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Messaggi Don Orione
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Autore: Rema Bessero Belti
Pubblicato in: Messaggi di Don Orione, 1989, Quaderno 72, p.7-58.

Uno studio di Remo Bessero Belti con carteggio inedito.

MESSAGGI DI DON ORIONE, 1989, Quaderno 72.

 

IL BEATO DON LUIGI ORIONE AMMIRATORE DI ROSMINI

Uno studio di Remo Bessero Belti

con carteggio inedito

 

Pubblicato in Messaggi di Don Orione, 1989, Quaderno 72, p.7-58.

 

I

Alle testimonianze che siamo venuti recando, nel corso di quest'anno (1988), rese alla grandezza mo­rale e spirituale di Antonio Rosmini e alla santità della sua vita, aggiungiamo ora quella del Beato don Luigi Orione.

La possiamo affiancare alla testimonianza del Beato don Giovanni Calabria, che abbiamo riporta­to nel «Charitas» del maggio scorso (1988). Si tratta infatti di due santi sacerdoti che hanno molti aspet­ti in comune, perché entrambi fondatori di congre­gazioni religiose, entrambi apostoli della carità verso i più poveri e i più bisognosi, entrambi arden­ti verso Cristo e la sua Chiesa; ed entrambi grandi ammiratori di Rosmini.

Tutti comprendono quanto peso abbia la testi­monianza diciamo pure dei santi, come don Orione e don Calabria, che hanno il senso delle cose di Dio e il discernimento spirituale delle anime. A noi, poi, fa particolarmente impressione il fatto che questi due santi sacerdoti abbiano avuto e dimostrato tan­ta ammirazione e devozione a Rosmini, in un tempo in cui questi non era ancora talmente «presente» alla coscienza ecclesiale e alla cultura cattolica, com'è ora; e altrettanto ci fa impressione il fatto che essi non esitarono mai a dimostrare apertamente quel­la loro ammirazione e devozione, i santi sono dav­vero, sempre, meravigliosi.

Luigi Orione nacque a Pontecurone, presso Tortona, il 23 giugno 1872: coetaneo, quasi, del futuro don Calabria (nato nel 1877). Dimostrò subito gran­de tendenza alla vocazione religiosa, e difatti chie­se di essere accolto ancora giovanetto nel convento dei Francescani di Vogherà. Ammalatesi però gra­vemente, fu dimesso per gracilità di salute.

Le vie della Provvidenza! Il giovane Orione pas­sò allora all'Oratorio di Valdocco, a Torino, ove ri­mase tre anni e vi completò gli studi ginnasiali. Conobbe don Bosco: incontro che doveva dare un orientamento nuovo al suo spirito. Ma don Bosco stesso gli fece intendere che egli non doveva essere salesiano.

Ancora le vie della Provvidenza! Luigi Orione en­trò allora nel seminario diocesano di Tortona, e il 13 aprile 1895 riceveva la ordinazione sacerdotale da mons. Igino Bandi. Il novello sacerdote si diede alla realizzazione dell'opera al cui progetto aveva già lavorato qualche anno prima: una Congregazione re­ligiosa che si volgesse al soccorso dei più umili e bi­sognosi. E sarà la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Nel 1903 otteneva da mons. Bandi, ve­scovo di Tortona, il primo decreto di approvazione canonica. Pio X si interessò all'Opera in modo specialissimo, e la favorì in tante maniere. Nelle sue ma­ni don Orione emise i voti religiosi perpetui il 19 aprile 1912.

La nuova Congregazione ebbe subito grande espansione, segno che rispondeva ai bisogni dei tem­pi. Don Orione diveniva sempre più l'uomo a cui ci si poteva rivolgere per qualunque urgente e grave necessità nel campo dell'assistenza sociale. Così fu in occasione del terremoto di Reggio e Messina del 1908, che lo vide accorrere in quei luoghi dì desola­zione a soccorrere i poveri superstiti, a procurare lo-ro un ricovero nelle varie case della sua Congrega­zione. E la fiducia di Pio X lo chiamò al delicatissi­mo compito di vicario generale della diocesi di Messina.

Nel 1913 ebbe la consolazione di benedire il pri­mo gruppo di suoi religiosi missionari per il Brasi­le; più tardi aprirà altri centri di missione in Argentina, in Uruguay, in Cile e negli Stati Uniti. Nel 1915 è di nuovo «padre degli orfani» tra i paesi se-midistrutti della Marsica. Nello stesso anno fonda la comunità di suore, dette le Piccole Missionarie della Carità.

Negli ultimi anni della sua vita, le reali/dazioni caritative che assorbirono maggiormente la sua at­tività sono quelle che vanno sotto in nome di Picco­lo Cottolengo, cioè ricoveri per bambini, malati, vecchi, cronici, uomini e donne, affetti da miserie fisiche o menomati nelle facoltà mentali, insomma rifiuti della società che difficilmente trovano altro­ve asilo e cura. Il primo Piccolo Cottolengo fu aper­to a Genova nel 1924, e altri ne sorsero in seguito.

Don Orione, da vero padre, fu instancabile nell'assistere le varie case della sua Congregazione vi­sitandole di frequente: i suoi confratelli traevano sempre grande bene dalla sua «presenza» irradian­te. Nel 1921 e ne! 1934 visitò anche le case in America.

Ma lo zelo sacerdotale e l'ardore della carità lo portavano ad occuparsi anche di tante persone fuo­ri della Congregazione, che lo veneravano e lo ave­vano come guida spirituale. Una personalità ricchissima, la sua, che sapeva farsi tutto a tutti e a ciascuno. Consumato dalle fatiche apostoliche, e forse più ancora, arso dalla carità di Cristo, veniva chiamato al premio eterno il 12 marzo 1940. Ti 26 ottobre 1980 veniva innalzato agli onori dell'al­tare.

Una documentazione molto interessante dell’ammirazione che aveva per Rosmini e dell'affetto profondo che nutriva per i religiosi del suo Istituto, si ha anzitutto in una serie di lettere — in parte ine­dite — da lui indirizzate a un giovane rosminiano, il chierico e poi sacerdote Camillo Risso.

È davvero singolare - e simpatica e significa­tiva - la vicenda di questo chierico, con don Orio­ne che si prende cura di lui, con un affetto, una delicatezza e una fiducia che potevano venire solo da un cuore grande come il suo. Abbiamo detto che «si prende cura di lui», perché il giovane Risso era stato allontanato - nel dicembre 1901 - dal semi­nario di Tortona, appena iniziato il terzo anno di teologia.

Non era un allievo facile, e aveva - specialmen­te in filosofia - idee e convinzioni sue proprie, po­co conformi alle dottrine «tomistiche», allora di obbligo nelle scuole filosofiche e teologiche cattoli-che. E il giovane Risso, dato il suo carattere allora focoso, le sosteneva in modo da apparire quasi un ribelle.

Ecco infatti come lo descrive il can. Vincenzo Brizio, in una lettera del 6 dicembre 1902 al padre Bernardino Balsari, dopo che don Orione era inter­venuto per far accettare il Risso nell'Istituto della Carità: «Rev.mo Padre, mi risulta che l'ex chierico Risso espulso dal seminario di Tortona fu accettato in cotesto benemerito Istituto quantunque non mu-nito del certificato di buona condotta rilasciato dal proprio parroco.

«Io pertanto a sgravio di coscienza mi credo in dovere di dare alla S. V. rev.ma alcuni ragguagli, che le potranno servire di norma per sorvegliare cote-sto giovane, che io riconosco per nessun modo chia­mato allo stato ecclesiastico. lì Risso è figlio d'ingegno, ma appunto per questo è dotato di un or­goglio tale, che lo rende insofferente di ogni giogo, maestro nell'infingimento e lo fa trascorrere con tut­ta facilità ad alti in insubordinazione e di irriveren­za. Questa sua inclinazione al disprezzo verso chiunque fu la causa che determinò il vescovo di Tortona ad espellerlo dal seminario, e eli tal difetto (per tacere d'altri) non si è ancora per nulla modificato».

A ragione, quindi, dal suo punto di vista, il forse troppo solerte canonico temeva che il Risso «con­tribuisse al rilassamento della disciplina in cotesto Istituto — continuava nella lettera — che per le sue benemerenze ha sempre goduto la mia stima e la mia ammirazione». Ma infine nasce anche nel suo cuore un po' di fiducia, poiché conclude: «Del resto come Dio ha fatto sanabili le nazioni, ha fatto correggibi­li anche gli individui, la sua grazia può convertire il lupo in agnello, ed io auguro di tutto cuore che que­sta specie di miracolo sia affidato dalla Divina Prov­videnza a compiere all'Istituto dei rosmimiani, i quali acquisteranno cosi nuovi titoli alla nostra venerazione».

Ecco invece la lettera — del 12 novembre 1902 — con cui don Orione aveva pregato padre Balsari di accogliere il Risso nel suo Istituto. La riportiamo per intero, perché è vero specchio della sua immen­sa carità sacerdotale. «Mio veneratissimo padre nel Signore nostro Gesù Cristo crocifisso. Sono ancora a disturbarvi, ma intendo scrivervi lutto per amore di nostro Signore, epperò vi prego di scusarmi per­ché l'intenzione è di fare un po' di bene, se si può. Vedete dunque: qui c'è, in un paese vicino, un chie­rico di assai ingegno, che lo hanno messo lucri di seminario per avere risposto in iscuola ad un pro­fessore; il nostro veneratissimo vescovo e altri su­periori del seminario dicono che non ha vocazione e che deponga l'abito; alcuni dicono che anzi diven­terà un eretico. Io non vorrei anche lontanissima­mente mancare di riguardo ai miei veneratissimi Superiori, ed ho grande timore da una parte di man­care di carità e dall'altra di dirvi anch'io le cose con troppo gravi colori e di danneggiare un'anima e forse tante anime.

«O mio buon Padre, questo povero chierico non mi pare stoffa da eretico, mi pare che possa diven­tare un grande santo. Ha patito tanto per amore di nostro Signore ed è tanto affezionato al nostro be­nedetto padre Rosmini, per cui io penso che abbia avuto da nostro Signore tanta forza e santa rassegnazione. Egli da assai tempo rni ha pregato di tro­vargli modo di farsi dell'Istituto della carità. La sua vocazione io l'ho lasciata come a sé, prima, poi no­stro Signore l'ha circondata di tante spine, di tante spine, e mi pareva bene che crescesse così, non c'è nulla sulla sua condotta, anche tutti i Superiori di­cono che c'è nulla: solo ha sostenuto fin dalla filo­sofia (ora farebbe la 3a teologia) alcune idee che parvero non torniste e iu licenziato l'anno scorso ver-so Natale, 10 giorni dopo che gli ebbero conferita l'ordinazione della tonsura, e anche i due primi or­dini minori (credo).

«Cosa dite, mio buon Padre: potreste allargar­gli le braccia e farlo vostro figliolo? Questa mia ve la scrivo dopo avere raccomandata la cosa al nostro caro Signore e alla nostra cara Madonna. Credete che, se non fossi più che tranquillo circa la bontà di vita, non vi avrei scritto. Adesso che ho quasi fi­nito, temo di avere di sopra mancato con qualche espressione di carità o verso i Superiori o verso il chierico, e intendo dichiararvelo per mettermi in tranquillità e intendo abbracciare tutti nella santa carità di nostro Signore e che la santa carità can­celli ogni parola, ogni virgola che non fosse amore di Dio e delle anime.

