Pescina dei Marsi ha dedicato a San Luigi Orione un monumento e una via; un gesto di riconoscenza verso lo “strano prete” che fu visto da Ignazio Silone aggirarsi tra le macerie del paese nei giorni “grigi e gelidi” del terribile terremoto del 1915.
Alcuni documenti inediti testimoniano la relazione di Don Orione con Pescina.
Don Flavio Peloso
I - L’AUTO DEL RE REQUISITA DA DON ORIONE
Il terremoto
Il 13 gennaio 1915 alle ore 7,55 una forte scossa di terremoto devastò il territorio della Marsica, negli Abruzzi. L'epicentro fu individuato nella conca del Fucino da dove l’ondata sismica decrescendo in intensità, colpì anche alcune zone al confine con la Campania e con il Lazio. Avezzano, capoluogo della regione, fu in gran parte raso al suolo. Moltissime le vittime e fra queste anche parte delle autorità militari e civili. Interrotte le comunicazioni, la notizia del disastro fu segnalata da Sante Marie, località distante circa 30 km. dal capoluogo, solo nel tardo pomeriggio.
Gli effetti del terremoto nel circondario di Avezzano furono catastrofici. Collarmele, S.Benedetto dei Marsi, Paterno, Gioia dei Marsi, S. Pelino ed altri paesi furono pressoché distrutti. Il bilancio del terremoto oltre che per i danni fu enorme anche per il numero delle vittime: sotto le rovine delle case e degli edifici pubblici crollati rimasero circa 25.000 abitanti su un totale di oltre 124.000 persone residenti nelle aree disastrate. Ad Avezzano su 11.208 abitanti le vittime furono 10.719; a Pescina , dove nacque nel 1900 Ignazio Silone, circa 5.000 su 10.400; a S. Benedetto dei Marsi che contava, secondo dati del 1911, 3.960 abitanti circa 3.000; a Sora nel Lazio, in provincia di Frosinone, 3.000 su 17.000. Moltissimi anche i feriti. Le strade risultarono per lo più intransitabili in quanto franate o rese ingombre dalle macerie. Rimasero inoltre in parte danneggiate le linee ferroviarie e le comunicazioni telegrafiche e telefoniche.
Tempestivamente il Re Vittorio Emanuele III, accompagnato dal generale Guicciardi, già nel primo pomeriggio del 14 gennaio, giunse nei luoghi del terremoto. Vi giunse per ferrovia e poi con auto militari, nei giorni successivi, fece visite di ricognizione delle zone devastate.
Tra i primi a giungere sul luogo del disastro fu Don Luigi Orione. La notizia giunse il 14 pomeriggio ed egli partì da Tortona la mattina del 15 gennaio, ma poté giungere ad Avezzano solo il giorno 18. Questo sacerdote fu visto all’opera e restò nella memoria di quei due ragazzi orfani e delle migliaia di sopravvissuti impauriti come un personaggio quasi mitico, un angelo salvatore, una figura familiare che aiutava consolava affetti e sicurezze perdute.
Il ricordo di Silone
La famiglia Tranquilli abitava in Via Fontamara, a Pescina de’ Marsi. Sotto le macerie di Pescina de’ Marsi perirono la madre e il fratello Domenico. Gli altri due figli, Secondino, di 15 anni, e Romolo, di 11 anni, si salvarono e restarono senza alcun parente ad eccezione della nonna Maria Vincenza.
“Si era appena a pochi giorni dopo il terremoto – racconta Ignazio Silone in Uscita di sicurezza -.[1] La maggior parte dei morti giacevano ancora sotto le macerie. I soccorsi stentavano a mettersi in opera. Gli atterriti superstiti vivevano nelle vicinanze delle case distrutte, in rifugi provvisori. Si era in pieno inverno, quell’anno particolarmente rigido. (…) Una di quelle mattine grigie e gelide, dopo una notte insonne, assistei ad una scena assai strana. Un piccolo prete sporco e malandato con la barba di una decina di giorni, si aggirava tra le macerie, attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano il piccolo prete chiedeva se vi fosse un qualsiasi mezzo di trasporto per portare quei ragazzi a Roma. La ferrovia era stata interrotta dal terremoto, altri veicoli non vi erano per un viaggio così lungo. In quel mentre, arrivarono e si fermarono cinque o sei automobili. Era il re, col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi scesero dalle loro macchine e si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una di esse i bambini da lui raccolti. Ma, come era prevedibile, i carabinieri rimasti a custodire le macchine, vi si opposero; e poiché il prete insisteva, ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l’attenzione dello stesso sovrano. Affatto intimidito, il prete si fece allora avanti e, col cappello in mano, chiese al re di lasciargli per un po’ di tempo la libera disposizione di una di quelle macchine, in modo da poter trasportare gli orfani a Roma, o almeno alla stazione più prossima ancora in attività. Date le circostanze, il re non poteva non acconsentire.[2]
Assieme ad altri, anch’io osservai, con sorpresa e ammirazione, tutta la scena. Appena il piccolo prete col suo carico di ragazzi si fu allontanato, chiesi attorno a me: «Chi è quell’uomo straordinario?». Una vecchia, che gli aveva affidato il suo nipotino, mi rispose: «Un certo don Orione, un prete piuttosto strano».[3]
Un telegramma legalizza l’appropriazione dell’auto del Re
Ricercando negli archivi del Ministero degli Interni è stato trovato il telegramma – datato 23 gennaio 1915 (doc. 3120) - che legalizza il dono dell’autoveicolo… che era stato requisito durante la visita del Re ai terremotati.
