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Messaggi Don Orione
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Autore: Roberto Simionato

Roberto Simionato, nato a Castelminio di Resana (Treviso) nel 1942, è emigrato con tutta la sua famiglia a Mar del Plata, in Argentina, quando ancora era bambino. Qui ha conosciuto la Congregazione di Don Orione nella quale è entrato percorrendo tutto l’iter di formazione fino alla professione perpetua (1966) e all’ordinazione sacerdotale (1969). Ha svolto vari incarichi pastorali, divenendo successivamente superiore provinciale nel 1982, vicario generale nel 1987 e superiore generale nel 1992.

Estratto dalla Relazione tenuta al Convegno DON ORIONE E IL NOVECENTO
1 – 3 marzo 2002, Pontificia Università Lateranense – ROMA


RAGIONI E ATTEGGIAMENTI DI DON ORIONE
NELL’ABBRACCIO DEI POPOLI




Dopo una panoramica sul dialogo di Don Orione con i diversi popoli, cerchiamo di capirne le ragioni e gli atteggiamenti di questo incontro. Ragioni: perché? Atteggiamenti: come? Tutte e due gli aspetti sono ugualmente importanti. Non pretendo di svelare in modo esaustivo le dinamiche interiori del Fondatore. Più modestamente mi pongo ed invito ciascuno a porsi, oggi, con l’animo di chi vuol cogliere “Qualcosa di Don Orione”, come recita il titolo del bel film di Ermanno Olmi sul Beato. Non intendiamo fare dell’erudizione, ma raccogliere un messaggio.


Don Orione, uomo del dialogo

Possiamo chiederci: perché troviamo Don Orione in capo al mondo? La risposta potrebbe essere sostanzialmente questa: perché Don Orione è entrato in dialogo con tanta gente, con i popoli, con i problemi e le attese della sua epoca. “Don Orione uomo del dialogo”: potrebbe essere il titolo per questa testimonianza o per un simposio di studio. Don Orione si è aperto alle complesse realtà del suo tempo, e di oggi, con quella sua voglia di stare alla testa dei tempi, con quella freschezza e immediatezza di intuito e di progetto di chi ha a cuore le vicende dell’uomo e della società.
Probabilmente, se noi siamo qui parlare di Don Orione, è soprattutto perché Don Orione non si è fermato a Tortona. Si è aperto all’Italia e al mondo intero.

La storia di Don Orione, uomo del dialogo, potremmo farla cominciare proprio qui a Tortona, quando in un pomeriggio di quaresima egli si avvicina a Mario Ivaldi, un ragazzo irrequieto cacciato dal catechismo perché disturbava e rifugiatosi all’ultimo banco della cattedrale. Ascoltò i suoi turbamenti, gli propose la sua amicizia, gli fece del catechismo, lo coinvolse in un’avventura di bene assieme ad altri ragazzi. Da quell’incontro, sappiamo bene, nel luglio 1892, nacque il primo oratorio di Tortona, nel cortile della casa del Vescovo: l’Oratorio San Luigi.
Stando con i ragazzi, ascoltando gli umori e le pene della gente, nel 1893, Don Orione vide necessario e successivamente possibile aprire un Istituto con scuola per ragazzi poveri: fu il “Convitto Paterno” nel rione San Bernardino, quella casetta grigia che tutti possiamo ancora vedere accanto al Santuario della Madonna della Guardia.
Richiamo questi elementi biografici a mo’ di simbolo. Voglio dire che Don Orione, come seppe aprire gli occhi per andare oltre il portone del seminario prima, e poi per attraversare l’Ossona che divideva la Città da San Bernardino, così seppe solcare l’oceano per entrare in dialogo e in progetto con popoli e avvenimenti della sua epoca. Don Orione è sorprendente nella sua capacità di relazioni: col ragazzo come col vescovo, con le lavandaie di San Bernardino come con la società italiana o argentina o brasiliana e con i loro problemi più urgenti.
Oggi, noi Orionini abituati a conoscerlo come il nostro Padre fondatore, scopriamo che Don Orione è di tutti: dei modernisti, di Semeria e Buonaiuti come di Padre Pio da Pietrelcina, di un Don Brizio Casciola come di Ignazio Silone. Aveva relazioni vive e fraterne con tanti personaggi fuori dell’orbita della sua Congregazione e della Chiesa stessa. Gli archivi e gli studi oggi ci permettono di ricostruire qualcosa di questo tessuto di relazioni discrete e fattive tenute da Don Orione a tutto campo. Ogni tanto spuntano nuovi nomi di una lista, sconosciuta alla più parte di noi, come Jacques Maritain in Argentina, con la Regina Elena di Savoia per le opere di carità, il Duce per la “questione romana”.


