Tra i caratteri genetici della spiritualità di Don Orione alcuni gli sono venuti da San Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Il 30 aprile, la Congregazione celebra la memoria liturgica di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, patrono secondario assieme a san Giovanni Bosco e a San Pio X, della Piccola Opera della Divina Provvidenza di San Luigi Orione.
Giuseppe Benedetto Cottolengo nacque a Bra (Cuneo) il 3 maggio 1786. Fu ordinato sacerdote a Torino nel 1811, e in questa città esercitò il ministero come canonico presso la chiesa del « Corpus Domini ». Spinto da grande carità verso i più bisognosi, fondò la «Piccola Casa della Divina Provvidenza» per accogliere malati e poveri, al servizio dei quali istituì famiglie religiose. Morì a Chieri, presso Torino, il 30 aprile 1842. Fu canonizzato il 19 marzo 1934 da Pio XI.
Don Orione presentava il Cottolengo soprattutto come il santo della Divina Provvidenza. Don Orione fu impressionato dalla fede del Cottolengo prima ancora che dalle sue opere di carità: “Fede, fede, ma di quella!”. “Ha più fede il Cottolengo che tutta Torino!”.
La fiducia nella Divina Provvidenza e la particolare sensibilità verso i poveri del Cottolengo hanno ispirato San Luigi Orione, fanno parte del suo DNA carismatico.
Don Orione adottò anche in Congregazione il “saluto proprio del beato Cottolengo: Deo gratias!”, a sua volta attinto dai Gesuiti e da sant’Ignazio. Raccomandava: “alla porta della vostra casa, aprendo o chiudendo salutate chi entra o chi va col Deo gratias!”.
Deo gratias, come saluto, significa rendo grazie a Dio per te, ringrazio la Divina Provvidenza per te. Deo gratias per le cose belle e per le croci. Di tutto e sempre Deo gratias. Deo gratias significa prendere tutti e tutto dalle mani della Divina Provvidenza, sentirsi graziati e per questo divenire graziosi.
Da nome proprio, Cottolengo, nella Famiglia orionina divenne nome comune. Il Piccolo Cottolengo è il nome comune che in Congregazione si dà alle case di carità sorte nello stile e con la finalità della “Piccola Casa” di Torino. Don Orione vi aggiungeva sempre un altro aggettivo (Genovese, Milanese, Argentino, ecc.) sia per non confonderlo con l'opera di Torino e sia per esprimere l'appartenenza/dovere della società e della Chiesa locale di provvedere ai poveri. Di Piccoli Cottolengo in Congregazione ve ne sono di grandi e noti nelle più grandi città: Milano, Genova, Madrid, Buenos Aires, Montevideo, San Paolo del Brasile, Città del Messico, Assunciòn, Santiago del Chile e recentemente anche a Manila, Maputo, Abidjan.
“La porta del Piccolo Cottolengo non domanderà a chi entra se abbia un nome, ma solo se abbia un dolore. Charitas Christi urget nos! Al Piccolo Cottolengo si lavora, con le mani giunte; tutti fanno quello che possono”.
Il cardinale Bergoglio - ora FRANCESCO - ci disse nel suo videomessaggio del 2009: "La frontiera esistenziale di Dio è il Verbo venuto nella carne, è la carne del Verbo. È questo che ci salva da ogni eresia, dalla gnosi, dalle ideologie, ecc. Cercate la carne di Cristo lì. Andate alle frontiere esistenziali con coraggio e lì vi perderete. State sicuri che i giornali non vanno a parlare di voi. Quello che voi fate, per esempio nei Cottolengo, non fa notizia; quello che fate con i bambini di strada non fa notizia, non interessa al mondo, perché questo è materiale di scarto. Sono le frontiere esistenziali.
La “parentela” di Don Orione con il Cottolengo
Durante i quasi tre anni di permanenza all’oratorio di Valdocco di Torino (1886-1889), Luigi Orione più volte vide passeggiare per le vie di Borgo Dora gli ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo.
“Si camminava lungo il viale, ed ecco lì incontrammo una lunga fila di gente che non finiva più, sembrava interminabile. Andavano quattro per quattro e si tenevano alle mani due per due. Andavano come a catena. E chi sbandava di qua, e chi sbandava di là. Erano storpi, ciechi, sciancati, giovani e vecchi. Chi li guidava era uno di loro, un po’ meglio riuscito,ma si reggeva appena suoi piedi e sbandava forte anche lui... Io li guardavo, desideravo incontrarli, li sentivo fratelli, li amavo. Non conoscevo la loro patria d’origine, non sapevo come si chiamassero. Che cosa mi importava?... E mi sentivo attratto da quei poveretti, li guardavo con compassione, sentivo ungrande desiderio di andare loro incontro per lenire le loro sofferenze. Provavo tanta gioia in vederli, che il maggior divertimento della mia passeggiata era quello”.[1]
Don Orione fu presente alla canonizzazione del santo Cottolengo (19.3.1934).
“Se qualche cosa mancava alla parentela nostra col Cottolengo e con Don Bosco, questa venne attuata nel giorno delle loro canonizzazioni, quando ebbi la consolazione di sedermi tra i loro parenti che parlavano il piemontese e vivevano in questi paesi. Noi siamo i parenti del Cottolengo e di Don Bosco! Cerchiamo dunque di avvicinarci a loro nello spirito – avvicinarci al Cottolengo con lo spirito di fede... ma di quella.... per cui il Signore benedice la Piccola Casa della Divina Provvidenza – avvicinarci a Don Bosco con grande spirito di sacrificio, di attaccamento alla santa Chiesa, al Papa, ai Vescovi che il Signore: “posuit regere Ecclesiam”.[2]
Il Cottolengo dice alle Suore: “Nella persona dei poverelli deve la figlia vedere Gesù Cristo: i più ributtanti devono essere ad essere i più diletti, perché rappresentano più al vivo Gesù. I più disgraziati sono le gioie, le perle della Piccola Casa”.[3] Li chiamava anche “nostri padroni”, come il “Padrone di casa” che è il Signore presente nell’Eucarestia.
Don Orione esprimeva simile orientamento quando diceva: “Quelli che hanno protezione da altra parte, per loro v’è già la provvidenza degli uomini, noi siamo della Provvidenza divina, cioè non siamo che per sopperire a chi manca ed ha esaurito ogni provvidenza umana”.[4]
I testi liturgici di San Giuseppe Benedetto Cottolengo (p. 4)
[1] Scritti 82, 96.
[2] Scritti, 117,85.
[3] Detti e pensieri, p.32 n.4.
[4] Scritti 97, 251. “Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?”, ed io: “Eh! Se mi si mostra!”, e Don Orione: “Veda ogni giorno di fare un pochino di bene”.[4]