Relazione del card. Canestri al Convegno DON ORIONE E IL NOVECENTO, Università Lateranense di Roma, 1-3 marzo 2002.
Atti del convegno di studi
tenuto a Roma, 1-3 marzo 2002
DON ORIONE INCONTRA L'ITALIA
Giovanni Canestri
L'Italia, incontro alla quale va Don Orione, non era quella immaginata da un innamorato esigentissimo come Dante ("Ahi serva Italia di dolore ostello"), né quella del romantico Goethe ("Conosci tu il paese dove fioriscono i cedri, fiammeggiano nel cupo fogliame le arance d'oro?"), né quella del roboante classico Carducci ("Italia, Italia egli gridava ai desueti orecchi") e neppure quella dell'enfatica autarchia. Era - per scelta preferenziale - l'Italia dei poveri, dei diseredati, degli handicappati fisici e mentali, dei nobili decaduti, dei terremotati, degli emigranti, delle mondine, dei governi anticlericali ... Ma il titolo "Don Orione incontra l'Italia" pretende un richiamo a lui, al ragazzino di Pontecurone, il paese dei gozzi, alessandrino e piemontese; e seminarista e prete della diocesi di Tortona vasta, bella e storicamente prestigiosa.
Per quattro anni dal 1971, per volontà del Santo Padre Paolo VI, sono stato Vescovo di Tortona. Quale grazia! Quanti ricordi! Vinco la tentazione di tornare indietro con richiami sempre vivi nel mio cuore. E anche tanti ricordi di Don Orione italiano, piemontese, alessandrino, tortonese e santo.
Ma chi era e come era Don Orione che incontra l'Italia?
È italiano. Convinto. Prete: "A destra della Croce di Cristo la bandiera d'Italia": é uno dei suoi razzi fulgidi e folgoranti.
Il suo fisico? Il Card. Montini Arcivescovo di Milano: "Sembra una persona semplice Don Orione, sembra un umile prete di pochi talenti e di poca fortuna; sembra con quel suo capo grosso, rotondo, direi paesano ... un po' curvo sulle spalle quasi che indicasse una sua timidità.... Ma provate ad esplorarlo!" Ci ha provato Don Giuseppe De Luca da ammiratore, da prete, da artista e - per dirla nel gergo sportivo - da tifoso: "I suoi occhi facevano luce e le sue parole medicavano; tutta la sua persona vivissima e irrequietissima era nella pace e a baciargli la mano ci si tratteneva come a dissetarsi di questa pace..." E ancora: "Mai mi accade di avvicinare Don Orione senza che io provi qualcosa che assomiglia, non so come dire, ai moti d'amore: una meraviglia, un incantamento".[1]
Don Domenico Sparpaglione: "I suoi occhi erano capaci di tutte le espressioni: della bontà, dell'intelligenza, della compassione, dello sdegno, dell'ira... Lui ne conosceva la potenza e la sfruttava in bene: occhi neri, grandi, luminosi, sorridevano, scrutavano, ammaliavano; uniti alla voce sdegnosa e tonante, fulminavano".[2]
Eppure Don Orione non era ancora tutto li... C'era un segreto. Il Papa Pio XI, da giovane sacerdote - come ospite per qualche giorno - aveva da vicino osservato con curiosità intelligente e con senso pratico ambrosiano le giornate di Don Bosco: preghiera e lavoro, lavoro, lavoro e preghiera ... ma aveva fatto una scoperta: in qualunque momento della sua giornata Don Bosco era sempre "altrove". Don Orione dal suo grande Amico e maestro all'Oratorio aveva imparato bene la lezione. Il segreto di Don Orione era la santità. Santità vera che operava nella carità, nello zelo e nell'umiltà. Auspice Maria: "Portami o Vergine benedetta fra le moltitudini. Sorretto dal tuo braccio potente tutti io porterò a Te".[3] E il largo respiro missionario nel giorno della Prima Santa Messa celebrata per i suoi monelli dell'Oratorio: "Preservatemi, o Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io, prete, debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai sacramenti".[4]
"Tortona, cara città del mio pianto e del mio amore, canta a Dio un cantico nuovo, l'inaugurazione del tuo Santuario é un'aurora. Vedi quei piccoli lavoratori del Santuario? Ti sembrano garzoni lavoratori e sono chierici. Quei giovani cresciuti alla santa fatica, Dio li trasformerà in Apostoli".[5]
Città del mio amore. Il Santuario della Madonna della Guardia![6] Ideato e costruito nel `luogo meno indicato dalla natura, dalla politica, dalla pietà, dall'igiene e dall'urbanistica é una realtà da ammirare. E' opera di Don Orione. Ma non si poté mai dire, lui vivente. Chi tentava di fargli un elogio in pubblico o in privato rischiava di alienarsi la sua amicizia. Protestava: "E' la Madonna che s'é fatto il Santuario!"
