La ricostruzione della sorprendente relazione tra due grandi protagonisti del Novecento italiano.
ERNESTO BUONAIUTI:
DON ORIONE NON LO MOLLO’ MAI
Ernesto Buonaiuti
Don Ernesto Buonaiuti (1881-1946) è considerato l’antesignano del modernismo italiano.[1] Qualcuno aggiunge subito, tra i dati biografici essenziali, che fu “il sacerdote cattolico forse più scomunicato di tutta la storia della Chiesa”. Studiò al Seminario romano ed emergeva assieme ad altri due studenti suoi coetanei: Eugenio Pacelli e Angelo Roncalli. Questi divennero Papi e lui “modernista pluriscomunicato”. La scomunica più grave fu quella che lo qualificava come “vitandus”. Nessun cattolico poteva avvicinarlo senza mancare di obbedienza alla Chiesa. Tutti i suoi libri furono messi all’Indice. Gli fu interdetto l’insegnamento nelle università. Insomma, fu uno di quei “casi spinosi” che feriscono la Chiesa, la sua verità e la sua unità. Da parte sua, tuttavia, nonostante le inquietudini intellettuali e le condanne, Ernesto Buonaiuti non perse la fede, si sentì sempre prete cattolico. Mite ed ostinato, affrontò la sua condizione di “esule”, innamorato della “propria verità” e percosso continuamente da dubbi ed incertezze.
Gli storici ricostruiscono con molta precisione di dettagli quanto riguarda Don Ernesto Buonaiuti, la sua vicenda culturale, il modernismo. A noi interessa fare luce solo su un aspetto, umano e spirituale, che emerge da documenti e testimonianze riguardanti la sua relazione - di più, amicizia e devozione - con il beato Don Orione.
Don Luigi Orione
Don Luigi Orione, che Giovanni Paolo II nel giorno della beatificazione ha definito “una meravigliosa e geniale espressione della carità cristiana”, “certamente una delle personalità più eminenti di questo secolo per la sua fede cristiana apertamente vissuta”, nacque a Pontecurone (AL) nel 1872.[2] Dunque, aveva nove anni più di Buonaiuti.
Quando i due entrano in contatto, negli anni ‘20,[3] Don Orione era personaggio che godeva già di grande fama di “uomo santo” e di fondatore di una Famiglia religiosa di preti, suore, eremiti, ecc. dedita soprattutto alle opere di carità nel campo della educazione e dell’assistenza ai fratelli più bisognosi e abbandonati. Era conosciuto come sacerdote di grande zelo, di modi umilissimi, predicatore e trascinatore di folle, geniale nelle iniziative di bene, instancabile nel sacrificio di sé. Sapeva unire intelligenza e carità guidate da una prudenza che lo rendeva tempestivo e illuminato nel capire e risolvere problemi di vita, tanto riguardassero singole persone che la società e la Chiesa. Era fedele ma non gretto, di fede semplice e popolare ma aperto a quanto la cultura e la scienza venivano offrendo. I Papi, i Dicasteri romani, numerosi Vescovi e sacerdoti ricorrevano a lui per consigli e aiuti concreti.
Un rapporto di fiducia e di fede
Papa Pio XI, probabilmente di persona, chiese a Don Orione di interessarsi di Buonaiuti, non tanto del “caso Buonaiuti” ma della sua persona.[4] Gli fu chiesto di fare da “ponte”. Diversamente, Don Orione, sempre scrupolosamente obbediente agli ordini ed anche ai desideri del Papa e dei Vescovi, non avrebbe potuto frequentare il Buonaiuti scomunicato. Egli stesso, a distanza di anni, accennò dell’incarico avuto durante una riunione con i suoi confratelli: “Fui incaricato di avvicinare Ernesto Buonaiuti. Si è buttato su tutti quei libracci che gli hanno avvelenato il sangue. Se Buonaiuti verrà di nuovo all’ovile per mezzo di questo ponte sarà un vero miracolo”.[5]
Adele Costa Gnocchi, professoressa di Montefalco (PE) che viveva a Roma, conferma questo fatto. “Don Orione, per mandato del Santo Padre, avvicinò più volte il famoso Don Ernesto Buonaiuti. E, come questi medesimo ebbe a dirmi, gli fece del bene. Io ho fatto da tramite in queste relazioni, munita dei dovuti permessi”.[6]
E’ interessante notare come l’iniziativa parta del Papa. Insieme al suo braccio fermo nella dottrina, che sembrerebbe allontanare il Buonaiuti, accompagna quello amoroso – attraverso Don Orione - che lo vuole avvicinare. In realtà, ambedue le braccia intendono stringere a Cristo.
