Una ricostruzione con fonti d'archivio della relazione tra i due santi.
San Giovanni Bosco e il Beato Luigi Orione
Studio di don ANTONIO LANZA
Per farci subito un'idea di ciò che rappresentò San Giovanni Bosco per il Beato Luigi Orione, dobbiamo riandare alla situazione nella quale era venuto a trovarsi il giovane Orione alla vigilia del suo incontro con il grande Santo della gioventù. Aveva lasciato per motivi di salute il conventino dei Francescani Minori Riformati di Voghera. Ne pianse tanto e, con l'aiuto di Don Francesco Milanese, proprio il 4 ottobre 1886, Orione faceva il suo ingresso nell'Oratorio salesiano di Valdocco.
ALL'ORATORIO SALESIANO DI VALDOCCO
Quando si abbandonava ai ricordi della vita da oratoriano, Don Orione parlava con tale enfasi e convinzione da arrivare a toni di autentica esaltazione. Riandava a quei tempi come ad una mitica età dell'oro. Situazioni che, per qualche loro aspetto, potevano trovare in altri anche giudizi non sempre positivi — ricordiamo che S. Giuseppe Cafasso sconsigliò la sorella dall'inviare il figlio, il futuro canonico Allamano fondatore delle Missioni della Consolata, da Don Bosco, pur avendo del Santo un'immensa stima, "perché riteneva che, tra quegli sbarazzini che Don Bosco accoglieva, il nipote ci avrebbe perso più che guadagnato"[10] —, da Orione furono viste e vissute con la più convinta partecipazione.
"In collegio — ricordava — eravamo seicento studenti e cinquecento artigiani (...). In prima ginnasio eravamo quasi cento scolari (...), e si studiava, e si studiava tanto, tanto, tanto. Basti a dire che eravamo in buon numero che anche la notte studiavamo (...). Molti alla sera si legavano una mano alla lettiera e poi, al primo rumore o, quando, fatto il primo sonno, ci si volta, non potendo voltarci perché legati alla lettiera, ci svegliavamo. Allora ci alzavamo, si prendeva il libro e ci mettevamo a studiare all'una e mezza, alle due di notte (...)
Si dormiva su pagliericci di foglie di granoturco, e per renderli molli si mettevano dentro le mani e si muovevano le foglie. I sacconi erano duri... Come si stava bene in quei sacconi!
E si mangiava nelle scodelle di piombo[11]. Il cucchiaio era di legno[12]; ce lo portavamo in saccoccia e ce lo lavavamo da noi[13], anche d'inverno, in cortile[14]. A pranzo c'era brodo lungo. Lo chiamavamo la 'broda spartana'. Di pane ce ne davano finché ne volevamo. E poi c'era un poco di insalata e qualche fetta di mortadella[15]. Una volta alla settimana, ci davano una fetta di salame, e due nelle solennità grandi... e noi, contenti, alzavamo le fette di salame e dicevamo: — Si vede Superga! — E ci davano un bicchiere di vino; e il vino si faceva un'ora prima di andare in refettorio.
E come si viveva felici, contenti; come si era contenti, come si era contenti! (...) E che uomini uscivano di là!... Di là sono usciti dei generali, sono usciti grandi ingegneri, sono usciti Monsignori, Cardinali, Vescovi, che mangiavano la broda spartana. Allora era vita! Ed era fervore la vita del cuore!"[16]
Quel fervore di vita si confaceva pienamente alle attese del suo spirito. Aspirò a pieni polmoni quel soffio rigeneratore e si immerse subito nelle varie attività, cui poteva partecipare, con la generosità e la dedizione del neofita.
Fin dai primi mesi lo vediamo nel gruppo del Piccolo Clero[17], al quale erano ammessi solo coloro che "dimostravano chiari segni di vocazione allo stato sacerdotale o che almeno eccellevano per pietà ed esattezza nell'adempimento delle pratiche quotidiane"[18]. Del Piccolo Clero anzi ne divenne ben presto l'animatore, se don Bistolfi lo ricorda come "presidente"[19], don Balbo[20] e il canonico Boltri[21] come "capo" e don Segala scrive che era stato messo "alla testa" dei chierichetti[22]. In realtà Don Orione precisa di non esserne mai stato "presidente"[23]; tuttavia se i condiscepoli lo ricordano come tale, segno è che, pur essendo un altro il capo, chi di fatto animava il gruppo era lui.
Diede il suo nome anche alla Compagnia del SS.mo Sacramento[24] e dell'Immacolata[25]; secondo don Bottazzi sarebbe stato iscritto anche alla Compagnia di San Luigi[26].
Parimenti non si tirava indietro per i piccoli servizi che poteva prestare alla comunità. "Serviva la minestra ed il pane in refettorio — ricorda don Mezzacasa — e dirigeva, in certa maniera, anche gli altri nel servizio"[27]. Don Chiavarino aggiunge che distribuiva la pagnottella al mattino, all'uscita dalla chiesa, e alla merenda[28] e Don Orione conferma: "Io ero tra quelli che servivano a tavola da Don Bosco"[29], precisando con una nota di colore: "Servivo a tavola col mio grembiulone"[30] e, con un pizzico di umorismo: "davo via le pagnotte e dovevo stare attento che non me ne portassero via di più per non rimanere senza io"[31].
L'ufficio di cameriere gli procurò la soddisfazione di conoscere e servire il papà di San Domenico Savio: "Ho servito per parecchio tempo il padre di Savio Domenico in un refettorio a parte"[32] .
Questa sua disponibilità fu utilizzata dai Superiori dell'Oratorio anche per mansioni un po' più impegnative. "Per la sua serietà, per la sua buona condotta fu subito scelto a decurione o capotavola nello studio"[33]. "Era addetto all'Oratorio festivo nelle domeniche e nel tempo di Quaresima, come assistente e insegnante di catechismo ai giovinetti esterni"[34]. Fu pure scelto a tenere sermoncini "per animare i giovani all'esercizio della virtù" e la sua "foga e l'espressione sentita con cui parlava attirò l'ammirazione più sincera dei compagni"[35]. Fece parte anche della filodrammatica e "sul palco del teatro si rivelò un eccellente attore tanto sul serio come nel buffo"[36].
Don Orione aggiunge anche un'altra piccola incombenza non accennata da altri: "Ricordo che da Don Bosco ero lettore in camerata"[37]. Insomma l'Oratorio fu per Orione la molla che fece scattare inesauribili risorse di mente e di cuore fino allora latenti. Da parte sua rispose senza tentennamenti ad ogni sollecitazione al bene che gli veniva dall'esterno. Di quello che gli fu proposto alla scuola di Don Bosco non lasciò cadere nulla. Immagazzinò anche i minimi dettagli e ne ebbe materia cui ricorrere come a punto di riferimento e di incitamento per tutta la vita. "Tutto quello che voi vedete in me — disse il 30 luglio 1928 — è il frutto di tre anni passati all'Oratorio di Don Bosco"[38].
Il ricordo di Valdocco non gli uscirà più dal cuore. "I miei anni più belli — dichiarerà — sono stati gli anni passati nell'Oratorio salesiano"[39].
"O giorni santi — scriverà sei anni dopo aver lasciato Valdocco —, giorni belli della mia vita, o giorni dell'innocenza (...) Allora non si sognava che mari da solcare; si pregava, e si pregava tanto...; si supplicava Gesù Cristo che ci avesse fatti crescere presto, per presto correre in tutte le parti del mondo a piantare la Croce, a salvare su arene lontane i lontani fratelli (...) O giorni beati! Allora era vita la fiamma del cuore!"[40] E la nostalgia non diminuirà col passare degli anni. Incontrando nel 1937 a Mendoza (Argentina) il condiscepolo salesiano Padre Bonetti, rivivrà assieme "i tempi antichi (...), le dolci canzoni, i lieti giorni trascorsi in un alito di paradiso sotto lo sguardo di Don Bosco"[41], mentre alla vigilia quasi della morte sospirerà: "Oh, potessi io rivivere anche pochi di quei giorni vissuti all'Oratorio, vivente Don Bosco"[42].
L'INCONTRO CON DON BOSCO
Quel "vivente Don Bosco" non è un pleonasmo. La vita all'Oratorio poteva essere anche dura, ma lì c'era uno stimolo esaltante per viverla felicemente. Uno dei primi sacerdoti salesiani tradusse questo concetto con una espressione pittoresca, ma efficace: "Nell'Oratorio si mangiava polenta, ma c'era Don Bosco"[43]. La più evidente spiegazione infatti del fascino profondo esercitato da Valdocco sui giovani era Lui, Don Bosco, con la forza quasi ipnotizzatri-ce della sua persona e della sua parola. Don Bosco "ci ammaliava, ci rapiva, ci incantava"[44] confessa Don Orione. Ne fu istantaneamente conquistato e ritenne sempre una grazia e fortuna l'essere stato sì facile preda.
Quando Orione arrivò a Torino, Don Bosco "quel giorno non era in casa". Vi ritornò qualche giorno dopo, forse in quella prima stessa decade di ottobre. "Quando egli fu riportato all'Oratorio, sembrò che un fremito scorresse per la vita di quei mille e duecento giovani"[45]. Questo fremito per Luigi fu il destarsi di una vita nuova. Il semplice sguardo di Don Bosco — scrive il condiscepolo don Tallachini — fu per Orione "una scintilla che sviluppò un incendio"[46] e Don Orione confermerà: dopo gli incontri col Santo "io non ero più io; io mi sentivo gigante"[47]. È questa la chiave di lettura dei fatti e detti riportati da Don Orione circa il periodo da lui trascorso a Valdocco. Potremmo calibrare qualche sua espressione enfatizzata dall'entusiasmo che lo pervade ogni qualvolta — e sarà spessissimo — parlerà di Don Bosco, ma dobbiamo rimanere convinti che quando l'esaltazione ci apparisse eccessiva, l'eccesso non è dovuto a ricostruzioni poetiche o a voli di fantasia, ma all'impeto di un cuore innamorato e riconoscente, mai soddisfatto di aver detto abbastanza a lode del suo Benefattore.
Se poi qualche particolare riferito da Don Orione non trova riscontro in altre pubblicazioni o nella memoria dei condiscepoli di Valdocco, prima di pensare ad una forzatura nella narrazione, sarà prudente esaminare se ci troviamo di fronte ad una più sensibile ricezione dell'avvenimento e ad una sua più attenta e meditata trasmissione.
Il volume XVIII delle monumentali "Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco" illustra proprio il periodo trascorso da Orione all'Oratorio, vivente Don Bosco (1886-1888), ma non possiamo pretendere di trovare, pur nella ricchezza delle sue 878 pagine, ogni particolare di quanto Don Bosco disse o fece in quegli anni. Qualche dettaglio l'estensore del volume può averlo ignorato e qualche altro volutamente trascurato, perché irrilevante per la completezza del racconto, mentre proprio quel fatto o detto tralasciato può essere rimasto indelebilmente impresso nella memoria di uno che, come il giovane Orione, era attentissimo a cogliere anche le minime sfumature di quanto si riferisse all'operato e all'insegnamento di tanto Maestro.