«E siccome questa mia raccomandazione po­trebbe forse non essere capita nel senso con cui l'ho voluta scrivere, prego la carità vostra, o mio buon padre, di averla come riservata: per il danno che po­trebbe recare a me, non ci guarderei, che tutto è nul­la per nostro Signore, ma è per quello che potrebbero soffrirne tanti poveri figli che sono con me. Il chierico, di cui ho scritto, si chiama Risso, na­tivo di Novi, ma ora è presso una zia a Sale. Con la divina grazia io sarò sempre contento comunque de­cidiate. Già da questo seminario (di Tortona) è ve­nuto a voi quel santo successore di Rosmini che fu il Bertetti: oh che anche questo (chierico) diventas­se un gran santo!. Vostro umil.mo servitore».

 

Padre Balsari accolse ben volentieri quel giovane — aveva allora 21 anni — che gli veniva inviato da don Orione. E nell'accettarlo, gli poneva natural­mente due condizioni: che venisse munito del bene­stare della curia vescovile di Tortona, e che fosse pronto ad accettare qualunque decisione prendes­sero per lui i superiori dell'Istituto, secondo lo spi­rito del medesimo. Citiamo la lettera con cui il Risso ringraziava il padre Balsari, in data 22 novembre 1902; e la citiamo perché questa lettera documenta la vera «stoffa» morale e spirituale del giovane.

«Molto Rev.do Signore, ieri a Tortona il santo sacerdote Orione mi ha partecipato la lieta notizia che ella sarebbe disposta ad accogliermi nel santo Istituto della Carità, ove toto corde io mi sento spin­to ad entrare: poste quelle due condizioni indeclina­bili da lei specificate. In quanto alla seconda, che dipende totalmente da me, io sono appunto dispo­sto ad abbandonarmi pienamente nella volontà del Signore, cui intendo conformarmi, sottomettendo­mi totalmente alla obbedienza, secondo la regola di codesto santo Istituto. In quanto alla prima, essen­domi recato a far richiesta del nulla osta, mi fu pro­messo che mi si rilascerebbe dopo che io mi fossi provveduto dei necessari relativi documenti. Verrei pertanto anche subito costà, per fare i s. spirituali Esercizi; ma prima bisogna almeno che mi prepari tutti i documenti richiesti.

 

Però mi abbandono pienamente alla di lei vo­lontà, come alla volontà di Dio, in quanto al venire subito o più tardi, vestito come sono, o da secolare ecc. Solo io desidero che ella preghi e faccia prega­re per me, onde il Signore mi dia lume e grazia per conoscere e per compiere in tutto e per tutto il suo volere, quale mi si manifesta traverso le vicende del­la mia povera gioventù; povera tanto di virtù e di me­riti, ma pur desiosa di raggiungere il bene in tutto e sempre. Oh se qualche spina non servì ad altro che ad aprire ogni spiraglio al lume del divino volere, a dissipare le ombre e gli ostacoli, a strappare ogni laccio, sia benedetta! Oh se le anime sante, ch'io tro­vai sul cammino un po’ difficile di questi miei verdi anni, non furono che gli apostoli del buon Gesù, che al monte suo santo mi vuole, siano benedette!

«Ma pur io temo che troppo di bene abbia detto di me quell'anima santa di don Orione, ond'ella mi avesse a dare sì lieta risposta: e temo ch'io non ab­bia a deludere le sue speranze. Laonde prego lei a raccomandarmi al Signore, a Maria SS. ed al santo fondatore, il grande abate Antonio (Rosmini); ed io stesso mi raccomanderò loro tanto, che io spero dì farmi veramente santo. Dio mi aiuti come spero; e pregandola di accettare, con quelli di don Orione, anche i miei più ossequiosi e cordiali saluti, le ba­cio la mano, e sono suo dev.mo e um.mo servo chie­rico Camillo Risso».

Fu poi don Orione a preparare la lettera che il Risso inviò al vescovo di Tortona, per notificargli che «in ossequio ai suoi desideri» egli deponeva l'abito chiericale. «Iddio sa quanto soffra, aggiungeva, pa­rendomi di sentirmi sempre chiamato alla vita ec­clesiastica; tuttavia, in obbedienza alla santa Chiesa, compio questo sacrificio volentieri; sicuro che il Si­gnore ne terrà conto». E chiedeva perdono al vesco­vo, a tutti i superiori e compagni, «di quanto — scriveva — possa aver fatto o detto, che avesse dato dispiacere o male esempio».

Anni dopo, divenuto sacerdote nell'Istituto, pa­dre Risso testimonierà: «Fu proprio don Orione a proponili l'Istituto della Carità, fondato da p. Anto­nio Rosmini: proposta a cui aderii con entusiasmo, anche per una recente lettura di una conferenza di Antonio Fogazzaro, in occasione del centenario del­la nascita del Roveretano. Poi scrisse egli stesso, per presentarmi, al rev.mo p. Balsari e si tenne in corri­spondenza con me anche dopo. Era per me una gioia immensa il ricevere qualche sua lettera o cartolina, come fu sempre mia grande, immensa gioia il poter­lo rivedere, ossequiarlo ed intrattenermi con lui, co­me ne ebbi la fortuna più di una volta a Tortona ed anche a Roma. E come si degnava di trattarmi cor­tesemente e ospitalmente anche nella rigida e santa povertà delle sue case religiose! Io sono intimamente persuaso che egli era ed è un vero santo, non inde­gno dì essere paragonato a don Bosco e al Cottolengo, di cui era tanto divoto».

Dalle varie lettere che don Orione inviò a que­sto giovane a lui tanto caro, traspare tutto il suo amore all'Istituto rosminiano e al suo fondatore. Ad esempio, rispondendo da Tortona — il 4 gennaio 1905 — ad una lettera del Risso che dopo i due anni di noviziato era stato destinato assistente al colle­gio Mellerio Rosmini di Domodossola, ad un certo punto scriveva:

«Mio caro figliuolo nel Signore nostro Gesù, vedi che ti chiamo così, perché non saprei mica come chiamarti meglio. Solo adesso ho letta la tua, e so­no consolato tanto tanto dal saperti beato tra code-sti carissimi fratelli e padri. E, qualche giorno fa, fu qui tua zia di Sale, che io era appena giunto da Vigevano, e non ho potuto darle altre notizie che quelle ricevute già da molti mesi dal (tuo) Generale; ma è andata via contenta, e mi par proprio una buo­na donna, quella tua zia. Il tuo Generale mi ha scrit­to e mi ha mandato un opuscolo, che mi ha fatto tanto bene. Quando lo vedi, ringrazialo per me, e di­gli che di sovente, da povero peccatore, lo ricordo davanti al santo tabernacolo. Egli ha voluto anche aiutarmi diversamente, e lo benedico a nome di tanti poveri figli, e sia benedetto dal nostro Padre che è nei cicli. L'anno passato sono stato a Roma buona parte dell'anno e vi fui anche da metà novembre al 18 dicembre scorso, e sono stato, non ultimamente, ma prima, per trovare il Generale, ma non c'era più; ora poi ho veduto che è stato ricevuto dal santo Pa­dre, ma mi trovavo già via. Tuttavia, e l'anno passa­to, quando avete avuto il breve, e dell'udienza di quest'anno, digli pure che ho provato gran gioia. Ah! io vi voglio in Domino tanto bene, o cari figliuoli di Rosmini, tanto provati dalla croce, e ne voglio an­che tanto tanto tanto al vostro benedetto fondatore e padre.

«Coraggio, coraggio! Dominus prope est! Ma, finché siete i beniamini della croce, vi voglio anco­ra più bene, di un soave e fraterno affetto, perché tu sai che Gesù si ama in croce. Dunque, coraggio, o figliuol mio, amalo molto, Gesù, e sii proprio un buono e perfetto religioso. Oh! come si sta bene, quando, con l'aiuto di Dio, si fa tutto per essere re­ligiosi davvero. A questo fine sì, io pregherò per te e tu anche per me e per i miei, affinché, nella carità di nostro Signore, riusciamo ad essere un cuore e una cosa sola con lui.

«Ancora una cosa: il tuo padre Generale mi ha usata la carità di una copia delle vostre s. regole, ma da mezz'anno non la posso più trovare: digli che, se può, me ne favorisca un'altra copia, indirizzandola qui: — mi ha aiutato molto quella s. regola, e ades­so mi par di essere senza un braccio. Amerei anche tanto di conoscerlo, ma in nostro Signore sento che ci vogliamo bene dell'amor suo e sono già molto fe­lice. Oh vedi che lunga lettera! Sii dunque lieto e va­da per non averti scritto mai. E adesso finisco: carità, figlio mio, e carità e carità in lungo e in lar­go e in tutto carità. E in questa dolcissima carità, che è Dio, ti abbraccio e abbraccio tutti i tuoi ama-tissimi fratelli e padri, che sono anche miei fratelli e padri. E prega per me sempre. Tuo aff.mo in Gesù crocifisso...».

E un anno dopo, sia pure brevemente: «Tortona, 27 dicembre 1907. — Mio caro figliuolo, vedi, ti chiamo così, perché non ti so chiamare diversamen­te, e da questa sentirai come, nella carità di lui, ti ami tanto e ami tanto l'Istituto vostro, e ciascuno di voi. Ti ringrazio degli auguri e prega per me e pei miei, come io fo per te e per tutti voi. Ti benedico con tutto il cuore. Don Orione. Se il Preposito gene­rale è lì, me lo riverisci; non ci siamo veduti mai, ma sento che ci vogliamo molto bene in Domino».

Nel 1910 il diacono Camillo Risso è a Roma, presso la Chiesa di san Carlo al Corso, per prepararsi all'ordinazione sacerdotale. Invia a don Orione gli auguri per il suo onomastico, e da Messina riceve questa risposta, in data 27 giugno: «Caro mio figliuo­lo, e dunque come va? Anche quest'anno hai voluto colmare di auguri il mio onomastico. Il Signore esau­disca la tua preghiera! E mi assista e benedica, e sia sempre con me la sua grazia. Io li prego, il Signore e la Madonna ss., per te di frequente, e ti metto in­sieme con tutti i miei figliuoli. Ho visto, l'ultima vol­ta che fui a Roma, il tuo Preposito generale, che è veramente un sant'uomo, e si è parlato, mi pare, anche di te, e tanto del vostro fondatore. Il Signore vi conforterà, siatene pure sicuri, e premierà la vo­stra obbedienza alla Chiesa. Quando prenderai mes­sa, me lo farai sapere, che io voglio pregare più particolarmente, che tu abbia ad essere un ferventissimo religioso, e chissà che allora non venga al Calvario? Oh se potessi vederti dire la prima s. Mes­sa e servirtela, sarebbe per me una grande consola­zione, poiché tante volte ti porto sull'altare con me, e ti offro al Signore, insieme con me e con i miei fi­gliuoli, perché tu sia tutto di Gesù e degno figlio del tuo santo Istituto. Sono più che sicuro che continue­rai a raccomandarmi a nostro Signore, alla Madon­na e al benedetto tuo padre. Mi riverisci tanto, il Preposito generale e tutti i tuoi superiori. Ti bene­dico in Domino e sono in Gesù Cristo crocifisso e in Maria ss.ma tuo aff.mo...».

In occasione poi dell'ordinazione sacerdotale, don Orione scriveva al neo-sacerdote, da Messina, l'8 gennaio 1911: «Caro don Risso, figliuolo e fratel­lo mio nel Signore, oggi dunque sarai stato ordina­to sacerdote, e a quest'ora avrai per la prima volta consacrato il Corpo e il Sangue di nostro Signore Ge­sù Cristo. Che ti dirò io oggi, o mio caro figliuolo? Che abbia pregato per te, già lo sai. Io ti rivolgerò, dunque, le sante parole che il benedetto tuo fonda­tore e padre rivolgeva ad un diacono, Carlo Giuliari, a lui carissimo, congratulandosi del suo imminente sacerdozio.

