Capitolo I: Sintesi cronologica.
VITA DI DON CARLO STERPI
di Don Domenico Sparpaglione
INDICE
Capitolo I: Sintesi cronologica
Capitolo III: Fraternità con don Orione
Capitolo V: L’appuntamento con la Madre del Cielo
Nascita e primi anni
Dicono che i nomi abbiano un loro destino accanto alle persone che designano, e se ci riferiamo all’etimo non possiamo dubitarne. Qualche volta però si è tentati di modificarli, perché rispondano all’idea suggerita dal soggetto conosciuto, a meno che la persona non sia riuscita a superare quel nome, a piegarlo su di sé, a dargli un lustro che lo nobiliti.
Il nome di don Sterpi, per sé arido, non abbisogna di trasformazioni. Nessun altro nome per noi della Piccola Opera potrebbe valerlo a significazione di grandezza morale. Egli con la sua vita ha messo quel nome in un nimbo di luce e l’ha reso perciò programmatico per il rapporto diretto con l’idea che esso richiama.
Gli Sterpi erano una volta abbastanza frequenti nella zona tortonese. Poi si distribuirono un po’ dovunque specialmente verso il centro naturale di attrazione che è Genova. A Gavazzana vissero parecchie generazioni della famiglia da cui derivò i natali il nostro don Carlo.
È un paesetto posto sul crinale di una collina sovrastante a Cassano Spinola che pur appartenendo al circondario di Tortona, gravita col suo commercio sulla città di Novi poco distante. La chiesa lo domina dal punto più elevato, che offre un magnifico panorama sulla pianura di Marengo. Tortona, capoluogo di Diocesi, è nascosta da una serie di colline che limitano a oriente la pianura. Biancheggia isolato, verso l’appennino, il Santuario di Monte Spineto.
La famiglia di don Sterpi, tra le più distinte del paese, onorava in sé una bella tradizione di virtù civiche e religiose. Uno zio paterno di don Carlo, Luigi Sterpi, fu sindaco di Gavazzana e, possedendo una fiorente vigna, forniva annualmente alla parrocchia l’uva per il vino da Messa. Delicatissimo e coscienzioso sceglieva di propria mani i grappoli migliori da destinare alla chiesa. Il XX settembre di non so quale anno si rifiutò di esporre la bandiera nazionale, giudicando tale ricorrenza lesiva del sentimento di fedeltà alla Santa Sede, e per ordine dell’allora presidente del Consiglio Crispi fu destituito dalla carica.
Non manca nella famiglia la figura di un pio e dotto sacerdote, don Carlo Sterpi, zio del Nostro. Era professore nel seminario di Pinerolo e nel periodo delle vacanze trascorreva qualche settimana al paese. Cero influì con il suo esempio sulla vocazione allo stato ecclesiastico del nipotino, a parte l’opera svolta dal Parroco di Gavazzana che era anche maestro di scuola e sapeva orientare le anime dei piccoli agli ideali più santi.
Carlo Sterpi, nato a Gavazzana, il 13 ottobre 1874, da Giovanni e da Raviolo Caterina, non rimase molto in paese. A sei anni si trasferiva a Novi Ligure e, stando a pensione presso un certo Ghio lontano parente, cominciava a frequentare i corsi elementari del Collegio San Giorgio che dava i suoi ultimi bagliori sotto i Padri Somaschi prima di ecclissarsi in una parentesi dolorosa da cui l’avrebbe risollevato l’intervento “miracoloso” di don Orione nel 1924.
Terminate le scuole elementari passò a frequentare, sempre sotto la guida dei Padri Somaschi, la prima classe ginnasiale, ma già fioriva nel suo cuore puro e innocente, la vocazione a seguire Gesù per diventare un giorno suo sacerdote. Ai piedi della venerata immagine della Madonna Lagrimosa ebbe forse il primo palpito una così bella e santa aspirazione che convalidava i segreti propositi di un’anima verginale. La devozione a Maria SS. formerà la nota dominante della pietà di don Carlo Sterpi. Egli con anelito di asceta cercherà i suoi santuari e particolarmente quello di Monte Spineto, il più vicino al suo cuore di fanciullo, per attingervi gli slanci generosi della Fede, e percorrerà l’intero cammino della sua vita tanto fecondo di bene sulla guida della Madonna.
A monte Spineto nell’estate del 1918, ancora in piena guerra – dall’alto si vedevano gli attendamenti inglesi di Val Borbera e di Arquata - egli condusse i giovani del Paterno, i chierici, i lavoratori, e volle alla sua rispettabile età, compiere il pellegrinaggio interamente a piedi. La sua devozione alla Madonna si arricchì di forme sempre più smaglianti serbando integra l’ingenua freschezza delle origini.
A dodici anni, promosso alla seconda classe ginnasiale, fece la sua domanda al Vescovo di Tortona, Mons. Cappelli, per l’accettazione in seminario, dove entrò il 15 ottobre 1886. Il nuovo Vescovo Igino Bandi si preoccupava subito di separare i chierici più piccoli dagli studenti di Filosofia e Teologia e trasferiva i primi in un vecchio istituto di Stazzano iniziandone in pari tempo la ricostruzione e l’ampliamento con l’aggiunta della chiesa dedicata al Sacro Cuore solennemente inaugurata nel 1896 alla presenza di due Arcivescovi.
Fin che rimase a Tortona il chierico Sterpi ebbe per Direttore Mons. Ambrogio Daffra e stabilì i primi rapporti di santa amicizia con il chierico Orione maggiore di lui di due anni, col chierico Perduca di lui più giovane e col chierico Albera preposto più tardi dal Vescovo all’assistenza dei seminaristi. Chi avrebbe potuto prevedere che un giorno essi si sarebbero trovati riuniti in una congregazione per adempiere un misterioso disegno della Provvidenza?
Aperto il seminario minore di Stazzano il chierico Sterpi fu della prima schiera che ne prese possesso per completarvi gli studi ginnasiali dai quali uscì con lodevolissimo profitto. Seguiva poi a Tortona i corsi di Filosofia e di sacra Teologia e poteva ritrovarsi col chierico Orione il quale aveva già abbastanza chiaro il lineamento del suo programma avvenire e cominciava a darvi consistenza nel 1892 raccogliendo i primi giovani nel voltone del Duomo.
Il chierico Sterpi tanto si distingueva per pietà e studio da polarizzare intorno a sé la stima dei suoi compagni che lo consideravano come un esemplare a una guida. Valga la testimonianza del canonico Artana il quale ricorda come durante il periodo estivo il giovane Sterpi era solito convocare nella chiesa di Gavazzana i chierici delle località viciniori per fare con essi la meditazione e la lettura spirituale.
Giunto agli Ordini Minori ebbe dai superiori, che tanto lo apprezzavano, l’incarico di prefetto: ed egli lo disimpegnava con scrupoloso senso di responsabilità usando fin da allora il metodo compendiato nel motto fortiter et suaviter, anche se qualche eccedenza nel fortiter, imputabile alla sua esuberanza giovanile, rimane come scolpita in un episodio tramandatoci dai suoi compagni di seminario. Ritenendosi obbligato in Domino ad appoggiare un ben meritato ceffone sulle guance di un atletico eversore della disciplina, egli, piccolo e mingherlino, montò intrepido su di uno sgabello per compiere poi coscientemente il suo dovere fino in cima.
A poco più di diciott’anni il chierico Sterpi possedeva già un abituale contegno di ponderatezza scevro di ogni benché minima inflessione di posa e di sussiego. La sua serietà, il suo decoro erano sempre accompagnati da serenità di spirito e valorizzati da un sorriso spontaneo che solo in circostanze particolari cedeva all’energia espressiva di quel suo sguardo immobile e penetrante. Il suo ascendente sui giovani era formato di benevolenza e di fedeltà al dovere mai incrinata da rigidezze di carattere. Tutti lo temevano salutarmente, ma ammirando la sincerità del suo affetto e attratti nel fascino della sua bontà, a lui si abbandonavano fiduciosi.