“SR – Avezzano – 660 0 23 13.35 – MR INT UFF TERR RM
Assicuro aver messo a disposizione Don Orione un camion per raccogliere orfani patronato Regina Elena. PR Commiss Palliccia”.
Da notare la data, 23 gennaio. L’atto burocratico giunse sorprendentemente celere. Questo prezioso documento dà validità storica al racconto fatto da Silone nel suo racconto in “Uscita di sicurezza”.[4]
II. I PESCINESI SI RIVOLGONO A DON ORIONE PER RICOSTRUIRE LA LORO CHIESA
Lettera dei Pescinesi a Don Orione[5]
Pescina era la sede vescovile della Diocesi marsicana. Il terremoto rovinò la cattedrale che divenne inagibile. Il Vescovo pose la sua residenza nella più sicura Tagliacozzo. La scelta doveva essere provvisoria. I Pescinesi si diedero alacremente da fare per rimettere in piedi quanto prima la loro chiesa cattedrale con la speranza che ritornasse presto a Pescina anche la sede vescovile. Per essere aiutati nell’ardua impresa si rivolgono a Don Orione.
Al Sacerdote D. Luigi Orione
Roma
La generosità del suo animo e la nobiltà del suo cuore, largamente note alla sventurata popolazione della Marsica, per la quale ella ha profusa tutta la sua attività, in molteplici manifestazioni della carità umana, ci additano il suo nome e la sua persona come quella che è destinata a compiere tutte le migliori opere di carità e di beneficenza di cui le rinascenti energie della regione sentono ancora il bisogno per la loro completa risurrezione.
Pescina è tra i paesi che più alacremente s’incamminano per questa via; ma a compiere il suo destino e la sua rinascita nel nuovo abitato che Governo e Popolo hanno edificato un’opera manca, fra tutte resasi ora la più essenziale, la più necessaria, e che sarà la più duratura, e la più stabile, perché sorretta dall’antica fede dei padri, la Chiesa.
Questa città che da dieci secoli è la sede della illustre Diocesi de’ Marsi, non può ulteriormente sentire, in un centro così numeroso di popolo, la mancanza di un luogo di raccoglimento e di preghiera e la conseguente assenza del suo Vescovo.
Un’apposita commissione si è proposta la costruzione di questa Chiesa, ed ha rivolto il suo appello alle autorità, ai cittadini perché concorrano alla spesa non lieve che un’opera così importante comporta.
E non poteva dimenticare il suo nome, arra sicura della riuscita e su cui fa il suo maggior affidamento, nella convinzione che come sempre ella porterà in questa opera di fede il suo più efficace e valido contributo.
E si augura che ella vorrà rispondere con l’entusiasmo della sua anima generosa all’appello che le viene da questa città, che saprà serbare per lei il ricordo riconoscente del suo interessamento.
Un maggior convincimento della necessità del progettato lavoro le deriverà se ella potrà personalmente visitare Pescina, e noi saremmo onorati di poterle esporre a viva voce quello che con lo scritto non può esserle dettagliatamente spiegato.
Con perfetta osservanza.
Pescina 9 ottobre 1916.
Il Comitato
Avv. Notar. Serafino Maccarone
Avv. Nicola De Giorgio
Antonio Pane. Agente Imposte
Ranalli Ermenegildo. Segretario
Andrea Iammamorelli. Cancelliere
Avv. Orazio Cambiso. V. Pretore
Antonio Carfagna. Conciliatore
Luigi Biondi medico
Di Muzio Gaetano Geometra
Federico Cavallari Ricevitore
Giuseppe Taddei Negoziante
Dott. Canale Parola Edoardo
Vincenzo Ferrara Maestro
Avv. Goffredo Taddei
Rag. Achille Piccini Segretario Genio Civile
Antonio di Muzio Can. Curato
Secondo Sambenedetto
Lettera di Don Orione a Mons. Pio Bagnoli, vescovo di Pescina[6]
Don Orione non rifiuta il suo aiuto e offre la sua disponibilità purché sia il Vescovo stesso a chiedergliela.