«Innalziamo cantici al Signore, ed umili pre­ghiere, acciocché insieme con la immensa dignità, venga congiunto lo spirito sacerdotale. Qual distac­co non produce nell'anima! qual preziosa morte al­le cose visibili! qual generosità nel patire! e qual zelo nell'operare a salute dei prossimi e all'incremento della Chiesa! Ah, se tutti i cristiani sono chiamati alla santità, vocati sancti, certo i sacerdoti devono averne una, luminosa; e non possono farla con me­no, se pur vogliono corrispondere alla grandezza del­la loro vocazione, e assicurarsi la salute dell'anima. Io tutto questo gran bene spero per lei, mio caro Giuliari, e debolmente glielo prego e glielo faccio pre­gare, come ella desidera nella sua. M'abbia ella, in compenso, presente nei suoi primi fervori, e m'im­petri di poter risuscitare in me ed ingrandire quel­lo spirito sacerdotale, che solo desidero e che tengo in conto maggiore di ogni tesoro. Ma me misero! quanto ne sono povero! Non più: io la lascio immer­sa nelle sue sante occupazioni, nelle quali parmi di vederla beata in questi giorni".

«Ora, se quel santo e dottissimo sacerdote, che fu il vostro fondatore, si diceva povero di quello spi­rito sacerdotale, che teneva in conto maggiore di ogni tesoro, e si raccomandava alle preghiere del­l'amico, che dovrei dirti io, che sono così peccatore e ignorante, e così freddo col Signore e con le ani­me sue? Prega, dunque, sempre nelle tue messe per me, e impetrami di poter risuscitare in me lo spiri­to sacerdotale, e ingrandirlo e averlo ognora in con­to maggiore di ogni tesoro. Gesù ci faccia suoi peri suoi dolori e la sua croce, e la ss. Vergine benedica al tuo sacerdozio, e possa tu fare un gran bene alle anime e servire e morire per la s. madre Chiesa. Ti abbraccio in Domino. Affezionatissimo sac. Luigi Orione, d.D.P. — P.S. — Mi riverisci tanto il padre Preposito generale, se egli è costà, e anche tutti gli altri padri.»

Ed ecco la risposta di don Risso: «Roma, s. Car­lo al Corso 16-1-1911. — Veneratissimo e amatissi-mo padre, compio, benché un po' in ritardo, il dovere di ringraziarla per tutto quello che rnì scrisse e che fece per me nella occasione lietissima della mia pri­ma messa. Cara e santa lettera che è stata la sua! Come mi commosse e mi commuove ancora di cele­stiale dolcezza! Ma essa non solo mi commuove, ma insieme anche mi confonde. E sono io degno di rice­vere di tali lettere? E sono io capace di soddisfare ai santi suoi desideri, quali mi esprime con le paro­le del venerato nostro p. Fondatore?

«Nessuno, che mi conosce, lo può pensare; tan­to meno lo posso credere io stesso. Ma, siccome di­ceva il Manzoni che contava tra le più grandi grazie, ricevute da Dio, quella di aver conosciuto Antonio Rosmini, così ringrazio e ringrazierò sempre anch'io di aver conosciuto lei, che mi ha condotto ad arruo­larmi tra i figli di lui... Lei che, tra quanti conosco io, è certamente una delle anime più care al suo di-vin Cuore. ...Anch'io mi sono ricordato in modo par­ticolarissimo di lei nella s. Messa ogni giorno fin qui, e specialmente poi in una che ho potuto applicare pe' miei più grandi benefattori; e lo farò sempre nel­l'avvenire, ma non La potrò certo ricambiare di quel­lo che ella ha fatto e continua a fare per me... Ed ora le dirò qualche cosa del lietissimo giorno. La sacra ordinazione ebbe luogo alle ore sette del mattino nel­la cappella del seminario di Novara, alla presenza di tutti i chierici, e coronata da un discorsino di s. eccellenza mons. Gamba vescovo ordinante, concer­nente l'augusta funzione e la disposizione che si de­ve recare da un buon chierico, ed alla grande dignità che per essa si conferisce. C'era anche mio papa, mia zia, mia sorella e mio cugino don Luigi, che assiste­vano dalla tribuna dell'organo... All'indomani can­tai messa al calvario, nella nostra chiesa esterna... Giunto qui a Roma ieri mattina, celebrai all'altare maggiore del nostro s. Carlo al Corso, assistito dal­l'ottimo mio padre rettore... Ho ripreso anche le mie frequenze alle lezioni dell'università; ed aspetto il giorno di poterla rivedere e baciarle anche fisica-mente la sacra mano, come ora faccio in ispirito, se­gnandomi suo obblig.mo e dev.mo in X.o don Camillo Risso».

Anche quell'anno — 1911 — don Risso, che ave­va iniziato gli studi universitari a Roma, inviava a don Orione gli auguri per il suo onomastico; e que­sti gli rispondeva prontamente da Messina il 26 giu­gno: «Mio caro figliuolo in Gesù Cristo, ho avuto la tua lettera tutta piena di cose sante e le ho gradite tanto perché non c'è altro che possa far piacere, che la carità di nostro Signore; e, nel leggerle, mi anda­va tutto consolando nel vedere in te un figlio dell'I­stituto, che, anche in mezzo allo studio delle lettere, mantiene e cresce lo spirito, che è ciò che vivifica, lo, vedi, sono sempre lieto di tutto che mi fa sempre più conoscere il buon spirito di carità del vostro Isti­tuto, e benedico il Signore di ogni buona notizia che ho di voi altri, e vorrei potervi mandare qualche buo­na vocazione; ma le vocazioni le da il Signore. Lui però confido che, a suo tempo, farà più di quanto è nei desideri di me, povera creatura sua.

«È dalla vigilia di s. Luigi che sto leggendo e ri­leggendo i cenni della vita e delle virtù del vostro Fiorenzo Solare, che fece il Pagani, nella edizione extra-commerciale del '91. È un angioletto che non conoscevo ancora, e ne trovai la vita visitando la Co­lonia di Monte Mario. Sai tu se dal Paravia potrei ancora trovare l'epistolario del Padre, non la parte filosofica ma l'altra? Se puoi dirmi qualche cosa, av­vertimi con un semplice biglietto: sì oppure no. Al rev.mo padre Preposito dirai tantissime cose in Do­mino per me, ma specialmente che mi raccomandi sempre alla Madonna. Nostro Signore benedica te e tutti, come me. Tuo aff.mo in Gesù Cristo...».

 

II

 

Continuiamo a riportare dal carteggio di don Orione con don Camillo Risso, questo religioso «rosminiano» che si può ben dire figlio spirituale di don Orione. E vogliamo riportare anche le lettere in cui non si parla espressamente dì Rosmini o del suo Isti­tuto, perché è già interessante per se stesso il fatto che don Orione si «aprisse» e confidasse tanto inti­mamente con un religioso rosminiano.

Le lettere che abbiamo precedentemente ripor­tate arrivavano sino al 1911. Ed ora proseguiamo. Per il Natale di quell'anno don Orione rispondeva così da Messina agli auguri inviatigli da don Risso:

 

«Caro Risso, ricevo la tua bella lettera e te ne rin­grazio tanto tanto. Ti ricambio di gran cuore tutti gli auguri che può formare, per te e per il tuo caro Istituto, un sacerdote che vi è affezionatissimo in Do­mino. Anch'io pregherò in modo speciale, in queste sante feste, per te e per tutti i tuoi confratelli: che nostro Signore conceda a me ed a voi e a tutti di com­piere in noi la sua santa volontà. Non so dirti altro di più e di meglio, figlio mio, eccetto che sento un grande bisogno di darmi tutto al Signore e di ser­virlo e di amarlo nella sua s. Chiesa sino alla consu­mazione di tutta la mia povera vita. Confido nella divina misericordia di Gesù bambino e della sua e nostra ss. Madre e nei santi e anche tanto nelle pre­ghiere che farai per me. Quando staremo un po' in­sieme? In Paradiso? Oh! Sì! Paradiso! Paradiso! Quando verrai? Sia fatta la s. volontà del Signore, che conosce le ore e i momenti. Mi favorirai riverir­mi tanto il Preposito generale, e fagli i miei auguri in Domino. Spero anch'io mandarglieli; ma ho tan­to lavoro. Tuo aff.mo in Gesù Cristo e Maria ss.».

Dei tre anni immediatamente successivi, non si conserva carteggio. Don Orione era occupatissimo nelle sue opere che venivano sempre più richieste ad aiuto di tanti bisognosi. Così, del 1914 si ha sol­tanto un suo biglietto di auguri a don Risso per la festa di san Camillo: «Messina, 20-7-1914. Siamo an­cora nell'ottava del tuo santo: quel giorno non potei scriverti, ma ti ho ricordato nella messa. Il Signore ti conceda di amarlo tanto tanto in croce: Gesù si ama in croce. Tuo aff.mo don Orione».

E poi la letterina piena di gratitudine di don Ris­so al «suo» don Orione: «Collegio Mellerio Rosmini - Domodossola. 22-12-1914. Rev.mo don Orione, que­sti auguri che le mando da questo collegio, dove da oltre due anni insegno un po' di letteratura in quar­ta ginnasiale, vorrei che le dicessero tutto l'affetto memore e grato, che le serbo e le serberò usque dum vivam et ultra. Li accolga con la solita benignità e mi aiuti a pregare Iddio, perché egli li adempia, giac­ché essi non vogliono essere che il desiderio del mas­simo bene per lei e per me. Buon Natale e buon Capo d'anno! Suo dev.mo ed obbl.mo don Pier Camillo Risso».

Dopo il terremoto del gennaio 1915, don Orione è ad Avezzano a dare conforto a quelle vittime. Di là scrive a don Risso il 1° luglio: «Anime e Anime!

- Carissimo in Gesù Cristo, rispondo, con assai ri­tardo, alla graditissima tua. Dio ricompensi la tua bontà e le tue orazioni per l'anima mia e pel piccolo Istituto della Divina Provvidenza. Come vedi, sono ancora qui, tra gli orfani, - sono i miei piccoli fra­telli, i più cari figli della Divina Provvidenza: essi so­no tutto per me, o almeno dovrebbero essere tutto: i miei occhi, il mio respiro, il mio cuore in Gesù Cri­sto e la mia vita: - sono Gesù Cristo stesso. Prega, caro don Camillo, per me e per tutti i miei, e per que­sti specialmente, molti di essi non hanno più nulla sulla terra: di famiglie di dieci e anche di più perso­ne, non rimane spesso che un povero orfano. Essi possono dire davvero: - "pater meus et mater mea dereliquerunt me, Dominus autem assumpsit me"; poiché, pur nella loro sventura, la mano del Signo­re io l'ho vista, in cento casi, stendersi paterna sul­la testa di questi cari figliuoli. Ma il Signore che

vorrà dirci con questi terremoti e con queste guer­re? Ah! Non altro che ci umiliamo e rivolgiamo a lui, — specialmente noi sacerdoti suoi. Ti abbraccio in Gesù Cristo e in Maria ss. e bacio con filiale devo­zione le mani al Preposito generale e a tutti i tuoi confratelli, e a te. Aff.mo tuo don Orione. - P.S. - (fuori lettera): Sai che avrò forse occasione di venirti a trovare? Ho iniziato ieri, 30-6, in Ameno (Orta) un ricovero per i poveri vecchi abbandonati a causa del­la guerra. Speriamolo presto quel giorno».