Don Orione raggiunse il Buonaiuti in momenti diversi, delicatamente ed energicamente. Non lo mollò più. Sempre fiducioso nell’uomo e nella sua capacità di apertura a Dio, di ripresa. Sempre fiducioso nella grazia di Dio che non abbandona mai, perché, come era solito ripetere in circostanze difficili, “l’ultimo a vincere sarà Dio e Dio vince in una grande e infinita misericordia”.[7]
Per essere vicino al Buonaiuti, Don Orione non faceva sconti sulla verità, non metteva tra parentesi la sua fede nella Chiesa, nella sua autorità di Madre e Maestra, nel Papa. Senza data è questa sua esortazione al Buonaiuti che sfocia in un inno a Roma cristiana e papale.
“Ah! Se il fratello separato, che ieri mi scriveva, pregasse solo un po’, come ritroverebbe egli la via diritta del ritorno a questa gran Madre a cui il Signore dedit latitudinem cordis: come nell’amore dolcissimo Essa attingerebbe balsamo e conforto alla sua vita e splendore di fede purissima ai suoi passi, né più oserebbe dividere Paolo da Pietro. Quel Paolo che non badò a lontananza di luoghi, né disagi di viaggi per andare a Gerusalemme a vedere Pietro e, pur con tutto lo zelo dell’apostolato che lo divorava, rimase con Lui quindici giorni.
Sono a Roma! e mi arde il cuore d’amore al dolce Cristo in terra.
Sono a Roma, nel santuario della mia fede, e vivo tra un gruppo di carissimi chierici nostri, che un giorno saranno i dispensatori delle misericordie del Signore.
Vivo qui, tra le classiche meraviglie non lontano dal Colosseo, tra monumenti sacri e venerabili, a pochi passi dal Mosè di Michelangelo, dalla tomba del Cardinale Cusano, dalle catene di San Pietro infrante dall’Angelo di Dio.
Tutto è per me incanto di venerazione e di amore alla Chiesa. Qui è il cuore della Chiesa e mai, forse, come in questi giorni ho sentito la bontà, la immensità, il gran cuore della Chiesa e quanto a ragione S. Ambrogio la paragonasse al mare, al mare sterminato che bagna tutte le sponde, tutte le nazioni con le acque salutari dell’amore e della vita!”.[8]
Al Buonaiuti, questo prete ben noto per le sue opere di carità e per la sua piena “ortodossia papale” avrebbe potuto apparire un fideista, un buono e volonteroso che cerca di convertirlo... un importuno. E invece no. Lo riconosce autentico. Sa cosa può aspettarsi da lui e proprio questo da lui cerca e in lui apprezza: il calore umano, l’interessamento pratico, il rispetto per l’uomo e per il prete, la fede robusta e intelligente che si slancia fin che può e poi si consegna alla carità, alla Divina Provvidenza. Non rifiutò mai, anzi ricercò, questa relazione fraterna e cordiale di Don Orione. Era uno dei pochi ecclesiastici che tenessero rapporto con lui “vitandus”.
Quando il Buonaiuti andava a incontrare Don Orione, nella sua casa di Via delle Sette Sale 22, a Roma, dimenticava di essere il grande scrittore, lo studioso di spicco e controverso, l’intellettuale noto in Italia ed in Europa. Si presentava alla porta, in abito borghese,[9] e si annunciava semplicemente come “Don Ernesto”. In quella casa viveva un gruppo di Chierici di Don Orione, studenti alle università romane. Molti di essi hanno ricordato il fatto. Venuto il Buonaiuti, Don Orione li chiamò mentre erano in ricreazione affinché gli baciassero la mano. Buonaiuti si schermiva. Per Don Orione quel gesto era un atto di fede nella “fronte segnata dal segno sacro” indelebilmente anche nello “scomunicato”; ed era anche un atto di stima e carità per incoraggiare quella povera anima desolata.[10]
Non con il sillogismo, ma con la carità
Il “caso Buonaiuti” era divenuto uno strappo con la Chiesa che sembrava destinato a non ricucirsi più. Ma Don Orione ci sperò sempre. Parlò chiaro all’amico Buonaiuti e fece il possibile per salvarlo dal naufragio.