Al seguito di don Orione
Intanto don Orione ancora semplice chierico, apriva nel 1893 un primo collegio per giovani studenti sprovvisti di mezzi economici e dava con il suo zelo e con l’esempio, un forte incremento alle vocazioni sacerdotali, il suo secondo Credo, dopo l’amore alla Chiesa.
A San Bernardino e a Santa Chiara il plesso scolastico era però costituito in maggioranza di giovani avviati a una carriera civile, e difatti tanti di essi furono in seguito medici, avvocati, insegnanti o presero la via del commercio.
Il peso della tenuta disciplinare e della scuola gravava tutto sul Servo di Dio e sul primo suo collaboratore don Albera, messo accanto a lui dal Vescovo con un tratto di stima insigne ribadita in seguito con l’autorizzazione accordata al chierico Sterpi di accompagnarsi a don Orione.
Certo il Fondatore, anche se ciò non è documentabile, avrà tentato parecchi approcci presso il pio prefetto del seminario per saggiare la sua disposizione a entrare nel solco da lui aperto alla recente congregazione. L’occasione determinante però fu offerta da uno dei tanti episodi di vita collegiale che si direbbe trascurabile in sé ma che rientra a chiare linee nel disegno della Provvidenza.
Don Sterpi, che nella sua semplicità non usava librarsi sulle ali delle interpretazioni difficili, dove i fatti hanno una loro persuasiva eloquenza, mi raccontò un giorno, entrando d’acchito nel discorso alla vista di un abile professionista di Tortona che ci era passato accanto salutando: “Vedi quel bravo signore (un tocco di uomo dalle forme aitanti con i capelli grigi leonini) è stato la causa per cui io sono venuto in congregazione”. E spiegò come si svolse la faccenda. L’uomo in parola era, tra i giovani di Santa Chiara, un tipo difficilmente domabile e faceva la sua parte per mettere in imbarazzo don Orione che sentiva l’urgenza di altre braccia disposte a dividere con lui il peso dell’assistenza.
Aveva con sé don Albera e qualche giovane chierico; don Testone andava a fargli la scuola di latino; altri aiutavano; ma egli era convinto che il Signore gli avrebbe anche regalato il chierico Sterpi. Fu giocoforza dimettere dal collegio il giovane troppo vivace. I parenti allora, per farlo riaccettare, ricorsero al Vescovo. Il Vescovo mandò a chiamare don Orione il quale, con quell’intuito che era la sua dote intellettuale più spiccata, colse l’occasione d’oro e dichiarò che era pronto a fare secondo la volontà del Vescovo, purché questi si compiacesse di dargli l’indispensabile aiuto di un assistente. Il Vescovo gli sottopose un breve elenco di chierici, perché esprimesse su quale di essi convergeva la sua scelta. Manco a dirlo don Orione puntò l’indice sul nome del chierico Sterpi e il Vescovo, dopo qualche esitazione, sapendo che veniva a privare il seminario di uno dei migliori chierici, accordò il favore.
Naturalmente tutta questa dovizia di particolari non ce l’ha fornita don Sterpi che nella sua rievocazione, sobrio e umile, si limitava a dire: “Eh, si, quel figliuolo era un po’ birichino: don Orione ha chiesto al Vescovo un aiuto per domarlo; e il Vescovo ha mandato me”.
Vita di sacrificio
L’anno preciso del passaggio di don Sterpi tra le file di don Orione è il 1895. Divenuto figlio della Divina Provvidenza don Sterpi divise con il Fondatore i disagi, gli stenti e le umiliazioni, le persecuzioni, la fame, il freddo, i fastidi di quegli anni duri ma risolutivi e fecondi per l’avvenire della congregazione. Rimandiamo alla biografia di don Orione molti particolari e specialmente l’episodio del “Diverso Compagno” nel quale don Sterpi, allora Diacono, ha una parte prevalente. (Don Sterpi. Il Servo di Dio don L. Orione, p.99 e seg.)
Solo aggiungiamo che, mentre don Orione si sentiva un po’ più sollevato e relativamente libero di attendere all’istituto questuando il pane per i suoi giovani ed esercitando in Diocesi che pure gli fruttava qualche aiuto, don Sterpi cominciava a regolare dal suo posto di comando, in cappella, in cortile, in studio, a scuola, in refettorio, la disciplina del collegio, improntandola a ordine e famigliarità, e rappresentava una garanzia di buon andamento e la tranquillità assoluta durante le frequenti assenze di don Orione.
Oberato di lavoro il chierico Sterpi trovava modo di attendere con diligenza allo studio seguendo i programmi del seminario e veniva ammesso agli Ordini Sacri. Nel trasporto religioso d’una folta schiera di giovani che toccavano le due centurie, celebrò la sua Prima Messa a Santa Chiara il 14 giugno 1897.
Oltre curare il buon funzionamento del collegio don Orione e i suoi collaboratori si prestavano per il sacro ministero in diocesi. La domenica non era per loro un giorno di riposo. Su di un baroccino mezzo sconquassato dall’usura dei servizi, trainato dal famoso cavallo della provvidenza, or l’uno or l’altro dovevano raggiungere i paesi dove celebravano la Messa festiva. Don Sterpi a distanza di anni ricorderà i viaggi da Tortona a Godiasco su di una strada indurita dal gelo.
Aveva quasi un senso di ristoro e di accogliente conforto il tepore della cucina di Santa Chiara dove al ritorno si concedevano un po’ di riposo per iniziare alle quattro del mattino successivo, con le pratiche di pietà, il consueto lavoro.
Ma le fatiche erano allietate dalla grande fede che li infervorava colmando di santa letizia le loro anime e trasfondendosi in quelle dei giovani allievi, i “figli” come essi li chiamavano, quando ne parlavano o ne scrivevano.
A temprare nella virtù i fondatori della Piccola Opera contribuì, permesso da Dio, qualche dolore morale.
Don Alberto Garaventa che tanto affetto ebbe sempre per il nostro Istituto, raccontava come appreso dalla viva voce di don Orione, questo fatto. I rapporti tra mons. Bandi e don Orione erano un po’ tesi anche in conseguenza di una campagna di ostilità condotta da una persona che godeva la piena fiducia del Vescovo. A esacerbare l’attrito si verificò il caso di una funzione religiosa compiuta da don Sterpi in una parrocchia su cui pendeva una sospensiva del Vescovo a motivo del ballo pubblico. L’amore di don Sterpi per il suo Vescovo era fuori discussione e così il suo spirito di sottomissione ai decreti della Curia. Ma per un equivoco e in perfetta buona fede egli celebrò e predicò come nelle feste ordinarie.
Quando mons. Bandi fu messo al corrente della cosa, ma sotto una visuale errata, ne rimase addoloratissimo e mandò a don Sterpi l’ordine di astenersi per tre giorni dalla celebrazione.
Don Orione corse dal Vescovo a scusarlo e dichiarò che se mai la sospensione a divinis toccava a lui, poiché don Sterpi non aveva fatto che ubbidire: “Pensi, Eccellenza, sono le Messe più belle che si celebrano, le prime, ed è un peccato privarne quell’anima semplice e buona”.
“Ebbene, sospendo te” – disse il Vescovo, dal carattere buono ma impulsivo e rigidissimo nella lotta che conduceva contro il dilagare del ballo pubblico. E non diceva per ischerzo.
Don Orione si trasferì fuori diocesi, ad Alessandria, dove poteva celebrare, e vi rimase tre giorni per non destare scalpore tra i suoi e poi si ripresentò al Vescovo a far atto di ossequio.
Mons. Bandi lo accolse con fare paterno e: “In confidenza – gli domandò – che cosa hai pensato del tuo Vescovo quando t’è arrivato l’ordine della sospensione?”
“Eccellenza, - rispose don Orione – se le dico quello che ho pensato, lei mi sospende un’altra volta”.
“Ti comando di dirmelo”.
“Ho pensato che la sospensione stava forse più bene a Vostra Eccellenza che a don Sterpi”.