Alla fine del 1915, il 28 dicembre, da Roma scri­veva ancora a don Risso: «Caro mio don Risso, ho ricevuto con molto piacere la tua lettera, della qua­le ti sono e ti voglio essere sempre tanto grato, spe­cialmente per le preghiere che mi prometti, e per le benedizioni che invochi da Dio su di me e sui miei piccoli figliuoli in Gesù Cristo. Io ho grande bisogno di darmi a Dio, e di convertirmi tutto a lui, e di ri­parare e di riparare alle ingratitudini di mia vita, di tutta una vita che è vuota di lui! Io ho bisogno e sete, una grande sete di Dio e dello spirito di Gesù Cristo. E mi sento ristorare al sentire che molti pre­gate per me. Sì, caro don Camillo, io desidero e vo­glio, fidato solo dell'aiuto di Dio, voglio convertirmi tutto a Dio e vivere solo per lui e dell'amore alla san­ta Chiesa e alle anime, e lavorare a salvare anime, se così piacesse mai alla sua bontà di chiamarmi a portargli un poco di umile aiuto. Ma ho bisogno di tutta la misericordia divina sopra di me e di tutta la forza di Dio e di tutta la sua luce per conoscere l'abisso de! mio niente e de' miei peccati e la bontà infinita del Signore!

«Prega tu, adunque, caro don Camillo, e prega sempre per me: è la carità più grande che mi puoi fare e che ti supplico di farmi poiché, io non vorrei, o figliuolo, o figliuolo mio, darti scandalo, ma sappi che sono un grande peccatore e di nulla più bisogno­so che della infinita misericordia del nostro caro Si­gnore. Ma io ora stesso mi do a Dio, e forse è per le tue orazioni, e mi abbandono come piccolo bam­bino nelle braccia del nostro caro dolce Padre, e lo voglio amare tanto e di sì dolce e veemente e inestin­guibile carità, da riparare a lutto, e da rendermi tut­to suo in eterno e da tirare a lui tutti, se mi fosse mai dato. E le benedizioni celesti, che sopra di me e de' miei piccoli figliuoli — che sono figli suoi — tu hai invocato, io le invoco sopra di te, e prego Dio di centuplicare sopra di tutti i fratelli tuoi del tuo e del mio amato Istituto della Carità. E su tutti gli uomini discendano le benedizioni e le misericordie del Signore.

«Seminiamo carità nei cuori degli uomini, o ca­ro don Camillo, e amore dolcissimo alla santa Chie­sa, che è opera visibile di Dio su la terra, ed è la nostra madre. Colui che ha un Padre in ciclo non ha che dei fratelli sulla terra e una madre: la Chiesa di Dio. Beati coloro che, nella carità, affrettano la pa­ce, perché saranno chiamati figliuoli di Dio. Tuo aff.mo in Gesù Cristo e Maria ss. don Orione d.D.P. - Tanti saluti e auguri da don Risi e da don Adaglio e da tutti questi della Divina Provvidenza».

La presenza di don Risso come insegnante al Collegio Mellerio Rosmimi di Domodossola, fu prov­videnziale occasione perché don Orione vi mandas­se suoi chierici a sostenere gli esami di licenza ginnasiale, dato che il ginnasio-liceo rosminiano era «pareggiato»: uno dei pochissimi licei allora «pareggiati» ai regi. Ne troviamo accenni in queste due let­tere di don Orione.

«Anime e Anime! — Roma, 3-1-1919. — Caro don Risso, grazie di tulle le cose belle e sante che mi hai scritto; e, più che tutto, delle preghiere. Anch'io pre­go per te di cuore Iddio, che ti conforti di ogni gra­zia e benedizione celeste. Sono stato, presso la festa di san Camillo, a pregare alla Maddalena, su la tom­ba del tuo santo, e te lo volevo poi scrivere; ma poi m'è passato via il tempo. Ora ci voglio ritornare, e quando ci passo vicino, e non m'è dato entrare in chiesa, pure voglio pregare quanto potrò per me e per te, caro mio Risso. Quando vedrai il Preposito generale, digli che quel Gabbarmi, il figlio del por­tinaio di san Carlo al Corso, che rimase orfano di tutti, fa assai bene e nella pietà e nello studio, e sta bene. Si trova a Bra, dove abbiamo un gruppetto di Probandi, e gli fa scuola quel chierico Pagella, che fu già lì a dare la licenza due anni fa; poi diede que­st'anno la licenza liceale a Sanremo, con esito mol­to soddisfacente, ed ora m'aiuta a crescere i nostri fratellini. E me lo riverisci tanto il p. Preposito, e pure il suo segretario, quell'irlandese. Così mi fa­rai cosa gradita, se vorrai fare gli auguri di buon an­no — siamo ancora nell'ottava —, a tutti i padri di codesto collegio e specialmente a quello che ha ri­sposto così magnificamente a quei giudizi sul Rosmini, dati da Ausonio Franchi, nell'Ultima Critica.

«Ed ora, caro don Risso, che ti dirò? Sai che è morto pure don Bozzini l'altro arciprete (di Sale), successo al teologo Brizio dì san Calocero? E in po­chi dì. Oh! come si fa presto! E che morte! che mor­te! Ah! ringraziamo di cuore Iddio della vocazione religiosa che ci ha dato. Oh! quante volte ho dovuto constatare, specialmente riflettendo su la vita o su la morte di certi preti secolari, che la vocazione re­ligiosa, come ben diceva il tuo santo Fondatore, è il più grande benefizio di Dio, dopo il s. battesimo. Ti saluto in osculo sancto, e prega ognora per il tuo aff.mo in Gesù Cristo e Maria ss., don Orione».

Ed ancora in lettera del 21 maggio 1920, da Roma:

«Anime e Anime! — Carìssimo in X.sto avrei un bravo giovane, orfano del terremoto, di molto inge­gno, che dovrebbe dare la licenza ginnasiale, e poi fare il liceo. Per lui pensa il Patronato Regina Elena e, per il di più che occorrerà, ha una somma a di­sposizione, e un fratello dall'America pronto a da­re. Vorrei che potesse fare il liceo a Domodossola da voi, e che desse costà pure la sua licenza. Non è chierico, non lo fu mai, benché a principio mostras­se qualche segno di vocazione. È invece poeta, e non vorrei che si perdesse, andando ad altri licei. Dim­mi, che occorre? Scusa la libertà. Scrivimi qui, a via Appia Nuova, 126. Grazie di tutto; Dio sia con noi, sempre! Torno oggi da Messina, dove, a un mese pre­ciso di distanza dalla morte del chierico Basilio Viano, mi morì uno dei migliori sacerdoti, don Angelo Bariani. Morì da santo, ed era veramente un santo; ma vorrei che anche tu, caro don Camillo, pregassi per lui. E grazie! Tuo in Cristo sac. Orione, della Di­vina Provvidenza - P.S.: il giovane è ben preparato per la licenza e non farà mala figura. È abruzzese, ma di buon conto e penso bene di lui per l'avvenire».

Poi, questa lettera da Roma, del 18 luglio 1922, in occasione della festa di san Camillo, quando don Orione era appena rientrato dal suo primo viaggio in sud America:

«Caro e carissimo nel Signore, sono giunto a Ro­ma da stamattina e in Italia da dieci giorni. Ti man­do i miei santi auguri, e il Signore sia sempre con te e coi tuo Istituto. Dirai al p. Preposito generale che ho avuto la sua gradita lettera solo un mese fa. Parlai con mons. Sebastiano Leme, che fu vescovo di Olinda de Pernambuco sino allo scorso settembre ed ora è arcivescovo coadiutore con diritto di suc­cessione al cardinale di Rio de Janeiro. Egli mi dis­se non risultargli che il vostro vescovo di Olinda sia ancora intatto, e mi disse altro che riferirò poi al pa­dre Balsari. Con ossequi al tuo superiore. Prega per me. Sempre tuo in X.sto e nella s. Madonna».

L'ultima lettera di don Orione a don Risso è del settembre 1939: gli rispondeva circa un sacerdote che don Risso gli aveva raccomandato. Alcuni mesi dopo don Orione moriva. Don Risso lo portò sem­pre in cuore, amandolo di profondo affetto e vene­randolo come un santo, dal quale — testimoniava — aveva ricevuto tanto bene. Morì a sua volta nel col­legio Rosmini di Stresa il 17 maggio 1967, all'età di 86 anni, lasciando grande esempio di virtù religiose e di semplicità d'animo, che lo mantenne sempre in profonda serenità interiore.

 

 

III

 

Abbiamo diverse lettere di don Orione indiriz­zate al superiore generale dell'Istituto della Carità, padre Bernardino Balsari. Le vogliamo riportare per intero, perché sono specchio fedelissimo della gran­dezza del suo animo, della sua virtù e santità; e in questo contesto le espressioni che egli usa nei riguar­di di Rosmini, del suo Istituto e dei suoi figli spiri­tuali, acquistano ancora più rilievo.

La prima è del 26 settembre 1902, da Tortona: in essa don Orione chiede a padre Balsari — come grande favore — di avere le regole dell'Istituto del­la Carità:

«Veneratissimo Padre, dopo avere pregato per sapere a chi rivolgermi per ottenere le regole dell'I­stituto della Carità, dietro consiglio della direttrice delle rev.de suore rosminiane di Castelnuovo Scrivia, vengo da vostra paternità per pregarla di que­sto favore, se le è possibile.

«Io non è che voglia farmi del vostro Istituto, ma dopo avere letto del vostro veneratissimo Fon­datore, mi pare le regole vostre potranno essermi di grande aiuto mentre sto per dare, per espressa

volontà del s. Padre, un po' di regole ad alcuni Isti­tuti che formano per ora una minimissima cosa che si chiama l'Opera della Divina Provvidenza.

«O buon Padre, se nella grande carità del vostro cuore mi potrete aiutare io ve ne sarò tanto ricono­scente e pregherò per voi davanti al s. Tabernacolo. Colla più profonda venerazione vi bacio le mani, e mi raccomando a voi perché per le vostre sante ora­zioni il Signore mi assista e mi usi misericordia. Amen. Vostro povero sacerdote e fratello in Gesù Cristo crocifisso sac. Orione Luigi. «P.S. Io le restituirò a v. Paternità con sollecitudine».

Dalla lettera che segue, in data 8 ottobre 1902, apprendiamo che padre Balsari aveva «ascritto» al­l'Istituto della Carità don Orione: segno indubbio della grande stima che ne aveva. E don Orione gli rispondeva da Tortona:

«Mio veneratissimo e buon Padre, vi ringrazio con tutto l'affetto d'avermi iscritto terziario dell'I­stituto della Carità, e d'averlo fatto nella festa della nostra cara e beatissima madre, la Madonna del rosario.

«La vostra carità mi da così ora la consolazione di avervi e dì chiamarvi mio buon padre. Possa io, con la divina grazia e per la intercessione della bea­ta e sempre Vergine Madre nostra del s. rosario, ve­stirmi davvero, e imbottirmi del soavissimo e dolcissimo abito della santa carità, e di dentro e di fuori, e tutto vivere d'amore di Gesù crocifisso e del prossimo. Così prometto, confidando nell'aiuto di nostro Signore e della nostra carissima Madre del Paradiso, nonché negli aiuti spirituali di lei, mio ve-neratissimo Padre, e di lanti suoi buoni fratelli del­l'Istituto della Carità.

«Oh quanto è mai buono il Signore con l'anima mia! Oh quanto è dolce amare il Signore! Siate voi benedetto, o mio buon Padre, perché mi fate sentire di dovere amare il Signore! Amiamoci, amiamoci, amiamoci perché questo è amare il Signore, è il se­gno del Signore! è la divisa del Signore! Perdonate­mi questo sfogo, e pregate per me che io prego per voi. E adesso beneditemi anche e tenetemi come vo­stro povero figliuolo nel Signore. Vostro aff.mo in Gesù Cristo».

