L’espressione che dà il titolo allo studio fu detta da Giovanni Paolo II nel giorno della beatificazione di Don Orione. Tutti la sentirono profondamente reale e illuminante. L’autore dell’articolo, con una ricerca biografica e lessicale, documenta come essa sia fondata sulla verità dei fatti e delle parole tanto dell’Apostolo delle genti che dell’Apostolo della carità.
Premessa
Tortona, primavera del 1968. Un giovane diacono si prepara al sacerdozio presso l’Istituto teologico Don Orione, a pochi metri dal Santuario della Madonna della Guardia. In cripta riposano le spoglie di Don Orione. Frequenta il 4° anno di teologia e segue con particolare interesse la spiegazione delle lettere di S. Paolo. Si entusiasma quando in una sola frase dell’Apostolo, gli pare di vedere ben sintetizzati e “superati” tutti gli studi filosofici fatti: “Tutto è vostro: il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 3,21).
Ma ogni volta che nella vita quotidiana del seminario, gli viene presentata la figura e la spiritualità del Fondatore (in modo assai riduttivo e con accentuazioni quasi esclusivamente disciplinari), avverte un notevole disagio spirituale. Un giorno decide di recarsi nella vicina cripta del santuario, come per cercare luce e conforto. Sosta in preghiera davanti alla tomba del Fondatore. Lo sguardo si leva allo stendardo della Congregazione posto accanto. Gli occhi si fissano sulla scritta “Instaurare omnia in Christo”. Una luce improvvisa. Un sollievo profondo. Una conclusione liberatoria: “Ma se Don Orione ha preso come programma di tutta la sua opera, il motto paolino dell’Instaurare omnia in Christo, non poteva essere una persona “piccola di mente e di cuore!”.
Si rialza felice. Deciso a trovare sempre maggiori convergenze tra il pensiero paolino e quello del suo Fondatore.[1]
Se la fede cristiana non può sussistere senza profonde radici bibliche, non è azzardato affermare che la vita, il pensiero e gli scritti di S. Paolo, costituiscano il supporto più sicuro sul quale un credente possa far riposare il suo assenso di fede. Per ripetere, con S. Paolo appunto: “So in Chi ho creduto” (2Tm 1,12).
Sono queste le motivazioni che mi spingono a ricercare in Don Orione consonanze con la vita e il pensiero di S. Paolo. “Ebbe la tempra e il cuore dell’Apostolo Paolo”, ha dichiarato solennemente Giovanni Paolo II nel giorno della sua beatificazione. Sappiamo quanto il nostro Fondatore ha fatto per far conoscere e amare il Papa. È significativo che un Papa, ci aiuti ad approfondirne la figura morale, indicandoci nella sua somiglianza umana e spirituale con l’apostolo Paolo, un inedito e luminoso filone di ricerca. Senza alcuna pretesa di scientificità o di completezza, il presente lavoro si propone solo di iniziare tale cammino, nella speranza di dare una qualche immediata evidenza all’affermazione del Papa. E uno stimolo in più per noi a cercare di avere, come Don Orione, “la tempra e il cuore dell’Apostolo Paolo”
PARTE PRIMA
I Osservazioni previe
Terminologia
Don Orione usa vari modi per riferirsi all’Apostolo Paolo: “San Paolo (141 volte), l’apostolo Paolo (5 ), l’apostolo San Paolo ( 3 ), l’Apostolo (7), l’Apostolo delle genti ( 2)”. Qualche volta lo indica anche con il semplice nome di “Paolo”. Anche questo dettaglio può significare una certa familiarità del nostro Fondatore con l’Apostolo. Un esempio. Don Orione sta facendo l’elogio del suo maestro, Don Bosco: “Don Bosco! Uomo d’idee grandi come grande la carità di Gesù che infiammava l’anima sua di educatore e di apostolo…In lui lo spirito di Vincenzo de’ Paoli e di Francesco, il poverello d’Assisi; la carità che animava e accendeva l’anima di Paolo: Charitas Cristi!” (45, 14)[2].
A volte sono esplicite e precise, con il nome della lettera, capitolo e versetto. Altre volte, la citazione è incompleta e spesso manca il numero del versetto. Si capisce chiaramente che Don Orione non ha il tempo per andare a verificare e riporta il testo, senza la referenza precisa. Ciò rende Don Orione ancora più umano e vicino a noi. Egli non era e non voleva essere uno studioso di S. Paolo. Si sente che parla e scrive “ex abundantia cordis”. E il suo cuore era veramente “paolino”.