Padre G. Valentini, gesuita, direttore della rivista Letture, anch’egli entrato in confidenza con il Buonaiuti negli ultimi suoi anni, conferma che egli “soleva abbandonarsi molto a coloro che egli sentiva benevoli e possibilisti e nel contempo leali, franchi nel dirgli quello che pensavano vero… e capaci di rimproverarlo a titolo personale e a titolo di coscienza, e non a colpi di cannone”.[11]
Risultò inutile il tentativo di “recupero” di Buonaiuti attuato dal Card. Pietro Gasparri, nel 1921, culminato in un drammatico colloquio nella clinica romana dove il Buonaiuti versava in grave pericolo di morte. Su interessamento del fratello di Buonaiuti, Don Alfredo, il Cardinale propose all’infermo la riconciliazione e i sacramenti a condizione dell’abiura degli errori rimproveratigli. Sembrò tutto concludersi come sperato. Ma Buonaiuti, guarito, tornò alle sue idee.[12]
A quest’epoca risale una preziosa lettera della già citata Adele Costa Gnocchi, anche lei sul ponte della carità. Dopo che Don Orione, probabilmente, era passato a visitare il Buonaiuti al tempo della operazione chirurgica e non poté parlargli, . “Venerdì. Carissimo Don Orione, (Buonaiuti) fu sensibilissimo alle calde parole che io gli dissi da parte Sua e tacque perché era debole e stanchissimo! Poi: “Non tornerà?”. Certo, risposi io, ed allora m’incaricò formalmente non solo d’esprimerle tutta la sua riconoscenza, ma di pregarla perché al suo primo ritorno a Roma voglia avvertirlo magari per mio mezzo (Via Monserrato, 25 Telefono 50-209). Ho l’impressione che bisogna tenerlo un po’ d’occhio e la convinzione che lei solo piò farlo- Ma di questo in ogni caso dovrei parlarle a suo tempo più diffusamente”.[13]
Poi, il 25 gennaio 1926 giunse la “scomunica maggiore” o “vitando” da parte del Sant’Uffizio contro il Buonaiuti.
Anche il Padre Agostino Gemelli, nel 1926, fu incaricato di trattare con il Buonaiuti. In una lettera del successivo 30 gennaio, Don Orione commentò preoccupato col Senatore Schiaparelli la designazione di Padre A.Gemelli a trattare col Buonaiuti: ”Già non so quanta stima e fiducia egli abbia di P. Gemelli, e poi non è tanto la cultura che ottiene e apre l’animo: un uomo di cuore ci andava, e che alla cultura e al cuore avesse unito umiltà di spirito, sincerità e la scienza di Gesù Cristo. E in Roma stessa non ne mancano. Non è il sillogismo che fa, ma la carità di Gesù Cristo e la grazia del Signore sopra tutto. Quanti ne ha ricondotti a Dio San Francesco di Sales! Oh sì, preghiamo e confidiamo! Il Buonaiuti ha una santa madre, che soffre e prega tanto: pensiamo con Sant’Ambrogio che il figlio di tante lacrime non andrà perduto!”.[14]
Di fatto, il tentativo di Padre Gemelli sfociò in un ulteriore scontro piuttosto che in un abbraccio.
Don Orione continuò a sperare e a preparare la riconciliazione del “fratello separato” con la Madre Chiesa. Nelle premurose attenzioni, gli faceva da discreto tramite la Prof.sa Costa Gnocchi che lo teneva informato delle vicissitudini del Professore. Il 9 marzo 1926: “Al nostro amico hanno tolto la cattedra molto abilmente perché gli hanno dato un incarico in Biblioteca! Di Don Brizio ho recenti buone notizie. Con tanta devozione, con tanta affettuosità voglia credermi sempre Sua obbl.ma Adele Costa Gnocchi”.[15] Il 9 dicembre successivo: “Dal nostro amico nulla di nuovo tranne la continuazione del non insegnamento che, secondo me, si avvia ad essere definitiva. Si è molto commosso per i suoi affettuosi pensieri e saluti”.[16]
Ad un passo dalla pace
E’ del 23 ottobre 1928 una lettera di Don Ernesto Buonaiuti portata da Don Orione a Papa Pio XI. Non si tratta di una “abiura” formale, ma di una aperta adesione all’insegnamento della Chiesa. E’ una professione di fedeltà e una supplica molto ‘simile’ all’abiura. Copia è conservata nell’Archivio di Don Orione. Questo fatto ed altre espressioni del testo, tipiche della penna di Don Orione, fanno pensare che esso sia stato scritto a due mani o, comunque, concordato tra i due.[17]
