A.Riccardi. Mediterraneo. Cristianesimo e Islam tra coabitazione e conflitto, ivi, 1977; M. Impagliazzo, Una finestra sul massacro. Documenti inediti sulla strage degli Armeni: 1915-1916, ivi, 2000; A. SHIRAGIAN, Condannato a uccidere, ivi, 2005 ; M. FLORES, Il genocidio degli Armeni, Il Mulino, 2006. Si veda anche E. FARAHIAN – P. DOMENSINO, “L’Armenia attende la visita di Giovanni Paolo II”, in CivCatt 4 (1999) 73-83; G. MARCHESI, Il 1700 .mo anniversario della cristianizzazione degli Armeni, ivi, 2 (2001) 59-67; G. SALE, La strage degli Armeni, ivi , 4(2001) 538-551; ID., Lo sterminio degli Armeni,ivi, 1(2002) 107-118.

[14] Onik (Giovanni) Dellalian  era nato il 12 settembre 1915 ad Angora in Turchia, l’antica Ancyra di Galizia gloriosa per i ricordi romani e cristiani. Figlio di Clemente e di Duruck Pirellian, rimasto precocemente orfano di entrambi i genitori,a soli dieci anni nel 1925, il giorno della Madonna Addolorata, venne accolto nell’Istituto dei Cavalieri di Malta a Rodi (Egeo) da Don Camillo Bruno. A Rodi compì le scuole elementari e i primi corsi di ginnasio. Venne in Italia con il desiderio di farsi sacerdote e ricevette il Santo abito da Don Orione il 4 aprile 1929 a Roma. Compie il suo noviziato nel 1932, professando la prima volta a Montebello  della Battaglia (PV) il 16 agosto 1933, nelle mani di Don Sterpi. Sempre a Montebello il 23 giugno 1940, suo giorno onomastico, emette i voti perpetui. È ordinato sacerdote nel Santuario della Madonna a Fumo (PV) il 12 luglio 1942. Svolse la sua attività sacerdotale di preferenza con i giovani in Italia ma soprattutto in Cile dove vi morì il 16 dicembre del 1982.

[15]  G. DELLALIAN, Testimonianza – Dattiloscritto, in Cartella Dellalian, Archivio Don Orione (ADO) della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, pp. 1-2.

[16] Pierre Chamlian era nato ad Ankara (Turchia) il 20 aprile 1913 da famiglia armena cattolica. Orfano di padre  per la persecuzione venne accolto a Rodi  da Don Camillo Bruno nel settembre del 1925. Entra nella Congregazione di Don Orione il 14 luglio 1928, ricevendo il caratteristico abito ecclesiastico armeno dalle mani dello stesso Don Orione, nella Colonia di Monte Mario, il 4 aprile 1929. Dopo il ginnasio, completato tra Roma e Voghera (1928-1931), “frequentò l’università Gregoriana a Roma, per la filosofia, di cui ottenne la licenza nel 1934 e la teologia, con relativa licenza nell’ottobre 1940 Ricevette il sacerdozio nel Santuario della Madonna di Caravaggio a Fumo (PV) il 12 luglio 1942. Sacerdote e religioso dal carattere generoso servì la Congregazione soprattutto in campo giovanile in diverse istituzioni italiane per poi passare in Francia soprattutto al Foyer Internazionale di Parigi Saint Ouen, dove trascorse parte importante della sua vita in dedizione fraterna a molti giovani bisognosi di aiuto e assistenza. Qui morì il 17 marzo 1993. Don Pierre accarezzò il sogno prospettato da Don Orione – allorché un gruppo di giovani Armeni manifestò propositi di vocazione – di dar vita in Congregazione a un drappello di sacerdoti con vesti e liturgia armeno cattolica: poi accettò di esercitare il ministero secondo il rito latino conforme a disposizioni della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale (1942).

[17] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni nell’Opera Don Orione, Dattiloscritto, in Cartella Chamlian, ADO, pp. 1-2.