Tutte le lettere paoline
Già dai primi 64 volumi degli scritti, attualmente disponibili, risulta che, almeno una volta, Don Orione ha citato tutte le lettere di San Paolo, eccetto il breve biglietto a Filemone, allora (e tuttora!) poco noto.[3]
Ovviamente non si pone tutte le questioni moderne circa la paternità paolina delle singole lettere. Le usa come base di sicuro cammino dottrinale e spirituale. Fidandosi ciecamente della Chiesa che le ha tutte riconosciute canoniche e ispirate.[4]
II - Espressioni paoline ricorrenti in Don Orione
Le lettere più citate da Don Orione sono quelle a Timoteo. Don Orione si accosta alla Scrittura e a S. Paolo in particolare, con finalità eminentemente pastorale. Non si dimentichi che le lettere a Timoteo e Tito sono dette appunto “Lettere Pastorali”. L’effetto veniva più efficacemente raggiunto, con la ripetizione di alcune frasi incisive che ogni buon sacerdote dell’epoca conosceva a memoria e utilizzava con frequenza. In latino, ovviamente. Eccone alcune frequenti sulla bocca e la penna di Don Orione.
“Instaurare omnia in Christo”
Da tale frase di S. Paolo, Don Orione ha tratto il programma per la sua opera.
Posta all’inizio della lettera agli Efesini (1, 10), è sicuramente l’espressione paolina maggiormente usata da Don Orione.[5] Spesso come intestazione delle sue lettere. Altre volte lungo il testo, soprattutto quando deve fondare biblicamente la sua ispirazione carismatica.
Solo un esempio:
Instaurare omnia in Christo !
Da Tortona, il 18 Gennaio 1905, festa della Cattedra di S. Pietro Apostolo in Roma.
“Veneratissimo Padre mio in Nostro. Signore Gesù Cristo Crocifisso,
Da oltre dieci anni, cioè fin dai suoi inizî, l’umile Congregazione l’«Opera della Divina Provvidenza», che la bontà di Dio ha fatto nascere ai vostri piedi, e in questa città di S. Marziano, prese, crediamo per disposizione del Signore, come suo motto e programma l’«Instaurare omnia in Christo» dell’apostolo (Ef. Cap. I. v. 10).
Questo motto diventò il nostro timbro, venne stampato in testa alle nostre carte e scritto a caratteri purpurei e fulgidissimi sugli orifiamma e sulle bianche bandiere che adornano e sventolano sulle Case della Divina Provvidenza nei giorni di maggior festa.[…]
Poiché l’«Instaurare omnia in Christo» fu per noi sempre quasi una invocazione, l’idea che tutta assomma la missione dell’Opera e i suoi sacrificî: con esso specialmente intendo rivolgere a Dio un voto, un’aspirazione, una preghiera, un desiderio ardentissimo che in Gesù Cristo Signor nostro tutto l’uomo si rinnovi e si rinnovi tutta l’umanità”(45, 42).
“Petra autem erat Christus”
Altra espressione paolina (cfr. 1Cor 10,4) cara a Don Orione. Egli la usa per indicare in Cristo l’unico valido fondamento di ogni costruzione spirituale.
Riportiamo un esempio particolarmente significativo a motivo della data, 6 Marzo 1940. A pochissimi giorni dalla sua morte, Don Orione scrive “Ai cari chierici, alunni dell’Istituto Filosofico Angelico della nostra Congregazione a Villa Moffa – Bra”. Argomento della lettera: l’importanza di una sana filosofia da porre a fondamento della teologia. Così si esprime:
“Un grande e grave bisogno dei nostri tempi, o miei figli, è quello di risanare le menti coll’infondere in esse idee giuste, una filosofia sana, veramente cristiana…nessun fondamento sarà più saldo e granitico per tutte le scienze, veramente degne di questo nome, e massime per la sacra teologia, che una filosofia pura, sana e profonda, su la divina ed eterna pietra, che è Cristo, «petra autem erat Christus»: filosofia che sia animata da un grande amore di Dio (52, 158).
"Charitas Christi urget nos"
Tratta dalla 2.a Corinzi ( II Cor 5,14) è anch’essa molto ricorrente in Don Orione.[6] Altre volte viene usata la frase equivalente in italiano: “L’amore di Cristo ci spinge”. Indicando a noi, con evidenza, quale fosse il segreto “motore” della sua vita. Quello stesso amore di Cristo e a Cristo che muoveva S. Paolo.
“Omnia omnibus factus”
Indica incisivamente la disponibilità di Don Orione a farsi “tutto a tutti” sul modello di S. Paolo (1 Cor 9,22). Ricorre 5 volte la frase in latino; innumerevoli volte il medesimo concetto in italiano.