Per Natale, padre Balsari usava — come i suoi predecessori e poi i suoi successori — inviare ai re­ligiosi dell'Istituto una «strenna», cioè una lettera che dì solito accompagnava qualche scritto del pa­dre Fondatore. Così fu nel Natale del 1902, e uno dei destinatari fu appunto don Orione. E questi gli ri­spondeva da Tortona, il 30 dicembre:

«Nostro Signore Gesù Cristo e le anime. Mio buon padre nel Signore, la ringrazio tanto tanto del preziosissimo opuscoletto e degli auguri. Io li ricam­bio ben di cuore, pregando su lei e su tutti i suoi fi­gli spirituali e a tutte le case dell'Istituto della Carità le più larghe benedizioni del Signore.

«Egli lo ricompensi il caro Istituto della Carità di tante fatiche, sudori e lagrime e delle non poche contraddizioni e tribolazioni: det tibi, dulcissime Pater et omnibus tuis de rore coeli et de pinguedine terrae abundantiam. E quest'abbondanza di grazie celesti piova sul suo capo e la consoli tanto e ora e sempre.

«Ho letto con molto conforto le tre lettere del veneratissimo padre Rosmini. L'ultima, diretta al piissimo e tanto dotto sac. prof. Gatti, che ho cono­sciuto da chierico e poi assistito nell'ultima malat­tia, mi ha fatto particolare piacere. Io mi trovo qui dove era appunto il prof. Gatti quando nel 1852 ri­ceveva dal benedetto padre Rosmini la lettera che ora ricevo stampata. Quindi mi pareva di sentire ri­volte a me le sante norme che un tempo in questa stessa stanza hanno consolato e confortato don Gatti.

«La ringrazio di tutto e che il Signore ricompen­si V. P. di ogni cosa. Mi abbia nella carità di Gesù crocifisso per suo aff.mo e dev.mo servitore in Gesù sac. Luigi Orione».

Col passare degli anni, cresceva la confidenza e l'intimità di don Orione con padre Balsari, come testimonia questa lettera dell'8 gennaio 1908, da Tortona:

«Mio venerato e buon padre nel Signore, ricevo proprio ora il vostro dono, e mi sento molto conso­lato e confortato ad amare nostro Signore e la no­stra santa madre del Paradiso. Oggi sono un po' afflitto, e così voi, o mio buon padre, avete fatto an­che un'opera di misericordia. Io poi sono molto lie­to, perché questo vostro ricordarvi di me mi significa che voi di me vi ricordate di certo davanti al Signore.

«Anch'io, vedete, molto vi amo nel Signore, — voi e i vostri, e prego per voi tutti, cari figliuoli di Rosmini, che avete tanto patito, — ma il nostro di-vin padre e maestro Gesù Cristo crocifisso pagherà tutto dandoci poi se stesso. La divina misericordia permette che ancora io poveretto nel mio piccolo sia ora un po' tribolato, ma sono i miei molti peccati, e per grazia di Dio sono molto contento pure semi­nando di lagrime tutti i passi, quasi.

«Pregate che stia fermo e umile e forte nella s. Madre Chiesa cattolica, e che la ami e per essa tutta la povera vita che ancora piacerà al Signore di la­sciarmi, e come per la s. Chiesa, così per la salute eterna dell'anima mia e per tutti con amore senza limite nel Signore. Voi, o mio buon padre, vi ricor­derete che in qualche modo io vi appartengo, poiché mi avete iscritto tra i terziari dell'Istituto. Oh dun­que aiutatemi ad amare il Signore ed a rinnegare me medesimo con la vostra orazione!

«Lì a Roma tengo alcuni miei fratelli e figliuoli: due sacerdoti sono a s. Anna presso porta Angelica, con qualche chierico che fa la Gregoriana; vi è la piccola colonia s. Maria a Monte Mario, con un sacerdote e i fratelli eremiti e i bambini; e due sacerdoti, pure miei fratelli, sono addetti all'assistenza spirituale alla Lungara. Essi sanno, e specialmente il sac. Goggi che è a s. Anna e che studiò lettere con due vostri all'Università di Torino, e si laureò pure con essi, che io tanto vi amo in Domino, quindi se me lo permettete scriverò loro che vengano a voi, e prego la vostra carità di aiutarmeli nello spirito e averve-li come figliuoli e benedirli come fareste con me.

«Focheri mi ha parlato tanto bene di voi e dello spirito buono che ha trovato quando fu a Stresa. A Roma ho alcuni buoni amici che sono come figli spi­rituali della Divina Provvidenza, e di essi, se vi oc­corre, vi potrete servire poiché sono di molta carità e dottrina buona e assai umili, come fossero bambi­ni. - All'Apollinare vi è il prof. Costantini tanto ami­co di mons. Focheri, e Giulio Salvadori alla Sapienza - se mai aveste qualche figliuolo che frequentasse le lettere, e così il prof. Pietro Baldoncini, tanto buo­no anche lui, che insegna in casa Doria, - sono tut­ti borghesi, ma molto di buono spirito, mi pare.

«E per qualunque altra cosa mettete che siamo tutta roba vostra. E adesso beneditemi e benedite tutti i miei, — e nostro Signore benedica voi e tutti i vostri. Vostro dev.mo in Cristo sac. Orione d. D.P.».

Del giorno dopo, 9 gennaio 1908, abbiamo un'al­tra lettera di don Orione a padre Balsari, anch'essa da Tortona: «Ven.mo e buon Padre, ricevo stamatti­na l'offerta di L. 50 che V. Sig.ria rev.ma mi invia da Roma. Il Signore la benedica e ricompensi di tanta carità e pregherò per lei, sì, di cuore pregherò e sempre.

Le ho scritto ieri sera, ringraziandola dell'opu­scolo, e ho passato un quarto d'ora di molto soave letizia scrivendole.

Come l'amore e la devozione di Maria santissima è pegno sicuro del Paradiso, così quanto il nostro ve­nerato padre Rosmini ha scritto, perché fosse glori­ficata colla definizione del Dogma circa il suo Immacolato Concepimento, è una grande prova, mi pare, della santità del nostro padre, e spero che la celeste nostra Madre lo vorrà a suo tempo glorifi­care anche in terra.

«Bacio a voi, mio buon Padre, le mani con affet­to di santa gratitudine, e per me e per tutti questi figliuoli. Gesù Signore nostro e la nostra beata ma­dre vi diano tante consolazioni: io li pregherò e farò pregare a questo fine, e prometto nelle mie misera­bili orazioni in tutti i giorni per l'Istituto della Carità.

«Sono oggi più del consueto svanito di testa e debole, e Vi prego di scusare tutto ciò che non va in questa e nell'altra di ieri. Vostro um.mo e obbl.mo servitore sac. Orione della Divina Provvidenza».

Ed ora una lettera di padre Balsari a don Orio­ne, che dimostra la grande stima e venerazione che egli ne aveva. È scritta dal Calvario di Domodossola, in data 17 ottobre 1908:

«Molto rev. e ven.mo Signore e confratello in Gesù Cristo. Da circa un mese ho in animo di scriver­le, come ora faccio finalmente, per dirle che io ho bisogno di parlarle, ma lungamente; e vorrei sape­re se, venendomene a Roma verso la metà di novem­bre, potrò incontrarla colà e avere un po' di comode conversazioni con lei. E se ella non può venire a Ro­ma a quel tempo, la prego di dirmi dove e quando la posso trovare e verrò a passare con lei almeno un giorno per esporle ciò che desidero.

«Le cose di cui voglio discorrerle riguardano questo Istituto della Carità e la causa del suo fon­datore A. Rosmini. Non intendo già la causa per la beatificazione, che, comunemente parlando, ne sia­mo ben lontani, ma la causa di lui in un senso più generale. So l'affezione sua pel Rosmini e per i suoi figli, e questo mi ispirò il pensiero di parlarle; e cre­do che tale pensiero mi sia venuto dal buon Dio. Scu­si questa mia libertà con la quale le ho scritto, e in attesa di una sua risposta mi raccomando alla cari­tà delle sue orazioni e le sono suo dev.mo e aff.mo in Gesù Cristo Bernardino Balsari».

Ed ecco l'immediata risposta di don Orione, da Tortona, in data 18 ottobre, e cioè il giorno dopo. Se non ce ne convincesse il contesto, non crederemmo si tratti proprio della risposta: oggi non riusciamo più a pensare ad una simile velocità di corrispon­denza postale!

«Mio veneratissimo e buon Padre, ricevo la sua, che in questa santa giornata mi riesce di tanto con­forto. E faccio lo sfacciato: ho desiderato tante vol­te venire, almeno per qualche ora, dove egli (Rosmini) visse e soffrì per amore di nostro Signore crocifisso e della s. Chiesa; quindi, se permette, ver­rei io, lì o a Stresa, dove lei sarà. Non posso oggi stabilire quando, ma sarà presto; e, per essere più si­curo ove trovarla, telegraferò il dì innanzi con rispo­sta al superiore di Domodossola.

«Sono un povero peccatore, un povero bifolco che la misericordia dei Signore ha fatto sacerdote; ma Iddio sa cosa vorrei potere fare per il nostro be­nedetto padre: oggi intanto intendo offrire a nostro Signore il dolore di questi giorni e l'amore che egli mi da di sé in questi momenti per l'anima mia, e an­che per riabilitare lui, e affrettare l'ora di Dio, se così a Dio piace.

«Preghi per me e per la mia buona mamma mor­ta ieri da santa. Suo in nostro Signore dev.mo e aff.mo sac. Orione della Div. Provvidenza».

 

 

IV

 

Continuiamo la pubblicazione delle sue lettere al padre Bernardino Balsari, superiore generale del­l'Istituto della Carità. Lettere che toccano profon­damente, anzitutto per l'estrema umiltà che vi traspare, per il respiro di Dio che le pervade, per l'a­nelito alla santità che don Orione vi esprime. E in questa atmosfera, la sua ammirazione e venerazio­ne per Rosmini, la sua intensa vicinanza ai suoi fi­gli spirituali, e particolarmente a padre Balsari, al quale si rivolge come un figlio al padre.

Riprendiamo con questa lettera da Messina, del 16 gennaio 1912:

«Sia lodato Gesù Cristo. Rev.mo Padre, ho rice­vuto con immensa consolazione la sua venerata let­tera e gli scritti di P. Lanzoni, di benedetta memoria. Ho pure ricevuto la sua generosa offerta, ed ho fatto pregare già e continuerò a umilmente pregare per V. Sig.ria rev.ma e per l'Istituto della Carità.

«La ringrazio di tutto, ma sovra tutto mi fa tan­to bene il suo dolce spirito di carità, e ne sono con­fuso e confortato insieme ad amare nostro Signore.

«Ho tardato a scriverle per più motivi, e le do­mando scusa di questo ritardo; speravo anche veni­re di presenza a ringraziarla in Domino; ma poscia mons. arcivescovo decise di venire lui a Roma per la visita ad limina, e quindi non so determinare quando piacerà ora al Signore che io ci venga.

«Chissà che nostro Signore non mi faccia la gra­zia di essere presto libero da questo ufficio di Cu­ria? Mi avevano fatto sperare che, al compiersi del triennio, ne sarei liberato. Però sia fatta la san­ta volontà di Dio; mi sento tanto tanto miserabile peccatore, ma, per la grazia divina e per la grande carità della Madonna ss., nostra dolcissima madre, non vorrei altro che vivo e morto stare tutto nelle sante mani di Dio e della sua santa Chiesa.

«A questo vivo desiderio mi pare di essere ve­nuto anche per l'aiuto e la luce che mi è venuta dal­la lettura dell'opuscolo del p. Lanzoni, e specialmente dalla quinta circolare, che si riferisce appunto al dovere di amare la santa Chiesa.

Vostra paternità con questo opuscolo mi ha fatto un regalo ben gradito, e utilissimo a coltivare lo spiri­to. Voglio anch'io cominciare con la divina grazia; ma ella si degni aiutarmi perché non siano parole. Perdoni se non mi dilungo dì più: in Paradiso avre­mo più tempo. Che Dio la benedica di tutto! Si de­gni benedirmi come uno dei suoi, e avermi sempre per dev.mo servitore in Gesù Cristo sac. Orione del­la Div. Provvidenza».