[18] Su Zohrabian vedi G. SPAGNOLO, Il missionario che non si fermò mai. Mons. Cirillo Giovanni Zohrabian,, Palermo, Fiamma serafica ed., 1979; S. MONTEDURO, Cirillo Zohrabian ecumenismo vissuto, Roma 1981; F. S. CUMAN, Piedi spezzati. Cirillo Giovanni Zohrabian vescovo armeno cappuccino, Roma, 1982; E. PICUCCI, Il vescovo Cirillo  Zohrabian missionario sempre in cammino, in  MARIANO  d’ALATRI (a cura di) Santi e santità nell’ordine cappuccino, III, Il Novecento, Roma, 1982, pp. 407 – 417; G. D’ASCOLA, Zohrabian,Cirillo Giovanni, in Biblioteca Santorum. Prima appendice, Roma, 1987, 1478 – 1479; F. S. CUCINOTTA, Mons. Cirillo Zohrabian in Grecia (1923 – 1938). L’autobriografia inedita. Excerpta ex Dissertatione ad Doctoratum, Roma, Pontificio Istituto Orientale, 2003.

[19] Cfr. A. LANZA, Don Orione e il senatore Ernesto Schiaparelli in Don Orione oggi, 91 (1996/6),pp.12-13.

[20] L’Italica Gens è un’associazione fondata nel 1909 dal Sen. Schiaparelli con lo scopo di “ mantenere vivo il sentimento nazionale” tra gli italiani all’estero e coordinare, d’intesa con le autorità governative italiane, le iniziative in favore degli emigrati, volte al miglioramento delle condizioni materiali e, soprattutto all’educazione e all’istruzione.

[21] C. G. ZOHRABIAN, A servizio dei fratelli. Memorie di vita missionaria, 1 vol., Fiamma Serafica ed., 1965, p. 124.

[22] Il 21.8.1924 Don Orione scrive a Don Risi a Roma: “Entro un mese, al più, giungeranno alla Colonia S. Maria 40 orfani Armeni a £ 125 al mese cadauno. £ 5000 complessive” Scritti, 7, 242. Il 19.9.1924 sempre Don Orione scrive a Don Giorgis: “Mi sono impegnato ad accettare 40 orfani Armeni”. Scritti 28,291. Mentre a Don Zanocchi il 22.9.1924 scrive: “A Monte Mario mettiamo 40 orfani di cristiani Armeni massacrati dai turchi, e, dopo un anno, li porteremo nell’Isola di Rodi dove apriremo vasta Colonia agricola”: Scritti, 1, 70.

[23] L’istruzione agraria è tra le attività che Don Orione si proponeva di realizzare con la sua Congregazione; cfr “L’Opera della Divina Provvidenza” 5 (1907), 18, 1 dicembre. L’impegno della Piccola Opera della Divina Provvidenza nell’ambito delle colonie agricole  si diffuse in varie parti d’Italia: Mornico Losanna (PV) nel 1896; Villa Immacolata, Noto (SR) nel 1899; S. Pietro alla Petraia (Orvieto) nel 1900; S. Giuseppe alla Nunziatella (Roma) nel 1900; S. Giuseppe alla Balduina (Roma) nel 1901; S. Maria del perpetuo soccorso- Monte Mario (Roma) nel 1901; S. Antonio (Cn) nel 1907; Madonna della Divina Provvidenza (Cassano Ionio) nel 1909; a Rodi nel 1928. Cfr A. ROBBIATI, Le colonie agricole e la formazione professionale, in La figura e l’opera, op. cit., pp.193-220.

[24] Don Orione il 4 ottobre 1924 da Tortona scrive a Don Sterpi: “…lunedì  Don Gatti va a Roma per intendersi col Principe Chigi e poi andare a Corfù a rilevare i 40 ragazzi Armeni”: Scitti,15 ,116. 

[25] Cfr. G. PAPASOGLI, Vita di Don Orione, Gribaudi , Torino 2004, pp.335 – 337.

[26] Ne diede notizia la “Rivista illustrata dell’Esposizione Missionaria Vaticana” del 31 dicembre 1925: “Il 14 settembre u.s. apriva le sue porte a 48 orfanelli un magnifico edificio sito nella parte Sud – Est della città di Rodi….È stato affidato ai Figli della Divina Provvidenza”, in Piccola Opera della Divina Provvidenza, 21 (1926 /2).