“Et Hunc Crucifixum”
Presente 3 volte nella forma latina. Ma per ben 826 volte ricorre il termine “Crocifisso” nella penna di chi, non a caso, ha iniziato la sua opera in un Venerdì santo. Due sono i principali riferimenti paolini. Il primo nella 1 Corinzi: “Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso”(1Cor 2,2)
E il secondo nella lettera ai Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8)[7].
Citazioni implicite
Accostandosi al testo paolino con cuore di pastore, Don Orione intende aiutare i suoi figli a camminare sulla via di Dio. Per questo spesso allude al testo, senza riferimenti precisi. Ma si comprende che sta citando ( spesso quasi alla lettera…) parole e concetti di Paolo. Proprio questa mancanza di rigore metodologico, rappresenta dal nostra punto di vista, l’aspetto più interessante. Dice fino a che punto avesse assimilato lo spirito dell’Apostolo. Ne aveva fatto cibo per la mente e per il cuore. E forza per un apostolato senza limiti di tempo, di spazio, di destinatari.
“Anime e anime!" Valga come esempio questa espressione che gli esce dalla bocca e dalla penna assai frequentemente[8]. Spessissimo la pone a cappello della lettera. Certo non corrisponde a nessun preciso testo di S. Paolo. Ma ben ne riassume l’ardore di farsi tutto a tutti, per guadagnare ad ogni costo qualcuno.
“Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno (1Cor. 9,19ss).
III - Nelle più varie situazioni di vita
È noto che le lettere di S. Paolo non sono frutto, per così dire, di uno studio a tavolino ma rispondono a concrete necessità pastorali delle prime comunità cristiane. Così l’uso che ne fa Don Orione è sempre funzionale a dare una parola di sostegno ai destinatari dei suoi scritti, nelle più svariate situazioni di vita.
Le citazioni vengono in genere introdotte dalla frase: “come dice San Paolo”. Solo qualche esempio.
Nella formazione dei giovani
Scrive da Roma - Sette Sale, il 27 Giugno 1928, “Ai miei cari figli in X.sto i chierici di Villa Moffa”. L’anno scolastico si è concluso in modo non soddisfacente dal punto di vista dei risultati scolastici. Don Orione ne approfitta per sottolineare l’importanza della cultura animata dalla fede. Ricorrendo ancora una volta (anche se in modo generico[9]) a S. Paolo: “San Paolo Apostolo, nella seconda lettera ai Corinti, dice che la cultura, la scienza è necessaria nei Ministri di Dio”.
E per scuoterli non trova di meglio che fare appello a quella profonda consonanza che Egli ha con l’apostolo Paolo di cui può ripetere le stesse parole, quasi uscissero dalla sua bocca: “Scuotetevi, o miei cari figlioli, e datevi ad amare Gesù e la vostra anima: la chiesa e la vostra Congregazione. Sentite, o miei figli, tutta la responsabilità che vi incombe: sopra tutto sentite la Carità di Cristo che c’incalza e ci preme: Charitas Christi urget nos!”[10]
E a qualcuno che forse va ripetendo, con vacua compiacenza, il programma della congregazione, ricorda: “Instaurare omnia in Christo, sì, ma cominciando da noi, se no, mai rinnoveremo altri in Cristo, se prima non avremo rinnovato in lui tutto in noi, ogni cosa di noi, tutto noi!”
Ma non vuole lasciarli con l’amaro in bocca. Una parola di incoraggiamento per concludere, la prende ancora dall’Apostolo: “Coraggio, o cari figlioli, tutto potremo in lui che ci conforta!” (52,149). Il riferimento alla lettera ai Filippesi, è evidente (Fil 4, 13).
Dopo solo 5 giorni, Don Orione, il 3 Luglio, ritorna sull’argomento con uno scritto al quale intende attribuire una particolare importanza se premette: “Da conservarsi per l’archivio della Congregazione”.