Il Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, presente a Tortona per la festa della Guardia il 29 agosto del 1958, poche settimane prima dell'elezione a Sommo Pontefice, aveva constatato che le fondamenta di tutto l'edificio con la bella torre campanaria da dove Maria benedice la diocesi tortonese, erano fede, preghiera e amore che Don Orione aveva praticato e insegnato.[7]
Sì, le armonie di Lorenzo Perosi e la santità di Luigi Orione coetanei, compagni di scuola, amici fraterni, hanno portato il nome della diocesi di Tortona ben oltre i classici confini dall'Antola al Po. E Orione e Perosi convergono: la santità "é musica profondissima e altissima" mentre gli Oratori musicati sono "evangelizzazione moderna".[8]
E il Vescovo, Mons. Igino Bandi, intelligente, brillante ed esemplare per tanti Vescovi italiani, non sempre riesce a capirlo, ad arginarlo, ad intuire gli scoppi di fuoco di quel vulcano che, invece, capisce il Vescovo, gli obbedisce, sa fare qualche pausa come gli ha insegnato il grande Perosi. Non la pausa-conclusione, ma soltanto interruzione per risentire fino in fondo al cuore le armonie precedenti e per preparare del vulcano gli scoppi di fuoco e di luce e di debiti. Dei rapporti fra il Vescovo di Tortona e Orione, seminarista ventenne che "giocava" a fare il fondatore, leggiamo il commento dell'Arcivescovo di Genova il Cardinale Giuseppe Siri: "Si capisce la grandezza di personalità di Mons. Igino Bandi quando lo si vede a confronto con l'umile Don Orione, che vince, che vince senza fare del vescovo uno sconfitto, ma un benefattore". Ancora: "Capì tutto il suo tempo più di qualunque altro...; il rischio umanamente calcolato, lo spinse molte volte, forse sempre, fino al limite del verosimile testimoniando la certezza della luce interiore".[9]
Anche a Tortona, agli inizi delle prime vampate vulcaniche, molti non lo capirono e ci fu chi lo osteggiò sempre.
Abbiamo letto anche: "Cara Tortona, città del mio pianto". Ciarle, oppositori interni, invidie, calunnie lo mettono in cattiva luce e provocano una Visita Apostolica: é una ferita nell'animo che sopportò da santo. Ma l'ora del dolore é passata. Ora Tortona si rapporta con il più grande dei suoi figli soltanto con gioia, con amore, con gratitudine e con fierezza.
Ormai a Tortona le opere di carità si chiamano Don Orione e tutti ne sono protagonisti generosi.
Arrivato io Vescovo - sprovveduto - nella diocesi di Don Orione, mi sono divertito ad una battuta di dolce polemica del Vescovo Ausiliare, Mons. Angeleri, tortonese, anziano, pacato e dolcissimo. Mi raccontava dei rapporti amichevoli fra la popolazione e la Curia. "Però, mi diceva con l'aria di rivelarmi un segreto di famiglia, però mi fanno fare tante e tante raccomandazioni per trovare lavoro e quando - spesso - le segnalazioni riescono bene, vengono a ringraziarmi molto gentilmente in Curia ma poi concludono "stia tranquillo, passo subito da Don Orione"... E il bravo e candido Vescovo Ausiliare concludeva con un sussurro confidenziale: "purtroppo"!