Don Eugenio Ceria, richiesto di un suo parere circa una frase latina che Don Orione riportava come pronunciata in un sogno o visione di Don Bosco e che non si trova nel citato volume delle Memorie da lui curato, rispose onestamente: "Può darsi che Don Bosco, ai giovani delle classi superiori, quando andavano a confessarsi da Lui, abbia accennato alle cose dettegli allora dalla Madonna (...) Quante cose Don Bosco diceva secondo le occasioni e dopo non erano più ricordate se non da qualcuno a cui facevano maggior impressione!"[48]. La qual osservazione, oltre che per i detti, può valere anche per i fatti.
Riguardo al ricordo dei condiscepoli circa la condotta e le relazioni personali del giovane Orione, ci sono due osservazioni da fare: 1. A Valdocco, a quel tempo, c'era più di un migliaio di ragazzi e molti fra di essi erano esemplari; sicché notare l'emergere di qualcuno in particolare risultava quasi impossibile. Nota don Bistolfi: "sperduto fra centinaia e centinaia di ragazzi (...) come avrei potuto seguire questo piuttosto che quello?"[49]; 2. Orione veniva da un anno di esperienza e di formazione alla vita religiosa francescana e già in lui c'era la tendenza e lo sforzo di celare quanto potesse destare ammirazione ed attirare l'attenzione. Don Segala, dichiarato di non ricordare "particolari episodi rilevanti", dà appunto questa spiegazione: "Orione nascondeva le sue virtù con un sembiante così bonario e con una condotta apparentemente così ordinaria da passare quasi inosservato, nel numero però dei migliori compagni"[50].
Per quanto invece si riferisce a fatti o detti di Don Bosco dei quali i condiscepoli, in genere, non serbano memoria c'è da tener presente un altro rilievo non trascurabile. Pur frequentando la stessa classe, Orione, — che per le precedenti vicende familiari e scolastiche aveva perso più anni di studio —, era più anziano dei compagni di almeno due o tre anni, e tale divario di età ebbe il suo peso nel vivere e giudicare certe situazioni, che poterono passare inosservate per i condiscepoli più giovani, mentre destarono in lui risonanze indimenticabili. "Allora io ero già piuttosto grande — nota Don Orione — e capivo e osservavo tutto. Avevo bisogno di conoscere bene e le persone e le cose"[51]. E quanto allora egli vide o — specialmente per la familiarità con don Gioacchino Berto, primo segretario di Don Bosco — venne a sapere, non lo affidò alla sola memoria, ma di tali ricordi, conferma: "Ne ho scritti parecchi quaderni"[52].
LE RELAZIONI CON DON BOSCO
Contatti diretti con Don Bosco, Orione non potè averne moltissimi, ma quelli che ebbe, per tanto paterna accondiscendenza da parte di Don Bosco, li visse con tale rispondenza di affetto e filiale devozione da parte sua, da poterli ritenere come espressione di vera e santa intimità, quale almeno poteva esistere tra un anziano Maestro ed un giovane allievo. Don Orione ebbe questa sensazione: si riteneva — come scriveva nel 1906, rivolgendosi all'amato Padre: — "voce di chi forse hai beneficato di più..., di chi certamente non potevi amare di più sulla terra"[53] e, nel 1919, confessa candidamente: "A me pareva di essere il suo beniamino, il più ben voluto! Cosa volete: avevo quell'idea lì. A me pareva che mi portasse un interesse speciale di dilezione"[54].
Era questo un sentimento comune a quanti ebbero una qualche familiarità con Don Bosco, del quale era nota "una cosa più unica che rara" nel dimostrare la sua affezione: "amava tutti in modo che ognuno si pensava di essere un suo prediletto"[55]. Nei confronti del "suo piccolo discepolo" però, come qualcuno potè allora rilevare e come noi verremo esponendo, c'era forse qualcosa di più o che, comunque, Don Orione sentì come un qualcosa di più.
L'intimità del giovane Orione con il Santo della gioventù rimase quasi esclusivamente nella sfera di direzione spirituale e quindi a diretta e piena conoscenza dei soli due interessati, confessore e penitente. I condiscepoli, che pure sono unanimi nel sottolineare la pietà, l'impegno e l'aperto dinamismo di Orione, non sanno poi dirci nulla dei suoi rapporti personali con Don Bosco. Don Segala anzi scrive espressamente: "Quanto all'intimità di Orione con Don Bosco è mia semplice impressione che non potesse averla" e porta la ragione della malferma salute del Santo e del fatto che, in quell'ultimo anno della sua vita, potevano avvicinarlo solo gli alunni dell'ultima classe del ginnasio, mentre quelli del corso inferiore — e Orione era fra questi — "non erano ammessi se non come rarissime eccezioni"[56].
Che fra le "rarissime eccezioni" di giovani che poterono frequentare Don Bosco ci fosse però anche Orione, abbiamo due autorevoli testimonianze che accennano, non solo a contatti avvenuti tra i due Santi, ma anche ad un certo interesse di Don Bosco per il suo giovane allievo. Provengono da testimoni che, diversamente dai condiscepoli, avevano modo di controllare, in forza del loro stesso ufficio, chi dei giovani assistiti intrattenesse con Don Bosco rapporti che uscissero dal normale comportamento degli altri oratoriani: sono l'assistente e insegnante di Orione e il catechista dell'Oratorio. Il primo, don Luigi Chiavarino, attesta che Don Bosco "prediligeva Orione e vedeva in lui un non so che di speciale"[57] e il secondo, don Stefano Trione, confidò che "Don Bosco, incontrando il suo piccolo discepolo, studente allora di ginnasio, sorrideva di compiacenza"[58].
L'espressione di don Trione, "piccolo discepolo", è forse la più felice per indicare il genere di relazione intercorsa tra Don Bosco e il giovane Orione: amore e devozione filiale, accompagnati da sconfinata ammirazione per la Guida e Maestro.
LA DIREZIONE SPIRITUALE
Riferendosi alle sue relazioni con Don Bosco, Don Orione cita sempre, come principale espressione delle medesime, quella di aver avuto la "grazia" di potersi confessare da Lui. Fu appunto in quei momenti di colloquio personale che attinse direttamente alla sorgente di una nuova pedagogia di educazione cristiana i principi basilari per la sua stessa formazione e le linee direttrici di gran parte dell'opera che svolgerà in seguito.
E siccome sappiamo che fu proprio la confessione a fornirgli l'occasione di parlare "per la prima volta (...) a tu per tu" con Don Bosco[59], veniamo all'esposizione di questo avvenimento che, realizzatosi nonostante la consuetudine contraria allora vigente a Valdocco per il precario stato di salute di Don Bosco, mette in luce il particolare privilegio concesso ad Orione. È lui il primo a rendersi conto dell'eccezionalità di quel privilegio: "Come e perché io potessi confessarmi da Don Bosco, — dirà — non me lo so spiegare"[60] e al salesiano padre Carletti precisa ancor più: "Non capii mai perché io mi confessai da Don Bosco fin dalla prima ginnasiale"[61]. Ma il fatto resta incontestabile. Oltre alle reiterate dichiarazioni di Don Orione, ci sono testimonianze di terzi a conferma:
Don Chiavarino, dopo aver premesso che alle conferenze tenute da Don Bosco per gli alunni della IV ginnasiale, con possibilità poi di confessarsi, don Trione mandava anche i migliori che non frequentavano tale classe, aggiunge: "Orione ottenne di potersi confessare con quelli di IV"[62]; don Bottazzi: "Orione sentiva forte (...) la sua devozione per Don Bosco, dimostrandosi felicissimo quando andava a confessarsi da lui"[63] e il condiscepolo sig. Pietro Parrini: "Don Orione era privilegiato perché gli permisero di andare a confessarsi da Don Bosco"[64].
Accertato il fatto che Orione ebbe il "privilegio" di confessarsi da Don Bosco, possiamo chiederci la ragione del privilegio stesso.
Don Chiavarino e il sig. Parrini, attendibili per la conferma del fatto, non lo sembrano altrettanto per la sua spiegazione. "Orione ottenne" dice il primo; e "gli permisero" continua il secondo, sottointendendo dunque tutti e due che sarebbe stato Orione a chiedere di potersi confessare da Don Bosco, mentre abbiamo già visto che lui non sapeva spiegarsi il perché del privilegio. Dunque non fu lui a chiedere .
Dobbiamo fare altre supposizioni. Una potrebbe essere questa: a Valdocco buona parte degli ora-toriani completavano gli studi ginnasiali in tre anni. La seconda classe veniva fatta d'estate — e così la superò Orione — e proprio dall'anno scolastico 1886 era stata soppressa la quinta, il cui programma veniva svolto, con quello di quarta, in un solo anno[65]. Ne consegue che Orione, in ritardo di due anni con gli studi, pur facendo la prima ginnasio, aveva la stessa età, e maturità, di quelli che frequentavano la quarta.
Se si aggiunge poi la condotta edificante e l'impegno entusiastico nel partecipare alle varie attività, specialmente di carattere religioso dell'Oratorio, la sua figura non poteva non risaltare per il forte stacco di personalità nei confronti dei condiscepoli, e così potrebbe essere stato il catechista don Trione a giudicarlo all'altezza di essere aggregato al gruppo di quei di quarta che andavano da Don Bosco. Ma, nuovamente, se ciò fosse avvenuto solo per la maggiore età o per meriti extrascolastici, la cosa sarebbe stata abbastanza evidente in sé e, se non i condiscepli, Orione almeno ne avrebbe capito la ragione, mentre — ripetiamo — lui stesso confessa di non essere mai stato in grado di spiegarsi il fatto. Il che ci suggerisce di avanzare un'altra ipotesi, più suggestiva, ma non per questo meno realistica.
Orione, appena arrivato a Valdocco, aveva scelto per confessore il Vicario di Don Bosco, don Michele Rua, e questi, dopo due soli mesi di guida spirituale, l'8 dicembre 1886, gli aveva permesso di emettere il voto privato di "perpetua castità"[66]. Parlando altra volta di questo voto, Orione dice di averlo emesso anche "col consenso di Don Bosco"[67], pur precisando che quando lo emise, egli non si era ancora confessato dal Santo[68]. Si può pensare che sia stata proprio la professione di questo voto a richiamare l'attenzione sul pio giovinetto. Una decisione del genere, in così tenera età, trovava riscontro solo nella vita di San Luigi Gonzaga e di altri pochissimi Santi. Don Bosco, valutando l'eccezionalità dell'avvenimento decise di ammettere forse di propria iniziativa o — al massimo — su suggerimento di Don Rua, Orione fra i suoi giovani penitenti, senza comunicare all'interessato e — a maggior ragione — ad altri il motivo di quella preferenza. Sta per un intervento diretto del Santo anche quanto disse Don Orione l'ultima volta (31 genn. 1940) che tornò su questo argomento: "Che cosa vedeva Don Bosco quando, mentre a tutti era proibito di andare da lui, volle che quel povero ragazzo (Orione stesso) andasse a confessarsi da lui?"[69].