Reggio Calabria li 27 ottobre 1916
Eccellenza Reverendissima,
Ricevo da Pescina la lettera, che troverà qui acclusa e che mi faccio dovere di trasmettere a V. E., per la parte che Le può interessare di conoscere, e a parte le sciocchezze che si dicono a mio riguardo.
Non conosco e non ebbi mai verun rapporto con alcuno dei firmatari né con altri di Pescina.
Ho saputo l’anno scorso da V. E. e forse da qualcun altro che c’era stato del mal umore pel trasferimento della Sede Vescovile e non altro.
Ora siccome tutto avviene per disposizione del Signore, se V. E. credesse che questo atto del Comitato potesse essere un filo della Divina Provvidenza per fare del bene e portare pace a quegli animi, si valga pure di me come di un suo figliuolo in Gesù Cristo.
Per divina grazia capisco bene di valere proprio nulla, ma Iddio Benedetto suole sovente valersi di ciò che è debole ed è nulla per fare risplendere meglio la Sua sapienza e la Sua bontà infinita.
Perdoni tanta libertà in Domino e si degni pregare per me e darmi la benedizione.
Di V. E. Rev.ma dev.mo Servitore in Gesù e Maria SS.
Sac. Orione dei figli
della Divina Provvidenza.
P. S. Ora che rileggo, mi pare d’essermi messo troppo innanzi per la mia superbia. Vostra Eccellenza si degni raccomandarmi di più al Signore e non tenerne conto.
Non abbiamo trovato altro documento sulla questione. Di fatto, poi, sede della diocesi diverrà Avezzano.
III LA TESTIMONIANZA DI IGNAZIO SILONE AL PROCESSO DI CANONIZZAZIONE DI DON ORIONE
Ignazio Silone accettò di testimoniare al processo di canonizzazione di Don Orione. Negli atti del processo la sua deposizione è segnata: Textis XX, Sessio CXXIV.a (Proc. ff: 643v. 647v.). Eccone il testo conservato nell’Archivio della Postulazione Don Orione.
Anno Domini 1964 die 12 mense Novembri hora 15,30.
Coram R.mo Iudice infrascripto pro tribunali sedenti in Centro Mutilatini Don Orione praesentibus D. Augustino Ceveriati Sub-Promotore Fidei, legitime citato, meque Notario, comparuit Ignatius SILONE testis inductus et citatus, qui renuit iuramentum, iurando “sul suo onore”, et sese subscripsit ut infra: Ignazio Silone testis iuravi. (…)
Ad. II.m
Ignazio Silone fu Paolo e fu Marianna Delli Quadri nato a Pescina (L’Aquila) il 1 maggio 1900, cattolico, scrittore, domiciliato a Roma in Via di Villa Ricotti 36, coniugato.
Ad III.um
Né parente, né affine. Depongo per contribuire anche solo in parte alla glorificazione di Don Orione e anche per un sentimento di riconoscenza.
Ho letto scritti e biografie su Don Orione: nelle mie deposizioni però voglio prescindere dalle notizie che vi ho apprese.
Ad IV.um – V.um
Lo conobbi nel 1916. Lo vidi fuggevolmente dopo il terremoto della Marsica; nel 1915. Ricordo, per essere stato presente, che Don Orione aveva raccolto un gruppo di bambini scampati al disastro e privi di famiglia. Don Orione era in attesa di poterli trasportare a Roma, ma la linea ferroviaria era interrotta e per giungere alla prima stazione bisognava percorrere ancora una quarantina di chilometri. Sul luogo si trovava già il Re con le autorità del seguito e le loro macchine erano ferme. Don Orione cominciò a far salire i bambini su alcune macchine, per raggiungere la stazione: I carabinieri di guardia si opponevano, ma Don Orione sembrava non badare e continuava nelle sue operazioni di carico. Frattanto giungeva il Re con il suo seguito per riprendere posto sulle macchine. Don Orione si presentò rispettosamente a lui e gli espose il motivo per cui faceva salire sulle macchine i piccoli orfani. Il Re accolse il desiderio di Don Orione e diede il suo consenso al trasporto dei piccoli orfani. Don Orione salì con essi sul primo treno e li accompagnò a Roma alla Casa di Sant'Anna dei Palafrenieri.
Solo nel 1916, come ho riferito, posso dire di aver conosciuto Don Orione.
In quell'anno, per terminare gli studi ginnasiali, ero stato messo in un collegio diretto da zelanti religiosi. Un po' prima di Natale, senza alcun motivo plausibile, fuggii dal collegio. Me ne andai senza rendermi conto di quello che facevo e senza alcuna meta, semplicemente perché, ad un certo momento, vidi il cancello del cortile spalancato. Avevo poche lire in tasca e, naturalmente, senza bagaglio. Presi alloggio in una soffitta di un piccole. albergo, vicino alla stazione. Vi rimasi tre giorni e passai il tempo a vedere arrivare é partire i treni.