Sarà bene annotare subito che a Tortona e in Italia la simpatia per Don Orione é ora trasferita ai suoi figli: La Piccola Opera della Divina Provvidenza e le Piccole Suore Missionarie della Carità.
La bella, la ricca, la marinara, la libera, la superba, e gli aggettivi qualificativi potrebbero continuare. Talvolta chi sa che ho trascorso otto anni della mia vita come Arcivescovo di Genova vuol sapere se era proprio vero che il Cardinale Siri fosse un grande e se é vero che i Genovesi siano… avari! Alla prima domanda un sì convinto e sincero. Risposta alla seconda domanda: uno sviluppato senso di autoironia induce i Genovesi a ridere di sé, inventando e raccontando esilaranti episodi di vita quotidiana all'insegna dell'avarizia. Un gruppetto di amici effettua da Genova una bella gita in Val d'Aosta. Durante l'escursione, sono costretti a rifugiarsi in una baita per ripararsi da una terribile bufera di vento e di neve, la tipica tormenta. Una squadra di soccorso, dopo una mattinata di ricerche senza esito, nota sopra uno sperone di roccia una ennesima baita. Ecco i soccorritori sono saliti fin lassù. La baita é chiusa. Bussano. Da dentro: "Chi é?" "Siamo la Croce Rossa". Da dentro non solo non aprono, ma risponde qualcuno guardingo con tre parole ben misurate: "Abbiamo già dato"! Il tempo non mi permette di agghindare di fronzoli spassosi il racconto dell'escursione alpina come l'hanno inventata e come l'abbelliscono i Genovesi.
Eppure, quasi incredibile ma vero, i Genovesi hanno aiutato Don Orione più di ogni altra città.[10] Ascoltiamolo: "O Genova, città di Maria. Anch'io povero peccatore vorrei morire fra le tue mura perché sei la città di Maria. Lascia, o Genova, che io mi congratuli con Te e Ti saluti con le storiche parole che rivolgeva a Te il grande S. Bernardo: In eterno sarò memore di Te, popolo eletto".[11] "Ho girato tanto per l'Italia, ma non ho trovato, e lo dico non per interesse, non per farvi insuperbire, non ho trovato un cuore così largo e generoso come il genovese. Il Genovese sarà rude, ma ha un cuore grande, un cuore nobile".[12]
Il grande Cardinale Siri, nato e vissuto sempre a Genova a lungo, a lungo Arcivescovo della sua Città che conosceva come pochi, mi raccontava un episodio di cui era stato testimone de visu a proposito della generosità dei Genovesi per Don Orione. "Una sera il prete di Tortona aveva fatto tardi per ascoltare i suoi benefattori della Lanterna, consolando, confessando, ricevendo come faceva per due giorni la settimana e correva per arrivare in tempo a prendere il treno per Tortona. Una piccola folla lo inseguiva. Non credevo ai miei occhi, tutti avevano denari in mano da offrire a Don Orione per le sue opere di carità. Mi creda, concludeva il Principe Siri, queste cose non é facile vederle in altre città, ma proprio a Genova".[13]
Mi piace ricordare ancora la notte di preghiera di Don Orione ai piedi della Madonna della Guardia sul Monte Figogna, invocando: "Vergine benedetta, Vergine tutta santa, il popolo ti canta....".[14]
Dicono che Vittorio Emanuele II confidasse all'On. Marco Minghetti, Presidente del Consiglio, che da quando era sbarcato a Roma ci teneva a fare qualche passeggiata per la capitale, ma si rammaricava, da buon buzzurro, che il popolo romano, a differenza dei Torinesi, neppure lo salutava. E la risposta di Minghetti, da autentico toscano: "Maestà, non ci faccia caso: i Romani, come i Toscani, non salutano mai per primi. Sono abituati a tutto! Ripensi che tempo fa questa gente ha avuto un giovanissimo assessore che poi ha fatto un po' di carriera. Pausa: si tratta di un certo Giulio Cesare...". Il popolo romano! Bisogna studiarlo, conoscerlo, amarlo. Ma prima studiare, conoscere e innamorarsi di Roma.