LA PRIMA CONFESSIONE DA DON BOSCO
Giacché la prima confessione segna l'inizio dei contatti personali di Don Bosco col giovane Orione, interessa definire la data, almeno approssimativa, di quando questa avvenne.
Sappiamo già che fu dopo l'8 dicembre 1886 [70]. Don Orione, ponendo accanto a questa data — come punto di riferimento — l'accenno alla prima confessione, dà a supporre che questa sia avvenuta non molto dopo. Questa supposizione ha in appoggio un altro riferimento, che può aiutarci a fissare la data, con molta probabilità, attorno al Natale 1886.
Le Memorie biografiche di San Giovanni Bosco riportano, nei giorni 4-5 gennaio 1887, un sogno-visione di Don Bosco nel quale la Madonna pronuncia un discorso abbastanza lungo in latino. Nella trascrizione ufficiale del medesimo[71] manca una frase più volte riportata da Don Orione e che, come arguisce don Ceria[72], Don Bosco comunicò solo ai giovani che andavano da lui per la conferenza. Pertanto, come minimo, Orione era già presente alle conferenze — e quindi si confessava — all'epoca di quel sogno, e cioè nei primi giorni del 1887. Siccome poi, narrando l'episodio, Don Orione disse: Ricordo che nel penultimo Natale (quello dunque del 1886) apparve a Don Bosco "la Madonna" e riporta la frase in latino[73], siamo confortati ad insistere nella nostra supposizione. Se infatti, ricordando, il fatto dopo oltre cinquant'anni, lo pone nel Natale 1886, è perché lo rammenta come raccontato da Don Bosco in tale data, nella conferenza cui aveva partecipato e, in occasione della quale, si era confessato. Come è da presumere l'interesse per la prima confessione sovrastava, nei suoi ricordi, quanto potesse avere ascoltato nella conferenza e se pose l'episodio della frase latina a Natale possiamo ragionevolmente ritenere che la prima confessione avvenne intorno a quella data.
E veniamo all'episodio della confessione. Orione stava attraversando un periodo di particolare fervore religioso. L'8 dicembre aveva fatto la sua consacrazione perpetua a Maria ed ora gli si presentava l'occasione di confessarsi da Don Bosco. Non sapendo se un'opportunità del genere poteva ripetersi una seconda volta, — dato appunto lo stato di salute del Santo e frequentando lui solo la prima ginnasiale — si preparò con la massima cura, come ad un atto irripetibile. Prese più "libri dove c'era l'esame di coscienza generale", trascrisse tutti i peccati ivi elencati, ad eccezione di quello di aver ammazzato, e ne riempì almeno due quaderni da "otto o nove fogli ciascuno"[74]. "Mi accusavo di tutto... — raccontò a padre Carletti — Ad un solo quesito risposi negativamente: — Hai ammazzato? — Questo no! — scrissi accanto"[75].
Si presentò con una certa trepidazione per l'accusa, perché "Don Bosco leggeva negli occhi dei suoi figli e molti non volevano andare a confessarsi da lui, perché avevano paura"[76]. Racconta Don Orione: "Quando gli fui davanti, avevo come un timore di tirare fuori i miei quaderni. Finalmente ne ho tirato fuori uno e, mentre glielo presentavo, io stavo a vedere lo sguardo di Don Bosco e l'impressione che gli faceva. Poi, per timore di fargli perdere tempo, mi misi a leggere in fretta; poi ho voltato pagina e Don Bosco ancora guardava; voltai ancora pagina e Don Bosco ancora guardava; voltai ancora pagina e Don Bosco mi disse: — Bene, bene; ne hai ancora? — Sì, risposi. — Bene, lascia qua, dà a me —. Lo prese e, fatto così e così (Don Orione ripete il gesto), ne fece quattro pezzi" e anche il secondo fece la stessa fine[77].
Giudicato il calibro del... peccatore che gli stava davanti, Don Bosco continuò facendo lui domande ed accennò subito ad una mancanza che certamente era stata scritta sui quaderni, ma non era stata letta. Il giovane rimase scioccato dall'intuizione del Santo, tanto da ripetere — ancora 50 anni dopo! — l'ammirata esclamazione: "Scrutava i cuori! Scrutava i cuori!"[78]. E continua: "Poi mi disse tre cose che ricordo ancora come adesso (...), tre cose che solamente Iddio glielo poteva dire". Don Bosco gli fece poi l'ammonizione: "Pentiti di questo e non voltarti più indietro"[79]. "Non devi più ripensare a quelle cose, piccole e grandi, che ci possono essere state"[80], aggiungendo: "Sta allegro!". E Don Orione conclude "e mi sorrise come lui solo poteva sorridere"[81].
Convintosi di essere stato a contatto con qualcosa che superava la pura conoscenza umana, Orione si alzò da quella confessione "con l'anima inondata di gioia così grande, che poi non so se nella mia vita ne abbia provata una eguale"[82]. Siccome la Provvidenza gli concederà di accostare ancora Don Bosco in questi "a tu per tu" sacramentali, la preoccupazione non sarà più di riempire quaderni per liberarsi dalla piccola zavorra del passato, ma di irrobustire le ali per lanciarsi verso gli sconfinati orizzonti che il Direttore di spirito gli veniva indicando.
Quante volte poté confessarsi da Don Bosco? Don Orione adopera espressioni generiche al riguardo: Don Bosco "era mio confessore"[83]; Don Bosco "mi confessava ogni settimana"[84]; "Don Bosco per parecchio tempo mi fu confessore"[85]. Espressioni tuttavia che devono essere intese con la logica premessa che le confessioni settimanali avvenivano solo quando Don Bosco era a Valdocco e — specialmente per quell'ultimo anno di vita — stava bene. Così del resto fece capire Don Orione, quando, parlando di questa sua possibilità di avvicinare Don Bosco, puntualizzò: "Ma questo durò poco tempo, perché Don Bosco stava già male e non andavano più a confessarsi da lui né i ragazzi né i salesiani"[86].
Tra la prima (attorno al Natale 1886) e l'ultima confessione (17 dicembre 1887) c'è un anno esatto, ma dalle Memorie appare che Don Bosco dall'aprile all'ottobre di quell'anno fu quasi costantemente fuori Torino e nei pochi giorni che stette all'Oratorio, fra uno spostamento e l'altro, non risulta che abbia confessato i ragazzi. Per le confessioni fu a disposizione nel primo trimestre del 1887, nel qual periodo i ragazzi di IV ginnasiale — e con essi Orione — "di quando in quando erano ammessi a visitarlo e a confessarsi da lui"[87] e nell'ultimo trimestre di quell'anno, nel qual secondo periodo però, come si vedrà, Orione sarà in... castigo e parteciperà solo all'ultima confessione del 17 dicembre.
Restringendole al solo primo trimestre 1887, le confessioni non poterono superare la dozzina. Non molte quindi, ma bastarono per fornire ad Orione una traccia sicura e coraggiosa per tutta la vita. Quegli incontri spirituali non erano freddi e distaccati abboccamenti tra giudice e penitente, ma caldi e partecipati colloqui tra padre e figlio. Don Orione li ricorda appunto con un'espressione che richiama vagamente sia l'idea della fucina e della forgiatura di metalli grezzi: "Quando andavo a confessarmi e posavo la mia testa sul suo petto, io la sentivo bollire...", sia l'immagine di una paternità che sapeva immedesimarsi nei problemi che le venivano proposti: "Oh, quante volte le sue lagrime si confondevano con le mie!"[88]
La descrizione dell'atteggiamento amorevolmente paterno di Don Bosco — che Don Orione fa in età ancora giovanile (23 anni) -«- potrebbe essere addebitata alla sbrigliata foga e alla vivace fantasia dello scrittore, il quale però lo ridipinge con gli stessi colori quando, già sessantacinquenne, ricorda a padre Carletti che le ultime parole Don Bosco gliele rivolse "stringendomi a sé e guardandomi fisso"[89]. Atteggiamento che ha la conferma dallo stesso Santo, che negli ultimi giorni di vita confidava a Mons. Cagherò: "Temo che qualcuno dei nostri abbia ad interpretare male l'affezione che Don Bosco ha avuto per i giovani e che dal mio modo di confessarli vicino vicino si lasci trasportare da troppa sensibilità verso di loro, e pretenda poi giustificarsi con dire che Don Bosco faceva lo stesso sia quando parlava loro in segreto sia quando li confessava"[90].
Orione non avvertì certo del sentimentalismo in questo modo di trattare da parte di Don Bosco, ma solo effusione di paterno affetto di "chi certamente non poteva amarlo di più sulla terra"[91] e segno dell' "interesse speciale di dilezione"[92] che il Santo gli aveva dimostrato.
ALTRI CONTATTI FORMATIVI
Eccellenti occasioni per conoscere e approfondire il pensiero di Don Bosco furono le conferenze che il Santo teneva ai giovani prima della confessione. Che Orione vi partecipasse è già provato dal fatto che egli era stato aggregato al gruppo dei convittori di IV ginnasio per la confessione.
Spendiamo qui una parola su uno dei tanti particolari che egli ricorda di queste conferenze, e cioè la frase in latino pronunciata dalla Madonna in un sogno-visione di Don Bosco e che non troviamo trascritta nelle Memorie, che pure riferiscono il sogno[93]. Conosciamo già il parere di don Ceria circa il silenzio delle Memorie, ora aggiungiamo qualche rilievo per illustrare le ragioni che ci fanno ritenere la frase parte autentica di quel bagaglio di insegnamenti e di tradizioni che Don Orione fece suo, attribuendone però la paternità e il merito a Don Bosco:
1. L'abbondanza di citazioni della frase (Cfr. Par. II, 62; III, 124; VI, 155 e 260; VII, 145; X, 179; XI, 74; XII, 80) sempre legata al racconto che ne aveva fatto Don Bosco e nel contesto di quel dato specifico episodio; 2. L insistenza con cui è garantita la completa fedeltà del testo: si assicura di ripetere parole che io non dimenticherò mai e che ricordo alla lettera, bene testuali, come uscirono dal labbro di Maria SS.ma: — Filioli. vultisne huiusmodi virtutem in secuntaiem ponere? Sobrii estote et fugite otiosita-tem"[94]; 3. I 'asserzione premessa il 12 agosto 1939 alla citazione della frase: "Io so a memoria alcune parole...''[95]. Se vengono riportate solo "alcune parole" vuol dire che si è a conoscenza di un testo molto più ampio, al quale queste vanno riallacciate, e cioè al discorso riportato in Mem. XVIII, 233s.; 4. Mentre, in genere, il testo è citato a memoria, viene assicurato che, inizialmente, ne era stata presa nota scritta: "Mi sono scritte le parole che la Madonna disse..."[96]. Molti sono dunque gli elementi che inducono a far ritenere la frase parte integrante del discorso della Madonna, che Don Orione apprese dalle labbra di Don Bosco.