[27] G. DELLALIAN, Testimonianza – Dattiloscritto, op. cit., pp.2-5.

[28] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op.cit.,pp.2-3.

[29] L’Arcivescovo di Rodi è Mons. Giovanni  Maria Castellani dell’Ordine dei Minori Francescani, originario di Todi. Prima di essere nominato Arcivescovo risiedeva a Rodi come membro della Missione inviata dall’Italia. La sua paterna bontà e la sua cultura realizzarono buoni frutti apostolici nell’Isola: le parrocchie erano passate da una ad otto, i rapporti con le altre religioni  come la Chiesa greco-ortodossa, i mussulmani e gli ebrei erano improntati a sincera cordialità e carità, l’assistenza attraverso le scuole ha portato buoni  risultati nella conquista religiosa e tra i suoi collaboratori in questa attività aveva gli umili e laboriosi religiosi di Don Orione.

[30] L. BERRA, Sosta a Rodi in viaggio verso la Terra Santa. Terza vita dell’Isola delle  rose, in Piccola Opera della Divina Provvidenza, 29 (1934/8 ), pp.12-13.

[31] Il risorgimento agricolo cristiano a Monte Mario (Roma), in “L’Opera della Divina Provvidenza”, 8 (1909), 6.

[32] Da Rodi, “L’Opera della Divina Provvidenza”, 23 (1928), 8-9 agosto-settembre.

[33] Don Orione: “Noi dobbiamo avere e formarci ad un sistema tutto nostro di educare; un sistema che completi quanto già di buono abbiamo negli antichi e anche nei moderni sistemi di educazione, un sistema che reagisce contro la educazione cristiana data all’acqua di rosa. Di apparenza più che sostanza, di formule più che di vita”. Lettere, I, p. 358. Cfr. A. BIANCHI, Don Orione, educatori ed educazione, in Don Orione e il novecento, Atti del Convegno di Studi (Roma, 1-3 marzo 2002), Rubettino, Saveria Mannelli, 2003, pp. 199-227; ID, L’Educazione cristiana nell’opera e nella riflessione di Don Orione, in San Luigi Orione: da Tortona al mondo, Vita e Pensiero, Milano, 2004, pp.153-170. F. GUALDONI, Il metodo educativo orinino: il cristiano paterno, in La “Casa Madre” di Tortona, Cento anni di storia (1905-2005), Gruppo Studi Orionini – Provincia Religiosa San Marziano, 2006, pp.31-44

[34] Lettere, I, p.358.

[35]P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., pp.3-4.

[36] Già il 3 novembre del 1925 Don Orione da Tortona così scrive a Don Bruno: “Mi ha dato molta consolazione il battesimo e l’abiura di parecchi orfanelli Armeni a Rodi”: Scritti,23, 134.

[37]G. DELLALIAN, Testimonianza – Dattiloscritto, op. cit., p.5.

[38]P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op.cit., p.4.

[39] Idem,p. 4.

[40] La testimonianza di Don Chamlian dice così: “Ho detto che eravamo otto ragazzi dai 13 a 16 anni. Ecco i loro nomi: mentre scrivo questi nomi sono ancora addolorato della notizia della morte di Don Onnik Dellalian, che era il più piccolo della comitiva; poi c’ero io Pedros Chamlian; i due fratelli Stefano e Giacomo Deragopian; poi viene Giorgio Sciahinian, Giuseppe Delimetinian, Bergi Benlian e finalmente Pasquale Budurian.”: P.CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 5; Cfr. G. VENTURELLI, Don Orione”amico e padre degli orfani d’Armenia” in Don Orione oggi 84 (1989/2) pp..19-22; F.PELOSO, Don Orione: un vero spirito ecumenico, Edizioni Dehoniane, Roma 1997, pp.80-81.

[41] Anche Don Dellalian ricorda la notizia quando afferma: “Facemmo un viaggio di tre o quattro giorni e sulla stessa nave colla quale eravamo venuti da Costantinopoli a Rodi”: G. DELLALIAN, Testimonianza – Dattiloscritto, op. cit., p. 5.