Imparare Roma, direbbe Giovanni Paolo II. Tutti sappiamo delle attenzioni di Papa Sarto per la romana Patagonia che portarono Pio X ad affidare a Don Orione quella che allora era la periferia ultima della Città: si diceva "Fuori Porta S. Giovanni".[15]
Perdonatemi se mi abbandono a ricordi personali raccontando il mio unico incontro con Don Orione a Roma.. Durante la celebrazione del funerale del Papa Pio XI in S. Pietro. Ero in seconda fila come alunno del Seminario Maggiore di Roma e proprio davanti a me era presente Don Orione che indossava una cotta candidissima sulla talare. Ricordo bene. Mentre la pesante bara di piombo veniva fatta scendere lentamente nella Confessione per essere collocata nelle Grotte Vaticane, le carrucole, nel silenzio della basilica, carico di suggestione e di storia, cigolavano, spietatamente cigolavano sotto lo sguardo allibito e sdegnato del Maestro delle Cerimonie Mons. Respighi. Don Orione, invece, compreso e commosso, ad ogni cigolio scuoteva cotta e testa candida come per assentire ad alti pensieri di meditazione e di preghiera.
Un solo indimenticabile incontro personale con Don Orione, ma ben nove anni a contatto immediato e costante con l'opera più significativa di lui a Roma: la chiesa parrocchiale di Ognissanti con annessa la grande, bella, efficentissima scuola, costruita per i figli del popolo, da lui intitolata a S. Filippo Neri. Mi sembra necessario precisare che fui per nove anni vice-parroco a San Giovanni Battista De Rossi, una parrocchia nuova smembrata da Ognissanti. Innegabilmente si respirava aria orionina!
Dalla grande parrocchia-madre furono smembrate una decina di parrocchie, ma Ognissanti rimase la Parrocchia "dei primi tempi", dei "bei tempi", la "nostra Parrocchia". Parrocchia sempre amata e rimpianta (il primo amore non si scorda mai!). E i Parroci delle nuove parrocchie dovevano accontentarsi delle rivendicazioni garantite dal Codice di Diritto Canonico del 1917. Ma si dovette attendere che passasse quella generazione per creare nuove e vere comunità. Sinceramente devo confessare che mai ho notato adescamenti ... pastorali da parte degli Orionini di Ognissanti.
Don Orione tornava a Roma volentieri.[16] Incontrava i suoi Figli e le sue Figlie e tanti amici come: Don Giuseppe De Luca, Don Umberto Terenzi, P. Cappello... Dimenticavo fra gli Amici i "suoi" Papi: Pio X (quello dei Voti perpetui e del Credo), Benedetto XV, Pio XI (si sta studiando quale parte abbia avuto Don Orione nel preparare la Conciliazione) e Pio XII.[17]
Ancora un sussulto del vulcano fiammeggiante di fede e di amore: "O Chiesa veramente cattolica, santa madre Chiesa di Roma, unica vera Chiesa di Cristo, nata non a dividere, ma a dar pace e ad unificare in Cristo gli uomini! Mille volte ti benedico e mille volte ti amo, bevi il mio amore e la mia vita!".[18]
Capitando in Abbruzzo, non solo da giovane, mi piaceva visitare a Pescina la tomba di Ignazio Silone. Pellegrinaggi letterari? Forse, ma anche qualcosa in più... Ho ripetutamente letto il racconto dell'avventura dell'orfano ribelle, Ignazio Silone, con Don Orione.[19] E' narrazione ricca di tristezza, di sorpresa, di ammirazione, di gratitudine e - chissà? - di fede. Proprio Silone nel romanzo postumo "Severina" afferma (attraverso la protagonista) "non credo... ma spero". Non aveva scritto Péguy, il credente devoto di Maria: "La fede che mi piace di più é la speranza"?