La lettera che segue è del 20 novembre 1912, da Tortona: «Anime e anime. Veneratissimo Padre, un Signore di qui ha letto la pastorale del Boncinelli sul­la esistenza di Dio, e la dichiarazione che esso vi fa di essere diventato rosminiano, da ontologo che era. Ora ricordando che V. Paternità ebbe un gior­no a dirmi che il Bonomelli era stato a Stresa o a Domo ultimamente, e che colà aveva letto un'opera del Fondatore, che forse prima ignorava o non ave­va mai approfondito, e parlandone io ha detto signo­re mi prega di fargli conoscere il titolo e l'editore dell’opera detta. Voglia quindi V. Paternità scusare il di­sturbo e, se lo può, mi indichi il titolo e la libreria. Dio la ricompensi!

«Io ora sono qui che lavoro attorno al piccolo Istituto. Preghi per me e per tutti questi cari figliuo­li; io farò lo stesso per lei. Le bacio con profonda ve­nerazione la mano, e le sono in Gesù Cristo crocifisso e Maria ss. umile servitore sac. Luigi Orione della div. Provvidenza».

Altra lettera da Tortona, del 26 dicembre 1912. Non è di sua mano, e la ragione la dirà lui stesso: «Caro e buon Padre, ricevo la sua carità per questi miei figliuoli che il Signore si è degnato darmi a cu­stodire e crescere nel suo santo timore, e prego la bontà del nostro dolce Dio di ricompensarla e bene­dire lei e tutti i suoi figli in Gesù Cristo. Quest'anno non mi è dato risponderle di mia mano perché Gesù Bambino mi tiene a letto ammalato, però queste pa­role sono dettate da me.

«Ho ricevuto anche una bella lettera da Risso e non gli ho potuto rispondere. Dica a quel caro fi­gliuolo che le sue lettere mi portano tanta consola­zione per il buono spirito che da esse si rivela. Lo ringrazio delle preghiere che fa per me e per i pove­ri istituti della Provvidenza; anch'io ho pregato tan­to per lui e prego sempre per tutti voi altri: che la santa croce di nostro Signore ci unisca in terra e poi in Paradiso.

«Se anche quest'anno vostra paternità mande­rà ai suoi qualche opuscolo, come è solito fare, si degni inviarne copia anche a me, che anche di tanta carità gliene sarò grato in Domino. Vorrei dirle tante altre cose; ma non posso, e mi limito a supplicarla di pregare sempre per l'anima mia e per quelli che Dio mia ha dato. Le bacio con venerazione figlia­le la mano, e la prego di benedirmi in Gesù Cristo. Suo umilissimo e devoto servitore sac. Orione della Div. Provvidenza».

La firma è autografa, ma rivela le sue condizio­ni di malato. Notiamo ancora l'accenno alla «croce», come in altre lettere: don Orione sa quanto il Signo­re ha provato i figli spirituali di Rosmini, con le vi­cende occorse alle sue dottrine. Ed egli li ama ancora di più proprio per questa loro «croce». È l'animo caratteristico di don Orione,

Del 1913 abbiamo due lettere. Una del IS settembre, da Tortona: «Ven.mo padre Preposito genera­le, urgemi conoscere se il Liceo di Domo, tenuto da loro, è pareggiato. E, se non lo fosse, saprebbe indi­carmi ove potrei rivolgermi per trovare un buon li­ceo pareggiato, tenuto da religiosi, in Italia?

«Si tratterebbe di mettervi un giovane, figlio unico del primo avvocato di Tortona. Egli sarebbe disposto a pagare sino a L. 150 al mese. Se il loro fosse pareggiato, potrebbe farmi inviare per favo­re, il programma? Con profondo ossequio le sono in Cristo Signore nostro dolcissimo dev.mo come figlio spirituale sac. Orione della Div. Provvidenza».

L'altra lettera, pure da Tortona, è del 3 ottobre: «Mio veneratissimo fratello in nostro Signore Gesù Cristo crocifisso, vi ringrazio della vostra carità grande di pregare per me e per tutti questi figli del­la Divina Provvidenza, e vi ringrazio pure tanto del­le Massime di perfezione e delle lettere apostoliche riguardanti l'Istituto della Carità.

«Io prego la bontà di nostro Signore che mi dia grazia di esservi sempre riconoscente e farò pregare per il vostro a noi tanto carissimo Istituto. Co­raggio, buon padre, Iddio vi aiuterà tanto e vi conforterà tanto, voi e i vostri figli e fratelli: farò pregare questi poveri orfani, e il Signore li ascolte­rà di certo.

«Quando andrete sulla tomba del vostro padre ditegli un po' voi che preghi per me lui che tanto ha amato nostro Signore, e che ha desiderato unicamen­te di fare la volontà del Signore. Anch'io non desi­dero altro, ma ho bisogno di averne sempre più il conoscimento e la virtù di eseguirla.

«Voi mi perdonerete di avervi presa tanta con­fidenza. Vi bacio con riverente affetto le mani e vi domando di benedirmi. Vostro obbl .mo e dev.mo ser­vitore e fratello nella carità del Signore sac. Orione».

Vi è pure una lettera del 30 novembre 1915, da Avezzano: «Anime e anime. Caro e venerato p. Balsari, la ringrazio di tutto cuore degli opuscoli e del­la vita di p. Gentili. La farò tradurre quella vita e, dopo la guerra, se piacerà a Dio di conservarci a vedere la sospirata pace, la farò anche pubblicare con qualche aggiunta.

«Mi raccomando intanto alle orazioni sue e dei suoi religiosi e la prego di avermi, quale veramente desidero essere, per dev.mo servitore suo e dei suoi in Cristo Gesù sac. Orione d. D.P.».

Aggiungiamo anche questa lettera del 1916, da Tortona, in data 11 febbraio: «Venerato Padre supe­riore, Non ho trovato qui mons. vescovo, che è fuori Tortona, ma dal delegato vescovile, che fa da vica­rio generale, seppi che non è possibile dare il pre­fetto pel ginnasio di Domodossola, stante la scarsità dei chierici a causa della guerra. Sono molto spiacente di non averle potuto ottenere quanto V. P. desiderava, e mi auguro di essere fortunato in altre occasioni.

«Ho parlato a don Bacciarini di quel ricoverando a Rovereto; mi disse che avrebbe fatto.

«Sa che sono passato da Domodossola? e fui per una ventina di minuti al loro collegio, ove vidi don Risso. Ho guardato anche lassù al Calvario, e poi ieri, nel passare da Stresa, non potendo fermarmi, ho cercato di raccogliermi e pregare. "La tribolazione è un segno indubitato dell'amore che Dio ci porta", ha detto appunto il Rosimi.

«Le bacio con profonda venerazione le mani e la prego di ricordarsi anche di me all'altare di Dio. Di vostra paternità dev.mo servitore in Gesù Cristo e Maria ss. sac. Luigi Orione dei figli della Div. Prov­videnza. P.S. Sarò a Roma nella prossima set­timana».

 

 

V

 

Due altre lettere del carteggio di don Orione con padre Balsari. Una è del 21 novembre 1916, ed è di padre Balsari che gli chiede un favore per la «cau­sa» di Antonio Rosmini, È scritta dal Calvario di Domodossola:

«Ven. e carissimo don Orione, ho fatto chiede­re ai suoi buoni figliuoli di Roma dove si trovasse lei presentemente e mi dissero che era a Tortona. E questo è appunto ciò che io desiderava pel caso che mi fa oggi scrivere a lei. Spero che sia a Torto­na ancora. Ecco di che si tratta.

«Forse avrà visto anche lei o sentito dire di un articolo della "Civiltà cattolica" contro ad un libro di casistica del nostro padre Pagani. Ora a quell'ar­ticolo ci vuole una risposta, ed è già pronta; ma si vorrebbe stamparla con l'approvazione o almeno la permissione ecclesiastica. Può essere che io la ottenga a Roma, e sarebbe il meglio, anzi l'ottimo; ma c'è a temere che, per tanti umani riguardi che ella capisce benissimo, a Roma se ne scansino; e al­lora bisogna pensare a ottenerla da qualche vescovo.

«Ho scritto perciò a un sacerdote della missio­ne, molto amico ai rosminiani, il quale ha fiducia di ottenerla. Ma ho pur pensato anche a lei e al suo ve­scovo di Tortona. E ora le scrivo appunto per pregarla che, quando il sacerdote nominato testé non riuscisse nell'intento, voglia lei, carissimo don Orio­ne, adoperarsi costì a Tortona, perché la cosa riesca.

«Codesto vescovo, da tutto quello che ho senti­to e che ho letto intorno a lui, spero che non ricuse­rà di prestare il suo concorso, quando sia necessario, ad un'opera di giustissima e santa difesa. Mi fu det­to che ha lo spirito generoso e leale del compianto card. Agliardi, che gli fu grande amico. Ora lei può dirgli che il card. Agliardi, dacché conobbe bene la causa rosminiana, ebbe in favore di essa il più schiet­to e vivo interessamento, e certo applaudirebbe al vescovo che volesse concedere la permissione eccle­siastica che io domando.

«Io dunque manderò a lei entro domani, una co­pia dell'articolo della "Civiltà cattolica" e della ri­sposta, e quando li abbia letti, la prego di parlare al vescovo nell'intento sovra esposto. L'affetto che lei, carissimo don Orione, mi ha manifestato tante volte per la causa del nostro ven. Fondatore, mi fa certo che lei farà, in questo bisogno che le ho espo­sto, tutto quello che le sarà possibile; e ho anche fi­ducia che con l'aiuto del Signore riuscirà nell'intento. Ma anche nel caso che non riesca io le sarò grato ugualmente per quello che avrà fatto. Ac­colga i miei più cordiali e rispettosi saluti e preghi per me, per questo povero Istituto rosminiano. An­che la prego di presentare, se sarà il caso e se lei cre­derà opportuno, i miei umili ossequi a codesto mons. vescovo. Di nuovo tanti saluti.

«Dev.mo e aff.mo suo in Gesù Cristo sac. Bernardino Balsari».

«P.S. Le spedisco anche due copie del libro e di un'operetta relativa. Se crede può offrirne una al vescovo».

 

Ed ecco la risposta di don Orione, da Tortona, il 1° dicembre 1916: «Anime e anime! Veneratissi-mo padre, non mi fu possibile scriverle, caro padre, prima d'ora, e ci soffrivo ogni giorno che mi passava. Iddio poi permise che quel pacco di libri andas­se a finire in Alessandria, e non poté aversi qui che ieri l'altro a sera.

«Da ieri quelle pagine di risposta sono alla cu­ria per la revisione e spero bene. Lo stesso vicario generale che deve avere già letto la risposta, disse stamattina a don Sterpi che la polemica regge. Pre­ghiamo ora dunque il Signore!

«Le scriverò tosto, appena saprò qualche cosa; se tardassi, è perché dovrò forse assentarmi. Passo momenti di qualche tribolazione: preghi per me nel santo sacrificio. Le sono con devoto e filiale affetto in Gesù Cristo e Maria ss. obbl.mo servitore sac. Orione della Div. Provv.».

Da un'annotazione d'archivio, poi, apprendiamo che la «permissione» ecclesiastica era stata ottenu­ta a Roma. Padre Balsari lo notificava quindi a don Orione e tornava a ringraziarlo.