La ragione profonda: Instaurare omnia in Christo

Per fare certe cose ci vogliono profonde motivazioni. Lo penso ogni qual volta mi capita di vedere le difficoltà che trova un giovane missionario a adattarsi ad una nuova realtà. Lo penso quando vedo un immigrante che approda alle nostre coste portando con sé le ragioni della disperazione. Don Orione è portatore delle ragioni della speranza.
Don Orione fu un credente, fu un sacerdote, un fondatore, un santo. Trovo, perciò, sia indispensabile, prima di addentrarmi a "descrivere" positivamente i dati, le connessioni storiche, i valori culturali dell'espansione della Piccola Opera di Don Orione nel mondo, rifarmi a quello che, con termine della teologia spirituale, è definito il "carisma di vita " di un fondatore.
Tutte le intuizioni etnico-culturali di Don Orione, come anche le sue intuizioni sociali, pastorali, pedagogiche, sono espressioni storiche di quest'unica fondamentale intuizione interiore: il carisma spirituale.
Qual è questa intuizione?

a) Instaurare omnia in Christo
E' la visione-esperienza della centralità di Cristo nella storia dell'umanità. "Instaurare omnia (= omnes) in Christo" è il motto e il cardine apostolico di tutta l'infaticabile vita di Don Orione. Per il Beato tortonese l’ Instaurare omnia in Christo non fu solo fatto personale, ascetico, ma anche visione e progetto sociale.
Egli ebbe un'attenzione sociale ed un intuito storico molto vivi.
Guardando alla società italiana, prima, e ai vari popoli che andrà conoscendo, poi, groviglio di problemi e di tensioni , di attese impazienti e di mali avvilenti, lui, povero prete, sentiva di dover portare un unico annuncio e programma di liberazione: "Solo Cristo salverà il mondo". E spiegava: "Senza Cristo tutto si abbassa, tutto si offusca, tutto si spezza: il lavoro, la civiltà, la libertà, la grandezza, la gloria... Senza l'amore e la luce di Cristo che resterebbe dell'umanità? Ottenebrata l'intelligenza, il cuore fatto freddo, gelido più che il marmo di una tomba, l’umanità vivrebbe convulsa tra dolori di ogni genere senza alcun alto conforto, solo abbandonata ai tradimenti, ai vizi e scelleraggini senza nome. Con Cristo tutto si eleva, tutto si nobilita: famiglia, amore di Patria, ingegno, arti, scienza, industrie, progresso, organizzazione sociale".
Don Orione condivise questa sua passione e avventura personale con una Famiglia religiosa di preti, suore, eremiti, laici, la "Piccola Opera della Divina Provvidenza", che egli fondò e andò lanciando in un’espansione davvero prodigiosa.

b) Instaurare omnia in Ecclesia, in Papa
Per capire Don Orione, occorre dire di un altro aspetto. Nel 1903, nel presentare al suo Vescovo diocesano, Mons. Bandi, il "Piano e programma della Piccola Opera" per ricevere l'approvazione ecclesiastica, Don Orione scrive che suo fine è "unire al Papa per instaurare omnia in Christo... concorrere a rafforzare, nell'interno della Santa Chiesa, l'unità dei figli col Padre e, nell'esterno, a ripristinare l'unità spezzata col Padre". L’instaurare omnia in Christo per lui è concretamente un instaurare omnia in Ecclesia, in Papa.
Questa visione della Chiesa "mater et magistra" dei popoli è l'anima della missionarietà di Don Orione. Essa non è fonte di fanatismo settario e integrista, ma al contrario è condizione ad un abbraccio di solidarietà universale, di fratellanza senza confini. Proprio perché sente di essere "tutta cosa di Cristo e della Chiesa” può lanciarsi verso tutti i confini della geografia, della cultura, del progresso umano e sociale e tenere relazioni con i portatori di fermenti culturali e sociali emergenti, come il Buonaiuti, Murri, Genocchi, Casciola, Fogazzaro, Silone, Semeria, Gallarati Scotti, con personalità della cultura e della vita pubblica che battevano vie di pensiero e di azione indipendenti o anche ben diverse da quelle della Chiesa e dei suoi Pastori.