Vi leggiamo: “Un nuovo irresistibile impulso della coscienza mi induce a ribadire ancora una volta l’espressione della mia tenace e piena adesione all’insegnamento infallibile della Chiesa cattolica, del mio immutabile vincolo di fedeltà ai suoi eterni valori, del mio proposito inconcusso di uniformarmi ai doveri infrangibili della mia professione religiosa”. Altro fatto che determina l’iniziativa del Buonaiuti è la ricorrenza del suo 25° di sacerdozio che - scrive nella medesima lettera - “non potrei lasciar trascorrere senza compiere l’estremo tentativo di recuperare, attraverso la proclamazione del mio indelebile carattere e della mia indistruttibile vocazione, quella pienezza di mansioni sacerdotali, la cui privazione costituisce (...) l’appannaggio doloroso del mio duro ostracismo. Riandando indietro col pensiero, io vedo tutte le amare traversìe di questi cinque lustri di speranze, di idealità, di inquietudini, di lavoro a volte tumultuario, di delusioni (…). I miei sentimenti, Padre Santo, non sono logorati da venticinque anni di sacerdozio. Oggi come allora sottopongo alla Sede di Pietro il mio attaccamento e la mia devozione. Esule, io ho ricordato la beatitudine promessa ai nostalgici. Ed i miei occhi non hanno cessato, in questo quinquennio, di riguardare, con desiderio accorato, la soglia della casa da cui sono stato, piangente, allontanato. La grazia del Signore mi è parso non mancasse alla pertinace mia vocazione. E nella grazia era la certezza della riconciliazione immancabile”.[18]
Nella lunga lettera si coglie il dramma di quest’uomo: da una parte rimase fedele e coerente al suo sacerdozio e all’insegnamento della Chiesa e, dall’altra, non se la sentì di abiurare le sue idee e i suoi scritti giudicati apertamente in contrasto. La lettera non ebbe seguito.
Don Benedetto Galbiati, figura illustre di letterato e rinomato predicatore, pure lui toccato dalla carità sacerdotale di Don Orione, ha espresso la convinzione che “Ernesto Buonaiuti forse sarebbe stato salvato dall’abisso, se altri intervenuti non avessero precipitato la tragedia e tolta a Don Orione la possibilità di condurre a termine l’opera incominciata. Quando quello sciagurato, privo della cattedra, costretto a cedere la Rivista di Studi Religiosi, cominciò a tener discorsi sul cristianesimo preniceno, Don Orione intuì il motivo di quell’attività perniciosissima per l’ortodossia - il bisogno, la fame -; e a due coniugi, che gli offrivano in Roma una cospicua offerta, dette l’indirizzo dell’apostata ‘perché facessero in lui una grande carità’”.[19]
Forse, si riferisce a questo episodio il biglietto di Buonaiuti al beato tortonese del 1.10.1934: "Dio benedica sempre più copiosamente questa tua carità, vasta e santa, senza confini, senza limitazioni, senza clamori! Proponi secondo il Vangelo! Ti amo e ti venero sempre più! B.".[20]
Don Orione continuò a seguire e ad aiutare lo scomunicato Buonaiuti. E il Buonaiuti sapeva di poter contare su Don Orione.[21]
Buonaiuti soccorso e soccorritore
E' conservata una decina di lettere che riguardano richieste del Buonaiuti a Don Orione perché questi intervenga per la buona soluzione di casi di bisogno umano o spirituale.
Qualche esempio. In data 11.4.1931 gli scrive: "Carissimo, ho saputo dalla Costa Gnocchi che sei a Roma. E allora ricorro subito a te per un'opera cristiana (amministrazione del battesimo a un israelita quarantenne) su cui ti parlerà la latrice della presente. Come anelo a vederti! E. Buonaiuti".[22]
E’ del 21.6.1934 una lettera nella quale chiede l'aiuto di Don Orione per accogliere in Istituto un ragazzo bisognoso. Lascia trasparire i tratti tenerissimi della relazione che intercorreva tra i due.
“Amico santo e venerato, auguri, auguri, auguri dal proscritto e dalla sua madre, sempre addolorata. Il ricordo delle parole ch’Ella mi ha detto, in ore indimenticabili, è sempre vivo e fruttifero nel cuor mio. Attendo l’ora del Signore!
Sento l’azione della preghiera ch’Ella innalza per me. Dio la benedica nel Suo grande lavoro, sempre!