Come queste, così possiamo ritenere ascoltati direttamente dal Santo, durante le conferenze che precedevano la confessione, molti dei pensieri che Don Orione continuamente citava, attribuendoli a Don Bosco.
Altra scuola d'insegnamento pratico, approffit-tando cioè delle lezioni che venivano proposte direttamente dal comportamento di Don Bosco, fu offerta ad Orione dal fatto che, appartenendo egli al Piccolo Clero, ebbe modo di servirgli più volte la S. Messa.
Il Santo in quell'ultimo anno di vita celebrava generalmente "nella Cappella vicino alla stanza dove poi è morto (...) e due di noi — a turno[97] — andavamo a servirgli la Messa"[98]. Fu testimone così di manifestazioni di fervore non comuni: "Quando si serviva la Messa a Lui, Don Bosco piangeva e dava ordine che lo tirassero per la pianeta e lo scuotessero dalle consolazioni che Dio gli mandava"[99].
In forza del suo ufficio di chierichetto, e godendo quindi di un posto di osservazione privilegiato, Orione potè osservare da vicino Don Bosco e notare quanto gli accadeva attorno ogni qualvolta il Santo scendeva in Maria Ausiliatrice. Oltre alle quattro presenze, citate nelle Memorie, Don Orione ricordava anche l'ultima Messa di Don Bosco in Basilica, precisando che la celebrò all'altare di San Pietro, dopo la festa dell'Ausiliatrice, e che lui vi assistette [100].
Non sarà da ascriversi a gratuita fantasia immaginare che, prima o dopo la celebrazione del sacro rito, il Santo sarà stato facilmente accessibile per un consiglio, per dipannare un dubbio, ecc. Come sarà stato possibile vederlo protagonista di episodi edificanti e memorabili le volte che presenziava alle funzioni nella Basilica.
Orione potè ammassare in tal modo tale cumulo di cognizioni e ricordi che, integrati dalle confidenze di don Gioacchino Berto, gli farà dire, con perdonabile compiacenza: "È per questo che ne so quanto i Salesiani e forse anche di più"[101].
RICORDI INCANCELLABILI
Al di fuori di questi contatti, chiamiamoli così, religioso-confidenziali, altre opportunità per avvicinare Don Bosco non ce ne furono molte. Don Orione stesso ricorda: "Don Bosco allora era già vecchio; scendeva a fatica dalla sua camera; lo sorreggevano sotto le ascelle, lo portavano un poco, poi si fermavano per farlo riposare"[102]. Le Memorie biografiche, per il periodo che ci interessa, contemplano solo otto sue apparizioni in pubblico: quattro volte il Santo scese in Maria Ausiliatrice[103] e altrettante volte si presentò al ballatoio antistante le sue stanze, mentre i giovani lo salutavano dal cortile[104].
Circoscritta così la possibilità di movimento da parte di Don Bosco, potrebbe sembrare problematico collocare al loro posto certi episodi che Don Orione narrò con dovizia di particolari e dei quali si diceva testimonio oculare e addirittura, almeno in due, parte in causa. In realtà la soluzione del problema non è poi così difficile. Essendo chiaro che le Memorie non intesero — e non avrebbero potuto — raccogliere tutto quello che accadde attorno al Santo, sta a noi trovare il momento adatto per inserirvi quegli episodi che, pur non confortati da un riscontro specifico nelle Memorie, Don Orione ha tramandato garantendone, con la sua parola, la veridicità.
Il primo episodio si riferisce ad una moltiplicazione di nocciole. Si tratta di un fatto straordinario, che nella vita del Santo però si verificò più di una volta. Limitandoci al solo 18° volume delle Memorie ne troviamo due di queste moltiplicazioni, operate una il 13 e l'altra il 31 gennaio 1886 e classificate come "un prodigio non dissimile da altri narrati" nei volumi precedenti[105].
Anche Don Orione, affermato che Don Bosco "già altre volte aveva moltiplicato caramelle" dice che era conosciuto però come "il Santo delle nocciole" e narra, a sua volta, un episodio in proposito, del quale si dichiara categoricamente testimone oculare: "Io fui presente al miracolo della moltiplicazione delle nocciole" e ne fa una descrizione circostanziata che non dovrebbe lasciare dubbi sul ricordo visivo della scena. Precisa le dimensioni del sacchetto contenitore: "sarà stato alto sessanta centimetri e largo venti" e i gesti del Santo: "Aprì il prezioso sacchetto ed incominciò a distribuire nocciole a manciate (...); ne diede a tutti e ne avanzò quasi pieno il sacchetto che poi rovesciò dal balcone"[106].
Per questo episodio Don Orione dà anche un riferimento cronologico: "Tornava Don Bosco da Lanzo", ma dalle Memorie non risulta un ritorno di Don Bosco direttamente da Lanzo, nel periodo che ci interessa. Si potrebbe pensare ad una confusione di Don Orione tra Lanzo e S. Benigno (nonostante le Memorie non descrivano il ritorno di Don Bosco da quest'ultima località), che avvenne nell'ottobre 1886 pochi giorni dopo l'entrata di Orione a Valdocco. In questo caso il fatto sarebbe accaduto proprio in occasione del primo incontro col Santo. Non meravi-glierebbe che Don Orione non ne faccia cenno quando parla di quel primo incontro, giacché allora sarebbe stato fuori contesto. Stava infatti parlando di San Francesco e il ricordo dell'incontro con Don Bosco fu solo incidentale per sottolineare che era arrivato a Valdocco proprio nel giorno della festa di San Francesco.
Oppure, a distanza d'anni, Don Orione può aver confuso un ritorno da Lanzo col rientro di Don Bosco all'Oratorio dopo una semplice uscita in città. Sappiamo che il Santo dall'ottobre 1886 aveva ripreso "le uscite pomeridiane in vettura"[107] e che "nonostante gli incomodi che sconsigliavano le uscite, volle andar fuori parecchie volte nel mese di febbraio (1887)"[108] . L'episodio potrebbe allora essere collocato al ritorno di qualcuna di queste uscite, e dal momento che le Memorie, in data 22 febbraio 1887, riferiscono di un lancio di nocciole da parte di Don Bosco dal solito ballatoio — cosa che si verifica anche nell'episodio narrato da Don Orione — siamo tentati a collocare il "miracolo" in quell'occasione. A questo siamo sollecitati anche da un particolare descritto nelle Memorie: "i ragazzi dimentichi dei loro giuochi, corsero a raccogliere, con molta avidità, perché erano nocciuole di Don Bosco"[109]. La particolare "avidità" dei ragazzi per le "nocciuole di Don Bosco" non poteva dipendere, oltre che dalla fama dei prodigi già avvenuti con quel genere di frutta, anche per l'essere stati essi poco prima testimoni che, nonostante l'abbondante distribuzione di nocciole, ne era rimasto "quasi pieno il sacchetto"?
Tuttavia, sia da collocarsi in una di queste due circostanze od in un'altra ancora, non entra in questione la veridicità del fatto cui Orione assistette e del quale conservò non solo il ricordo, ma anche qualche nocciola, che distribuì in casi di malattia, perché "sapeva che Don Bosco (...) avrebbe fatto la grazia della guarigione" dichiara la cognata del Beato. La stessa afferma che avendo dato da mangiare alla figliuola ammalata una di quelle nocciole, che Don Orione conservava da tanto tempo, la trovò "così bella come se fosse stata colta dall'albero da poco tempo"[110].
Nel contesto dei brevi tragitti che Don Bosco compiva per recarsi dalle sue stanze in Basilica o per raggiungere la vettura che lo portava fuori, possiamo collocare anche un altro episodio che potrebbe sembrare in contraddizione con quanto sappiamo sulle condizioni fisiche nelle quali si trovava il Santo in quell'ultimo anno di vita.
Volendo illustrare il principio che, per stare con i giovani, bisogna mantenere giovane lo spirito nonostante l'età, un giorno Don Orione, premesso che "Don Bosco era già malandato nelle gambe (...) ma lo spirito era quello dei primi anni" aggiunse: "Mi ricordo di aver visto Don Bosco che, sia pure per burla, tentava di fare come una specie di volata"[111].
Se teniamo presente che, quando faceva le "uscite pomeridiane", Don Bosco, giunto in aperta campagna, scendeva dalla vettura e "ora sorretto, ora senza appoggi avanzava passo passo discorrendo di molte cose"[112] non facciamo fatica ad immaginare che, tornando da una di queste passeggiate, che erano "per lui un vero riposo"[113] una volta, attraversando il cortile dell'Oratorio, si sentisse talmente in... forma da tentare "sia pur per burla" di imitare "una specie di volata" per sollevare confratelli e ragazzi che stavano in pena vedendo il suo precario stato di salute.
IL CASTIGO DI DON BOSCO
Dei due episodi che seguono, Orione è parte in causa; non ci resta quindi che attenerci alla sua narrazione. Il primo di essi, da collocarsi sul finire dell'anno scolastico, lo possiamo pensare avvenuto nella prima decade di agosto 1887.
Don Bosco il 4 luglio era partito per Lanzo[114] ed i Superiori dell'Oratorio, quell'anno, fissarono quella cittadina come meta della passeggiata lunga. "Quando facevo la prima ginnasio — ricorda Don Orione — si andò a fare la grande passeggiata dell'anno a Lanzo Torinese"[115] e lui approfitta dell'occasione per avvicinare Don Bosco e chiedere un permesso che, sapeva, il Santo era molto restio a concedere. "Don Bosco era contrarissimo alle vacanze in famiglia e diceva che le vacanze sono la vendemmia del diavolo"[116]. Comunque, con la solita confidenza e apertura filiale, va dal Santo a chiedergli il permesso di andare "un poco a casa in vacanza". Don Bosco gli chiede: "E chi ci hai a casa? — Mia madre, rispondo, ed un fratello che ha tredici anni più di me ed è mio padrino. — E nessun altro? — No. — Sorelle? — No, nessuna. — Vai pure, ma per otto giorni soli"[117]. E si lasciano con questi patti.
Superati felicemente gli esami, Luigi torna a casa con una gran bella notizia da dare alla famiglia. Fugate le apprensioni e i dubbi dell'anno precedente, quando a Voghera era stato dimesso, oltre che per la poca salute, anche per una "certa tardità d'ingegno" che non gli avrebbe permesso di continuare negli studi [118], ora può presentare l'attestato di promozione che, sotto una filza di ottime votazioni, porta l'osservazione: "Primo della classe con 89/100" (Registro voti scolastici — la. ginn. — anno 1886-87 — Valdocco).