E detto questo si buttò in ginocchio ai piedi del Vescovo per chiedere scusa. Ma tutto finì bene, perché nel rialzarsi di scatto diede una sonora zuccata sullo spigolo del tavolo e si portò le mani alla parte lesa provocando un sorriso di ilarità nel Vescovo che ritenne più che sufficiente quella penitenza estemporanea.
A San Remo
Don Orione diceva spesso riferendosi a quei tempi eroici: “La Congregazione è stata fondata da chierici e i chierici in essa hanno avuto anche in seguito una parte rilevante”. Era il riconoscimento dei meriti di don Sterpi e degli altri suoi primi collaboratori.
La dinamica del Fondatore, frenata solo dalla profonda umiltà di attendere sempre i momenti stabiliti da Dio cercando di conoscerli attraverso la preghiera e il filiale abbandono alla sua volontà, in pochi anni ha bruciato le tappe giovandosi dei mezzi moderni e particolarmente della stampa per scuotere il mondo al fuoco della carità. Dopo San Bernardino e Santa Chiara si aprono quasi simultaneamente la casa di Mornico Losana, il Convitto San Romolo di Sanremo e la Colonia Agricola di Noto in Sicilia.
Don Sterpi, braccio destro di don Orione, è destinato nel 1898 ad aprire e a condurre il Convitto San Romolo offerto alla Piccola Opera dal Vescovo di Ventimiglia mons. Ambrogio Daffra, già rettore al seminario di Tortona.
A Sanremo don Sterpi rimane come direttore fino al 1906 e sotto la sua saggia disciplina si avvicendano molti giovani studenti delle Elementari, delle Tecniche e del Ginnasio-Liceo. Tanto più la sua opera di educatore eccelle in quanto i collegiali frequentano tutti le scuole esterne e l’ambiente della città è pericoloso per le attrattive mondane che presenta.
Al compito di direttore si associa ben presto quello di guida spirituale di parecchi giovani chierici che don Orione gli ha affidato e per i quali egli è riuscito ad approntare la “casetta di Gesù”, un locale angusto ma pittoresco situato un poco più in su della Madonna della Costa tra la folta vegetazione di ulivi che fasciano la montagna verso San Romolo.
Qualche anno dopo, cresciuto il loro numero, don Orione li trasferiva al Castello di Mornico (Pavia) dove don Sterpi trascorreva le vacanze curando la loro formazione religiosa, per riprendere poi con l’anno nuovo il suo posto a Sanremo.
Che l’opera di don Sterpi risultasse la più efficace è dimostrato dall’ottima riuscita di essi. Basti ricordare don Giuseppe Zanocchi, don Giulio Cremaschi, don Angelo Bariani, don Gaspare Goggi, don Alvigini, don Ferretti, don Montagna, il chierico Ottaggi.
Un episodio della vita del collegio merita di essere ricordato. Don Sterpi usava spesso parlarne a dimostrazione della vigile protezione della Madonna sul Convitto.
Un giovane, Orengo di Badalucco, sottraendosi alla sorveglianza del prefetto, era salito alla camerata-studio allestita quell’anno all’ultimo piano dell’Istituto, sotto il solaio, per l’eccedenza dei convittori, e montando sul parapetto di uno degli abbaini si era aggrappato alla griglia che lo proteggeva dall’esterno, smanioso di osservare la banda dei bersaglieri che eseguiva dei pezzi nel cortile della vicina caserma. Improvvisamente il telaio, su cui il ragazzo poggiava con tutto il suo peso, si staccò. Fu la tragedia sospesa per aria. Il povero giovane colto alla sprovvista e già sbilanciato in avanti piombò su di un cornicione sporgente a pochi metri dalla griglia, ma non riuscendo ad afferrarsi a nessun appiglio precipitò nel vuoto sottostante, batté violentemente su di un altro tettuccio alto tre metri dal suolo e giacque a terra svenuto. I primi accorsi lo credettero morto.
Don Sterpi con l’angoscia nel cuore e la preghiera a fior di labbra lo accompagnò all’ospedale e per tutto il giorno e la notte successiva gli stette accanto per assisterlo. La mattina scese al San Romolo per la Messa con voce commossa e incrollabile fede raccomandò di pregare la Madonna, ché tutta era da riporre nelle sue mani ogni speranza. Non passarono molti giorni e il giovane perfettamente guarito ritornò al convitto.
Un altro caso che poteva avere tragiche conseguenze e che tenne in apprensione don Sterpi è quello occorso a un compagno dell’Orengo, l’Ing. Giovenale Gastaldi, attuale presidente della Sezione ex allievi del San Romolo. Egli mentre giocava a rincorrersi nel cortile del convitto andò a incocciare una violentissima boccia lanciata sconsideratamente da un suo compagno e crollò a terra come fulminato. Il dott. Panizzi, chiamato d’urgenza, portò le mani con trepidazione su quella testa riversa e sanguinante e quando poté assicurarsi che il pericolo maggiore era scongiurato:: “Su, su – disse al ragazzo stravolto e intontito – siamo ancora a principio dell’anno scolastico e tu cominci già a farti bocciare?”.
Don Sterpi pregava tanto di cuore la Madonna per i suoi giovani e la Madonna era obbligata a salvarglieli anche con dei miracoli.
Un campo d’azione sempre più vasto. La Patagonia … e il Paterno
Ogni nuovo virgulto che spunta nel giardino della congregazione esige per disposizione del Fondatore le cure e le sollecitudini di don Sterpi. Don Orione è il buon stratega che elabora sulla guida della Provvidenza i piani umili e audaci; don Sterpi è il tattico consumato che dà consistenza a quei piani con la sua santa fatica di realizzatore. “Vi vorrei sempre a Mornico e sempre a Tortona” gli scrive don Orione da Roma, il 9 agosto 1905, al pensiero che egli dovrà presto tornare a Sanremo. A Mornico c’erano i chierici, speranza della congregazione; a Tortona e a Sanremo funzionavano due fiorenti collegi.
Intanto la Piccola Opera si andava consolidando anche a Roma dove già da qualche anno i Figli della Divina Provvidenza reggevano per disposizione di Pio X la cappellania di Sant’Anna in Vaticano.
Il 25 settembre 1905 don Orione scriveva infatti a don Sterpi: “Sto per comperare una colonia e forse quella di don Misciatelli” Si trattava della colonia di Monte Mario donata poco dopo alla Piccola Opera per benigno interessamento del Papa.
Nel quartiere Appio, la famosa “Patagonia” di cui parlava scherzosamente il Santo Padre Pio X nell’assegnarne la cura spirituale a don Orione, fervevano in quel periodo di tempo i lavori per l’acquisto del terreno destinato alla parrocchia di Ognissanti d’imminente fondazione.
Don Sterpi perciò andrà a stabilirsi per qualche tempo a Roma, pur conservando la propria mansione di direttore del San Romolo, e tratterà con ingegneri e monsignori del Vaticano l’attuazione dei vari progetti.
Da pochi mesi il castello di Mornico non apparteneva più alla congregazione. “Ieri ho venduto Mornico per 21,000 lire al prof. Lorini” scriveva don Orione da Tortona l’undici giugno 1906. Per questo don Sterpi poteva, finché rimase a Sanremo, dedicare le sue cure alla “casetta di Gesù” e trovare il tempo per recarsi anche a Roma a trattare gli affari.
A Roma s’incontrò con don Gaspare Goggi col quale svolse un fecondo apostolato tra le anime assicurando un saldo principio alla nascente istituzione.
La prova più autentica dell’assoluta fiducia che don Sterpi godeva nel cuore e nel pensiero di don Orione ci viene da una lettera del “Direttore” occasionata dalla nota vicenda di Crocefieschi di cui è ampiamente riferito nella biografia del Servo di Dio. (Don Sterpi. Il Servo di Dio don Luigi Orione, p. 129 e seg.)
È il Sabato sera 10 marzo 1906. Don Orione, in procinto d’imbarcarsi per quell’avventura non scevra di pericolo, scrive al suo più fido collaboratore: “Parto stassera mandato dal Vescovo a Crocefieschi… Ciò che mi capiterà domani non lo so… Vi raccomando la Congregazione e i Figli e anche mia madre”. Unisce alla lettera una copia autografa del testamento: “Chiamo erede di tutto il fatto mio il sac. Carlo Sterpi di Giovanni di Gavazzana residente oggi a Sanremo”.
