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Messaggi Don Orione
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Nella foto: Roma, Parrocchia Santa Maria Mater Dei, 21 settembre 2018.
Autore: Don Flavio Peloso

La liturgia di commiato si è celebrata nella chiesa della Parrocchia Mater Dei, venerdì 21 settembre alle ore 11. Erano prenti una cinquantina di sacerdoti orionini, la sorella Flora ed altri familiari, molti parrocchiani e amici di Don Giuseppe. Ha tenuto l'omelia, Don Flavio Peloso.

OMELIA

ALLA MESSA DI COMMIATO DI DON GIUSEPPE SORANI

Parrocchia Mater Dei, 21 settembre 2018.

 

DAL LIBRO DEL PROFETA ISAIA     25, 6.7-9
In quel giorno: il Signore degli eserciti preparerà su questo monte un banchetto per tutti i popoli.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di
tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti.
Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto;
farà scomparire da tutto il paese la condizione disonorevole del suo popolo, poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse;
questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza».

 

DAL VANGELO SECONDO MARCO      15, 33-39; 16, 1-6   
Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lamà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elìa!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elìa a toglierlo dalla croce». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso.
Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio! ».
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù.
Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande.
Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto».

 

Tra le letture che la liturgia cristiana offre per la Messa di commiato dei fratelli nella fede, quelle di Isaia e del Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato sono congiunte da una medesima espressione, cara a Don Giuseppe Sorani, e mi pare abbiano costituito il desiderio e l’impegno di tutta la sua vita.

Isaia parla del messianismo universale e annuncia che il Signore degli eserciti preparerà su questo monte, il monte Sion figura della Gerusalemme celeste, un banchetto per tutti i popoli. Per giungere a questa festa universale, Isaia annuncia che “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti”.

Il tema del velo strappato ritorna nel Vangelo di Marco dove è detto che, dopo la morte di Gesù in croce, “Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso”.

Squarciare il velo - che spesso è una coltre pesante come dice Isaia - che divide uomo da uomo, che separa i popoli tra di loro e divide gli uomini da Dio: questa fu l’esperienza di fede, la passione umana e l’impegno sacerdotale di Don Giuseppe. Egli ebbe la sofferenza e la gioia per la ricerca di unità; fu uomo di dialogo; sapeva individuare e far riconoscere i veli e i muri della diffidenza e dell’ostilità che impediscono di riconoscerci fratelli, destinati al medesimo lauto banchetto offerto a tutti dall’unico Padre buono e misericordioso.

D’altra parte, Don Giuseppe era ben cosciente che il velo della separazione non si toglie solo con la buona volontà umana o con l’intervento di un qualche Elia potente (“Ecco, chiama Elia”). Dio stesso, misericordioso, fattosi presente nel Figlio suo Gesù, si è offerto come sacrificio di comunione universale, di riconciliazione e di unità, per cui “Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.” (Gl 4, 28-29).

Mi sembra che nella vita di Don Sorani siano convissuti questi due atteggiamenti fondamentali: da una parte, la sua fiducia tenace nel dialogo e nelle prassi di riconciliazione e dall’altra il suo abbandono sacramentale, la sua unione personale a Cristo, mediante l’ascolto della Parola, la preghiera filiale e la carità, perché “Lui è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia… per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia” (Ef 2, 14-18).

In questo orizzonte di pace divina, prossimo ed escatologico, possiamo rileggere la storia di Don Giuseppe Sorani, nella quale, poco o tanto, tutti noi siamo entrati ricevendone beneficio e grazia.

Don Giuseppe aveva 88 anni di età, 68 di professione religiosa e 60 di sacerdozio. Era nato ad Acilia (Roma), il 29 dicembre 1929, figlio di Garibaldo e di Maria Palagi. Erano 5 fratelli: Giuliano, Giorgio, Claudio, Giovanni, Giuseppe, Elena e Flora, che è qui con noi. Don Giuseppe aveva sul suo tavolino in camera la foto della sorella Elena, morta a 18 anni. Era molto legato alla sua famiglia.

Trascorse l’infanzia ad Acilia ove il papà era il medico della locale stazione sanitaria. Capitolo fondamentale della vita di Giuseppe, biograficamente e spiritualmente, fu quello trascorso al tempo delle leggi razziali antiebraiche e dell’occupazione nazista di Roma. Solo una volta accettò di alzare il velo del riserbo su quanto avvenne.

“Tutti ci siamo nascosti come potevamo, nei paesi, nei casolari – raccontò -. Il papà era medico condotto e la nostra famiglia viveva, benvoluta, alla stazione sanitaria di Acilia. Mamma, Emma, era morta qualche anno prima per le angustie delle leggi razziali del 1938. Io ero un ragazzo di 14 anni e mio fratello Giovanni ne aveva 16. In un primo tempo, papà ci ha nascosti presso qualche contadino che ci conosceva. Dopo lo sbarco di Anzio del 22 gennaio 1944, siamo venuti a Roma, in un appartamentino in via Giovanni Miani, dalle parti di Porta Ostiense, che i miei avevano in affitto; qui siamo rimasti nascosti solo noi due. Papà trovò protezione all'ospedale Fatebenefratelli dell'isola Tiberina, sotto altro nome, alternandosi nel ruolo di medico e in quello di ammalato, a secondo dell'opportunità. Poi, quando c'è stato lo sfollamento di Acilia ed era troppo pericoloso per noi due rimanere nell'appartamento di via Miani, io e Giovanni siamo stati portati all'Istituto di Don Orione di Via Induno, a Trastevere, come orfani sfollati, senza dire niente della nostra reatà ebraica. Fino all'arrivo degli americani e alla liberazione di Roma, il 4 giugno del 1944, sono rimasto a Trastevere”.