Ad una povera e buona famiglia di Settecamini il nostro povero Don Alfredo[23] aveva fatto sperare ch’Ella avrebbe accolto un suo ragazzo undicenne. Quella buona famiglia si rivolge ora insistentemente a me. Vuole Lei far contenta l’anima benedetta del mio povero fratello? Scriva alla Famiglia Novelli (Agro Romano) Settecamini dicendo di portare il ragazzo. Grazie. L’esule”.[24]
Sorprende questa attività nascosta di "intermediario si soccorso" svolta dal Buonaiuti. E sorprendono i toni umanissimi delle sue parole. In un altro biglietto indirizzato a Don Orione, scrive: "Mio venerato amico, ecco il giovanetto Vincenzo Tazzuti che la tua sconfinata e pronta al soccorso bontà ha promesso di accogliere. Dio benedica sempre il tuo cuore. Il ragazzo sa quale tepore trova sotto le tue ali. Ti bacio. L'esule".[25]
Nel 1934 , Don Orione partì per l’America del Sud e vi si fermò tre anni, fino al 1937. Si interruppe la relazione e la fraterna assistenza, ma non l’affetto ed il vincolo spirituale. Questo riprese, vivo, al ritorno. Ne troviamo documentati segni.
Il primo, è una lettera del 12.12.1938. Buonaiuti affida alla cura di Don Orione un giovane “boccheggiante sulla via” con parole vibranti e quasi autobiografiche.
“Caro, Ti si presenta un mio giovane amico. Ti spiegherà il suo caso. E’ un boccheggiante sulla via, colpito, malmenato, lasciato nell’abbandono. Tu sei il buon Samaritano. Lo sanno tutti; io lo so meglio di ogni altro. Lo metto sul tuo cammino. Non lo lascerai boccheggiare. Lo raccoglierai e lo curerai. Ti indico - scusami - la cura. Tu dovresti mandarlo ad insegnare in una delle tue istituzioni nell’America del Sud. Non aggiungo una parola: tutti i tuoi secondi sono preziosi. Io... sono sempre assetato del tuo ricordo. Prega e ricordami. E.Buonaiuti”.[26]
Probabilmente del medesimo periodo è un secondo biglietto. Ancora una volta Buonaiuti si fa tramite, presso Don Orione, per dare aiuto ad un bisognoso “di luce e di soccorso spirituale”. Dalla propria esperienza sapeva cosa significa soffrire e, insieme, conosceva il cuore di Don Orione. Scrive: “Caro, il latore della presente è un mio carissimo amico e fratello. Ha bisogno di luce e di soccorso spirituale. Tu ne puoi dare, copiosissimamente. Ricevilo con la tua grande bontà. E.Buonaiuti”.[27]
Il Buonaiuti, “soccorso”, diventa soccorritore di altri “bisognosi di luce e boccheggianti sulla via” affidandoli a Don Orione.
Purtroppo, Don Orione non ebbe la consolazione di vedere questo suo amatissimo “fratello separato” godere la pace e l’unione in seno alla Chiesa. Don Orione morì il 12 marzo 1940. Al Buonaiuti restò la nostalgia consolatrice di un fratello che gli aveva voluto veramente bene.
Segno del vuoto e dell’affetto rimasto nel cuore del Buonaiuti l’abbiamo in una testimonianza di Don Giuseppe De Luca,[28] fine letterato e stimato frequentatore degli ambienti vaticani. Dopo aver pubblicato una lettera di Don Orione con un suo commento su L’Osservatore Romano telefonò all’amico Don Pietro Stefani, orionino, in questi termini: “In questo momento mi ha telefonato Buonaiuti dicendomi: Caro Don Giuseppe quanto bene mi hanno fatto le parole di Don Orione lette su ‘L’Osservatore Romano’. Scrivi ancora di Don Orione, te lo raccomando. Oh, quanto conforto mi hanno portato nell’anima”.[29]
Nello studio del Buonaiuti, tra tanti libri frutto del suo genio e del suo tormento, teneva in vista solo due oggetti a lui cari e familiari, ma estranei a quell’ambiente austero di studioso. Erano il rosario appartenuto a sua madre, che tanto pianse e pregò per lui, e un reliquiario donatogli da Don Orione. Ne da testimonianza Padre G. Valentini.