Riprendendo in parte i concetti già espressi, insiste: “È dunque necessario e urgente che studiate, che studiate di più! L’«Instaurare omnia in Christo» che fu il grido dell’apostolo San Paolo, ed è il programma della nostra umile Congregazione, – dobbiamo cominciare da noi ad applicarlo: – prima rinnovare noi in Cristo, per poi poter rinnovare gli altri: non rinnoveremo in Cristo gli altri, se prima in Cristo non avremo rinnovato noi stessi nel suo santo amore e con la sua santa grazia, che, certo, non mancherà” (62,125; 52,14)
Per stimolare la generosità verso i poveri
Per la morte della mamma
In una lettera indirizzata a Don Bartoli, in occasione della morte della mamma, dopo le prime espressioni di paterno conforto, Don Orione approfondisce il tema del rapporto tra cose visibili e cose invisibili, citando San Paolo: «quelle che si vedono non son che per un tempo, mentre quelle che non si vedono sono eterne» (2 Cor 4)[12]. E conclude con un efficace richiamo alla brevità della vita e al nostro destino finale accanto al Signore: “E domani, (poiché una breve giornata, anzi un soffio è la vita) domani saremo ancora insieme e per sempre, nella luce eterna, nella gloria di Dio e insieme col Signore per sempre!”[13].
Prosegue citando a memoria: “Gesù è morto per noi affinché «sia che viviamo sia che moriamo» - «viviamo insieme con Lui», - qui (vivendo) sulla croce, là (morendo) nella vita e gloria Sua, ma sempre «insieme con Lui» (22,9)
Le parole sono chiaramente tratte dalla lettera ai Romani (Rm 14, 8).
Insistiamo: Don Orione non ha tempo di andare a controllare la citazione precisa. La riporta come la conosce e la vive quotidianamente.
È il concetto più ricorrente in Don Orione, quando scrive ai religiosi raccolti negli “Esercizi spirituali”. Una testimonianza fra tante, è la lettera scritta da Tortona, il 10 Luglio 1927.
“Vi scrivo, o figli miei, nel vivo desiderio d'inspirarvi, con la divina grazia, la più alta stima degli Esercizî Sp.li, che sono veramente, come dice l'Apostolo San Paolo (II Cor 6): "Tempus acceptabile...dies salutis".
Dopo accorate raccomandazioni sulla necessità di pregare bene e recitare “adagio adagio e con vera divozione il S. Officio”, ripete l’ammonimento di S. Paolo a Timoteo: “Admoneo te ut resuscites gratiam Dei, quae est in te" (II Tm 1,6 ) Ti raccomando di che tu risusciti la grazia di Dio che è in te".
Conclude sapientemente: “Gli Esercizî Spi.li un quarto si fanno con la mente, e tre quarti anzi poi ancora quattro quarti si fanno col cuore, riscaldato al fuoco dell'amore di Gesù Crocifisso. Così e solo così si fanno bene gli Esercizî Spi.li: si fanno col cuore” (3,377).
Per incrementare la carità fraterna
Poi, passando a un tono più positivo ricorda l’insegnamento di Paolo sulla carità: “La carità, come dice l’apostolo, è paziente e benigna, è soave e dolce, è forte e costante, compatisce gli altrui difetti, annega se stessa, si fa tutta a tutti, gode del bene altrui, interpreta le parole e azioni altrui nel modo più favorevole, e ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri, a tutti, a tutti!”
Il riferimento al capitolo 13 della 1Corinti è chiaro ed efficace. Ed insiste:“La carità ci edifica e unifica in Gesù Cristo, edifica col suo splendore, e unifica nella pietra che è Cristo «petra autem erat Christus», dice S. Paolo; ma che dico su la pietra? ci unifica indissolubilmente nel cuore stesso di Gesù crocifisso, per i secoli eterni. Petra autem erat Christus” [14](52,99).
Don Orione prende un appunto, il 20 Ottobre 1926. Fra qualche giorno ci sarà la posa della prima pietra del Santuario della Guardia. Pensando a un biglietto di invito, si prefigge di porre in evidenza una frase di San Paolo ben adatta alla circostanza. Riservandosi ovviamente in un secondo tempo di andare a verificare la citazione precisa. Si noti il punto interrogativo.
“Petra autem erat Christus - San Paolo [Tortona] 20 ottobre 1926
Mi onoro porgere invito alla signoria vostra ill.ma e famiglia perché voglia assistere sabato 23 corr. alle ore 15, alla solenne benedizione e posa della prima pietra del Santuario votivo alla Madonna della Guardia in San Bernardino. Compirà Il sacro rito sua Emin.za Rever.ma il Cardinale Carlo Perosi, gloria di Tortona.” (53, 215)
IV - Lettere a Piccinini e compagni
Don Orione, dal Brasile, scrive una lunga e affettuosa lettera al giovane Piccinini e ai suoi compagni. Merita una particolare considerazione dal nostro punto di vista, per l’abbondanza di riferimenti biblici, di S. Paolo in particolare.
Si ha la netta impressione che Don Orione, mentre scrive, abbia davanti la lettera agli Efesini di cui riporta, parafrasandoli, molti passi.