Non accadde niente di spiacevole, anzi la missione di don Orione si risolse in un trionfo per lui e in un grande successo per il Vescovo che fin dal 21 marzo 1903 aveva emanato il decreto di approvazione della Piccola Opera.
Nel 1905 don Orione aveva acquistato la Casa Oblatizia destinata a sostituire Santa Chiara sotto la denominazione di Convitto Paterno. “Oggi ho comprato la Casa Oblatizia per 25.000 lire” scriveva a don Sterpi il 14 giugno 1905.
È il pericolo forse più difficoltoso dal lato economico. Don Orione più tardi paragonerà la Casa Paterna alla vecchia madre che ha dato tutto per i figli e avrebbe bisogno a sua volta un po’ di aiuto. Gli inizi sono duri e difficili.
“Qui nulla di nuovo, ma in miseria”. (26 febbraio 1908 a don Sterpi che è ancora a Sanremo, ma ha al suo fianco don Cremaschi e presto avrà don Cribellati, destinati a succedergli).
Pochi mesi dopo (il 17 luglio 1908) altra lettera con i medesimi tasti insistiti: “Qui sono in croce col macellaio, col farmacista e con parecchi”. E – se non bastano i creditori a dargli da fare – ecco un tipo originale che balza fuori dalle sue parole argute e rassegnate, una pennellata da artista: “La signora (?) è proprio pazza, mi pare. Ieri si è fatta condurre qui e voleva partire per Roma, e dice che sarà assunta in Cielo, ne adoretur”.
Eppure come tutto a distanza si rivela nelle sue linee provvidenziali! I grossi fastidi inducono don Orione a chiamare a Tortona don Sterpi per affidargli la direzione del Convitto Paterno centro e cuore della congregazione e dare incremento alla tipografia San Giuseppe da qualche anno impiantata.
Il terremoto calabro siculo del 28 dicembre 1908 porta via don Orione da Tortona e lo fissa a Messina Vicario Generale dell’Archidiocesi per volontà di San Pio X.
In pratica don Sterpi è già molto di più di un semplice direttore. Iddio viene così preparando a don Orione un successore passato per tutte le esperienze atte a temprarne le qualità.
Don Orione dalla Sicilia crea un tal movimento in nome della carità da costringere il povero don Sterpi a fatiche continuate che egli sopporta senza mai lagnarsi, salvo insistere presso il “direttore” perché gli fornisca gli aiuti indispensabili. La loro corrispondenza diventa regolare, a intervalli di pochi giorni, e serve a rianimarli vicendevolmente nello spirito. La Madonna, San Giuseppe e, naturalmente, Gesù Crocifisso sono i motivi dominanti in queste reciproche effusioni; oltre la carità, l’amore al Papa e il servizio del prossimo.
Come avrebbe potuto don Orione vincere le difficoltà gravissime incontrate se non avesse trovato un cuore così comprensivo a cui confidarsi? Non ch'egli scriva proprio tutto a don Sterpi. È così delicato che evita qualsiasi accenno alle cose più conturbanti. Preferisce tener nascosti i fascicoli di mirra che il Signore gli regala. Ma sa che don Sterpi è fraterno amico e assapora in questa persuasione tutto il conforto che gli può venire dagli uomini.
Finalmente arriva una lettera che tira su il cuore a don Sterpi. È del 7 febbraio 1912: “Stamattina ho rassegnato nelle mani di Mons. Arcivescovo le dimissioni da Vicario Generale”. Un bel bagno spirituale nella Casa degli Esercizi dei Redentoristi a Sant’Andrea Jonica, la visita agli Istituti di Noto e di Cassano, una devota Messa di ringraziamento a Pompei e l’incarico di far cantare il Te Deum.
Le attività straordinarie di don Sterpi si accumulano. A Lonigo (Vicenza), in seguito alle sue trattative col locale arciprete mons. Fossà, eletto poi Vescovo di Fiesole, si apre un ricreatorio parrocchiale. È suo il compito specifico di tenere i rapporti con la Contessa Agazzini di Ameno che farà dono della sua casa per la fondazione del primo ospizio della congregazione, e con le sorelle Fogliano di Torino che offersero a don Orione uno stabile in Corso Principe Oddone da trasformare in pensionato per studenti (dove ora sorge la Casa del Giovane Operaio). Pure decisivi sono i suoi interventi per l’acquisto di Villa Moffa (1911), dove l’anno dopo la congregazione tiene il suo primo corso di Esercizi Spirituali.
Il 29 giugno 1914 era benedetta la prima pietra della parrocchia Ognissanti a Roma. E mentre don Sterpi sempre umile e ritirato non lasciava per quella fausta e solennissima circostanza il suo posto al Paterno, gli perveniva da don Orione un attestato degno di essere inciso nel bronzo: “Voi avete posto (nella parrocchia Ognissanti) la prima pietra morale”. Era il riconoscimento non solo del lavoro compiuto da don Sterpi, ma l’esaltazione della sua modestia.
La guerra scoppiata nel 1915, ma facilmente prevedibile fin da quel tragico luglio 1914, crea nuove difficoltà alla congregazione, perché la maggior parte dei chierici e dei sacerdoti sono di leva e vestono il grigio verde. Il Convitto Paterno, che annovera parecchi orfani del terremoto abruzzese come ne ebbe di quello calabro siculo, assorbe le migliori energie di don Sterpi sempre più assillato di responsabilità.
Le esigenze morali e materiali della popolazione e in particolare la situazione in cui si trova la gioventù troppo esposta a pericoli d’ogni genere, spronano l’attività di don Orione che mobilita a sua volta le poche energie che ha a disposizione e riapre nei locali dell’episcopio, col beneplacito e il plauso di mons. Pietro Grassi, l’Oratorio Festivo San Luigi. Don Sterpi, con pochi chierici giovanissimi, diviene dell’Oratorio il maggior animatore non disdegnando di trascorrervi parecchie ore della Domenica.
L’Oratorio non fu mai così fiorente. Il catechismo e le pratiche di pietà ne costituivano lo scopo primario: ma il divertimento dei giovani era un mezzo essenziale per attirarveli. La sezione filodrammatica si distingueva, sotto la regia di don Fiori, affermandosi anche in città e nella diocesi. A don Orione e a don Sterpi stava molto a cuore la sacra rappresentazione della Passione di Nostro Signore, al cui allestimento collaborava tutto il personale della Casa Madre.
Don Sterpi compiva frattanto qualche viaggio a Roma e a Prunella (Calabria) per rincalzare quanto l’iniziativa di don Orione va seminando. “Fatevi il segno della croce – gli scrive don Orione – e poi fate l’interesse della congregazione”. E raccomanda di esortare il buon canonico Margiotta, che ha chiamato don Orione a Prunella, a fidarsi non di lui “ma della Provvidenza, si” (12 Ottobre 1918).
Ogni fondazione di don Orione trova sempre don Sterpi o realizzatore o iniziatore o almeno collaboratore. Così è dell’Istituto Sacro Cuore di San Severino Marche aperto nell’antico Castello del Conte Collio Servanzi sul finire della guerra.
Passata la bufera don Orione sente il dovere di formare un Consiglio direttivo della congregazione in base a votazione e don Sterpi vi figura subito dopo il Fondatore.
Ma di un altro lavoro importantissimo dobbiamo parlare: la costituzione delle Piccole Suore Missionarie della Carità connessa all’apertura del primo Ospizio, quello di Ameno.
L’istituzione delle umili Suore
Don Orione non poteva dissociare il fine immediato dell’assistenza ai bisognosi, che era la spinta occasionale della nuova istituzione, dal fine primario che è la santificazione dei membri; ma egli non avrebbe certo pensato a fondare una congregazione femminile se quell’occasione di bene non si fosse presentata alla sua mente come un segno della volontà di Dio che lo chiamava ad essere in forme sempre più definite, il padre dei poveri.