L'euforia del momento, il desiderio della mamma di godersi un po' di più la compagnia del figliuolo che non rivedeva da oltre undici mesi, fa sì che questi si fermi in famiglia qualche giorno di più. "Don Bosco mi ha dato otto giorni e poi mia madre mi ha tenuto quindici giorni"[119].
Quando rientra a Valdocco, anche questa volta Don Bosco non c'era. Ritorna quasi un mese dopo, la sera del 2 ottobre. L'attesa fra i ragazzi era stata febbrile e Orione aveva sognato, certamente non meno degli altri, la gioia di quell'incontro col Padre. Ne ebbe invece una sorpresa amarissima. Seguiamo il suo racconto:
"Quando Don Bosco venne, tutti i ragazzi gli corsero incontro facendogli una gran festa. Io pure ero nel numero, felice di rivederlo (...). Anch'io dunque spinsi tanto che arrivai vicino a lui, e riuscii a prendergli un dito. Solo che Don Bosco parlava con tutti, ma quando arrivava a me, saltava ad un altro, senza dirmi una parola, senza nemmeno guardarmi. E mi tenne così in castigo sino alla vigilia della sua morte"[120].
L'episodio, così raccontato, potrebbe sollevare la solita perplessità per il fatto che le Memorie pongono il punto culminante dell'incontro con i giovani quando Don Bosco "si affacciò dal ballatoio", mentre i ragazzi, in cortile, cantavano "l'inno antico: — Venite, compagni, — Don Bosco ci aspetta"[121]. In aggiunta c'è quel particolare, un po' insolito e non riscontrabile in altri episodi delle Memorie, di Orione che prende la mano di Don Bosco per un dito.
Fortunatamente abbiamo la preziosa testimonianza di un condiscepolo di Orione, il salesiano don Giacomo Mezzacasa che, ad una richiesta di delucidazione dell'episodio rispose: "Io ero all'Oratorio e in quella sera (del 2 ottobre) seguivo proprio da vicino Don Bosco, attorniato dai giovani e dai superiori, mentre attraversava il cortile per recarsi alle sue stanze. Si trattenne a lungo con noi; molti gli stringevano le mani e le baciavano"[122]. Interrogato poi espressamente circa l'uso dei giovani di stringere un dito della mano di Don Bosco, confermò che lui stesso "almeno due volte" potè avvicinarsi al Santo, mentre attraversava il cortile per andare all'Au-siliatrice, e che "in quelle due occasioni" riuscì "a prendere un dito della mano di Don Bosco e a ricevere uno sguardo e una benedizione"[123].
Messa in chiaro la dinamica dell'episodio, ci viene da fare una riflessione che può ulteriormente illuminarci sulla reale esistenza di un rapporto personale fra i nostri Due e farci concludere che lo stesso castigo inflitto ad Orione è un segno del particolare interesse che Don Bosco aveva per lui.
Come s'è visto, Don Bosco torna a Valdocco quasi un mese dopo il rientro di Orione: come venne a conoscenza del suo ritardo? Potrebbero essere stati gli assistenti dell'Oratorio a comunicarglielo. Ma, con tanti ragazzi che c'erano e non essendo poi la mancanza così grave, sarebbe stato il caso di farne un problema da comunicare a Don Bosco? Se l'avessero fatto, ne avrebbero reso edotto per primo il colpevole, per suo giusto emendamento. Invece Don Orione confessa: "io non so ancora come abbia fatto a sapere che io ero stato in vacanza molto di più"[124].
Non sarà stato il Santo stesso a chiedere notizie? Il che confermerebbe il particolare interesse che mostrava per il progresso spirituale del "suo piccolo discepolo". Come era stato assai esigente nell'in-dagare circa l'ambiente familiare col quale si sarebbe trovato a contatto, durante le vacanze , ora si mostra inflessibile nel sottolineare la sua disapprovazione per una leggerezza che, a suo giudizio, non si confaceva a chi, nei colloqui personali, gli aveva certamente palesato desideri e propositi di santità.
Il castigo fu molto sentito da parte di Luigi. Don Bosco per tutto "l'ottobre, il novembre e due terzi di dicembre (...) alla sera confessava due volte per settimana i giovani delle classi superiori"[125], ma lui non vi fu ammesso se non "alla vigilia della morte" del Santo[126]. Andò invece qualche volta, per il suo turno di chierichetto, a servire la Messa che Don Bosco "continuò a celebrare ogni giorno nella sua cappelletta privata"[127], ma con lui il Santo perseverò nel suo silenzio, "senza nemmeno guardarlo"[128].
Ricordando, dopo anni ed anni, quel triste periodo Don Orione ne sente ancora il bruciore e quasi protesta: "Che avevo poi fatto? Per grazia del Signore mi ero comportato proprio da buon ragazzo: al mio paese andavo sempre in chiesa, col mio libro di preghiere, e non conoscevo altra strada che quelle che mena ad una cappelletta della Madonna ed al cimitero"[129]. Ma allora non ci fu nulla da fare! "Don Bosco non mi riconobbe più, non mi guardò più fino alla vigilia della sua morte" [130].
IL PERDONO DI DON BOSCO
Finalmente il 17 dicembre 1887 — sarebbe stata l'ultima volta che Don Bosco confessava i giovani[131] — potè andarci anche Orione ed avere un confortante colloquio, che compensò largamente la patita sofferenza per il lungo silenzio e gli confermò l'immutata amabile benevolenza di Don Bosco. Per il malcapitato incidente non ci poteva essere conclusione migliore. Si potrebbe inneggiare anche qui alla "felix culpa", giacché senza di essa forse il Santo non avrebbe avuto motivo di confortare in tal modo il "suo piccolo discepolo". Infatti, in quell'ultimo colloquio, dopo rassicuranti parole, "stringendolo a sé e guardandolo fisso"[132], lo accomiatò con "queste testuali parole: — NOI SAREMO SEMPRE AMICI!" [133].
Questa espressione la cogliamo altre volte sulle labbra di Don Bosco in quegli ultimi mesi di vita. Le Memorie la riportano in due episodi di quei giorni: in uno il Santo l'adopera in forma negativa con un ragazzo che era andato a visitarlo: — "Noi non siamo amici"[134]; per ripeterla allo stesso, mutate le condizioni, in forma affermativa: — "Adesso siamo amici"[135] e, nel secondo episodio, l'usa in forma ampliata col Direttore dell'Unità Cattolica: "Noi saremo sempre amici fino al Paradiso"[136].
Poteva quindi essere una forma abbastanza usuale di commiato per Don Bosco, ma Orione la prese come sacro testamento e quale viatico spirituale che gli avrebbe assicurato la solidarietà e la protezione del Santo per tutta la vita. Ad un mese dalla morte confermerà: "Quante volte mi sono trovato in mezzo a tante peripezie, altrettante volte mi sono sentito confortato da queste parole che mi rimasero scolpite nel cuore: — NOI SAREMO SEMPRE AMICI" [137].
LA PROVA DELL'AMICIZIA
La gioia per la riconfermata amicizia è però offuscata dal doloroso presentimento che quell'incontro sarebbe stato forse l'ultimo. Il declino fisico del Santo è ormai inarrestabile. Il 20 dicembre scese "trasportato giù a braccia in seggiolone" per "l'ultima passeggiata in vettura"[138], ma le forze gli vennero mancando in modo così preoccupante che il giorno 24, vigilia di Natale, chiese, e gli fu amministrato, il Viatico. Orione fu presente, con il Piccolo Clero, a quell'atto commovente ed edificante[139].
La malattia gli concesse ancora qualche giorno di tregua, con alti e bassi tuttavia che allarmavano sempre più i figli spirituali di Don Bosco. Verso la fine di gennaio (1888) le cose precipitarono e le previsioni lasciavano adito a poche speranze. Don Gioacchino Berto, che era stato per ventisei anni segretario del Santo, cercò allora tra i giovinetti chi fosse disposto ad offrire la vita per ottenere dal Signore la conservazione di quella dell'amato Padre.
Era la suprema prova d'amore che veniva richiesta e subito sei giovani risposero generosamente all’invito; il secondo nome che incontriamo nel breve elenco è quello di Luigi Orione. Scrissero su di un foglietto: "O Gesù Sacramentato, Maria SS.ma Ausiliatrice dei Cristiani, S. Francesco di Sales nostro Patrono, i poveri sottoscritti: 1. Dondina Pietro, 2. Orione Luigi (...) al fine di ottenere la conservazione del loro amatissimo Padre e Superiore Don Bosco offrono in cambio la propria vita. Deh, vi supplichiamo, degnatevi di gradire l'offerta ed esaudirci". Ai primi sei giovani se ne aggiungono altri sei. Il foglietto con i loro nomi fu posto sotto il corporale durante la Messa celebrata da Don Berto "e servita dal giovane Luigi Orione"[140].
Abbiamo riportato il fatto riportando la descrizione che troviamo nelle Memorie; descrizione subito ripresa dalla Rivista dei Giovani del 15 gennaio 1938, che chiude il racconto sottolineando: "Luigi Orione è quello stesso Don Orione, oggi degno imitatore di Don Bosco nelle opere popolari di carità" (Ivi, pag. 44). Pensiamo infatti valga la pena di riportare a parte gli accenni fatti da Don Orione al riguardo, che combaciano — s'intende — con quanto riferito sopra, ma sfumano al massimo il ruolo da lui rivestito nella vicenda.
In Par. Vili, 131 accenna all'avvenimento, ma si ferma a parlare solo sul primo firmatario del biglietto: "Dondina è uno di quei sei che fecero l'offerta della vita per Don Bosco". In altri luoghi mette in luce l'azione svolta da Don Berto: "Aveva chiamato alcuni alunni dell'Oratorio (...) ed aveva loro chiesto se si sentissero di offrire la loro vita per salvare la vita di Don Bosco"[141]; Don Berto scrisse il suo nome ed i nomi di quei ragazzi su un pezzo di carta (...), andò a celebrare la Messa (...); in due la servirono e fecero tutti la Comunione, ed in quella Comunione intesero dare la vita" [142]; "Don Berto celebrò la S. Messa e mise sulla patena il nome di sei fanciulli che offersero la vita per Don Bosco"[143]. In V, 228 vi si include nel racconto, ma in modo... comunitario: "Alcuni di noi offersero la vita". "Il Signore, a mia confusione, mi ha dato di essere uno di quei sei". Da queste espressioni, volutamente misurate, traspare una certa ritrosia, un pudore quasi a svelare particolari che lo presentino particolarmente coinvolto in quel generoso slancio di pietà filiale fino all'olocausto della propria vita. Da altre testimonianze ci è dato invece di pensare che Orione sia stato parte attiva nel coadiuvare Don Berto nella ricerca dei compagni disposti a fare l'offerta. Già il condiscepolo don Luigi Sala ci presenta Orione "spesso occupato presso il segretario di Don Bosco, don Gioacchino Berto, a propagandare sotto l'impulso di lui le diverse pratiche spirituali a mezzo di appositi foglietti e buoni suggerimenti sempre con modi cortesi e santamente insinuanti"[144]; e il salesiano don Pietro Olivazzo dichiara: "Quell'offerta la feci io pure, consigliato, mi pare, da Orione stesso"[145]. Pur non trascurando quel "mi pare", possiamo supporre che Orione abbia avuto un ruolo più impegnativo, almeno per la propaganda fra i compagni della generosa iniziativa.