Don Orione era arrivato in Avezzano da solo, fra la miseria e il dolore, la disperazione e la morte e, dopo mesi eroici in umiltà, era partito da solo. Arrivato a Tortona per riprendere, in pace e serenità, il suo calvario, così rispondeva ad un giovane della Marsica che, dopo averlo ringraziato, si lamentava che la sua partenza solitaria lo aveva colto di sorpresa: "Non restate offesi se sono partito senza salutarvi... Vi dirò che quantunque sia partito di nascosto, nel lasciarvi ho sofferto molto ... molto vi amo in Gesù Cristo e ho anche pianto lungamente pensando che abbandonavo degli orfani e pensando al vostro avvenire".[20]
Il giudizio della figlia maggiore di Federico von Hugel: "Nel mezzo della morte e del disordine, si muoveva, completamente assorto nella sventura di quei poveri contadini, Don Orione, un umile prete, un uomo cui molti guardano come a un santo".[21] I poveri contadini sono i "cafoni" con le famose gerarchie, presentati da Ignazio Silone nel romanzo "Fontamara".
“Fame, Freddo, Fatica, Fastidi, Fede, Fumo, Fiat voluntas Dei”.[22]
No. Non é durante gli interminabili giorni trascorsi per ordine di S. Pio X a Messina e a Reggio Calabria in occasione del terremoto del 28.XII.1908 che Don Orione ha sintetizzato nei sette effe la figura del prete orionino. Ma il settenario ora citato dice tutto, ancora una volta, su Don Orione e anche sulla sua presenza in aiuto spirituale e materiale delle popolazioni calabresi e siciliane poverissime. In altro contesto, ancora una volta, citando San Francesco d'Assisi, aveva proclamato che nelle sue case non c'era posto per i frati mosca (sfaticati) né per i frati Elia (vanitosi e mondani). E ancora una volta presentava la carta d'identità a proposito degli orfani da ricoverare nelle sue case di Noto e di Cassano Ionio. "Ricevo esclusivamente quando le altre porte sono chiuse o quando si tratta di casi urgenti". Trascrivo letteralmente da Alessandro Pronzato: "Purtroppo anche in momenti così tragici affiorano particolarismi, settarismi, meschinità, invidie...".[23]
È la risposta di Don Orione in un vibrante messaggio a noi Italiani:
“Fare del bene a tutti. Fare del bene sempre. Del male a nessuno”.[24]
E' un tema che - mi pare - non si possa narrare brevemente. Ricorderò il successo della prima conferenza-lezione all'Università Cattolica sull'apostolato della carità nel mondo "Vorrei essere un poeta e un santo per parlare della carità" e anche del successo della seconda conferenza in cui parlò di Manzoni e di tutte le opere di beneficenza milanesi meno che della propria.[25]
Le varie biografie del Santo Arcivescovo di Milano e del Santo di Tortona mettono ripetutamente in evidenza il costante interessamento del Cardinale Schuster per Don Orione e per la sua opera a Milano, il Piccolo Cottolengo, sempre stimata, difesa e promossa. Lasciatemi ripensare ad alcune mie meditazioni giovanili sulla carità e sulla Provvidenza nei Promessi Sposi: “La c'é la Provvidenza”, il saluto di Padre Cristoforo a Renzo e Lucia invitati a dire ai figli futuri "che perdonino sempre, sempre, tutto, tutto ", il discorso al Lazzaretto del "mirabil frate" Padre Felice, cappuccino "Per me e per tutti i miei compagni, che senza alcun nostro merito siamo stati scelti all'alto privilegio di servire Cristo in voi (appestati):.." Quanta affinità del pazzo della carità con gli scritti del grande romanziere cristiano!
Ricordo la battuta semiseria del Cardinale Schuster[26] che non avrebbe ricevuto Don Orione se dall'America fosse tornato ricco... E il quarto d'ora d'ilarità che si era concesso Don Orione quando gli riferirono della minaccia. E lasciatemi anche ricordare Clemente Rebora il poeta ateo, ma per anni tormentato da Gesù cui non voleva arrendersi. Rebora, amico fraterno di Don Orione[27] che certamente avrebbe firmato le liriche del convertito, presentato al card. Schuster da S. E. Mons. Angelo Roncalli allora Nunzio e poi Sommo Pontefice Giovanni XXIII. Il Cardinale di Milano amministrò a Rebora la Prima Comunione e la Cresima e lo ebbe sempre caro specialmente quando intuì i segni della vocazione sacerdotale di Clemente nella Congregazione fondata da Antonio Rosmini, a sua volta amico di Don Orione.[28]
C'é da turbarsi leggendo di Rebora: "O carro vuoto sul binario morto"; altre volte c'é anche da vergognarsi: "Urge la decisione tremenda. Dire sì, dire no a qualcosa che so". E anche da sorridere di sé giocando ai giochi d'amore:"Ma provati a chiamarmi, da te io fuggirò, ma provati a lasciarmi, con te io resterò".