Si trovava a Genova presso il Marchese Spinola per la visita a un ammalato. In quella casa e in tale circostanza incontrò la Marchesina Giuseppina Valdettaro e ammirato del suo contegno dignitoso, modesto e pieno di bontà, ebbe come un’ispirazione di servirsi di lei per l’istituzione già da tempo vagheggiata di una famiglia religiosa si Suore. Gli pareva proprio che la Provvidenza gli avesse posto sul cammino quella signorina tanto pia quanto intelligente. E l’invitò a coadiuvarlo nell’opera di carità che stava per iniziare. Malgrado l’insorgere di alcune difficoltà famigliari essa aderì e il 29 giugno di quell’anno 1915 raggiunse don Orione a Tortona.
Vivevano ospiti del Paterno due semplici creature già avanti di età venute da Casanova Val Staffora. Erano il ciabattino Michele Volpini, storpio dalla nascita, e sua sorella Caterina che aiutava nei lavori più pesanti le suore di Santa Marta.
Appena la Valdettaro giunse a Tortona don Orione le presentò la Caterina Volpini come primo elemento dell’erigenda istituzione. Poi per esse e per l’umile ciabattino celebrò la Messa a San Michele, prendendo così le mosse dall’altare per un’opera in apparenza tanto meschina ma assai importante negli annali della congregazione.
Terminata la funzione religiosa don Orione affidò il piccolo gruppo a don Sterpi che si incaricò di accompagnarlo verso San Bernardino, in quella casetta dove nel 1893 era sorto il primo collegio e che stava ora per divenire il nido delle Piccole Suore Missionarie della Carità, dopo essere soggiaciuta a lunghi anni di abbandono e di profanazione.
Agli occhi dei nuovi acquirenti si era presentato uno spettacolo dei meno incoraggianti: disordine e sporcizia dovunque, polvere spessa un dito sul pavimento e su ogni sporgenza. Quella che doveva poco dopo diventare la cappellina del nuovo istituto era stata sala di riunione dei “rossi” e bastava a documentarlo l’abbondanza degli scritti sovversivi sulle pareti.
Cominciò un lavoro di pulizia compiuto dai chierici e da alcuni giovani convittori del Paterno inviati da don Sterpi, ma la casa era ancora ben lontana dalla sua sistemazione, tanto che la Marchesina si sentì presa da una indefinibile ansietà; ma don Sterpi, crollando il capo nel suo modo caratteristico, disse: “Bisognerà per un po’ di tempo continuare a scopare. La Marchesina, animata di fede e di umiltà, con la sorella di Michele e con don Sterpi passò di camera in camera ad assestare un po’ l’ambiente.
La stanza da trasformarsi in cappella fu divisa a metà da una panca che teneva il posto di balaustra, alcune candele furono accese sul davanzale della finestra e don Sterpi consacrò quelle due figliole alla Madonna, impartì loro la benedizione e comunicò che il giorno dopo sarebbero andate ad Ameno, sul lago d’Orta, ad aprirvi il primo ricovero per i poveri vecchi, nella casa della Contessa Teresa Agazzini.
La Provvidenza aveva disposto che il primo incontro di questa insigne benefattrice avvenisse con don Sterpi in treno fra Torino e Bra. La Contessa riferiva al Sacerdote ancora sconosciuto, col quale aveva attaccato discorso, di essere stata al Cottolengo di Torino per farvi un’offerta e don Sterpi le aveva parlato dell’opera di don Orione. Da quel giorno ebbero inizio i rapporti tra la Contessa e la Piccola Opera. La Contessa morì il 19 maggio 1915 e suo esecutore testamentario fu il teologo Fortis.
Si trattava ora di prendere possesso della casa da lei donata per dar principio a quell’opera di carità e di assistenza che in seguito avrebbe assunto proporzioni tanto vaste da impegnare la maggior parte del personale religioso della congregazione.
Si partì. Don Sterpi, la Marchesina Valdettaro, Caterina Volpini insieme costituivano il personale dirigente e assistente. Ma ci voleva, per inaugurare l’opera di carità, anche qualche ricoverato e non si poteva affidarsi alla semplice eventualità di raccattarne qualcuno per la strada o in paese. Si provvide destinando ad Ameno, come ricoverato, il fratello di suor Caterina, Michele, che rendeva al cento per cento con il suo lavoro di calzolaio.
La casa di Ameno, sorta come abitazione privata, abbisognava di adattamenti e don Sterpi la prese a cuore dotandola fin dagli inizi di una bella e devota chiesa di stile gotico costruita su disegno di un illustre architetto, mons. Spirito Chiappetta, e dedicata al Patrono dell’Ospizio Sant’Antonio da Padova.
Formatosi nel volgere di poche settimane il primo gruppo di suore residente a Tortona, don Sterpi ne divenne il direttore spirituale e le assistette paternamente anche dal lato materiale; e solo quando la loro vita fu avviata su di un binario di regolarità, cedette l’incarico a don Zanocchi. Ma non vennero mai meno le sue attenzioni all’istituto delle suore che molto deve alla sua opera vigile costante e premurosa se poté organizzarsi e irrobustirsi sviluppando tanta attività di bene negli asili, nelle scuole, nei Piccoli Cottolengo e nelle case di formazione e di educazione.
A Venezia dopo la guerra
Durante la guerra don Sterpi, oltre ad attendere alla direzione del Paterno e all’oratorio San Luigi, doveva provvedere all’amministrazione delle comunità dei profughi veneziani e delle Clarisse ospitate dalle suore di San Bernardino. Anche un gruppo di sacerdoti e di chierici Cavanis soggiornava a Tortona e dipendeva da don Sterpi.
Entriamo ora in un ordine nuovo di attività per la congregazione: quelle sviluppate nel Veneto. Già a Lonigo, come accennavamo, i Figli della Divina Provvidenza conducevano un oratorio che in seguito però dovettero abbandonare. Subito dopo la guerra si dischiuse loro nel Veneto un vasto campo di lavoro su richiesta del Patriarca di Venezia il Card. Pietro La Fontaine grande estimatore di don Orione e protettore della Piccola Opera verso la quale dimostrò sempre fiducia e affetto.
Mentre don Sterpi era a Roma per trattare cose riguardanti la parrocchia di Ognissanti, l’istituto San Filippo e la parrocchia di San Giuseppe di Frascati, ricevette da don Orione una notizia scabra e incerta ma fondamentale: “Il Patriarca mi vorrà a Venezia per l’istituto degli orfani. Ci vedo con l’intenzione di accettare con l’aiuto del Signore”. (13 novembre 1918).
La Congregazione di Carità di Venezia trovandosi in difficoltà circa l’assunzione del nuovo personale direttivo e assistente dei due istituti maschili, Lodovico Manin e l’Orfanotrofio San Girolamo Emiliani, si era rivolta a mezzo del Comm. Tessier, al Patriarca, il quale suggerì senz’altro la Piccola Opera della Divina Provvidenza come la più adatta.
(Don Sterpi. Il Cardinale La Fontaine , p. 271)
È uno dei tanti esempi dello spirito di carità di don Orione il quale disinteressatamente s’induceva ad assumere istituzioni da altri promosse e fondate per fare il bene in sé e per sé e non per vanità; salvo, dopo le prime esperienze, esigere in certi casi una completa autonomia.
Don Orione non si sarebbe mai rifiutato a un invito del Patriarca. Ora tale invito collimava con l’aspirazione del Servo di Dio a sollevare le miserie del prossimo specialmente durante le pubbliche calamità che rendono più pressante l’istanza caritativa.
Un particolare avrebbe potuto trattenere don Orione: i due istituti a lui proposti per governo e direzione dipendevano da un ente laico che riservava a sé l’amministrazione; ma c’era la parola del Patriarca che dava piena garanzia della serietà di quell’ente rappresentato dal suo presidente il comm. Pietro Spandri.
Un’altra difficoltà poteva essere la sua delicata posizione di fronte ai Padri Somaschi fondatori dell’orfanotrofio San Girolamo Emiliani e don Orione non mancò di interpellare a mezzo del Patriarca questa illustre congregazione. Dopo che essa declinò ogni invito a riprendere tale istituto, si risolvette per l’accettazione.