Intanto la mia assenza dal collegio fu segnalata alla questura e il terzo giorno fui prelevato da un poliziotto e ricondotto in collegio, in attesa di una risposta di mia nonna, cui spettava, in qualità di tutore, di decidere del mio avvenire. La risposta della nonna non tardò molto e mi portò la notizia che un certo Don Orione era disposto a prendermi in un suo collegio.
Era stato fissato l'incontro, tramite il mio direttore, alla stazione centrale di Roma, ove, al giorno e al punto stabilito, trovai uri prete sconosciuto, non quello da me visto l'anno prima tra le macerie del mio paese ed io pensai che Don Orione fosse stato impedito di venire. Egli si caricò le mie valigie e fagotti e prendemmo il treno.
Dovendo viaggiare tutta la notte, a un certo punto, mi chiese se avessi portato con me qualcosa da leggere e se desideravo un giornale e quale. « L'Avanti », io risposi. Era difficile immaginare una richiesta più impertinente da parte di un collegiale. Ma, senza scomporsi, quel prete scese dal treno e poco dopo riapparve e mi porse il giornale. « Ma perché - gli chiesi - Don Orione non è venuto? » « Sono io, Don Orione! ' » - egli mi disse - « Scusami se non mi sono presentato ».
Rimasi assai male a quella inattesa rivelazione. Nascosi subito il giornale e balbettai alcune scuse per la mia presunzione di poc'anzi e per avergli lasciato portare le valigie. Egli sorrise e mi confidò la sua felicità di poter talvolta portare le valigie. Adoperò anzi un'immagine che mi piacque enormemente e mi commosse: « Portare le valigie come un asinello » e mi confessò: « La mia vocazione - è un segreto che voglio rivelarti - sarebbe poter vivere come un autentico asino di Dio, come un autentico asino della Divina Provvidenza ».
Così ebbe inizio tra noi un dialogo che, salvo qualche breve pausa, durò l'intera notte. Don Orione, benché prima di allora non ci fossimo mai incontrati, parlava con una semplicità, una naturalezza, con una confidenza, di cui non avevo ancora conosciuta l'eguale. Solo a sera, quando fu lasciata accesa una sola lampadina, i tratti di Don Orione riacquistarono una somiglianza con quelli da me visti l'anno prima al mio paese. Glielo dissi, gli ricordai la circostanza delle automobili reali. Egli mi raccontò le sue faticose peripezie di quelle giornate; mi raccontò di aver impiegato ventisette giorni per percorrere l'intera contrada devastata, durante i quali non era mai andato a letto e non aveva conosciuta una notte intera di riposo, ma solo qualche ora su giacigli improvvisati, senza togliere le scarpe dai piedi per non rischiare il congelamento. Appena aveva raggiunto un certo numero di orfani o di ragazzi abbandonati egli li trasportava a Roma e poi tornava immediatamente sui luoghi del disastro per salvarne altri.
Mi raccontava della sua misera e stentata origine suo padre esercitava un umile mestiere, quello di selciatore di strade, ed egli da ragazzo lo aveva spesso aiutato nell'ingrato mestiere. Anche quando, più tardi, egli era stato accettato nel seminario diocesano, per usufruire dell'alloggio gratuito, aveva dovuto disimpegnare le funzioni di chierico nella cattedrale. Mi raccontò vari episodi commoventi della sua adolescenza. Ricordo, tra l'altro, il primo viaggio a Roma per vedere il Papa, col semplice viatico di una pagnotta casalinga, e di cinque lire.
Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo: provavo una pace e una serenità nuova. Ciò che mi è rimasto impresso era la pacata tenerezza del suo sguardo. La luce dei suoi occhi aveva la bontà di chi nella vita ha pazientemente sofferto ogni sorta di triboli e perciò sa le pene più segrete. In certi momenti avevo l'impressione proprio che egli vedesse in me più distintamente di me, che egli vedesse anche nel mio avvenire. « Vorrei dirti qualche cosa che non dovresti dimenticare - ad un certo momento egli mi confidò - Ricordati di questo: Dio non è solo in chiesa. Nell'avvenire non ti mancheranno momenti di cupa disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Ricordati di questo!». Mi accorsi che i suoi occhi erano lucidi di lacrime. Non mi era mai capitato di incontrare una persona adulta che si aprisse così sinceramente e semplicemente con un ragazzo.
Arrivammo a Sanremo verso mezzogiorno. La sera, nel momento in cui Don Orione dovette ripartire, udii che egli incaricava qualcuno di cercarmi, perché voleva salutarmi, ma io mi nascosi. Non volli che egli mi vedesse piangere. Pochi giorni dopo, la mattina di Natale, ricevetti la sua prima lettera, una lunga, affettuosa, straordinaria lettera di dodici pagine.