Prima di lasciare i rapporti di Don Orione con Milano, con il Card. Schuster, con Giovanni XXIII, con Clemente Rebora, ancora un ricordo. Passava la folla che accompagnava in trionfo la salma di Don Orione per le strade di Milano ed era tanta che incuriosiva due netturbini: "Cos'é tutta questa gente?" E la risposta: "E' il funerale di un prete che, però, era proprio un brav'uomo...".[29]
[1] G. B. Montini, Nove discorsi agli Amici di Don Orione, in La c'è la Provvidenza, Piccolo Cottolengo Don Orione, Milano 1964, pp. 3-82.
[2] D. Sparpaglione, Il Beato Luigi Orione, (IX ed.). Ed. Paoline, Roma, 1998.
[3] Scritti 62, 87.
[4] Scritti 99, 36.
[5] Scritti 62, 106.
[6] Don Orione nella luce di Maria Madre di Dio. Documenti e testimonianze, vol. III, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma,1969; G. Rigo, Il santuario-basilica Madonna della Guardia in Tortona, Ed. Don Orione, Tortona, 1992.
[7] F. Peloso, Giovanni XXIII e Don Orione. Cronaca di un’amicizia, “Messaggi di Don Orione” 32(2000) n.102, p.43-56.
[8] A. Lanza, Don Orione e il Maestro Lorenzo Perosi, “Messaggi di Don Orione” 34(2002) n.107, p.59-81.
[9] Il Cardinale Siri comprese come pochi, in profondità, il genio spirituale e apostolico di Don Orione e ne parlò mirabilmente: Il Servo di Dio Don Luigi Orione, “La Piccola Opera della Divina Provvidenza”, maggio 1951, 67-70 e luglio 1951, 99-102; Don Orione, anima di fuoco, “La Piccola Opera della Divina Provvidenza”, aprile 1965, 78-84; Camminò senza sbagliare sul margine dell'impossibile, “Don Orione”, aprile 1972, 3-5. Don Orione operò pensando che tutti sono cari a Dio, “Don Orione”, maggio 1980, 4-5.
[10] Don Orione e Genova. Cinquant’anni di storia, Ed. Sagep, Genova, 1985; M. Macciò, Don Luigi Orione. I Genovesi raccontano, “Quaderni del Chiostro” 16, Roma, 1998.
[11] Scritti 62, 89.
[12] Parola Vb, 50.
[13] G. Siri, Il fascino di quell’uomo di Dio, “Messaggi di Don Orione” 33(2001) n.105, p.75-79.
[14] A. Viti, Don Orione, Mons. Malfatti e la Madonna della Guardia, Ed. Don Orione, Borgonovo Valtidone, 1999.
[15] Don Orione ne parla in un discorso del 14.3.1934, in Parola V, 73-75. Cfr. G. Papasogli, Vita di Don Orione, cit., p.162-169.
[16] G. Piccinini, Roma tenne il respiro, Ed. Orionea, Palermo 1955; Una luce a Monte Mario, Centro Don Orone, Roma, 1994.
[17] F. Peloso Il contributo di Don Orione per la Conciliazione del 1929, «Nova Historica» 2002/I, p. 31-48; A. Lanza, Don Orione, la Questione Romana e la Conciliazione, “Messaggi di Don Orione” 25(1993) n.81.
[18] Scritti 57, 51.