 

Oltre alle lettere a padre Balsari, abbiamo al­tre testimonianza dirette di don Orione, che dimo­strano la sua ammirazione per Rosmini e come egli ne aveva assimilato lo spirito. Anche altri lo ricono­scono: ad esempio, già nell'opuscolo Don Luigi Orio­ne, pubblicato subito dopo la sua morte, nel giugno 1940, si legge:

«Lo sforzo massimo di don Luigi Orione è tutto rivolto verso la formazione di se stesso: dalla sua for­mazione dipende tutta l'opera. Questo suo lavoro interiore, necessariamente rivolto verso l'universalità, non subisce né soste né rallentamenti e in questo la-

voro fondamentale egli riconosce come amico un grande italiano asceta della prima metà dell'800, An­tonio Rosmini: "conciliare l'intero raccoglimento, con una grandissima attività, secondo l'ordine del­la carità — tendere ad un'attività massima nella ca­rità di Cristo". E veramente con Antonio Rosmini, per me//.o dell'epistolario ascetico, che dovunque lo seguiva, anche nei suoi viaggi d'oltremare, egli s'in­tratteneva quotidianamente».

Anche nella bella spigliata biografia di don Orio­ne che uscì dal cuore e dalla penna di don Domeni­co Sparpaglione [in dal 1941, troviamo ricordato Rosmini così: «Non era meno fervida l'ammirazio­ne di don Orione per il grande amico del Manzoni, Antonio Rosmini, di cui soprattutto apprezzava l'u­miltà, la carità e le doti di educatore. Molte sue let­tere riflettono il pensiero religioso — pedagogico e spesso le frasi del pio abate Roveretano».

L'epistolario ascetico di Rosmini. E' vero che gli fu compagno fedele e continuo ispiratore. Un rosminiano che legga le lettere di don Orione, sente l'iden­tico spirito nell'uno e nelle altre, anche dove non vi sono espliciti riferimenti a Rosmini. Un punto caratteristico, a cui don Orione si rifa in più di una lettera, sono le parole che Rosmini lasciò come te­stamento spirituale ad Alessandro Manzoni, sul let­to di morte: adorare, tacere, godere. Da come don Orione vi si richiama, verrebbe da dire che vi senti­va il proprio programma di vita.

Riportiamo il contesto della lettera in cui ne par­la per la prima volta. È una lettera da Victoria, pres­so Buenos Aires, del 14 febbraio 1922. Don Orione racconta che venendo in Argentina, ad un certo mo­mento sì era sentito un fischio acutissimo e il piro­scafo si era fermato in alto mare. Tutto il personale si era messo sull'attenti in grande silenzio, ed anche i passeggeri erano stati invitati ad alzarsi. Era per ri­cordare l'anniversario della fine della grande guerra.

«Non posso dirvi — scrive don Orione — quan­to mi fece bene quel quarto d'ora d'arresto alla cor­sa della vita e di meditato silenzio. Di là mi è nato il pensiero di scrivervi una lettera sul silenzio. Di là mi è nata l'idea di disporre di un'ora di assoluto silenzio al giorno. Mezz'ora la mattina e mezz'ora al­la sera. E, se Dio mi darà la grazia, voglio d'ora in­nanzi educare più di proposito il mio spirito alla scuola del silenzio, e dare alla mia vita, ogni giorno e ogni anno, la parola, il sollievo e il conforto in Cri­sto del silenzio: in silenzio et in spe erit fortitudo mea!

«Non per nulla un santo sacerdote, e grande fi­losofo cristiano, pronunciava morendo queste altis­sime parole: Soffrire, tacere, godere».

Ancora una citazione. Più di una volta don Orione ritorna su di un altro passo, un passo molto si­gnificativo, che dimostra tutta la grandezza d'ani­mo, di mente e di cuore di Rosmini nell'esercizio della carità: testimonianza quindi dell'identico mo­do di sentire di don Orione. Si tratta di una lettera in cui dice a don Luigi Gentili e ai suoi compagni, inviati «missionari» in Inghilterra, che devono l'ar­si «inglesi» in tutto ciò che non è peccato evidente.

«Ricordo di aver letto — scrive don Orione — nell'epistolario del Rosmini, una sapiente e grave let­tera che quel filosofo e santo fondatore scriveva ai suoi religiosi, inviati in Inghilterra a farvi del bene. Da uomo abilissimo, piissimo e dottissimo, egli scri­veva ai suoi di farsi e di rendersi inglesi perfetti, per la carità di Gesù Cristo. E li supplicava di assumere modi, vestiti, linguaggio e il fare tutto proprio degli inglesi, i loro modi e i loro costumi; e tutto fare per attirare le anime, e ciò in visceribus Christi.

«In tutto ciò che non è evidente male, scriveva il Rosmini, "accettate e adottate i costumi inglesi, piuttosto che creare malumore, o mettervi in posi­zione da non poter più operare tutto quel bene che potevate fare. Ogni popolo ha i suoi costumi e sono buoni agli occhi suoi — aggiungeva — e in tutto che evidentemente, che chiaramente non è peccato, ren­detevi inglesi"».

Un'occasione tutta familiare ed intima per apri­re il suo cuore, don Orione la creava col radunare attorno a sé i suoi chierici e dare loro la «buona not­te». Erano occasioni tanto attese dai suoi, che sape­vano di poter sentire in quei momenti la parola più spontanea, calda e semplice del loro padre. Orbene, proprio in quelle occasioni, più di una volta il suo cuore andava a Rosmini.

 

Ad esempio, in una «buona notte» del 1939, dis­se: «L'Italia ha uno scrittore dalmata, un ingegnaccio, il Tommaseo. Chi ha modificato il carattere del Tommaseo? Rosmini, Rosmini! Rosmini, il più grande filosofo del secolo, sacerdote di vita illibatissima, intemerata, santa; quel filosofo che i miei professo­ri — quando tacevo filosofia — cacciavano, direi, dal­la scuola, e che ora fa miracoli e che un cardinale, promotore di tante cause di beatificazione e cano­nizzazione, disse che sono miracoli così grandi che basterebbero per canonizzarlo. Ai piedi del let­to di Rosmini morente stavano Manzoni e Tomma­seo e bagnavano di lacrime i piedi di quel grande sacerdote e filosofo».

Così pure, in una «buona notte» del 1938 don Orione citava Rosmini il quale — in una lettera — fa osservare che le letture lasciano sempre un'im­pronta nell'animo, che può essere buona o cattiva. Per cui, anche per persone buone, concludeva don Orione, «quand'anche leggessero libri non cattivi ma non di dottrina cattolica pienamente sicura, quella lettura è sempre malefica».

In altra «buona notte» dello stesso 1938, parlan­do di don Bosco e della Madonna, don Orione ricor­dava che il fondatore dei salesiani aveva acquistato il terreno di Valdocco «con i denari che gli imprestò don Antonio Rosmini, che i più giovani di voi mi auguro possano vedere innalzato sugli altari, perché è una delle figure sacerdotali più pure, più illibate e più sante che Iddio non solo ha dato all'Italia, ma anche alla Chiesa. Più andrete avanti, più studiere­te e più vedrete le cose non con le passioni degli uo­mini, ma alla luce di Dio, più comprenderete tante cose; certe cose le capirete quando avrete i capelli bianchi sulla testa e quando Dio voglia».

 

 

VI

 

Terminiamo questo argomento, che ci aveva particolarmente attratti, riportando la testimonianza di alcune persone, molto vicine a don Orione, e che quindi sapevano delia sua ammirazione e devozio­ne per Rosmini.

Così, subito dopo la sua morte, un arciprete fo­raneo della diocesi di Tortona, scriveva al padre Gio­vanni Pusineri, direttore di «Charitas»: «Avrete appreso l'immane lutto che ha colpito la mia dioce­si, e si può dire tutta l'Italia cattolica. Don Orione, l'apostolo della carità, l'uomo della Divina Provvi­denza, non è più! La sua grand'anima è tornata al Signore. Eravamo abituati a considerarlo così in al­to, così al di sopra degli uomini e delle cose, che la sua figura appariva come indistruttibile. Essa era legata ad ogni fatto della nostra diocesi, e ad ogni bisogno della carità universale, da non aver mai pen­sato alla possibilità di una sua scomparsa a così bre­ve distanza, e il solo pensiero ci avrebbe atterriti. Adoriamo gl'imperscrutabili disegni di Dio. I suoi funerali riuscirono un trionfo (...).

«Lo scopo per cui vi scrivo questa mia è per as­sicurarvi che il compianto uomo, che io conoscevo da quarantasei anni, cioè sino dall'inizio della sua grande opera, aveva una venerazione profonda del vostro fondatore A. Rosmini, ne valorizzava la vita santissima, ne difendeva la memoria, auspicandone la piena glorifica/ione. Fino dall'anno 1906, quan­do ancora regnava la congiura del silenzio intorno al grande filosofo, mi diceva in un colloquio confi­denziale (ero allora io nei primi anni di sacerdozio) che Rosmini doveva essere glorificato, ed il suo trionfo anche in questa terra non poteva mancare.

«Un religioso del suo Istituto, professore nell'Istituto Dante di Tortona, mio amico, mi diceva or sono alcuni mesi, che don Orione leggeva per meditazione e lettura spirituale l'epistolario ascetico di Rosmini; ed un giorno a Roma, alla presenza di cardinali e vescovi, ne lesse alcuni brani, senza accen­nare all'autore. Rimasero tutti assai impressionati e salutarmente scossi a tale lettura, ed alcuni di es­si dissero che soltanto un santo poteva scrivere pa­gine cosi ammirabili. Saputo che erano di Rosrnini rimasero meravigliati».

E poco dopo, un sacerdote novarese, don F. Cerutti, scriveva allo stesso padre Pusineri: «Don Orione era rosminiano, non solo per la grande stima di Rosmini, ma anche della sua filosofia; e sorridendo mi diceva: "Granchi! il male è alla testa, e si medicano i piedi!... Rosmini in tutto e soprattutto insegnava che l'uomo deve saper ragionare; e per ragionare rottamente è necessario che abbia le idee giuste, basando i suoi insegnamenti sulla sacra Scrittura e sui santi padri".

«E si doleva con me che qualcuno, anche dei suoi amici, non fosse rosminiano. Don Orione invece lo era anche, e principalmente, nella teologia e nella mistica. Non so di questi ultimi anni, ma un tempo leggeva e meditava di Rosmini il libretto delle Mas­sime di perfezione, e ne rileggeva una ogni giorno. Nessun dubbio che se ne sia giovato per l'istituzio­ne della sua santa Congregazione». E in altra lette­ra: «Don Orione mi parlava molto benevolmente del bollettino "Charitas" ...Io penso che la piccola grande Opera di don Orione, spuntata e rinvigorita dalle Massime di perfezione, sia filiale dell'Istituto della Carità».

In quello stesso torno di tempo, nel «Periodico mensile "San Giorgio"» del marzo-maggio 1940, tutto dedicato a don Orione, in uno scritto intitolato l'apostolo della carità, Adelaide Coari scriveva: «L'epistolario ascetico di A. Rosmini gli diventa compagno indivisibile; non lo lascia neppure nei suoi viaggi, fermo particolarmente sul 4° volume, che porta alla fine un prezioso indice alfabetico delle materie.

«Chissà quante volte don Orione si sarà fermato su ciò che della contemplazione ha segnato Antonio Rosmini e che comincia così: La vera contemplazione si nutre d'una santa azione. Più tardi confidò d'essere uno degli ascritti all'Istituto della Carità, verso il quale si sentiva legato da vincoli di riconoscenza. Con quale venerazione parlò nello scorso ottobre col padre rosminiano don Clemente Rebora della divozione del preziosissimo sangue, e con quale profonda riconoscenza ricordò ciò che in­torno ad essa scrisse il venerato asceta di Rovere­to! "Due grandi anime, diceva, furono devote del preziosissimo sangue: santa Caterina da Siena, la poetessa del sangue di Cristo, e Antonio Rosmini: questo lavorò più a fondo"».