E poi un particolare mi ha molto impressionato di quanto mi raccontò Don Giuseppe. “Ricordo che in quei giorni, dopo l’uscita dei tedeschi da Roma, Don Piccinini mi ha affidato la cura di un ufficiale nazista, ora nascosto lì. Mi ha detto: “Non sappiamo come fare per questo povero nazista”. Era nascosto dietro una tenda e io gli portavo da mangiare. Così per un mese o due, mi pare, fin che passò la tempesta, perché i partigiani avrebbero ammazzati tutti i tedeschi, come reazione. Mi fece impressione che quell'ufficiale fosse ancora convinto della giustezza dell'ideologia nazista; era ancora convinto che gli ebrei dovessero essere tutti fulminati”.

Quando pensiamo alla costante azione di dialogo, di ecumenismo e di pacificazione di Don Sorani non possiamo non pensare a questo episodio – parabola che segnò profondamente la sua vita. Visse per togliere il velo delle idee e delle ostilità che separano uomini da uomini e anche credenti da credenti.

In questo periodo avvenne anche il suo passaggio al cristianesimo. Su questo evento fu sempre molto discreto. Fu un fatto molto interiore, come testimonia anche Don Carlo Pensa, 2° successore di Don Orione, nella lettera di presentazione di Giuseppe al Noviziato. “Giovanni, il maggiore dei due fratelli, un anno dopo che viveva nella casa dell’orfano domandò e ricevette il santo battesimo. Non così anche il Giuseppe, il quale però da quel giorno richiese al direttore alcuni libri di formazione religiosa e, nel silenzio nella raccoglimento, modello veramente fra i suoi compagni, si preparò ad entrare anch’egli in grembo alla Chiesa. Soltanto tre anni dopo, nella solennità di San Pietro del 1945, fra l’esultanza dei suoi compagni, egli ricevette il santo battesimo si accostò alla mensa eucaristica ed ebbe la confermazione. Disse più tardi a chi gli fu padrino, l’onorevole senatore Antonio Boggiano Pico, che quel giorno stesso egli sentì la voce che lo chiamava alla vita religiosa”.

Due anni dopo, l’11 ottobre 1947, entrò nella Congregazione e fece la vestizione a Roma – Monte Mario; dopo il Noviziato emise i voti religiosi l’11 ottobre 1949. A Villa Moffa di Bra (Cumeo) frequentò il liceo classico e, succcessivamente, gli studi di teologia all’Università Lateranense di Roma, risiedendo a Ognissanti. L’11 ottobre 1955 emise la professione perpetua e il 13 aprile 1958 fu ordinato sacerdote.

Seguirono poi varie tappe nella vita di Don Giuseppe, vissute in luoghi e attività differenti: Buccinigo, Grotte di Castro, Villa Moffa (Cuneo) – qui lo conobbi professore di liceo, ricevendone un gran bene - , Avezzano, Roma al quartiere Appio e a Monte Mario. Dal 1975 al 1987, è stato consigliere generale della Congregazione; di questo periodo rimase molto significativo l’avvio del GADO (Giovani Amici Don Orione). È stato parroco della Parrocchia Mater Dei dal 1987 al 1991; poi ha continuato a seguire persone e a svolgervi qualche attività. Fino al giugno scorso animava gli “Incontri sul Vangelo di Marco”.

Don Giuseppe Sorani è stato un uomo e confratello di grande valore intellettuale, morale e religioso. Dalla sua sofferta esperienza umana e religiosa è nato il convinto e costante impegno per l'ecumenismo e il dialogo in tutte le dimensioni relazionali, teologiche e pastorali. Dagli anni '70 è stato protagonista dell'animazione ecumenica in Italia, sostenitore del Segretariato Attività Ecumeniche (SAE), in particolare attento animatore dell'Amicizia ebraico-cristiana, membro della Commissione diocesana per l'ecumenismo e il dialogo della Diocesi di Roma.

Gioì dell’aria nuova e del rinnovamento seguito al Concilio Vaticano II, che tanto toccò la sua vita personale. Ricordo di averlo ascoltato dire più volte: "Ho passato i mio primo ventennio della vita come ebreo, il secondo come cristiano, il terzo e oltre - dopo il Concilio Vaticano II - come ebreo cristiano".

Ognuno di noi porta qui, oggi in questa Eucarestia di comunione e di commiato, i propri ricordi e motivi di ringraziamento al Signore per avere incontrato Don Giuseppe Sorani. Ci uniamo a una sola voce con Don Giuseppe con le parole del Qaddish, preghiera di santificazione e lode: “Sia magnificato e santificato il Suo grande Nome, nel mondo che Egli ha creato conforme alla Sua volontà, venga il Suo Regno durante la nostra vita, la nostra esistenza e quella di tutto il popolo d’Israele, presto e nel più breve tempo”. Sia il Suo grande nome benedetto per tutta l’eternità”. AMEN.

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