[19] I. Silone, Uscita di sicurezza, Mondadori, Milano, 2001. Silone descrisse il tipo di rapporto instaurò tra di loro: “Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo; provavo una pace e una serenità nuove. (Decisi allora tra me che l’indomani avrei preso nota di ogni parola scambiata). Il treno correva lungo la costa tirrenica. Udivo nel buio della notte il fragore per me nuovo del mare, nomi nuovi di stazioni. Mi sembrava di andare alla scoperta del mondo. ‘Non sei stanco?’ mi chiese Don Orione a un certo momento. ‘Non vuoi cercare di dormire?’ ‘Vorrei che questo viaggio non finisse mai’, riuscii a balbettare. (…) Ciò che di lui, nel ricordo mi è rimasto più impresso, era la pacata tenerezza dello sguardo. La luce dei suoi occhi aveva la bontà e la chiaroveggenza che si ritrova talvolta in certe vecchie contadine, in certe nonne, che nella vita hanno pazientemente sofferto ogni sorta di triboli e perciò sanno o indovinano le pene più segrete. In certi momenti avevo proprio l’impressione ch’egli vedesse in me più distintamente di me; ma non era un’impressione sgradevole. Un paio di volte egli interruppe la conversazione, come per aprire una parentesi. “Ricordati di questo”, mi disse a un certo momento, “Dio non è solo in Chiesa. Nell’avvenire non ti mancheranno momenti di disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Non dimenticarlo”. Si veda anche G. Casoli, L’incontro di due uomini liberi. Don Orione e Silone, Ed. Jaca Book, Milano, 2000; F. Peloso, Don Orione, lo “strano prete”, e i fratelli secondino e Romolo Tranquilli in AA.VV. Per Ignazio Silone, Biblioteca della nuova Antologia 6, Ed. Polistampa, Firenze, 2002, p.111-157.
[20] Lettera del 6.5.1915, Scritti 50, 300.
[21] Molte notizie e documenti in DOPO, vol VI/1, pp.369-506.
[22] Don Orione era solito richiamare i 5 effe di Don Guanella, da lui aumentati a 7 (i 7 effe dei Figli della Divina Provvidenza)... e più: "Fede, freddo, fame, fatica, fumo, fastidi, fiat voluntas Dei. E poi... fiaschi, fischi, filze di debiti, facchinaggi, frustate, frecce, frizzi. Insomma: umiliazioni, annegazioni, tribolazioni, avversità, persecuzioni, croci"; Spirito, 5, pp.35-52; Scritti 44, 107s.
[23] Molte notizie e documenti in DOPO, vol V. Cfr. G. Papasogli, Vita di Don Orione, cit., p.180-228; Ignazio Terzi, Don Luigi Orione e l'opera svolta a Reggio dopo il terremoto del 1908, Rivista Storica Calabrese, 15(1994), 25-38; Pietro Borzomati, L'esperienza calabro-sicula e il terremoto del 1908 in AA.VV. La figura e l'opera di Don Luigi Orione (1872-1940), cit., p. 169-180; G. Caruso, La costellazione “Orione” a Reggio. 1908-1996: un viaggio nella storia, Jason editrice, Reggio Calabria, 1996.
[24] Scritti 61, 170; 62, 99.
[25] G. Venturelli, “La c'è la Provvidenza!”. Conferenza di Don Orione all'Università Cattolica di Milano, 22 gennaio 1939. Note su Don Orione e il Manzoni, “Messaggi di Don Orione” 5(1973) n.18; D. Sparpaglione, “La c’è la Provvidenza”, “Messaggi di Don Orione” 34(2002) n.108, pp.45-53.
[26] I. Terzi, Don Orione e il Cardinal Schuster. Due anime in sintonia evangelica, “Messaggi di Don Orione” 27(1996) n.91.
[27] P. Montini, Clemente Rebora, Don Orione e gli Orionini, “Messaggi di Don Orione” 27(1996) n.101, pp.5-30.
[28] R. Bessero Belti, Il beato don Luigi Orione ammiratore di Rosmini, “Messaggi di Don Orione” 21(1989) n.72.
[29] Molte notizie su Don Orione e Milano nel volume La c'è la Provvidenza, Piccolo Cottolengo Don Orione, Milano 1964.