c) Instaurare omnia in Charitate.
C'è un ultimo tratto della sua esperienza di vita da cogliere. E' forse il più noto e caratteristico. Lo troviamo sintetizzato in un passo di lettera assai esplicito. “La causa di Cristo e della sua Chiesa non si serve che con una grande Carità di vita e di opere. Solo la Carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni e salvarle”.
Questa intuizione è analisi e progetto insieme. E così, nella sua espansione apostolica, arrivando in una città, prima ancora di aprire una chiesa, Don Orione apre un istituto per orfani si prende cura degli inabili, dei dimenticati, si fa carico dei problemi sociali che incontra.
"Tanti non sanno capire l'opera di culto – argomentava Don Orione - e allora bisognerà unire l'opera di carità. La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio. Opere di carità ci vogliono: esse sono l'apologia migliore della fede cattolica ".
Sorprende venire a sapere che Don Orione, già nel 1938, aveva pensato che un segno anche concreto di questa unione di fede e carità fosse posto pure in Vaticano. "Che bella cosa - diceva - se il Santo Padre potesse costruire in territorio Vaticano una grande "città della Carità" per ricevere tutti i grandi ammalati, i rifiuti. Insieme con i musei, gli stranieri e i visitatori vedrebbero così, ammirati ed edificati, una grande testimonianza della Carità di Cristo". Questo desiderio di Don Orione è diventato realtà, recentemente, con la costruzione della casa di carità "Dono di Maria", in territorio vaticano, a fianco del Palazzo del Sant'Uffizio, affidata alle Suore di Madre Teresa di Calcutta.
L’ Instaurare omnia in Christo sul piano dell’azione, si traduceva nel Instaurare omnia in Ecclesia, in Papa, lo volle realizzare per mezzo dell’ Instaurare omnia in Charitate.


Atteggiamenti nell’abbraccio di popoli

Delineata un poco l'intuizione interiore che guidò l'espansione esteriore, apostolica del beato Luigi Orione, passo a dire qualcosa dei tempi, modi e direttrici dell'abbraccio mondiale della carità di Don Orione. Ne sottolineo due: il desiderio di universalità, arrivare a tutti gli uomini a tutte le terre; un approccio di rispetto, di accettazione della cultura di ogni popolo. Oggi la chiameremo inculturazione.

a) Il desiderio di arrivare a tutti
In Don Orione, a un’indiscussa precocità apostolica - fu fondatore ancor chierico - si accompagna un altrettanto precoce desiderio di espansione quanto mai ampia, anche geograficamente, del suo progetto caritativo ed ecclesiale.
Già nella lettera del 4 aprile 1897 all'amico tortonese Don Carlo Perosi, futuro cardinale, con un'apertura d'animo confidenziale, confessò: "Sento che ho bisogno di correre per tutta la terra e per tutti i mari e mi pare che la carità immensa di Nostro Signore Gesù darà vita a tutte le terre e a tutti i mari e tutti chiameranno Gesù Cristo".
Mi colpisce questa sua totalità: “tutta la terra, tutti i mari” che oggi, diciamolo pure, sa di retorico. Forse diventa più comprensibile se si leggono altri appunti di Don Orione, evocando l’ambiente educativo di Valdocco che segnò la sua giovinezza: “O giorni santi, giorni belli della mia vita, o giorni dell’innocenza, perché non tornate ancora? Allora non si sognava che mari da solcare e anime da salvare, si pregava e si pregava tanto, si supplicava a Gesù che ci avesse fatti crescere presto per presto poter lavorare e correre a salvare su arene lontane i lontani fratelli! Ora finalmente i mari sono venuti e un angelo mi chiama a salvare anime nel nome del Signore fin dal lontano Brasile!”.
Nel "Piano e programma della Piccola Opera", presentato in data 11 febbraio 1903 a Mons. Igino Bandi, Vescovo di Tortona, vi sono numerosi accenni a questa espansione. Al numero 4, don Orione si dichiara pronto "a seguire sempre con la Divina Grazia gli ordini e desideri che Egli (il Papa) si degnerà manifestare in qualsiasi parte del mondo" e al numero 5: "L'Opera della Divina Provvidenza... è pronta a recarsi ovunque al Santo Padre piacesse di inviarla". Si tratta, per lui, non di un progetto umano di espansione, ma di quell'intuizione interiore di cui abbiamo sopra parlato che lo urge.