Interessante anche la testimonianza che segue, comunicataci fraternamente dalla curia generalizia dei Figli di don Orione, e che abbiamo già riportato nel «Charitas» dell'aprile 1965, ma che torna molto bene in questo contesto. Si tratta di una lettera del 1942; interessante anche per chi la scrive.

«Desideravo conoscere il pensiero, il metodo, la dottrina dei filosofi dell'ottocento. Per gentile con­cessione del defunto vescovo mons. Grassi e del p. Fedele dei Cappuccini, potei visitare la biblioteca del seminario e quella del convento di Tortona. Alla fi­losofia chiedevo il conforto di quella luce che il Galluppi, lo Spaventa ed altri non potevano darmi. E scelsi il Rosmini. Volevo conoscere alcune delle sue opere, ma le due biblioteche ne erano sprovviste. Che fare? Gli scarsi mezzi non mi permettevano di viag­giare e neppure di acquistare dei libri.

«Pensai a don Orione. Ammiravo la sua carità, ma ne ignoravo, purtroppo, la sapienza!

«Mi ricevette nel parlatorio che da sulla via Emi­lia. Alla mia richiesta di un libro del Rosmini, ebbe la gran bontà di rispondere, consegnandomi lì per lì la Teodicea. Ne ricevetti poi in prestito un secon­do: // nuovo saggio sull'origine delle idee. Fu allora, e precisamente il 15 maggio 1933, che, accennando alla Teodicea, espressi a don Orione tutta la mia sod­disfazione d'aver trovato nel Rosmini l'autore da me preferito, per la sua facoltà di svolgere i vari temi, o argomenti, in modo persuasivo e tanto esaurien­te, da sorpassare addirittura le non comuni esigen­ze di un lettore avido di cognizioni e, fino a quel momento, deluso dai diversi sistemi incompleti, o insufficienti, adottati nelle numerose scuole filoso-fiche, dalle più antiche al moderno idealismo.

«Man mano che io parlavo, notai che don Orio­ne approvava, ma non nel modo consueto, assenten­do col capo, o a voce. Il suo viso si animava: si sarebbe detto che gli brillasse tutta l'anima nella pu­pilla. "Io, vedete — mi rispose — quando viaggio ho sempre in tasca un libro del Rosmini". E, poiché osai chiedergli un altro libro: "Qui non ne ho più - sog­giunse -. Tutte le opere del filosofo stanno nella bi­blioteca della nostra casa di Bra".

«Mi congedai, ringraziando, felice in cuor mio d'aver conosciuto due opere del Rosmini, ma più an­cora d'aver subito un influsso magnetico, o, quella specie d'attrazione tutta particolare, che s'irradia, conquista ed avvince a sé con la potenza dello sguar­do... Lo sguardo della carità cristiana; l'amor puro verso gli uomini per amore di Dio. «Tortona, 26 aprile 1942. Giuseppe Locatelli Ten. Col. di Fanteria».

 

 

Infine, due testimonianze direttamente da reli­giosi dell'Opera di don Orione. L'una più antica, l'al­tra più recente. Nel 1944 il promotore della causa di don Orione scriveva al direttore di «Charitas»: «Noi sentiamo molta venerazione per il santo loro fondatore, dalla dottrina del quale don Orione attin­se lo spirito che poi ha instillato nella sua Piccola Opera. E penso che non solo dalla dottrina abbia at­tinto, ma abbia assorbito anche tanta parte della sua santità. Ogni qual volta ce ne riferiva qualche det­to, taceva sempre precedere la nota dell'eminente santità. Ci diceva che il Paradiso era per lui deside­rabile anche solo per poter avere una comunicazio­ne un po' più diretta con il padre fondatore, il gran servo di Dio Antonio Rosmini».

Nel 1985 cambiano scrivente e destinatario, ma rimane sempre lo stesso spirito. Scrivente è don Pie­tro Stefani, destinatario l'attuale direttore di «Charitas». «Rev.mo padre, la pace del Signore sia sempre con noi! Sono il sacerdote Pietro Stefani dell'Opera don Orione. Sono abbonato a "Charitas" da circa 30 anni. Il beato don Orione mi ha insegnato ad amare Rosmini. Nelle "buone notti" ne parlava spesso e come di un grande "santo".

«È uscito il secondo volume della vita di 700 pa­gine (extra commerciale). Vi ho trovato queste pagi­ne che ho fotocopiate. Forse possono interessare. Con devoti religiosi ossequi. Roma 4 gennaio 1985».

E difatti, quelle pagine ci sono state molto uti­li; ne abbiamo ricavato notizie per questo nostro scritto, dal quale ci stacchiamo con una certa nostal­gia: è così affascinante la figura di don Orione, nel­la sua estrema umiltà e nel suo ardente amore di Dio e del prossimo!

 

Remo Bessero Belti

 

L'attestato fu poi rilasciato in data 10 dicembre 1902 dal vi­cario foraneo di Sale, don Luigi Sormani, in termini ben di­versi da quelli usati dal nostro canonico.

Don Pietro Bertetti (1814-1874). Nativo dì Castelnuovo Scrivia era infatti entrato nell'Istituto della Carità. Rosmini ne aveva una grande stima, e gli affidò — tra l'altro — il delica­to incarico del suo «procuratore» a Roma, durante i quattro anni in cui si esaminavano le sue opere (1851-1854): incarico che il Bertetti svolse con zelo, prudenza e discrezione massima. L'esame, come sì sa, terminò poi col decreto Dimittantur dì piena «assoluzione» delle opere esaminate. Nel 1859 il Bertetti fu eletto a succedere al padre Giam­battista Pagani nel governo generale dell'Istituto.

Una casa che la Congregazione di don Orione aveva ed ha tut­tora a Roma; pervenutale per benigno interessamento del Pa­pa Pio X.

Rileviamo le parole «Gesù si ama in Croce», che don Orione sottolinea. Indicazione santa di un'anima santa.

Don Giovanni Hickey, il fedelissimo e dolcissimo compagno per molti anni del padre generale Bernardino Balsari di cui era segretario e a cui era congiunto con profondi sentimenti di affetto e di venerazione.

Si tratta del padre Giuseppe Bozzetti, allora rettore de! Col­legio di Domodossola, che nel 1917 aveva pubblicato un saggio storico-critico dal titolo: "Rosmini nell’«Ultima Critica» di Ausonio Franchi". Padre Bozzetti fu poi il successore del padre Balsari nel governo generale dell'Istituto della Carità.

II padre rosminiano Francesco Cardozo Ayres era stato elet­to vescovo di Olinda e Pernambuco nel 1867. Venuto a Roma due anni dopo per il Concilio Vaticano I, vi morì il 14 maggio 1870. Nel 1903, mons. Britto, suo successore nella sede di Pernambuco, ottenne di trasportarne la salma in Brasile per dar­gli più degna sepoltura nella cattedrale. Sì diceva che nella ricognizione della salma fosse stato trovato ancora intatto.

Don Orione si dice semplicemente «iscritto terziario» dell'I­stituto; va però precisato che l'«ascrizione» all'Istituto non si configura come un terz'ordine, quale è regolato in altri Istituti.

) Sono le parole di benedizione pronunziate da Isacco sul fi­glio Giacobbe: «Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto» (Gen. 27, 28).

Ambrogio Gatti, nato a Garbagna nel 1814, dapprima profes­sore di filosofia nel seminario dì Tortona, poi primo provve­ditore agli studi del Piemonte, ricoprì pure altre importanti cariche in campo scolastico. Fu amico dì Rosmini e ne colti­vò e diffuse le dottrine. La lettera a cui accenna don Orione è del 14 dicembre 1852. In essa Rosmini da sapientissime norme per l'educa­zione dei giovani.

II Sacerdote don Gaspare Goggi (1877-1908) è uno dei più de­gni figli di don Orione. N'è infatti introdotta la causa di bea­tificazione. Su di lui don Orione aveva concepito tante belle speranze. Ma il Signore glielo tolse proprio in questo stesso anno, 1908-4 agosto a soli trentuno anni.

Dal contesto deduciamo che l'opuscolo era lo scritto di Ro­smini, intitolato Voto sulla definizione dell'Immacolata, com­parso per la prima volta in opuscolo a parte nel 1907 (Roma, Forzani), a cura del padre Balsari.

Dopo il terremoto di Reggio e Messina del 1908, don Orione, come sì sa, era andato a Messina per soccorrere i tanti biso­gnosi. In tale circostanza era stato chiamalo dalla fiducia del papa Pio X all'alto incarico di vicario generale della diocesi di Messina.

II padre Lanzoni era stato il predecessore del padre Balsari nel governo generale dell'IstUulo della Carità. Scrittore di li­bri ascetici, profondo conoscitore delle dottrine di Rosmini, fu instancabile nel mantenere nei religiosi dell'Istituto lo spirito del fondatore, in tempi non tacili come furono i suoi: si pensi anche solo al 1888!

Mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona. Nei confronti delle dottrine di Rosmini, da una posizione iniziale di riser­va anche grave, passò poi ad un'altra decisamente in favore, come dichiarò egli stesso in una lettera del 12 febbraio 1910: «Dopo aver per molti e molti anni considerato come erroneo - non provato il sistema rosminiano, ora Io trovo conforme a ragione. Ho lottato a lungo prima dì ammetterlo: ora ne sono persuaso».

Si strinse poi ancora più a Rosmini dopo conosciuti reli­giosi rosminiani quali i padri Balsari e Bozzetti, che ebbe mo­do di avvicinare e stimare nei suoi soggiorni di Domodossola e al Monte Calvario.

Sono le lettere di approvazione dell'Istituto della Carità, da­te da Gregorio XVI nel 1839.

La Vita di don Luigi Gentili, scritta dal padre Francesco Puecher. Il Gentili fu dei primi compagni di Rosmini. Da lui in­vialo in Inghilterra, si prodigò con zelo ardente nella predicazione e nel ministero sacerdotale, morendo nel 1848 consumato, si può dire, dalle fatiche de! suo lavoro apostolico.

Negli antichi collegi si chiamava «prefetto» colui che era addetto all'assistenza dei giovani. Nei collegi tenuti da religiosi, per tale delicato incarico si ricorreva preferibilmente a chierici, cioè allievi dei seminari.

Il libro del padre Giovanni Battista Pagani era intitolato: Facti species et quaestiones de re morali, auctore J. B. Pagani, so­dali a Cariiate, ecc., 1916. Trattava di questioni morali, e le risolveva secondo i principi della dottrina rosminiana. La «Civiltà cattolica» Io attaccò. Di qui la «risposta» di cui parla padre Balsari; risposta a cui poi controrispose la «Civiltà cattolica». Dal momento che citiamo il padre Pagani, vogliamo ag­giungere che era sua anche quella vita di Luigi Gentili che dicevamo scritta da Francesco Puecher. Anche questo padre ne aveva scritta una; ma quella che nel 1915 padre Balsari aveva inviato a don Orione, era certamente del Pagani, per­ché più recente.

Indichiamo l'indovinalissima raccolta, dal titolo: Don Luigi Orione. Lettere, in due volumetti, nella nuova edizione am­pliata, moderna nella stampa e nel formato, uscita a cura della Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, nel 1969, con la presentazione di don Giuseppe Zambarbieri.

Anche qui consonanza con Rosmini, che sulla porta della sua modestissima cella al Monte Calvario di Domodossola, ave­va voluto la scritta: Bonum est praestolarì cum sìlentio salu­tare Dei: (Lamentazioni 3, 26): «È bene attendere nel silenzio la salvezza dì Dio».

Di tre guarigioni straordinarie, ottenute per intercessione di Antonio Rosmini ne! 1908, 1923 e 1927, si ha la dichiarazione dell'autorità ecclesiastica, di Vigevano e di Novara.

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