"Io desideravo rendermi conto esattamente del suo metodo di studio e perciò una volta gli chiesi, avendomi egli ricevuto come al solito nella sua biblioteca, di farmi vedere lo studio dove lavorava; il mio preciso scopo era di controllare come tenesse schedario della sua documentazione e come se ne servisse. Invece egli, appena entrati, mi fece vedere sul suo tavolo dei cimeli della sua defunta mamma tanto amata e venerata, forse un ritratto e una corona del Rosario; poi aprì un cassetto, ne estrasse un grande e bel reliquiario, e piangendo di commozione mi disse essere quello un dono ricordo di Don Orione. Notando la mia espressione interrogativa, mi narrò che Don Orione gli aveva sempre voluto bene e non aveva mai interrotto le sue relazioni con lui. Don Orione, diceva egli, gli aveva dichiarato di credere alla sua buona fede e di essere sicuro che egli sarebbe morto in modo da salvarsi. Questo ricordo, questa assicurazione erano il più grande conforto della sua vita". [30]
E Buonaiuti si riconciliò con la Chiesa? Certo, Buonaiuti soffrì il dramma interiore della sua posizione di ribelle. Ma non perse mai la speranza, come aveva confidato a Don Orione: “Il ricordo delle parole ch’ella mi ha detto, in ore indimenticabili, è sempre vivo e fruttifero nel cuor mio. Attendo l’ora del Signore! Sento l’azione della preghiera ch’Ella innalza per me”.[31]
Inoltre, vari testimoni affermano che Buonaiuti era sul punto di riconciliarsi con le autorità ecclesiastiche, anche se ciò non si realizzò in modo formale. I tempi erano diversi. Il contesto polemico di fronte al “pericolo modernista” dettavano atteggiamenti rigidi da parte delle autorità ecclesiastiche.
La Professoressa Margherita Guarducci – l’archeologa famosa per gli scavi nella basilica di San Pietro - afferma che Pio XII le confidò “Ah, lei non può immaginare con quale piacere lo abbraccerei”. E di questo problema incaricò il Sotto-Segretario di Stato, Monsignor Montini (poi Paolo VI). Ma anche lui poco poté.
Sempre la Guarducci conserva una lettera di Padre Giovanni Ceresi, dei missionari del Sacro Cuore, scritta all’amico Buonaiuti ammalato per incoraggiarlo e invitarlo a meditare sulla fede. Fu incaricato il Professore Ettore Paratore, marito di una nipote del Buonaiuti, di consegnare la lettera. Giunto alla casa e viste le precarie condizioni dell’ammalato, preferì rinviare all’indomani il compito. L’indomani però il Buonaiuti morì. Era il 20 aprile 1946.[32]
I funerali del Buonaiuti non furono religiosi, ma - annota Mario Pancera[33] - alcuni segni aprono alla speranza. Al passaggio del feretro davanti alla chiesa di S.Maria degli Angeli, a Monte Sacro dove Buonaiuti abitava, il parroco aprì la porta e benedì da lontano il corteo. Quando il giorno dopo, 23 aprile, avvenne la tumulazione al Verano, si presentò, senza essere stato chiamato, il cappellano del cimitero in cotta e stola e benedisse la bara. Non avrebbe potuto. Che gli fosse giunto un permesso, in segreto, dal Vaticano?
Sarebbe stato ancora condannato? A questo interrogativo, posto dopo il Concilio Vaticano II, Mario Crovini rispose così in una nota su L’Osservatore della Domenica: “Contrariamente a giudizi molto polemici del tempo, riconosco la buona fede del Buonaiuti e il suo nostalgico rimpianto della Chiesa e il suo attaccamento a Roma, nonostante la posizione irregolare e il suo orgoglio. Perciò amo pensare che egli avrebbe sentito oggi più che in quel periodo, le esortazioni e i consigli di amici come il Card. Gasparri, il Card. Marmaggi, il P. Giovanni Ceresi e Don Pirro Scavizzi, e sarebbe stato toccato dagli interventi semplici e miti di un santo come Don Orione. Forse i loro tentativi non sarebbero stati inutili, come purtroppo lo furono allora”.[34]
“Ritengo anch’io che il giudizio su di lui fatto da molti - osserva il già citato Padre G. Valentini -, che egli fosse falso e infido oltreché superbo, non corrispondesse alla realtà; egli non era più superbo di quanto lo sarebbe qualunque altro uomo colto, del suo livello, di fronte a persone scarsamente colte o presuntuose; era un impulsivo anche nelle sue avventure intellettuali.