“Tutti e tutte”, in Don Orione, non suggerisce solo la dimensione geografica, ma si allarga a tutte le categorie di persone, specialmente quelli che non vanno a messa: “Fine del sacerdozio è di salvare le anime e di correre dietro, specialmente, a quelle che, allontanandosi da Dio si vanno perdendo. Ad esse devo una preferenza, non di tenerezza, ma di paterno conforto e di aiuto al loro ritorno, lasciando, se necessario, le altre anime meno bisognose di assistenza. Gesù non venne per i giusti, ma per i peccatori. Preservatemi, dunque, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai sacramenti, delle anime fedeli e delle pie donne. Certo, il mio ministero riuscirebbe più facile, più gradevole, ma io non vivrei di quello spirito di apostolica carità verso le pecorelle smarrite, che risplende in tutto il Vangelo.
Indubbiamente un fondatore non può mai aprire personalmente tutte le strade che poi percorrerà nei secoli la sua famiglia religiosa. Ma resta il fatto che le scelte da lui operate in vita hanno un significato particolare e meritano grande considerazione in quanto sono paradigmatiche dell'attuazione del suo carisma. Prendiamo in considerazione i principali filoni della sua espansione mondiale. Teniamo conto che, in vita del Fondatore, la Congregazione si era aperta, sia pure in maniera iniziale, a 360 gradi: in America Latina, in Polonia con uno sguardo verso i popoli slavi, in Terra Santa guardando verso l’Oriente, nel mondo anglo sassone, guardando verso il futuro.

b) Un atteggiamento di rispetto, di accettazione della cultura di ogni popolo
Oggi la chiameremo inculturazione. Don Orione non elabora una teoria, ma da come risolve i problemi che si presentano, da come va istruendo i suoi discepoli, noi deduciamo i suoi atteggiamenti profondi. Siamo di fronte alle fondazioni del Veneto. Don Orione istruisce Don Pensa e altri piemontesi e lombardi con una lettera confidenziale da Tortona, il 5 Agosto 1920.
Parte da un’antifona che torna sempre: “Se siete a Venezia, e volete fare del bene, fatevi veneziani il più che potete, e fin dove si può, e ciò fate per la carità di Gesù Cristo. E fatevi veneziani per meglio riuscire a salvare gli orfani veneziani, e non criticate i loro costumi né la loro lingua, negli usi propri di Venezia; anzi, dove potete appena, esaltatela Venezia. Appena c’è da lodare, lodate; se c’è da criticare, andate adagio, e non generalizzate mai, non deprimete mai, mai, a meno si trattasse proprio di cosa cattiva e grave, ed evidentemente cattiva. Fatevi veneziani! Fatevi perfetti veneziani. Vestite alla veneziana: parlate alla veneziana attenetevi alle usanze veneziane. E vedrete che farete del bene, e molto bene. In Piemonte, siate piemontesi: a Roma romani: in Sicilia, siciliani. Negli anni che fui a Messina, imparai, o cercai subito di imparare il linguaggio e gli usi messinesi, e a Messina io vestivo «il rubbone» alla siciliana”.