Don Orione mi raccontò, in uno dei viaggi fatti insieme, di essere arrivato ad Avezzano una sera del 19 settembre, uno o due anni dopo il terremoto, e l'indomani mattina uscì per andare a dire Messa. Terminata la Messa, giunse un messo, che lo invitò immediatamente dal Vescovo. Il Vescovo gli chiese se era lui che aveva portato la bandiera, posta sul Patronato. Don Orione assicurò di non averla portata lui. Ma il Vescovo subito gli ingiunse di non recarsi mai più nella diocesi dei Marsi fino a che lui vivesse. Don Orione lo raccontava con tranquillità, ma con tristezza.
Avevo circa vent'anni e facevo il giornalista in un periodico molto avversato e quindi vivevo miseramente, alla insaputa di tutti. Il giorno di Natale andai in una trattoria, cercando di stare in una cifra modestissima, ma alla fine il conto superò la cifra in mio possesso. L'oste volle il mio consunto impermeabile come pegno per il resto della somma. Pioveva. Uscito, ricordai che pochi giorni prima avevo visto Don Orione passare in carrozzella. Decisi di recarmi a cercarlo a Sant'Anna, sperando di trovarlo. Il portiere, pur assicurandomi della di lui presenza, non voleva farmi entrare. Insistetti e mentre confabulavo con il portiere, Don Orione scese e dopo avermi salutato ficcò una mano in tasca e poi mise in mano a me una somma di poco superiore a quanto dovevo pagare. Cosa singolare il gesto di Don Orione, al quale fino a quel giorno mai avevo chiesto denaro.
In un viaggio da Cuneo a Reggio Calabria, in cui gli fui compagno, Don Orione voleva fermarsi a Roma, perché privo di denaro per proseguire. Ma alla stazione di Roma un signore gli si avvicinò e gli consegnò una busta. Don Orione, dopo aver ringraziato, esclamò « Adesso possiamo proseguire ». Impressionava il suo modo di credere in Dio, più presente delle cose reali, e la carità che permetteva il contatto con gli interlocutori, dei quali, in certi casi, prevedeva l'avvenire.
Detto questo, e prima ancora che lo si interrogasse sugli articoli, il teste dichiarò : « Ho detto tutto quello che so di Don Orione e non avrei altro da aggiungere ».
IV DON ORIONE IN DIFESA DI ROMOLO TRANQUILLI
La drammatica vicenda di Romoletto
Romolo Tranquilli (Romoletto) è il fratello minore di Silone. Al tempo del terremoto Romolo aveva 11 anni, uscì dalle macerie con una spalla rotta. Dal Patronato Regina Elena Romolo fu affidato a Don Orione che lo indirizzò all’Istituto “San Filippo” di Via Alba a Roma. Di qui, il 3 febbraio 1919, fu accolto a Tortona, nel Convitto Paterno, dove rimase fino al 20 ottobre del 1920 per poi passare al Convitto San Romolo di Sanremo. Nel luglio del 1921, lasciò le case di Don Orione e ritornò a Pescina. Restò sempre affezionato a Don Orione e a lui ricorse più volte per aiuto e per trovare lavoro. Nel novembre del 1927, Don Orione lo accolse nuovamente a Tortona e gli diede lavoro come linotipista e correttore di bozze presso nell’importante Tipografia Artigianelli che la sua congregazione teneva a Venezia. Romolo era schedato dalla polizia politica e doveva presentarsi settimanalmente in questura a firmare il foglio di presenza. Tutto filava per il verso giusto quando, sul finire del marzo 1928, Romolo abbandonò Venezia. Il 18 marzo comparve a visitare Don Orione, a Tortona. Dopo questa fugace visita, Romolo diventò irreperibile.
Da questo momento, la storia personale di quel giovane irrequieto esce da una dimensione privata perché collegata alla storia di uno dei fatti di sangue più noti e terribili dell’epoca.
Il 12 aprile - dunque Romolo aveva lasciato Venezia da diversi giorni -, a Milano, alle 9.50, esplose una bomba in Piazza Giulio Cesare, nel luogo del passaggio del re Vittorio Emanuele III diretto alla inaugurazione della fiera campionaria. L’attentato provocò la morte di 18 persone e il ferimento di una cinquantina. Scattarono subito le indagini per individuare i possibili autori della strage tra le file di anarchici, repubblicani e soprattutto comunisti. La scomparsa di Romolo Tranquilli dal domicilio di Venezia era già stata segnalata alla Polizia. Il 12 aprile sera, Romolo fu visto all’Hotel Bellavista di Brunate, sopra Como. Alla richiesta dei documenti da parte dei Carabinieri egli salì in camera a prenderli e fuggì saltando dalla finestra. Seguirono ore concitate di ricerche in tutta la zona. Al mattino seguente fu avvistato a Tavernerio e poi a Capiago; infine, verso le ore 13 del giorno successivo, fu arrestato dalla Milizia di Erba in un bosco presso Montorfano. Nelle sue tasche furono rinvenuti documenti falsi a nome di Igino Zuppi e, per di più, furono trovati due foglietti contenenti schizzi di una piazza che poteva sembrare quella dell’attentato. Al questore di Como, Mars, Romolo dichiarò di essere passato da Milano il giorno precedente. C’era quanto bastava per incriminarlo e annunciare di aver trovato l’”assassino” o almeno qualcuno che nella faccenda era implicato.