LA RISPOSTA DI DON BOSCO
Il Signore gradì certamente l'offerta di quei giovani, ma aveva pronto un premio migliore per il suo Servo fedele, che questa volta non si riprese. Orione potè vederlo, assieme agli altri oratoriani, il giorno precedente il pio transito. Lo ricorda così:
"Il giorno 30 (gennaio 1888) Don Bosco non parlava più. Tutti noi ragazzi ci fecero passare davanti a lui. Steso sul letto, con le mani fuori, pareva non capisse più. Aveva una stola violacea in fondo ai piedi. E chi gli baciava le mani, chi i piedi, chi piangeva, chi baciava le coperte. Aveva la testa verso destra, i capelli un po' inanellati"[146]. L'immagine del Santo gli è rimasta impressa anche nei minimi particolari. Non trascura la descrizione della scena circostante, ma l'affetto lo spinge a tornare, con l'ultima pennellata alla figura del Padre: "la testa verso destra, i capelli un po' inanellati". Quella visione non gli si era più levata dal cuore.
Morto Don Bosco ed espostane la salma nella chiesa interna di San Francesco, Orione ebbe, con altri compagni, l'incarico di prendere gli oggetti presentati dai fedeli e toccare con essi il corpo del Santo. Nel disimpegno di questo ufficio gli accadde un fatto, che lui definisce "specialissima grazia"[147]. Ascoltiamo il racconto che ne fa parlando in terza persona: "Uno di quei ragazzi toccava fasce e corone del rosario. E poi non seppe più cosa far toccare. E allora gli balenò in mente come una luce, un'idea. Che si potessero far toccare al corpo di Don Bosco dei pezzi di pane e poi, facendoli mangiare agli ammalati, questi potessero guarire. E siccome teneva la chiave di uno dei refettori, prese del pane e, afferrato un coltello, si mise a tagliare e, nel fervore, tagliò non solo il pane, ma anche un dito. E quando sentì il dolore e il sangue fluire, sentì come uno spavento che gli venisse a mancare l'indice che lo avrebbe fatto diventare irregolare (per il Sacerdozio). Ma, dopo quel primo timore e dolore, egli prese il dito e corse in chiesa e toccò il corpo di Don Bosco e la cicatrice si saldò" e conclude: "Quel ragazzo è il sacerdote che vi parla (...) La cicatrice è ancora qui" e alzando la mano, mostra il segno rimasto sul dito squarciato.[148].
Anche per questa "specialissima grazia" — che le Memorie qualificano come un "bel caso"[149], pur citando come fonte un articolo del nostro Don Garbarino, apparso sul Bollettino Parrocchiale di Ognissanti del dicembre 1926, dove il fatto è presentato come "il primo miracolo" di Don Bosco — non abbiamo testimonianze di condiscepoli. Interrogati in proposito, quelli che risposero affermano di non esserne venuti a conoscenza. Solo Don Segala ricorda "di aver visto il compagno Orione a portare il braccio al collo per qualche tempo"[150]. Ma a Don Mezzacasa, che pur aveva il letto accanto a quello di Orione non rammenta neppure questo, di "averlo cioè visto col braccio al collo" [151].
Che Orione si sia squarciato il dito risulta dalla cicatrice, ancora visibile sull'indice della mano destra (in molte azioni Don Orione era mancino) nelle fotografie fatte in occasione della ricognizione della salma rimasta incorrotta. Ora, che ci sia stata la cicatrizzazione istantanea per "specialissima grazia" e che del fatto non sia rimasta memoria fra i condiscepoli si può spiegare con la semplice ragione, per-fin lapalissiana, che Orione, testimone unico del fatto, per suoi motivi (non ultimo forse — considerata l'età e le incertezze dell'adolescenza — quello di aver agito un po' sconsideratamente, senza consigliarsi, senza chiedere permessi) credette bene di non propalarne la notizia. Mentre sembra più difficile spiegare il particolare del "braccio al collo" ricordato da un solo condiscepolo.
Se la cicatrizzazione non fosse avvenuta istantaneamente e la ferita fosse stata superficiale, non occorreva una medicazione che comportasse la necessità di portare il braccio al collo. Se invece si trattò di una ferita più seria, come fa capire la descrizione di Don Orione, allora il braccio al collo l'avrebbe dovuto portare a lungo. Nel qual caso sarebbe strano che almeno don Mezzacasa, vicino di letto di Orione, non ricordi nulla. In situazioni del genere, il ferito può avere qualche difficoltà proprio nello spogliarsi e nel vestirsi e nell'assettare il proprio letto. Se Orione avesse avuto bisogno dell'aiuto del compagno, questi facilmente ne avrebbe serbato il ricordo.
Quindi, per quanto poco possa valere l'argomento "ex silentio", questo sembra stia a favore della "specialissima grazia", in appoggio alla quale — oltre la parola di Don Orione — resta una dichiarazione del Vicepostulatore per la Causa di Beatificazione, il compianto Don Orlandi.
Recatosi personalmente a Valdocco per appurare la cosa, e fatte debite ricerche, così scrive a don Mezzacasa, che aveva accennato al fatto del "braccio al collo", ricordato da Don Segala: "Ho frugato nel Registro della Prefettura dell'Oratorio stesso, dove trovo (a carico di Orione) spese per medicazioni, per medico, medicine od infermeria negli anni precedenti, ma non trovo affatto indicazione alcuna del genere relativa all'anno 1888, anno della morte di Don Bosco, in cui è avvenuto il fatto in parola"[152].
Questa dichiarazione ha indubbiamente un suo valore oggettivo, perché se la ferita, piccola o grave, non si fosse subito cicatrizzata, sarebbe stato necessario il ricorso ad un pur minimo intervento infermieristico con le relative spese; ma se dai registri — che pur tengono conto anche di cifre di modesta rilevanza — nulla risulta a carico di Orione in quei primi mesi del 1888, aiuta a credere che questi si sia trovato guarito senza aver avuto bisogno di ricorrere a medicazioni.
Amiamo pensare che alla prova di amore fornita da Orione nell'offrire la vita, abbia risposto il caro Padre con un altro atto di amore verso il "suo piccolo discepolo" angosciato, non tanto per la brutta ferita, quanto per il timore che questa potesse precludergli l'accesso agli Ordini Sacri. Grandemente beneficato in vita, Orione continuò a sentirsi particolarmente amato da Don Bosco anche per questo fatto occorsogli subito dopo la sua morte.
Di quei giorni di dolore e di speranza, che gli ricordavano la scomparsa del suo grande Benefattore e il prodigioso intervento a suo favore, ne parlava sempre con indicibile commozione. A distanza d'anni li rammenta come stesse ancor vivendoli. Riuscì, fra l'altro, a ritenere a memoria la canzoncina composta subito dopo la morte di Don Bosco.
Il 29 agosto 1930, durante il pranzo nella festa della Guardia, presenti don Mancini ed un altro sacerdote salesiano che avevano predicato gli Esercizi Spirituali ai sacerdoti dell'Opera, Don Orione si alza, chiede il silenzio e: "Adesso canterò, — dice — in onore di Don Bosco e di tutti i Salesiani, il primo canto che si cantò dopo la morte di Don Bosco. Lo canterò, sebbene io non sappia cantare e con la mia solita voce roca. Ma..., voglio pensarci ancora, perché sono passati molti anni..., lo canterò col cuore. Attenti: — Presso l'augusto avello — che, Padre mio, ti cela — così quest'orfanello — l'interno affetto svela. — Son di Don Bosco figlio; — guida il mio lasso pie! — Puro sarò qual giglio, — Don Bosco, io vengo a te!" e conclude: "Solo il Signore e la Madonna sanno cosa ho nel cuore!"[153].
L'EREDITA' DI DON BOSCO
Solo il Signore e la Madonna potevano comprendere la piena di sentimenti che Don Orione aveva nel cuore. Lui, per quanto ne parlasse continuamente, e nelle forme più sentite ed entusiastiche, non riuscì o, meglio, ritenne di non esser mai riuscito a dire tutto quello che Don Bosco si meritava: "Confesso di sentire tutta la mia piccolezza, tutta la mia impotenza, tutta la mia nullità a parlare di Don Bosco"[154].
Lasciato Valdocco per seguire la via che aveva confusamente intravista proprio sulla tomba del Santo, continua a considerarsi suo figlio. Solo dopo un mese che è nel Seminario di Tortona, scrivendo ad un compaesano che era rimasto a Valdocco, lo prega: "Giunto sulla tomba di Don Bosco (...) giuragli per me che sempre sarò suo figlio"[155]. Nell'anniversario della morte del Santo, il primo passato fuori Torino, ricorda che l'anno precedente era andato per l'occasione a Valsalice ed aveva letto "qualche cosa sulla tomba di Don Bosco"[156] e scrivendo allo stesso compaesano lo prega di fare anche la sua parte nell'atto di omaggio al Padre, e aggiunge: "Digli che ancora l'amo, che mi voglio far santo, per essergli degno figlio"[157].
Sentimenti riconfermati tante altre volte poi. Toccante e commovente il tono di addolorata protesta nella risposta ad una lettera del suo vecchio catechista don Stefano Trione che, scrivendogli quarantanni dopo averlo avuto ragazzetto a Valdoc-co, gli si era rivolto dandogli del 'lei': "Ma perché? No, caro sig. Don Trione, mi dia ancora e mi dia sempre del 'tu'; sono e voglio essere sempre quel vostro povero ragazzo che venne accolto da Don Bosco, e cresciuto per tre anni sotto il manto di Maria Ausi-liatrice, visse del pane dei Salesiani alla scuola di pietà, di sacrificio, di lavoro di quella schiera salesiana di uomini di Dio, il cui ricordo, dopo circa quarantanni, è ancora tanta luce che illumina e viene confortando la mia vita"[158].
Nel programma della sua Opera, Don Orione farà confluire lo spirito informatore di due grandi istituzioni, che aveva avuto modo di ammirare, ancora giovinetto, a Torino: "In tutte le disposizioni prese, in tutte le cose, mi sono sempre messo davanti Don Bosco e il Cottolengo (...) La piccola nostra Congregazione si è sempre ispirata a questi due Santi e deve sempre vivere dello spirito e dell'uno e dell'altro. La Piccola Opera deve avere la fede e la carità del Cottolengo, e l'apostolato e lo zelo di Don Bosco"[159]. Ma, pur rimanendo fondamentale nello svolgersi dell'Opera l'ispirazione ai due Modelli, dando loro uguale valore e forza come ad inscindibile binomio, nella formazione del personale e nell'attuazione pratica dell'apostolato tra i giovani, Don Orione si richiamerà, come a punto di riferimento, prevalentemente a Don Bosco. Continuando a ritenersi suo figlio, non si accontentò di fregiarsi del ti-' tolo di onore e di prestigio per tale paternità, sentì fortissimo anche il senso di responsabilità nel conservare integra la grande eredità di esempi e di insegnamenti che aveva fatto suoi alla scuola del Santo.