[42]P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 5 . Mentre la testimonianza di Don Dellalian non concorda circa l’ora di arrivo a Roma quando  dice: “Sbarcammo a Brindisi, prendendo poi il treno per Napoli-Roma. Giungemmo all’Eterna Città verso le due pomeridiane. Eravamo storditi dal lungo viaggio soprattutto per quel tratto da Napoli a Roma, dove la strada ferrata era abbastanza brutta”: G. DELLALIAN, Testimonianza – Dattiloscritto, op. cit.,.p. 5.

[43] Idem, pp.5-6..

[44] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit. p. 6. Sempre di Don Chamlian abbiamo questa ulteriore testimonianza di quell’incontro: “Verso le 4 ci trovammo nel piccolo parlatorio dell’Istituto Divin Salvatore. Fu annunziato a Don Orione che gli Armeni erano ad attenderlo in parlatorio. Don Orione appena ebbe l’annunzio corse subito giù. Noi in quel frattempo stavamo fantasticando con la nostra mente, qual uomo potesse mai essere Don Orione che aveva sotto di sé tanti preti e tanti chierici sparsi in diverse case, e comandava tanta gente. In quel mentre comparve alla porta un sacerdote piuttosto anziano, l’assistente ci disse che era Don Orione. Noi baciamo la mano secondo il nostro uso, cioè dopo averla baciata portiamo la stessa mano sulla nostra fronte alquanto inchinata. Don Orione dopo aver chiesto a ciascuno il proprio nome, volle sapere il significato della portata della mano sulla fronte nell’atto di baciare. Uno di noi spiegò dicendo come con questo atto noi riconosciamo nella persona di colui che si bacia la mano il nostro superiore e perciò quest’atto significa la sottomissione della nostra mente alla sua volontà. Quest’atto piacque tanto a Don Orione e perciò ci raccomandò di non mai abbandonare questa usanza così significativa. Difatti quando il nostro amato Superiore Don Orione ci presentava a qualche personaggio illustre o a qualche nostro benefattore spiegava loro il nostro modo di baciare le mani; e se noi qualche volta nel baciare la sua mano tralasciavamo il secondo atto o per dimenticanza o per vergogna dei circostanti, Egli amorevolmente ci rimproverava e ci diceva che non dobbiamo mai dimenticarci le nostre tradizioni…”: da PETROS CHAMLIAN, Relazioni, S. 5.  II.°, in ADO.

[45] G. DELLALIAN, Testimonianza – Dattiloscritto, op.cit.p.6

[46] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op.cit. p.6.

[47] Idem, pp.6-7.

[48] G. DELLALIAN, Ricordi di Congregazione  Don Giovanni Dellalian, 14.1.1963 – Los Angeles (Chile), ADO, Cartella Dellalian, p.1.

[49]  P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 8.

[50]  Scritti,71, 84.

[51]  I giovani aspiranti erano 8, ma come ricorda Don Chamlian uno si ammalò: “Da un po’ di tempo si parlava della vestizione clericale di almeno sette di noi, perché uno si ammalò e dovette essere ricoverato all’ospedale di Santa Maria del Riposo a Monte Mario, si trattava del fratello di Stefano, il giovane Giacomo Deragopian e  Stefano ne soffrì immensamente di questa separazione. Anche tutti noi abbiamo condiviso il suo dolore”. Idem, p. 7. Giacomo  riceverà la veste da Don Orione nel maggio del 1933 nella cappella dello Studentato di Via delle Sette Sale.

[52] Parola III, in ADO, pp. 172-173.

[53] P. CHAMLIAN, Relazioni, 16 giugno 1943, S. 5. IV, in ADO.

[54] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 8.

[55] G.DELLALIAN, Testimonianza – Dattiloscritto, op. cit., p. 6.

[56] Scritti, 17, 10.

[57] Scritti, 45, 235.

[58] P. CHAMLIAN, Diversi episodi di Don Orione riguardanti gli Armeni, ADO, S.5. II. a., p. 2. Mentre Don Dellalian  così narra l’episodio: “Andammo una volta noi Armeni, con Don Orione a Roma. C’era una udienza collettiva dei Vescovi, preti e suore armene; eravamo stati invitati anche noi chierici perché appartenenti a quella nazionalità. Don Orione volle accompagnarci, ma nella sala delle udienze si nascose tra due finestre protette da cortine. Spariva tra i panneggi in quell’angolo. Quando passò il Papa Pio XI, e porse a lui, come agli altri, la mano da baciare, lo riconobbe subito e fece quasi un passo indietro ed esclamò: “Don Orione qui...! Poi gli porse la mano da baciare…”. G. DELLALIAN, Ricordi di Congregazione, op. cit., p. 3.