Romolo fu incarcerato a Como e successivamente trasferito a Milano.
Nella vicenda venne presto coinvolto direttamente anche Don Orione che aveva accolto e aiutato Romolo nella sua ultima residenza, alla Tipografia “Artigianelli” di Venezia.[7] Il suo nome apparve sui giornali vicino a quello di Romolo in quanto suo ex alunno. Don Orione passò ore di trepidazione, ma scese in campo a testimoniare in difesa del suo ex alunno.
Verbale della deposizione di Don Orione alla Questura di Genova[8]
Devo all’amico e storico Mimmo Franzinelli, il ritrovamento del verbale della deposizione di Don Orione resa presso la Questura di Genova, il 22 aprile 1928, a 10 giorni dalla strage di Milano, quando su Romolo gravava ancora il rischio di finire davanti al plotone di esecuzione.[9]
L’anno 1928 (VI del Littorio) il giorno 22 aprile
Negli Uffici della R Questura di Genova
Avanti di noi sottoscritto Funzionario di PS ed ufficiale di polizia giudiziaria è presente il rev. Orione Luigi fu Vittorio e fu Carolina Febbri nato a Ponte Curone (Al) il 23 giugno 1872 sacerdote residente a Tortona il quale opportunamente interrogato ha dichiarato quanto segue:
Avvenuto il terremoto dell’Abruzzo, fui incaricato dal Patronato “Regina Elena” che ha sede in Roma via Colosseo 34 al quale, per legge, è stata affidata la tutela di tutti gli orfani del terremoto, di recarmi sui luoghi del disastro, nella qualità di delegato del patronato stesso e di prendermi cura degli orfani a causa del terremoto ed anche di tutelare i loro averi. Già in precedenza avevo simile incarico per gli orfani del terremoto di Messina.
Il Tranquilli Romolo venne mandato a me dallo stesso patronato nel febbraio 1919, dopo che egli era stato allontanato da un istituto, credo di Salesiani, di Roma. Sin dal terremoto calabro siculo la presidente del patronato Contessa Gabriella Spalletti Rasponi, e i segretari generali del patronato usavano affidarmi in modo speciale tutti quegli orfani che non facevano troppo bene presso altri istituti, forse perché avendone io estratti molti dalle macerie ed avendo loro fatto da padre in quei primi dolorosi giorni, essi mostravano particolare affetto per me, ed io potevo di più sul loro animo. Moltissimi con l’aiuto di Dio li ho redenti avviandoli a vita onorata. Parecchi sono muniti di diploma di insegnamento, altri avvocati, dottori in lettere, operai onesti e buoni cittadini; purtroppo qualcuno non riuscì quantunque ritengo che forse, in età più matura, i buoni principi seminati nei loro animi rinasceranno.
Il Tranquilli Romolo lo presi con me a Tortona e poiché l’anno scolastico era già incominciato, ed egli veniva da una scuola privata, non potevo più iscriverlo al Regio Ginnasio (egli proveniva da una quarta ginnasiale privata, benché abbia anche questo dubbio che fosse ancora alunno di terza). Trovai in lui un giovane intelligente ma non sempre di ferma volontà. Pensai che bisognava incoraggiarlo molto e dargli l’impressione che studiando poteva guadagnare qualche anno di studio, e così occuparlo e rialzarlo nel suo morale. Egli fece varie lezioni private intense; egli non perdette l’anno e nel 1920 diede la licenza ginnasiale.
Mi fece in quel periodo di tempo qualche biricchinata [una parola incomprensibile] la più grave: nel primo maggio, egli ed un altro orfano mi fuggirono dall’istituto e presero parte alla dimostrazione socialista in Tortona e mi fu riferito che il Tranquilli si sarebbe calato in un salone di socialisti a parlare contro di me come se l’educazione a cui venivano cresciuti li soffocasse nelle loro libere manifestazioni. Mi fu pure detto che fu zittito dal pubblico o perché tutta Tortona sa come tengo i ragazzi o perché pareva a qualche elemento più temperato dell’adunanza che fosse atto d’ingratitudine. A me quell’atto ha fatto del bene nel senso cristiano: ed ho cercato neanche di fare sapere a quei due giovani figliuoli che conoscevo la loro mancanza subito al loro ritorno. Poi, a mente calma ho fatto il mio dovere richiamandoli sulla buona strada.