Qui se non terminava l’opera diretta del fondatore, doveva subentrare praticamente la responsabilità di don Sterpi che andrà a Venezia come alter ego di don Orione nel disbrigo delle pratiche.
Le difficoltà non sono soltanto d’ordine esterno, giacché la congregazione è scarsa di personale rispetto alle molte opere che sorgono o ne assorbono l’attività: la parrocchia di Squarciarelli, la chiesa dei Greci a Grottaferrata, l’istituto di San Severino Marche, quello di Prunella, la famiglia delle Piccole Suore Missionarie della Carità, tutte cose che gravano direttamente sulle spalle già un po’ curve di don Sterpi-
Mentr’egli soggiornava a Roma, don Orione da Venezia gli scriveva il 17 aprile 1919: “Il Patriarca vuole che si accetti. Ho visitato l’Istituto col Comm. Pesenti”. Poi fa qualche nome da destinare a Venezia e conchiude con un “preghiamo” che vuol dire: tenetevi anche voi pronto. Non è trascorso un mese da questo accenno che troviamo don Sterpi a Venezia in pieno lavoro e con una visione chiara e nitida della situazione; tanto che egli spedisce a don Orione un piano generale sul da farsi.
“Abbiamo letto e approvato il vostro piano – risponde presto don Orione - . Dattilografate il memoriale e, lettolo al Patriarca, presentatelo”. E siccome nella sua umiltà don Sterpi sollecitava da don Orione il suo intervento diretto, don Orione dichiara: “Io no… lascio che maturiate voi bene… e conduciate in porto la pratica” (7 maggio 1919).
Don Sterpi a Venezia, per l’interessamento del Superiore Generale P. Tormene, è ospite dell’Istituto Cavanis in Campo Sant’Agnese a un passo dal San Girolamo Emiliani.
In attesa che si addivenga al compromesso, secondo il memoriale da lui preparato, don Sterpi lavora già su altri obiettivi, per suggerimento del Patriarca; giacché molto si deve all’affetto e alla benevolenza del pio porporato se la congregazione nel volgere di pochi mesi ha potuto stabilirsi nel Veneto. Ecco infatti maturare per merito di don Sterpi altre due opere: l’acquisto della Tipografia Emiliana e la presa di possesso della villa donata dal Conte Soranzo a Campocroce di Mirano.
Don Orione si dichiara disposto a versare le 50.000 lire richieste per il trapasso dell’Emiliana, prende San Girolamo per suo speciale protettore e dice di vergognarsi d’aver tanto aspettato. È vero che dovrà sottrarre sacerdoti e chierici, appena tornati dalla guerra, da altre case tanto bisognose per destinarli nel Veneto, ma egli in questi casi era davvero l’uomo della Provvidenza che non dubitava un istante del suo aiuto. Affida alla protezione di San Giuseppe i due istituti “uno per mano” e offre al Santo come nuovo proprietario la villa del Conte Soranzo. “Con la Madonna in casa ci sta tanto bene San Giuseppe” (Lettera a don Sterpi del 13 maggio 1919).
Proprio così. I servi del Signore parlano sempre con confidente famigliarità della Madonna e di San Giuseppe. E quanto più scarseggiano i mezzi umani tanto più s’accresce la loro volontà di operare: la fede frantuma le difficoltà e dà ali ai voli più grandiosi.
Con questo non lasciano di attuare l’economia fino all’osso sfruttando al massimo gli onesti accorgimenti, perché altro è la fiducia nella Divina Provvidenza, altro la neghittosità. Ma se i mezzi fossero dell’uomo e non da Dio, don Orione e don Sterpi non si lancerebbero in attività rischiose, temendo il fallimento. Affidano le loro risorse al gran Padre che sta nei Cieli e dopo matura riflessione e lunga preghiera, sempre accompagnata da atti di virtù, diventano santamente audaci. “Vogliamo essere degli invadenti, sicuro, ma nell’esercizio della carità” diceva don Orione. Tutto sta a rimettersi ai momenti voluti da Dio.
Quella di Venezia era per don Orione l’ora di Dio soprattutto perché le sollecitazioni al fare gli venivano dalla situazione difficile del dopo guerra e dall’autorità del Card. La Fontaine. Avanti di iniziare un’opera don Orione chiedeva la benedizione dell’autorità religiosa: Non denaro, non garanzie, come cose essenziali, ma la benedizione di Dio attraverso quella del Papa, del Vescovo, del Parroco. Poi “Ave Maria, e avanti!”. E le opere venivano in serie, a grappoli.
Il Patriarca di Venezia offre a don Orione la parrocchia di Caorle, al centro allora, d’una zona paludosa e malarica. Contemporaneamente un Vescovo lo vorrebbe in un’altra grande parrocchia. Don Orione scrive a don Sterpi il 7 giugno 1919: Preferisco prendere quella di Caorle, povera”. E quando don Sterpi comunica che il contratto per l’acquisto della Tipografia Emiliana è stato fatto, egli non lascia di rilevare che “forse c’è troppo materiale a vantaggio. Non vorrei rovinare l’istituto. San Girolamo ci doni il suo spirito. A Pio X ho detto una grande parola ora che veniamo a Venezia e pare in diocesi di Treviso” (5 luglio 1919).
Il 12 settembre 1919 i Figli della Divina Provvidenza prendono in consegna i due istituti di Venezia. Don Sterpi, che era sempre stato ospite dei Cavanis durante il periodo delle trattative, si stabilisce prima all’orfanotrofio poi passa al Manin. E intanto ha già tra mano un’altra pratica. I coniugi Berna di Mestre hanno offerto alla Piccola Opera la loo casa, che egli deve trasformare in un istituto di arte e mestieri per gli orfani. I viaggi per Mestre si fanno frequenti, ma il lavoro di sistemazione della tipografia Emiliana a San Giacomo dell’Orio è così pressante che egli si riduce a viaggiare di sera per rientrare spesso durante la notte e ritrovarsi pronto di primo mattino al suo ufficio. Per un superiore delle due case di Venezia non è cosa di poco conto.
È vero che don Orione gli ha subito messo al fianco un elemento di grande fiducia che saprà cattivarsi le simpatie della congregazione di Carità, don Carlo Pensa, presto nominato direttore dell’orfanotrofio; ma nei primi tempi, e moralmente anche in seguito, la responsabilità dell’andamento dei due istituti era sua specialmente nei riflessi del personale religioso e nei rapporti con le Autorità. Allora la congregazione non era divisa in province, ma don Sterpi era de facto più che un provinciale.
Il particolare tipo di istituti laici comportava un lavoro sfibrante da parte del nuovo personale composto dei più validi chierici rientrati dal servizio militare: don Marabotto, don Bartoli, don Giorgis, don Luigi Piccardo, don Remo, don Iatì, Zaccagnini, questi due ultimi caduti sulla breccia.
Il metodo antico a carattere repressivo doveva essere sostituito gradatamente dal sistema preventivo di don Bosco. Certi castighi, come le segregazioni in cella, dovevano scomparire in un più attento lavoro di assistenza e di formazione che impegnava a fondo lo spirito di sacrificio dei religiosi.
Don Sterpi con la sua vita era un esemplare per tutti. Disancorato dalla responsabilità diretta sui giovani, assunta da don Pensa e dai suoi più vicini collaboratori, don Sterpi con a fianco don Piccardo come segretario, entrò in una fase nuova della sua attività. Era sempre stato direttore di casa. Adesso chi lo osserva superficialmente lo direbbe un solerte impiegato al posto di comando nell'azienda tipografica Emiliana. Chi non ha visto il suo sgabuzzino di San Giacomo dell’Orio, quello della libreria subito da lui aperta presso San Marco in Calle Goldoni, dove tante ore della giornata egli trascorreva, non può comprendere che cosa significa spirito di sacrificio, di umiltà e zelo operoso. È un uomo sul quale grava il piccolo mondo della Congregazione quando don Orione nell’agosto 1921 salpa per l’America Latina, un uomo di Dio che, oberato da tanto lavoro, senza mai deflettere dai suoi doveri di sacerdote e di religioso e dall’adempimento di tutte le pratiche di pietà, non solo regge l’azienda tipografica, ma governa le Case del Veneto e, quel che più importa, attua pazientemente tutte le direttive di don Orione.