[59] Cfr. P. CHAMLIAN, Seconda relazione, op. cit., p. 1.

[60]  Cfr. F. PELOSO, Don Orione un vero spirito ecumenico, op. cit., nota 99,p. 85.

[61] Scritti, 23, 167.

[62] Scritti, 17, 63.

[63] Scritti, 17, 69.

[64] P.CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 8. Don Dellalian dice: “…poi andammo a Tortona, proseguendo per il nostro seminario di Voghera, che funzionava da un anno. Ci stemmo nel ’29, ’30, ’31. Dirigeva Don Bruno e c’era anche Don Merino…”: G. DELLALIAN, Ricordi di Congregazione, op. cit., p. 1.

[65] Nel 1932 si fece il presepio vivente a Voghera che Don Orione presentò come “una manifestazione di fede e di arte veramente grandiosa, unica in Italia”(Scritti 62,36); cfr. F. PELOSO, San Luigi Orione promotore del presepio vivente, in L’Osservatore Romano del 6.1.2006. p. 5 .

[66] G. DELLALIAN, Ricordi di Congregazione, op. cit., 1-2.

[67] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 8-9.

[68] “Dopo la festa della Guardia, Don Orione ci fa chiamare, me e Stefano Deragopian, in camera sua e ci dice che ha intenzione di mandarci a Roma per continuare i nostri studi all’Università Gregoriana. Ci prepariamo dunque e, insieme ad altri otto chierici di Voghera partimmo per Roma”: P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 9.

[69] “Durante le vacanze di quest’anno (1932) – che facevamo sul Monte Soratte – il mio caro amico Stefano prese un’insolazione: subito trasportato a Roma, il male s’aggravò e morì il 22 agosto 1932. Degli altri so soltanto che non hanno perseverato nella Congregazione: Bergi Benlian è ritornato a Istambul, Giuseppe Dilimentinian è andato a finire in Australia, Pasquale Budurian è disperso nella regione di Napoli. Solo di sicuro so che si trova a Marghera Giorgio Sciahinian, col quale ci scriviamo qualche volta”: Idem, p. 12.

[70] Idem, p. 9.

[71] G. DELLALIAN, Ricordi di Congregazione, op. cit., p. 6

[72] Idem, p. 4.

[73] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 10.

[74] Idem, p. 10.

[75] Cfr. G. PAPASOGLI, Vita di Don Orione, op. cit., pp. 396-437.

[76]  Scritti 19, 127.

[77]  ADO, Fondo Armeni

[78] “Finita la teologia, sono tornato a Tortona per prepararmi agli ordini sacri insieme al chierico Onnik. Abbiamo preso la tonsura il 16 dicembre 1941 e, il 28, i quattro minori. Il 28 febbraio, sempre con Don Giovanni, abbiamo preso il Suddiaconato e il 21 marzo il Diaconato. Dopo gli  Esercizi Spirituali, fatti nel primo di luglio del 1942, il 12 di luglio, nel Santuario della Madonna di Caravaggio a Fumo San Quirico, il Vescovo di Tortona, Mons. Egisto Melchiorri ci conferiva l’ordine sacerdotale, a noi e ad altri 12 confratelli”: P.CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 11.

[79] L’Abate Emanuele Caronti (Benedettino) era nato a Subiaco (Roma), morto a  Noci (Bari) nel 1966, a 83 anni di età, 68 di Professione e 61 di Sacerdozio. È stato Visitatore Apostolico della Piccola Opera della Divina Provvidenza dal 7 luglio 1936 al 21 ottobre 1946.

[80] ADO, Fondo Armeni

[81] ADO, Fondo Armeni

[82] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p.9 e 11.

[83] ADO, Fondo Armeni

[84] ADO, Fondo Armeni

[85] P. CHAMLIAN, La storia degli Armeni, op. cit., p. 11-12.

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