Don Orione si accende e fa un discorso che supera la vicenda di gran lunga la piccola vicenda di una scuola: si tratta di assumere il meglio di un popolo: “E in tutto ciò che non è «evidentemente male», scriveva il Rosmini, «accettate e adottate», piuttosto che perdere influenza, piuttosto che creare malumore, o mettervi in posizione da non poter più operare tutto quel bene che potevate fare. «Ogni popolo ha i suoi costumi e sono buoni agli occhi suoi» - aggiungeva, e in tutto che evidentemente, che chiaramente non è peccato, rendetevi inglesi.
Passa in rassegna l’esperienza della Chiesa dal primo impatto con la cultura greca, ai Santi Cirillo e Metodio, senza dimenticare Padre Matteo Ricci. Tira delle conseguenze concrete: per questo noi non abbiamo un abito proprio, abbiamo case con persone di diverse nazionalità. Si va configurando uno stile molto preciso: “Perché mai noi della Provvidenza non abbiamo una determinata forma di vestito? Perché anche nel vestire dobbiamo vestire secondo i paesi dove stiamo siamo, dove la mano di Dio ci porta. È gran bene che abbiamo Case miste di soggetti provenienti da più parti d’Italia e anche di altre nazionalità: usiamo particolari riguardi a quelli di altra nazionalità. Non siamo dunque attaccati, o almeno troppo e ridicolmente attaccati a modi e a costumi che dovevamo magari tenere quando eravamo in altre Case, in altri posti o nei paesi nostri. Tutto il mondo è patria per il figlio della Provvidenza che ha per patria il cielo. E stiamo ben attenti che il regionalismo non ci impicciolisca: e stiamo attenti che anche la nazionalità spesso sa di imperialismo e di egoismo nazionale. Ché la nazionalità si sostituisce bene spesso alla carità; e non si può essere perfetti nella carità, se non a condizione di spogliarci dei particolarismi regionali e dei nazionalismi, e degli egoismi fini delle nazionalità”.
C’è un pressante invito a non cambiare, rispettare gli usi degli altri, non per spirito conservatore, ma perché spesso dietro al desiderio di cambiare c’è solo la voglia di portare se stesso: “E allorquando giungiamo in una città o in una Casa, guardiamoci bene dal fare subito cambiamenti, perché correremmo pericolo di guastare e non di aggiustare, di perderci in sciocchezze, e, per la velleità di cambiare, di offendere chi c’era prima di noi, e per della scorza, di perdere delle anime. Attenti a questo pericolo.
Spesso la pretesa creatività è solo un artificio per imporre i nostri schemi “fissisti”. Don Orione apre il discorso alle forme nuove, creative, ma a partire dall’altro: “Anche quelle forme, quelle usanze che a noi possono sembrare troppo laiche, rispettiamole, e adottiamole, occorrendo, senza scrupoli, senza piccolezza di testa: salvare la sostanza bisogna! Questo è il tutto. I tempi corrono velocemente, e sono alquanto cambiati e noi, in tutto che non tocca la morale, la dottrina e la vita cristiana e della Chiesa - dobbiamo andare e camminare coi tempi e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare per poter tirare i popoli e portare e gioventù e popoli alla chiesa e a Cristo, bisogna camminare alla testa. E allora toglieremo l’abisso che si va facendo tra Dio e il popolo.
E torna sul non distruggere, non abolire se proprio non ripugni la vita cristiana: "Ma ripeto, non distruggere, non abolire, non togliere nulla se proprio non ripugni sostanzialmente alla vita cristiana e all’educazione onesta e civile. Così, vedete, ha pure fatto la chiesa. Che Cos’ha fatto la chiesa? La chiesa trovò assunse usi, lingua e liturgia greca: in Armenia armena: presso i ruteni, s’è fatta come rutena presso i copti è copta: mantiene integra la fede, ma poi nel resto è varia secondo la varietà etnica.
Quando nacque trovò le feste pagane, le usanze e i costumi pagani, indumenti sacri usati dai pagani templi pagani. Forse che li ha tutto distrutto o abolito? Oibò! Ma nient’affatto! Ben poco o nulla ha abolito e distrutto: ha distrutto l’anima pagana, sì e l’ha resa cristiana”.


Osservazioni conclusive

Come ho detto all’inizio, ho parlato con l’atteggiamento del “figlio” che ha raccolto l’eredità spirituale e progettuale del Padre. Non ho inteso addentrarmi in particolari analisi e valutazioni. A conclusione, mi pare utile annotare ancora quattro osservazioni.

1. Don Orione non fu “prete fuori di sacrestia” nel senso che usci da un territorio ristretto di impegno, ma anche nel senso che non si fermò a una categoria ristretta di persone (i fedeli) cui rivolgersi e che andò al di là delle problematiche (ecclesiali) di cui un prete solitamente si occupa. E’ un’eredità trasmessa anche a noi i suoi figli.

2. L'impegno per l'uomo e per i popoli non è mai, in Don Orione, un fatto ideologico o di potere, ma un fatto di culto e di fedeltà a Dio e all'uomo "imago Dei": “vedere e servire Cristo nell’uomo”. La filantropia ha le gambe corte. "La carità ha sì gran braccia da non vedere ne' monti ne' mari, non confini o barriere di nazionalità, ma tutti ci conglutina e di tutti noi fa "un cuor solo e un'anima sola", per la vita e per la morte, ed oltre! perché nella carità si vive di Dio e l'uomo si eterna!”.

3. L’atteggiamento verso i popoli di Don Orione ha qualcosa anche oggi. La carità non "colonizza", ma "fraternizza" con i popoli. La Congregazione -, sviluppa, per altro attività molteplici, secondo le svariate necessità degli umili ai quali va incontro adattandosi, per la carità di Cristo, alle diverse esigenze etniche delle nazioni fra cui la mano di Dio la va trapiantando. Tutto il mondo è patria pel Figlio della Divina Provvidenza, che ha per patria il Cielo!.

4. L’espansione a orizzonte mondiale dell’azione di Don Orione è basata non tanto su un progetto strategico umano, ma sulla fiducia nella Divina Provvidenza che sola conosce i cammini e le ore della storia. "Siamo Figli della Divina Provvidenza. Non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani; la corruzione e il male morale sono grandi, è vero, ma ritengo e fermamente credo, che l'ultimo a vincere sarà Iddio, e Dio vincerà in una infinita misericordia. Iddio ha sempre vinto cosi! Avremo novos caelos ed novam terram. La società, restaurata in Cristo, ricomparirà più giovane, più brillante, ricomparirà rianimata, rinnovata e guidata dalla Chiesa".

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