Un desiderio del Fondatore doveva realizzarsi: il passaggio alla Congregazione dell’Orfanotrofio “San Girolamo Emiliani” che voleva significare un punto d’appoggio in Venezia e un omaggio da rendere al Pater Orphanorum della cui vita si andava tutto imbevendo lo spirito di don Orione.
Don Sterpi, come sempre, fu il suo braccio destro in questa pratica lunga e difficoltosa conchiusa il 4 agosto 1923 con l’atto di acquisto. Data non casuale poiché ricordava al Fondatore l’anniversario dell’elezione di San Pio X e la morte del nostro venerato don Goggi.
Per l’educazione religiosa della Gioventù
Subito si presentava a don Sterpi l’occasione già da tempo accarezzata di sistemare la tipografia Emiliana nei vasti locali dell’Istituto, rinnovando i macchinari e istallandovi la linotype… che ancora oggi funziona.
Una vicenda editoriale merita di essere ricordata, perché don Sterpi e don Orione per mesi e mesi ne seguirono gli sviluppi come se altro non li preoccupasse, ma in realtà sovrapponendo lavoro a lavoro e logorandosi la salute.
La Tipografia Emiliana stava per rinverdire gli antichi suoi allori con l’edizione di un testo di Religione, divenuta materia d’insegnamento scolastico in seguito alla Riforma Gentile. Le Autorità competenti favorivano l’iniziativa. Don Brizio Casciola, tenuto in grande considerazione presso il Ministro Gentile, aveva curato la compilazione del testo che, dopo vari emendamenti, doveva uscire col titolo di “Fede e Vita”, e lo stesso don Orione lavorava a mettere insieme un compendio della vita di Gesù illustrato, da pubblicarsi a parte come integrazione del testo.
Il Servo di Dio era tanto entusiasta che scriveva a lavoro già progredito e quasi ultimato: “Sia per veste tipografica che per illustrazioni batteremo il record” (6.10.23 a don Sterpi). Ma le illustrazioni erano abbondantemente pagate con la faticosa ricerca dei clichets in Milano e altrove. Tale entusiasmo non era affatto dovuto alla prospettiva del buon affare editoriale: a questo riguardo egli era anzi un po’ perplesso e siccome il Comm. Scotti espresse un suo parere contrario, adducendo la ragione che quell’impresa sapeva di finanziario e si sarebbe risolta in una rovina morale ed economica per la Congregazione, egli così scrisse a don Sterpi: “Vedete che comincia a saltar fuori la questione editoriale?”. Ma soggiungeva quasi per mettersi a posto con la propria coscienza e togliere ogni motivo di scalpore: “La Madonna e il Signore lo sanno che ho lavorato per la Fede e per il pane degli orfani. Ma mi aspetto tutto”.
Purtroppo le apprensioni del Comm. Scotti dovevano in parte avverarsi per ciò che si riferisce all’aspetto economico. Una serie di ostacoli e di contrattempi ritardarono la presentazione del testo stampato alla Commissione governativa. Quando dopo molte revisioni e correzioni i primi esemplari apparvero, ebbero a patire la concorrenza di altre Case Editrici e persino di aziende private più sollecite nell’accaparrarsi le migliori piazze; per completare l’insuccesso, le direttive di don Orione per la propaganda, non poterono essere eseguite tempestivamente, cosicché la maggior parte dei volumi rimasero poi nei magazzini e non se ne esitò che una percentuale minima.
All’inizio del 1924 don Orione, avendo ottenuto da Roma un’approvazione con lode, esortava don Sterpi a intensificare la tiratura: “Lo so che lavorate, poveretti. Vi benedico anch’io. È la vittoria!” (9-1-1924).
Però una settimana dopo le campane davano un altro suono, non più di giubilo: “Prevenuti da tutti…” – confessava don Orione – “Però prendiamo la pazienza a due mani… Abbiamo perduto la piazza di Pavia, Novi, Tortona, Alessandria. Pazienza: tutti dobbiamo vivere” (26.1.1924). Contento in fondo se altri può far del bene. È questo il vero e straordinario volto morale di don Orione. Il perfetto disinteresse nel fare il bene con quell’umiltà che piaceva al Rosmini (da lui venerato come un santo), quando scriveva a un sacerdote: “Nei vostri lavori e fatiche esaminatevi seriamente per conoscere se avete in voi stesso la voglia di comparire un uomo grande, un missionario attivo, intraprendente, famoso, di far parlare di voi, di acquistare insomma celebrità presso gli uomini… Quanto è ingannevole un apparente zelo che nasce da un sentimento di vanità e di orgoglio… Non basta fare il bene, ma conviene farlo bene, per meritare e salvarci”. (Vedi “Charitas” – settembre 1953)
Ma quanta angoscia traspare da quest’altra confessione: “Questa benedetta faccenda dei manuali di Religione è una cosa che mi fa morire” (31-1-1924 a don Sterpi).
Tutto che potevasi fare l’aveva fatto. Il resto della quasi fallimentare impresa editoriale se lo portò avanti pazientemente e umilmente il povero don Sterpi-
La mente di don Orione era già volta all’altra impresa, ben altrimenti riuscita, dell’acquisto del San Giorgio di Novi con un compromesso firmato il primo maggio di quell’anno 1924.
L’aver insistito sulla poco fortunata pubblicazione dei testi di Religione non deve far pensare che la Tipografia Emiliana abbia concentrato tutte le sue possibilità in quel lavoro. Per merito di don Sterpi e dei suoi diretti collaboratori essa ritornò a occupare in Venezia il posto che si addiceva al suo nome e al suo passato. Il suo ricostruttore se doveva farsi un’esperienza tipografica compensava con la tenacia e con lo spirito di sacrificio ogni lacuna di preparazione. Con mezzi limitati, perché scarsi gli operai qualificati e troppo inesperti i giovani apprendisti che si succedevano in tipografia, egli riuscì a curare diverse edizioni tra cui la traduzione dei volumi dell’educatore ungherese Toht Tihamer, la ristampa delle opere ascetiche del Chaignon, la cronistoria dell’Istituto delle Suore di Maria Bambina; e secondando l’iniziativa di don Orione, diede vita alla rivista “Mater Dei” a degna celebrazione del IV Centenario del Concilio Efesino (1931). L’annessa legatoria si acquistò buona rinomanza nell’esecuzione di lavori artistici che richiedono, oltre l’ordinaria abilità, estro, passione e gusto del bello.
Tutto il Clero della città e del patriarcato conosceva l’umile sacerdote dell’Emiliana, anche per la pubblica stima che di lui faceva il Cardinale, e considerandolo un santo, ricorreva a lui per consigli e direzione spirituale. I molti anni da lui trascorsi a Venezia gli crearono attorno un’atmosfera di simpatia e di considerazione pari se non superiore a quella che circondava il nome di don Orione.
Un così intenso lavoro a tavolino, interrotto solo dai viaggi compiuti in ore insolite per la sistemazione delle Case di Mestre, di Caorle, di Campocroce e per gli uffici che egli disimpegnava presso Enti e Autorità, con l’aggravio di un clima debilitante, scossero la salute di don Sterpi- Si manifestarono disturbi al circolo e allo stomaco e i suoi bronchi soggiacquero a malanni cronici.
Don Orione, dopo molta insistenza presso di lui e presso i confratelli che lo coadiuvavano, ottenne che si concedesse un periodo di riposo a Cuneo nell’autunno del 1925. A Cuneo don Sterpi ritornò nell’estate del 1927 e don Orione ne diede conto a tutti in una lettera circolare. La riferiremo opportunamente più avanti.