Don Bosco resta il suo modello: "Don Bosco era così: Don Orione non può e non deve essere che così, se vuole essere sacerdote di Cristo e discepolo non indegno di tanto Maestro"[160]. Ha coscienza di doverne seguire lo spirito: "Ho sempre pensato che il Signore volle ch'io andassi da Don Bosco, conoscessi Lui (...) e i primi Salesiani dei tempi eroici, perché ne prendessi lo spirito proprio dalle origini"[161]. E per questo propone ai propri figli quanto aveva appreso a Valdocco: "E questo faccio — conclude una volta a sostegno di certe sue disposizioni —, avendo desiderio che si trapianti tra noi lo spirito di Don Bosco"[162] e spirito genuino, tale e quale era alle origini: "Bisogna che noi procuriamo di ritornare ai tempi di Don Bosco, con lo stesso spirito, con lo stesso ardore"[163].
Riempiremmo pagine a non finire, se volessimo riportare tutti i passi degli Scritti e della Parola nei quali Don Orione si riferisce a Don Bosco. Ci limiteremo ad un florilegio dei più significativi, di quelli cioè nei quali Don Bosco compare come ispiratore e modello delle iniziative ed opere che Don Orione veniva via via proponendosi ed attuando.
A. Punti di accostamento della sua povera opera a quella di Don Bosco.
a) La Congregazione nasce sulla tomba di Don Bosco: Accettando l'invito a partecipare al Congresso dei Direttori dei Cooperatori salesiani a Valdocco, Don Orione scrive: "Sento anche proprio un gran bisogno di venire un po' a posare la testa stanca sulla tomba di Don Bosco. È là che ho cominciato, proprio sulla tomba del nostro santo Padre (...), quando ho sentito una cosa che pareva mi dilatasse il cuore"[164].
b) Inizia sotto l'egida dell'Immacolata: "Don Bosco proprio nel giorno dell'Immacolata iniziava la grande Opera salesiana. Anche la Piccola Opera ha scelto l'Immacolata come speciale protettrice"[165].
c) Inizia nella povertà: "Don Bosco ha cominciato con otto soldi... Anch'io ho incominciato con otto soldi che mi furono imprestati"[166].
d) Stesso genere di attività: "Don Bosco cominciò con la raccolta di poveri ragazzi. Anche la Piccola Opera della Divina Provvidenza cominciò con un Oratorio per i ragazzi più poveri della città di Tortona"[167].
e) La bandiera della Congregazione: "La nostra bandiera — croce rossa in campo bianco — esprime due virtù tanto care a Dio e al caro santo Don Bosco: la purezza e la carità"[168].
f) Accusa in comune: "Abbiamo comune con Don Bosco la stessa accusa: che siamo invadenti!". Ma di questa accusa non se ne duole più di tanto. Anzi! E spiega: "Questo deriva dal timore che noi diamo l'assalto alla beneficienza", concludendo: "Guai al giorno in cui non saremo invadenti! La carità è diffusiva. La carità è un fuoco che, quando divampa, tutti ne sentono il benefico calore"[169].
B. Studio di imitazione per la formazione del personale e l'organizzazione delle attività.
Pratiche di pietà: a) Novena dell'Immacolata: "La novena dell'Immacolata nella Casa della Divina Provvidenza è fatta con grande slancio ed ardore, come si faceva da Don Bosco"[170]. — b) Recita del Rosario intero nel giorno dei Santi: "Domani (1 novembre 1933) ci raduneremo in chiesa e reciteremo il S. Rosario intero. Così si faceva da Don Bosco"[171]. — e) Ritiro mensile: Vuole si faccia "come si faceva dal Beato Don Bosco" non solo riguardo alla Confessione e alla Comunione, ma anche alle "preghiere della buona morte"[172]. — d) Le tre Ave Maria prima del riposo: "Le tre Ave Maria ai piedi del letto è un'usanza presa da Don Bosco"[173]. — e) L'Ave Maria prima della confessione: "Dite un'Ave Maria prima di confessarvi. A me ha insegnato così Don Bosco e ho tenuto sempre questa usanza"[174]. — f) L'Ave Maria per la pace: "Don Bosco ha voluto mettere nelle orazioni l'Ave Maria per la pace in questa e nelle altre nostre case. La stessa preghiera facciamo noi[175]. — g) Canzoncina 'Angioletto del mio Dio': "Desidero che cantiate spesso questa lode, come si faceva da Don Bosco" [176].
Formazione religiosa: a) Trasformazione dei pro-bandati in noviziati: "E i probandati, col tempo, si muteranno in noviziati, per seguire anche in questo i Salesiani"[177]. — b) Buona Sera: "Don Bosco era solito dare la Buona Sera ai suoi. La nostra costumanza di dare la Buona Sera è stata presa da Don Bosco"[178]. — e) Confessione durante la Messa dei ragazzi: "Da Don Bosco, la mattina durante la Messa, vi erano i sacerdoti a confessare (...) Da domattina in poi ci sarà a vostra disposizione un confessore durante la Messa"[179]. — d) Amore al Papa: "Quello stesso amore al Papa, che il Beato Don Bosco raccomandò ai Salesiani (...) abbiamolo pur noi"[180].
Educazione e studio: a) Sistema pedagogico: "Nella cultura e formazione si tenga tutto il sistema preventivo di Don Bosco"[181]. — b) Massime scritte lungo i corridoi: "Ho pensato di far scrivere sulle colonne della Casa certi motti evangelici (...) Queste idee le ho prese da Don Bosco"[182]. — c) Letture in camerata: "Da Don Bosco si leggeva nelle camerate (...) Così si deve fare anche da noi"[183] . — d) Lettura a tavola: È un'usanza presa da Don Bosco (...) Don Bosco voleva che tenessimo lo spirito occupato sia pure con liete letture mentre il corpo prendeva cibo"[184]. — e) Discorsi di scuola durante le ricreazioni; "Vorrei che si facesse nelle nostre Case così, come si faceva da Don Bosco (...) C'intendevamo prima: Tu che cosa porti per la ricreazione?
La matematica. — E tu? — Io, un punto di geografia; un altro, un punto di storia (...) Non c'è ancora questa usanza ed è un gran guaio che non si faccia quello che si faceva da Don Bosco"[185]. — f) Studio delle lingue: "Noi dovremmo imitare i Salesiani che mandano i chierici ad imparare le lingue"[186].
Disciplina: a) Voti settimanali di condotta: "Nello studio di Valdocco si leggevano i voti settimanali. Speriamo di riprendere adesso anche qui a Tortona quest'uso"[187]. — b) Controllo libri di lettura: "Farete la lista di tutti i libri e la consegnerete direttamente a me (...), così si faceva da Don Bosco"[188]. — e) Segnale per la fine della ricreazione: "Fra il primo e il secondo campanello, ci deve essere tanto tempo che tutti possano andare per i loro bisogni. Così si faceva da Don Bosco e così voglio che si faccia da noi. Mai un segno solo, due segni! come si faceva da Don Bosco"[189]. — d) Cure marine: "Da noi i bagni al mare non si fanno che per ordine del medico; così voleva Don Bosco, così si deve fare da noi"[190]. — e) Silenzio in infermeria: Fece affiggere in infermeria un cartello per raccomandare il silenzio, con questa conclusione:
"Se sapeste come si era attenti da Don Bosco in questo! Voleva persino, il Beato Don Bosco, che l'infermiere non usasse le comuni scarpe, ma scarpe di tela, per evitare possibilmente anche il minimo rumore. Così deve essere anche da noi"[191]. — f) Passeggiata annuale: "Da Don Bosco c'è questa usanza: tutti gli anni si fa una passeggiata lunga (...). E sarà bene mettere anche da noi quest'usanza[192]. "Passeggiata lunga, come diceva Don Bosco (...). È buona cosa mantenere le tradizioni salesiane"[193].
Varie: a) Attenzioni per i benefattori: "Bisogna trattare bene i benefattori; anche a costo di sacrifici talvolta. Così faceva e diceva Don Bosco e così dobbiamo fare noi"[194]. — b) Trattar bene gli operai e gli altri dipendenti delle Case "per tenerseli affezionati; da Don Bosco si faceva così" [195]. — e) Fare economia: Tutto quello che non va in pane, non si deve spendere. Questa non è una frase mia, ma del Beato Don Bosco"[196].
Il richiamo a Don Bosco era presente anche per particolari di secondaria importanza: — d) Trattamento a tavola nel giorno del Ritiro mensile: "E a mezzogiorno, a tavola, si passa qualcosa di più, come si faceva dal Beato Don Bosco"[197]. — e) Orario dei pasti per i camerieri: "I camerieri debbono mangiare prima, come si fa dai salesiani[198]. — f) Forma dei tavoli dello studio al Paterno: "Le tavole dello studio dell'Oratorio erano come queste; le ho fatte fare così perché da Don Bosco erano così"[199].
E, per finire, ecco una nota che troviamo sul Verbale delle Riunioni, e che farà perfin sorridere: "Don Orione, al Paterno, dopo la Messa del Santo Natale serviva la 'busecca', perché così si faceva da Don Bosco"[200].
La preoccupazione di valorizzare e mettere a frutto la meravigliosa eredità che gli veniva dalla scuola di Don Bosco, e così il ricordo del suo Maestro e Modello, fu visto da Don Orione come l'adempimento di un fermo proposito: "Don Bosco, per il grande amore alla Madonna che hai dato alla mia vita, per avermi dato verso la Chiesa un amore più forte della morte, che tu sia benedetto per sempre (...), che tu non possa mai uscirmi dal cuore"[201].
E fu un proposito che mantenne con massimo impegno e fedeltà. Un giorno si pose lui stesso l'obiezione: "Mi direte che parlo sempre di Don Bosco" e risponde: "Che Iddio inaridisca la mia lingua, prima che io cessi di benedire quel Santo Uomo"[202].
"... VI LASCIO COME TESTAMENTO SPIRITUALE..."
"Se io sono sacerdote, dopo la grazia di Dio e l'intercessione di Maria SS.ma, io lo devo a Don Bosco"[203]. "Se provai un non so che di celeste anche in questa valle di pianto, tutto tutto lo devo a Don Bosco"[204]. "A Don Bosco quanta gratitudine, quan-ta riconoscenza dobbiamo! Mi pare che io camminerei sulle braci ardenti per vederlo ancora e dirgli grazie"[205].