Ritengo perciò che egli fosse, in ciascun momento, in buona fede, anche se la sua linea complessiva non era coerente. In un atteggiamento però egli mi è rimasto sempre costante: nel voler sempre rimanere cattolico e rientrare non solo nella comunione della Chiesa non appena questa si fosse fidata di lui, ma anche nell’esercizio delle funzioni sacerdotali, sia quelle kerigmatiche sia quelle liturgiche. Perciò anche se visibilmente non ci fu un atto di rientro nell’ordine, ritengo che si possa fondare su quella debolezza affiancata da buona fede e su quella sua costante intenzione per sperarne la salvezza”.[35]
Evidentemente, il ‘giudizio della salvezza’ spetta a Dio e non può essere il frutto di postume riabilitazioni umane o di rivincite storiche. Manet in silentio Dei. Però, la ricostruzione di questa pagina di storia della Chiesa e di persone di Chiesa, legate al rapporto tra il Buonaiuti e Don Orione, porta benefici frutti sia per la verità storica e sia per la conoscenza dell’animo umano e del mistero della Chiesa. Porta, ad esempio, a dire “questo è l’uomo”: capace di slanci meravigliosi e contradditori, si nega all’abbraccio liberatorio ed è aperto alle forme della carità più nascosta e disinteressata. Porta ancora a concludere “questa è la Chiesa”: magistra gelosa della verità consegnatale e, insieme, mater che mai abbandona i suoi figli.
NOTE -----------------------------------------
[1] Il modernismo, più che un sistema, è stato un coacervo di affermazioni, di tendenze e stati d’animo; è stato più un metodo ed un atteggiamento, che un contenuto ben definito. Di fatto produsse delle sfasature ed anche vere deviazioni dottrinali e pratiche. Tra un pensatore e l’altro, tra una scuola e l’altra vi fu grande diversità di posizioni, pur con alcuni tratti comuni. Per parte sua, il Buonaiuti contestò l’Enciclica Pascendi di Pio X nelle sue Lettere di un prete modernista e in Programma dei Modernisti. Nel Pellegrino di Roma espresse giudizi sprezzanti su Pio X, ed espose una comprensione dell’eucarestia divergente dalla dottrina cattolica. Nel Modernismo cattolico riconobbe il ruolo della Gerarchia nella Chiesa, ma solo come una concreta esigenza storica e non come volontà diretta di Gesù Cristo. Questo solo per accennare ad alcuni problemi sollevati.
[2] Per una panoramica sulla letteratura orionina si veda Bibliografia orionina, a cura di A.Belano, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1997. Tra gli studi di carattere storico: PAPASOGLI G. Vita di Don Orione, (IV ed.), Gribaudi, Torino, 1994. AA.VV., Don Orione "un uomo dal popolo per il popolo". Atti del convegno internazionale di studi di Alessandria, 10-11 marzo 1988, Maxmi editrice, 1989. AA.VV. La figura e l'opera di Don Luigi Orione (1872-1940). Atti dell'incontro di studio tenuto a Milano il 22-24 novembre 1990. Ed. Università Cattolica del S.Cuore - Vita e Pensiero, Milano, 1994. POSTULAZIONE PICCOLA OPERA DELLA DIVINA PROVVIDENZA, Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. I. 1872-1892; II. 1893-1900; III. 1901-1903; IV. 1903-1908; V.1909-1912. Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma (pubblicazione in corso). Nella collectanea Don Orione nel centenario della nascita, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1975, si segnalano i contributi di TERZI I. Il momento storico in cui operò, p.29-36; e Il messaggio di Don Orione nella sua genesi storica, p.147-155; DEL MONTE A. La scelta sociale di Don Orione, p.92-100. PELOSO F. Don Orione, un vero spirito ecumenico, Ed. Dehoniane, Roma, 1997 (capitolo Ecumenismo interno: i modernisti, 59-65).
[3] Il presente studio si fonda - mettendoli a conoscenza - sui documenti conservati nell’Archivio Don Orione (Via Etruria 6 – Roma), in gran parte inediti.
[4] E’ del 14.1.1921 la “scomunica minore” che Buonaiuti definisce “provvedimento amarissimo che così bruscamente mi ha reciso dalle carni vive della società cristiana”, in Lettere di Ernesto Buonaiuti ad Arturo Carlo Jemolo. 1921-1941, a cura di Carlo Fantappiè, Ministero per i beni culturali e Ambientali, 1997, p.55.
[5] Era il 31.7.1938, in Riunioni p.202.
[6] Summarium ex processu beatificationis et canonizationis servi Dei Aloisii Orione, 332, in Archivio Don Orione. La Costa Gnocchi è una eminente figura di pedagogista, fu stretta collaboratrice di Maria Montessori. Tenne relazioni con molti personaggi intellettualmente vivaci e talvolta anche inquieti. Ebbe in Don Orione un consigliere ed un riferimento per aiuti d’ogni tipo.
[7] Don Orione aveva già seguito con la sua premura fraterna un grande numero di laici ed ecclesiastici in difficoltà: Tommaso Gallarati Scotti, Don Brizio Casciola, Don Romolo Murri, Padre Giovanni Semeria e altri. L’aiuto ai “preti lapsi”, in materia di dottrina o anche di mancanze morali, è un capitolo poco noto della vita di Don Orione e giustamente velato dalla discrezione.