Il Santuario della Madonna a Tortona
Il 19 luglio 1926 don Orione faceva l’atto di acquisto di un vasto terreno a San Bernardino di Tortona, appartenente alla signora Angiolina Marchese. Era l’inizio dell’erezione del Santuario alla Madonna della Guardia la cui prima pietra fu posta dal Card. Carlo Perosi il 24 ottobre di quello stesso anno. Significava anche il trasferimento di don Sterpi da Venezia alla Casa Madre di Tortona.
Il Santuario sorge rapidamente nell’area dell’Ortona per la fatica dei chierici operai e dei sacerdoti che fanno da manovali ai muratori tortonesi, come li volle don Orione, e agli espertissimi artigiani di Brianza arruolati dal “capomastro della Provvidenza” Michele Bianchi. Ma la mente direttiva, l’interprete effettivo tra i lavoratori e l’architetto, è don Sterpi, non nuovo a faccende del genere, avendo proprio lui curato la costruzione della chiesetta dell’ospizio di Ameno dedicata a Sant’Antonio, su disegno dello stesso Mons. Chiappetta progettista del Santuario.
Non è facile delineare in poche parole le responsabilità di don Sterpi: Lavoro di contabilità e di amministrazione, di assistenza e affiatamento tra tutti, di contatti con Enti, Autorità e Ditte industriali. Ancor più gravoso il compito di responsabilità morale con la conseguenza dei non infrequenti patemi d’animo, da dividersi con don Orione, per i pericoli incombenti: una trascurabile incrinatura dell’intonaco giganteggiava alla fantasia in crepa pericolosa e l’incubo del crollo turbava il sonno.
Sempre presente al santuario che cresceva giorno per giorno sotto il suo sguardo felice e pio, fervido operoso e partecipe agli altri di questo suo sano entusiasmo, infaticabile nel far la spola dal Paterno a San Bernardino, a piedi, col rosario tra le mani, preparando con la sua pietà la strada alla Madonna e cementando la fede e l’amore al sacrificio nei chierici e particolarmente in quei “fratelli carissimi” (le vocazioni tardive) che impareranno proprio allora a conoscere le virtù preziose e nascoste di don Sterpi; egli merita anche qui l’elogio che gli rivolse don Orione per la chiesa di Ognissanti, salvo che oltre ad essere stato lui la prima pietra morale del Santuario, accanto a don Orione, ne fu il vero realizzatore.
Si sa che don Orione era incontentabile: avrebbe voluto il tempio vasto oltre le misure delle possibilità finanziarie e don Sterpi doveva contrastare a voce e per iscritto con lui per tenerlo un po’ più col piede a terra e veder di conciliare il desiderabile con il fattibile.
La grande fatica ha il suo coronamento e il suo trionfo con la benedizione del Santuario il 29 agosto 1931. Ma don Sterpi dov’è? Cercatelo se vi riesce in una fotografia connessa all’avvenimento da tramandare alla storia. Egli, il più alacre lavoratore della Madonna, nel giorno della festa passa quasi inosservato.
Vicario di don Orione
Ormai s’è stabilito a Tortona tanto più che la sua presenza è richiesta di continuo perché le opere vanno assumendo l’ampio respiro che già si avverte da quando don Orione nel 1927, dopo la guarigione dalla broncopolmonite che ne ha messo in forse la vita, s’è lanciato anima e corpo nella “questua delle vocazioni” il suo “secondo Credo dopo il Papa”, e un vivo flusso di sangue giovane circola nell’organismo della congregazione.
Urge provvedere a queste speranze con nuove case di formazione: probandati, noviziati, studentati; e apprestare nuovi elementi per far fronte alle accresciute esigenze degli istituti, delle parrocchie e dei santuari. I “Piccoli Cottolengo” hanno ormai attratto le migliori energie dei superiori con il loro sviluppo a Genova dal 1924 e a Milano dal 1933. Fuori d’Italia l’Opera palpitava di vita in Polonia, in Oriente nei paesi di Gesù, a Rodi e nell’America Latina. E don Orione progettava il suo secondo viaggio oltre Oceano.
Non occorre speciale intuizione per comprendere che la vita di don Sterpi sta per essere sottoposta ad uno sforzo anche più gravoso dei precedenti e che la sua opera di rincalzo nessun riposo gli concederà.
Umile e sottomesso egli traduce in atto le idee del Fondatore, dividendo ora per ora la sua fatica e il peso delle responsabilità, rappresentando per lui una garanzia di ordine, di continuità, una morale certezza che, per quanto dipende dall’uomo, la congregazione avrà la sua sentinella vigile e sicura. Così dopo aver aiutato don Orione che febbrilmente negli anni successivi all’inaugurazione del Santuario diffondeva a larga mano tanto seme di vita e di carità nel mondo, don Sterpi si vedeva accollato l’onere tremendo di sostituirlo quando egli nell’autunno del 1934, varcava per la seconda volta l’Oceano trattenendosi poi in America fino all’agosto del 1937.
Voleva preparare le più gradite sorprese al Fondatore. Perciò inizia e conchiude i lavori per l’ampliamento della “Casa Immacolata” di Villa Moffa capace di accogliere trecento chierici tra novizi e studenti di filosofia; riadatta il vecchio santuario di Casei Gerola; sistema la Villa Charitas per i bambini poveri e derelitti; completa di tutte le necessarie attrezzature i padiglioni del Piccolo Cottolengo di Genova e la Villa Santa Caterina; dà incremento alla costruzione del santuario di Fumo, che s’inaugurerà nel 1939 presente don Orione; conduce a termine il grandioso Istituto San Filippo di Roma; avuta pagina bianca da don Orione, risolve la questione della parrocchia di San Michele a Tortona; accoglie le prime vecchiette nel diruto convento dietro il Santuario di San Bernardino che il Vescovo Grassi aveva donato alla congregazione perché servisse a un’opera di carità per i poveri della diocesi (Vedi lettera di don Orione a don Sterpi del 19.1.1935); definisce in modo soddisfacente alcune pratiche riguardanti il Bricchetto (Genova) e don Minetti; riapre al culto la chiesa del Crocifisso a Tortona; organizza il Piccolo Cottolengo Pedevilla pure a Tortona. Per tante altre sue attività parla lo stesso don Orione nelle lettere che due volte la settimana scambia con don Sterpi. Eccone qualche saggio:
“Sono contento che ritorni a noi la casa in Corso Principe Oddone (Torino) e quella di Sordevolo dove fui con don Alvigini. Là vi è una statuetta di marmo della Madonna, dono della Regina Margherita” (8-2-1937).
“Sono contento che, finalmente, a Dio piacendo e alla Madonnina delle Grazie e al Beato Stefano Bandello e ad altri beati e santi del paese, potremo mettere una tenda a Castelnuovo Scrivia, la mia Cafarnao” (13-2-1937).
“Contento dei due nuovi padiglioni a Paverano” (12-IV-1937).
Nell’assenza di don Orione alcuni avvenimenti importanti si verificano per la congregazione: la morte del Vescovo Simon Pietro Grassi e la nomina del suo successore nella persona di Mons. Egisto Domenico Melchiori; poi l’inizio della Visita Apostolica affidata all’Abate Emanuele Caronti dei Benedettini. Don Orione se potesse verrebbe in Italia per incontrarsi col nuovo Vescovo e col Visitatore; ma si conforta perché sa che don Sterpi, seguendo le sue istruzioni e i suoi desideri, lo rappresenta nel modo migliore.
Della buona impressione ricevuta dai degnissimi Prelati nel loro primo incontro con la congregazione attraverso il molto stimato Vicario Generale don Sterpi, fanno fede le doro dichiarazioni.
Col ritorno di don Orione dall’America non si esaurisce certo l’attività vigile e sostenuta del suo Vicario, che anzi, data la precarietà della salute del Fondatore, egli deve sorvegliarlo e cercare per quanto gli è possibile, di limitargli l’eccessivo e sfibrante lavoro.
Ma è tempo che interrompiamo quest’arida rassegna di dati cronologici per tentare di penetrare un po’ più a fondo l’anima di questo umile sacerdote, tanto ricca di doni spirituali.