Il Tranquilli si mise, poi, bene: io per premiarlo gli feci passare un po’ di vacanze autunnali a Venezia a scopo soprattutto d’istruzione come prima lo avevo mandato a Villa Mossa presso Brà perché fosse aiutato in alcune materie d’insegnamento nelle quali era debole. Nell’ottobre del 1920 lo mandai a San Remo perché frequentasse quel R. Liceo; egli abitava nel convitto S. Romolo. Fu a S. Remo che dopo qualche tempo si diede sfrenatamente allo sport marinando la scuola; e nel gennaio 1921 fu fortemente richiamato e dal Direttore del Convitto San Giulio, Quadrotta, or defunto, e dal Preside del Liceo. Mentre il T. aveva ripreso di buona volontà a frequentare la scuola una ramanzina, forse tropo violenta del preside lo avvilì tanto ch’egli mi scrisse che non intendeva più frequentare il liceo, come da lettera oggi consegnata al Sig. Questore. Gli feci allora dare lezioni private ma visto che non concludeva lo rimisi al patronato Regina Elena dal quale seppi che era stato messo in un collegio a Velletri.
Non lo vidi più che qualche anno fa a Roma, dove seppi che non era riuscito a dare la licenza liceale. Mi disse che faceva il tipografo, che abitava a Roma, che a Velletri aveva la fidanzata, che ancora non sapeva bene la sua arte di tipografo e desiderava essere da me appoggiato presso qualche tipografo in Roma: chiedeva di essere messo in un ambiente sano tra buoni operai e che lo aiutassi a crearsi così una posizione da potersi sposare, sottraendolo alla malefica influenza di suo fratello Secondino che avrebbe voluto attrascinarlo con se. Io conosco personalmente il comm. Scotti direttore della Tipografia del Vaticano e con l’intendimento di metterlo tra persone d’ordine e con operai non asserviti alle sette, gli feci un biglietto per detto commendatore, ma non fu accettato; mi disse perché non sapeva bene l’arte sua.
Nel luglio del 1927 e poi nell’agosto mi scrisse due lettere, oggi deposte a mano dal Sig. Questore, in esse mi si raccomandava dicendomi che passava giorni di grande tristezza e che pativa la fame giornalmente, che faceva il tipografo linotipista ma gli mancava qualche mese per essere esperto operaio. Ancora si raccomandava per essere appoggiato presso il comm. Scotti nella prima di esse due lettere.
Non credetti di ripetere la raccomandazione e gli ho detto che avrei potuto forse aiutarlo direttamente, poiché, in Venezia, tengo la tipografia Emiliana con macchine Linotip e con un operaio linotipista abilissimo che avrebbe potuto insegnarlo. Infatti nel dicembre egli passò a Tortona proveniente dall’Abruzzo di dove mi indirizzò una cartlolina postale pure acquisita agli atti. Gli feci breve lettera di presentazione per Venezia; di là mi scrisse nel mese di gennaio che era tranquillo e fiducioso; che imparava già bene; che studiava anche per dare la licenza liceale. Io fui a Venezia dopo e lo confortai a fare sempre bene.
Il 17 marzo ricevetti un telegramma da Venezia che la mattina dopo sarebbe arrivato il T. e che non lo lasciassi più ritornare a Venezia: era senza firma; è stato consegnato al Sig. Questore. Il 18 mattino di detto mese, mi dissero che c’era un signore il quale voleva parlarmi, che si chiamava Tranquilli. Io quella notte l’avevo passata malissimo e per di più nel pomeriggio del 18 dovevo a Genova tenere una conferenza ai benefattori del Piccolo Cottolengo. Avendo febbre abbastanza alta feci dire che non lo potevo ricevere, ma dopo qualche minuto udii bussare e mi venne in camera. Mi parve eccitato in volto non sedetti né gli dissi di sedere: mi venne come un lampo ch’egli avesse potuto lasciarsi trascinare dalla malefica influenza di suo fratello tanto che gli chiesi “vedrai tuo fratello?” perché mi disse che era passato a salutarmi.
Mi rispose queste testuali parole che gettarono in me molta tristezza: “non lo so”. Egli sapeva bene quello che avevo fatto per lui, per dargli una mano, un’arte remunerativa e creargli una posizione onorata nella vita sottraendolo alle tentazioni di suo fratello. Dopo il Tranquilli uscì subito e non lo vidi più: né ebbi alcun suo scritto.
Successivamente appresi dai giornali che il Tranquilli era stato arrestato a Brunate.
Null’altro ho da aggiungere
Sac. Luigi Orione
Michele Vallario Com Ag di PS Salvatore Vassallo Commissario di PS
La Commissione istruttoria del Tribunale speciale si pronunciò sulla strage di Milano il 23 gennaio 1929. A riguardo di Romolo, in particolare, la Commissione dichiarò: “Nulla di generico e di specifico le indagini hanno assodato in confronto della imputatagli partecipazione al triplice attentato”.[10] Il processo contro Romolo Tranquilli si concluse con la sentenza del 6 giugno 1931. Il giovane fu scagionato dalla accusa di strage; sfuggì alla fucilazione ma non alla condanna a 12 anni di reclusione e 3 di vigilanza speciale.