Dopo infuocate proteste di devozione e amore in prima persona, Don Orione allarga la sfera dei beneficati da Don Bosco: "Quanta riconoscenza, quanta gratitudine dobbiamo!". Sente di essere il primo debitore: "Io ho maggiori doveri di voi verso Don Bosco" dice ai suoi chierici, il 27 gennaio 1940, preparandoli al triduo in onore del Santo, e ne ripete la ragione: "Se io sono sacerdote (...), lo devo a Don Bosco", ma aggiunge subito: "E voi non sareste qui, se Don Bosco non mi avesse aiutato a essere sacerdote"[206], accomunando così in quel grato dovere anche i propri figliuoli.
Debito di riconoscenza che implica, per prima cosa, una adeguata conoscenza del Benefattore. Il 2 aprile 1934, insistendo perché si continuasse a leggere la vita del Cottolengo, non accennò — come invece sempre faceva — anche a quella di Don Bosco, aggiungendo scherzosamente, quasi a titolo di dispensa: "Di Don Bosco non ne lascio mai di parlare io"[207]. Quattro mesi dopo si corregge e non si accontenta di raccomandare: "Leggete molto la vita di Don Bosco"[208], ma vuole che del Santo se ne faccia uno studio impegnato e approfondito: "Don Bosco è un gran dono che Dio ha fatto al mondo (...) È una miniera d'oro, un filone d'oro di cui se ne è sfruttato appena la superficie. Molto rimane ancora da scoprire e da prendere da Don Bosco; e questo compito è riservato anche ai Figli della Divina Provvidenza. Bisogna studiare, bisogna conoscere il Beato"[209].
Conoscere, studiare Don Bosco ma, soprattutto, amarlo: Lui e la sua Opera. È questo il testamento che Don Orione lascia ai suoi figli.
Il 31 gennaio 1940, celebrando la festa del Santo e facendone l'ultima commemorazione — quaranta giorni dopo lo avrebbe raggiunto in Paradiso! —, dopo aver ricordato, ("con gli occhi velati dal pianto, con la voce calma e flebile, commosso oltre il solito", così annota il "tachigrafo", che raccolse questa "indimenticabile esortazione"), dopo aver ricordato le ultime parole rivoltegli da Don Bosco: — Noi saremo sempre amici —, così conclude:
"Cari miei chierici, cari sacerdoti e Figli della Divina Provvidenza, vi lascio come TESTAMENTO SPIRITUALE queste parole di Don Bosco.
Don Bosco vive nella sua Congregazione salesiana, nello spirito e nelle opere dei suoi figli. La nostra Congregazione è una piccola pianticella, a paragone di un cedro, quale è la pianta e l'Opera di Don Bosco. Io sento che passo e che breve sarà ancora la mia vita. Voi vivrete e formerete la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza. Ricordate, cari miei sacerdoti e chierici, ricordate sempre le grandi parole di Don Bosco e cercate di metterle in pratica.
I Salesiani non hanno bisogno del nostro aiuto; non hanno bisogno della nostra miseria, della nostra debolezza. Ma ricordate sempre questo: fate sì che non venga mai meno nella nostra Congregazione quell'affetto, quella fraternità, quell'unione, quell'amicizia di cui ha parlato Don Bosco!
La Piccola Opera sarà quello che Dio vorrà! Anzitutto senta sempre, la Piccola Opera della Divina Provvidenza, senta sempre gratitudine per Don Bosco e verso i suoi figli, e il vostro atteggiamento e condotta siano atteggiamento e condotta che denotino gratitudine verso i Salesiani per la sacra memoria di Don Bosco, e per quello che hanno fatto i suoi figli per portarmi avanti negli studi e farmi sacerdote. Che se mai qualche volta vi avvenisse, nel corso della vita, di poter dire qualche parola, di poter difendere qualche Salesiano, qualche figlio di Don Bosco, fatelo ricordando le grandi parole che Don Bosco rivolse, nel suo grande cuore, a un povero ragazzo che egli tolse dai campi e per cui andò tanto avanti nel suo spirito paterno da chiamarlo AMICO.
Che cosa vedeva Don Bosco quando, mentre a tutti era proibito di andare da lui, volle che quel povero ragazzo andasse a confessarsi da lui? Che cosa vedeva e sentiva nel suo spirito quando andò tanto avanti e disse: NOI SAREMO SEMPRE AMICI?
Non disse: Io e tu saremo sempre amici; disse: NOI saremo sempre amici! Questo NOI trascende dalle persone e passa nelle due Congregazioni.
Siate sempre i piccoli e, nella gratitudine del cuore, siate sempre i grandi amici di Don Bosco e di quelli che vanno perpetuando nel mondo l'Opera di Don Bosco!" [210].
NOTE ....................................................
[1] Cfr. Par. III, 164. [2] Cfr. Par. IX, 390. [3] Par. IX, 391. [4] S. 15. IV. [5] M. 2. IV. [6] Scr. 44,15. [7] cfr. D. 4. I. [8] Par. IX, 391. [9] Par. 111,7. [10] Par. IX, 376. [11] Par. VI, 42s [12] Par. II, 104. [13] Par. VI, 42s [14] Riun. 197 [15] Riun. 197 [16] Par. VI, 42s [17] Par. IX, 472.18] C. 8. III. [19] Scr. 38, 238. [20] B. 15. IV [21] B. 16. II [22] S. 7 .II. [23] Scr. 38, 238. [24] A. 6. III [25] B. 17. VI. [26] B. 2. II. [27] M. 17. III. [28] C. 8. III. [29] Riun., 130. [30] Riun., 72. [31] Riun., 75d [32] Riun., 130s [33] C. 8. III. [34] S. 7. II. [35] C. 8. III. [36] B. 16. II. [37] Par. VII, 144. [38] Par. III, 152. [39] Par. VIII, 199. [40] Scin., 17.9.1895 [41] Par. VI, 306. [42] Par. XI, 201. [43] Mem. XVIII, 282. [44] Par. XI, 89 [45] Par. IX, 390. [46] T. 6. V. [47] Scin. 17.9.1895. [48] C. 19. III. [49] B. 15. I. [50] S. 7. II. [51] Scr. 57, 248 [52] Par. X, 32. [53] O.D.P., 18.9.1906. [54] Par. I, 218. [55] Man. XVIII, 490. [56] S. 7. II. [57] C. 8. III. [58] B. 15. I. [59] cfr. Par. IX, 472. [60] Par. VII, 65. [61] C. 43. I. [62] C. 8. III. [63] B. 2. II. [64] P. 13. II. [65] Mem. XVIII, 272. [66] Par. XI, 472s. [67] Par. III, 1 [68] Par. IX, 472. [69] Par. XII, 76s. [70] Par. IX, 472. [71] Mem. XVIII. [72] C. 19. III. [73] Par. XII, 79. [74] Par. XII, 56. [75] C. 43. I. [76] Par. V, 143. [77] Par. XII, 56s. [78] PR. XI, 233. [79] Par. XI, 233. [80] Par. XII, 57. (10) Par. XII, 57. [81] C. 43. I. [82] Par. VI, 68. [83] Par. VI, 41. [84] Par. VI, 198. [85] Par. V, 319. [86] Par. VIII, 61. [87] Mem. XVIII, 272. [88] Scin., 17.9.1895. [89] C. 43. I. [90] Mem. XVIII, 476. [91] O.D.P., 18.9.1906. [92] Par. I, 218. [93] Cfr. Mem. XVIII, 253s. [94] Par. X, 179. [95] Par. XI, 74. [96] Par. III, 124. [97] Par. V, 271. [98] Par. XII, 56. [99] Par. X, 192. [100] Cfr. Par. VI, 6. [101] Par. X, 57. [102] Par. XII, 6. [103] Mem. XVIII, 216, 357, 430 e 468 [104] Mem. XVIII, 271, 292, 356 e 385. [105] Mem. XVIII, 16 e 21. [106] Par. III, 189. [107] Mem. XVIII, 257. [108] Mem. XVIII, 289. [109] Meni. XVIII, 292. [110] O. 5. II. [111] Riun. 82. [112] Mem. XVIII, 257. [113] Mem. XVIII, 257. [114] Mem. XVIII, 369. [115] Par. X, 115. [116] Par. VI, 261. [117] Par. I. 218. [118] S. 15. IV. [119] Riun., 199. [120] Par. I, 218. [121] Mem. XVIII, 385. [122] M. 17. III. [123] O. 1947. la. [124] Riun., 199. [125] Mem., XVIII, 457. [126] Par. I, 218 [127] Mem. XVIII, 457. [128] Par. I, 218 [129] Par. I, 218 [130] Par. I, 218 [131] Mem. XVIII, 480. [132] Cfr. C. 43. I. [133] Par. XII, 75. [134] Mem. XVIII, 381. [135] Mem. XVIII, 382. [136] Mem. XVIII, 498. [137] Par. XII, 75. [138] Mem. XVIII, 483. 139] Mem. XVIII, 492. [140] Mera. XVIII, 538s. [141] Par. XII, 73s. [142] Par. VIII, 67. [143] Par. X, 55. [144] S. 1. II. [145] O. 2. IV. [146] Par. XII, 67. [147] Par. VIII, 71. [148] Par. XII, 68. [149] Mem. XVIII, 591. [150] S. 7. II. [151] M. 17. III. [152] M. 17. III. [153] Par. IV, 327. [154] Par. Vili, 65. [155] Scr. 69, 402. [156] Par. XII, 71. [157] Scr. 70, 193. [158] Scr. 38, 235. [159] Par. VII, 139. [160] Scr. 92, 287. [161] F. 7. IIIh. [162] Par. IV, 404. [163] Par. VI, 43. [164]Scr. 70, 168. [165] Par. V, 316. [166] Par. IV, 456. [167] Par. XII, 61. [168] Par. V, 306 [169] Riun., 182. [170] Par. V, 316. [171] Par. V, 271. [172] Par. V, 121. [173] Par. VII, 144. [174] Par. II, 26. [175] Par. III, 22. [176] Par. V, 127. [177] Par. V, 216. [178] Par. VII, 52. [179] Par. V, 252. [180] Par. VI, 7. [181] Riun., 29. [182] Par. VI, 7. [183] Par. VII, 139. [184] Par. VII, 144 [185] Par. IX, 484. [186] Riun., 71. [187] Par. IX, 425. [188] Par. X, 207 [189] Par. III, 114. [190] Par. VI, 307. [191] D.O.I, 352. [192] Par. Vili, 164. [193] Par. IX, 325. [194] Par. X, 205. [195] Riun., 147. [196] Par. V, 232. [197] Par. V, 121. [198] Riun., 134. [199] Par. VI, 42. [200] Riun., 72. [201] O.D.P., 15.2.1907 [202] Par. I, 214. [203] Par. XII, 57. [204] Scr. 70, 193. [205] Par. II, 105. [206] Par. XII, 57. [207] Par. VI, 92. [208] Par. VI, 156. [209] O. 5. IVd. [210] Par. XII, 76s.