[8] Scritti 43.242 in Archivio Don Orione.
[9] Tra le censure dell’Autorità ecclesiastica, quella che lo fece più soffrire fu l’imposizione dell’abbandono dell’abito ecclesiastico. “Questa divisa – scrisse all’amico A.C.Jemolo – è strettamente legata a tutti i fremiti della mia vita spirituale. Lo spogliarmene è uno strapparmi le carni vive di dosso”. In Lettere di Ernesto Buonaiuti ad Arturo Carlo Jemolo. 1921-1941, o.c., p.162.
[10] Summarium 142.
[11] Lettera, datata 15.4.1966, indirizzata dal Padre Giuseppe Valentini al Postulatore orionino Don Luigi Orlandi, in Archivio B 6.VII.
[12] Cfr. DEL RIO D. I Gesuiti e l’Italia, Corbaccio, Milano, 1996, p.347-349.
[13] Cartella Costa Gnocchi, Archivio Don Orione, Roma.
[14] Lettera del 30.1.1926, in Scritti 116,28.
[15] Cartella Costa Gnocchi, Archivio Don Orione, Roma.
[16] Cartella Costa Gnocchi, Archivio Don Orione, Roma.
[17] In un appunto del 4.4.1970 di Don Luigi Orlandi, leggiamo: “Il sottoscritto ha battuto a macchina una ritrattazione di Ernesto Buonaiuti, in cui dichiarava di volersi sottomettere alla autorità ecclesiastica. La dichiarazione era stata stesa da Don Orione. Don Orione mi disse poi che non fu accettata”, Archivio O.8.I.
[18] Cfr. anche Summarium 909.
[19] Summarium 336-367. Testimonia ancora Don Galbiati: “A me personalmente, in un’ora incresciosa, forse provocata in parte dalla mia sventatezza, in parte maggiore dalla malevolenza altrui, Don Orione restituì la fiducia, la serenità, la pace. E quando, non sono molti anni, qui a Milano, improvvisamente, - per non dispiacere a qualche gerarca - mi fu vietata la predicazione della Quaresima, Don Orione venne fino ad Asti per prepararmi a ricevere la notizia, ché temeva mi dovesse umiliare e affliggere. Quando mi vide ridere, mi abbracciò, piangendo di gioia”. L’episodio è riferito anche da G.Venturelli in Summarium p.909.
[20] Archivio B 6.VII.
[21] Cfr. Peloso F., Don Orione, un vero spirito ecumenico, o.c., p.61-62.
[22] Archivio B 6.VII.
[23] Si tratta di Don Alfredo Buonaiuti, parroco di Settecamini e fratello di Don Ernesto, morto l'anno precedente. Don Ernesto aveva casa a Settecamini.
[24] Archivio Don Orione, B 6.VII. Nell'Archivio è conservata anche un'altra lettera riguardante il caso analogo di un altro ragazzo, un certo Amandolini, accettato e poi dimesso dal Collegio di Don Orione a Sant'Oreste (RM). Anche questo scritto mostra la premura nel bene del Buonaiuti e la sua grande stima verso Don Orione, del quale si dice "nella carità di Cristo sempre devoto e affezionato".
[25] Archivio B 6.VII.
[26] Ibidem.
[27] Ibidem.
[28] Cfr. G.Marchi, L’incontro di De Luca con Don Orione in Don Giuseppe De Luca, a cento anni dalla nascita, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1998, p.112-148.
[29] Archivio Don Orione, S.11.II. Cfr. anche Summarium 711.
[30] Lettera del 15.4.1966, in Archivio B 6.VII. Cfr. anche Papasogli G. Vita di Don Orione, Gribaudi, 1994 (IV ed.), p.388-390.
[31] Lettera del 21.6.1934, Archivio Don Orione, B.6.VII.
[32] Cfr. B.Gatta, La sofferenza di Buonaiuti, Il Tempo, 4.12.1981.
[33] C’era un santo accanto a lui in La Domenica del Corriere, 25.7.1980, p.68-71.
[34] L’Osservatore della Domenica, 10.12.1967. Mons. Mario Crovini fu il responsabile della Sezione “Censura dei libri” del Sant’Uffizio, Referendario della Segnatura Apostolica, Perito della Congr. Dottrina della Fede e Prelato della Camera Apostolica.
[35] Lettera del 15.4.1966, già citata.