Accusato e incarcerato, specialmente durante il periodo dell’istruttoria, in attesa di processo, per debilitarne la resistenza fisica e psichica gli percuotevano il petto e la schiena con sacchetti di sabbia per costringerlo a “confessare” – secondo la testimonianza dell’On. Pertini –, sì che, quando entrò nel penitenziario di Procida, aveva i polmoni a pezzi. Ben presto apparvero chiari i segni della tubercolosi polmonare. Don Antonio Cerasani testimonia: “Romolo fu condannato a 12 anni di carcere, nel completo isolamento. (…) Poi si ammalò e chiamò nuovamente Don Orione che corse e lo confessò, e mi confidò che morì santamente. Mi disse: “... una morte invidiabile!”.[11] Il calvario di Romolo ebbe termine il 27 ottobre 1932, all’età di 28 anni.
[1] Nella sua testimonianza al processo di canonizzazione di Don Orione, Silone racconta il medesimo episodio precisando: “Ricordo, per essere stato presente”; si veda il documento più sotto.
[2] Nell’archivio del Ministero degli Interni è stato reperito il telegramma, datato 23.1.1915 (doc. 3120), che legalizza quella requisizione dell’autoveicolo da parte di Don Orione: “SR – Avezzano – 660 0 23 13.35 – MR INT UFF TERR RM – Assicuro aver messo a disposizione Don Orione un camion per raccogliere orfani patronato Regina Elena – PR Commiss Palliccia”.
[3] I. Silone, Uscita di sicurezza, Vallecchi, Firenze, 1965, p.32; in edizione più recente: Ignazio Silone. Romanzi e saggi, vol. II: 1945-1978, a cura di Bruno Falcetto, I Meridiani Mondadori, Milano, 1999, p.779.
[4] La via dedicata da Pescina a San Luigi Orione è proprio limitrofa alla Piazza in cui, con tutta probabilità, il piccolo Secondino assistette alla scena che ebbe per protagonisti il Re e lo “strano prete”.
[5] Scritti 114, 266-267.
[6] Scritti 99, 82.
[7] Due giorni dopo l’attentato, e subito dopo l’arresto di Romolo fu eseguita una perquisizione nella Casa di Venezia sua ultima residenza. Nel Rapporto sulla perquisizione all’Istituto Artigianelli di Venezia si legge: “14 aprile 1928 perquisito l’Istituto Artigianelli a Venezia. Una minuta perquisizione nel reparto tipografia ove lavorava tale Tranquilli Romolo, fu Paolo, comunista, arrestato a Como quale sospetto complice nei fatti delittuosi di Milano, per rinvenire e sequestrare libri, opuscoli e qualsiasi altro oggetto appartenente al predetto Tranquilli. La perquisizione ha dato esito negativo”; Archivio Centrale dello Stato, Tribunale speciale, busta 325, fascicolo Rapporti e documenti vari.
[8] Archivio centrale dello Stato, Tribunale speciale, busta 325, fascicolo Rapporti e documenti vari. Trascrizione di Mimmo Franzinelli. Nell’Archivio Don Orione sono invece conservate le minute autografe di cui Don Orione si è servito per la sua testimonianza.
[9] Don Orione stesso raccontò di quell’interrogatorio: “Sono giunto a Genova, bene scortato... Alla stazione Principe ho trovato una macchina pronta: era della Questura. Mi han pregato di salire, e mi hanno accompagnato dal Questore, che mi ha interrogato a lungo. Da ultimo, parve convinto che da parte mia, non ci fosse proprio nulla, e d’improvviso mi disse: Sa che il giovane sta qui? Vuole lo metta a confronto con lui? Volentieri gli risposi. Il Questore si alza, si avvicina ad una porta, l’apre; ed ecco entrare il nostro Romolo, che mi salta al collo gridando: Don Orione mi salvi! Don Orione mi salvi! E piangeva come un bambino. Poi deve essergli venuto il sospetto che volessero arrestarmi, e allora si volse al Questore esclamando con irruenza: Come? Volete mettere in prigione Don Orione? Ma questo è il mio padre, il mio salvatore! È quello che mi ha salvato la vita... Mentre stavo di là ho sentito tutto...”; ADO, Cart. Sante Gemelli.
[10] Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1929, Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1983, p.434.
[11] La notizia è riferita da Don Antonio Cerasani in una lettera del 1° febbraio 1979. Richiesto di meglio precisare l’evento, Don Cerasani replicò con lettera del successivo 12 marzo: “Che Don Orione andò a Procida, è certissimo, dopo aver chiesto e ottenuto direttamente il permesso dal ministro. Il carceriere rimase molto meravigliato che un prete avesse ottenuto tale permesso, perché l’isolamento era assoluto. Don Orione, questo, me lo raccontò nuovamente, quando andammo insieme in America (1934). Quindi non c’è alcun dubbio”.