Inizia col raccomandare loro di essere adulti in Cristo: “umili e fedeli sempre, finché sarete arrivati «alla piena conoscenza del Figliuolo di Dio, a una maturità virile, all'altezza della statura perfetta di Cristo», come dice l'Apostolo”.
Continua: “Cristo vuole intanto che Voi, non siate più dei bambini sballottati qua e là, e portati via da ogni vento di dottrina per gli inganni degli uomini, ma che, fedeli alla verità in uno spirito di amore, noi continuiamo a crescere in ogni cosa, per arrivare a Colui che è il Capo, cioè, a Cristo». (Paolo agli Efesini)”.
Volendo raccomandare loro la perseveranza nella vocazione religiosa ricorre (a dire il vero, non senza qualche forzatura esegetica… ) al testo di 1Cor. 7,24: “La mano di Dio vi ha condotti in una via per sé stessa buona, ed anzi di perfezione: pregate Dio e perseverate in essa, a costo della morte: perseverate in essa, secondo la parola di S. Paolo: Manete in vocatione qua vocati estis.”
Infine per incoraggiare alla speranza e a una vita luminosa, ricorre alla 1Tessalonicesi: “Siate figli della luce, e non delle tenebre del mondo: siate i figli della luce, che è simbolo della verità e della santità, «e indossate la corazza della fede e della carità», come scriveva Paolo ai Tessalonicesi, e confortatevi «e consolatevi gli uni gli altri, ed edificatevi a vicenda».
Dalla stessa lettera, trae preziosi insegnamenti per la vita comunitaria[15]: “Confortate gli scoraggiati, sostenete i deboli, siate longanimi con tutti!”
E conclude, ribadendo loro la sua totale fiducia e ricordando il dovere di essere fondati sulla Roccia che è Cristo: “E le pietre sarete voi, usciti ed estratti dalle macerie e dalle pietre, o cari miei Abruzzesi, pietre spirituali di Cristo, del quale Paolo ha detto che è la pietra per eccellenza: petra autem erat Christus” [16](26,141)
In una seconda lettera allo stesso destinatario, dopo soli 20 giorni, Don Orione annota: “Dall' Oceano, mentre sul «Deseado» (vapore inglese), vado dal Brasile in Argentina, il dì 11 di novembre 1921, festa di San Martino, Vescovo e confessore”.
Con evidente commozione scrive: “Io penso a voi, o miei figli, e ancora primi figli di questa nascente Congregazione, penso ai nostri primi poveri inizi quando guardo le prime stelle che spuntano nel cielo su questo gran mare sconfinato”
Sente tutta la responsabilità di portare al Signore quei figli che Dio gli ha dato: “ quasi padre che porti sulle sue braccia e nel suo cuore i più cari suoi figli”
Raccomanda continua vigilanza per vivere all’altezza della vocazione. “Perché viviamo in modo degno della vocazione che abbiamo ricevuta «con tutta umiltà, con mansuetudine, con longanimità, sopportandoci gli uni gli altri con amore, studiandoci di conservare l'unità dello spirito col vincolo della pace», come scriveva San Paolo agli Efesini (IV).
Nella convinzione, che una maturità cristiana e religiosa, presuppone una buona conoscenza vitale dell’insegnamento dell’Apostolo, non può omettere una sottolineatura ecclesiologica a lui particolarmente cara. Del resto la lettera che sta commentando è la “magna charta” del mistero di Cristo e della Chiesa. Conclude pertanto: “La Chiesa Cattolica è la società umana - divina fondata dall'Uomo Dio Gesù Cristo Salvatore nostro, essa è cosa sua, è la sua opera, l'opera che il Padre celeste gli ha data a fare, com'è detto in San Giovanni (17, 4). Anzi al dire di Paolo Apostolo (I Cor.12, 27) la Chiesa è un corpo del quale Cristo è l'anima e la vita “(26,159).
V - Una “ lezione “ sulle “Lettere pastorali”
Ci permettiamo di definire in questo modo uno scritto di Don Orione sulle lettere di S. Paolo a Timoteo. È una testimonianza della preparazione di Don Orione anche in campo scritturistico. E dell’importanza che Egli dava alle conoscenze bibliche nella formazione dei chierici.
“Ai miei cari chierici e probandi delle Case di Tortona, grazia e pace in Gesù Cristo nostro Signore.
Gli Atti degli Apostoli raccontano (16 - 2) che quando l’apostolo Paolo andò, nel suo secondo viaggio missionario a Derba e a Listra trovò quivi un discepolo per nome Timoteo, del quale i primi cristiani che erano di Listra ed in Iconio rendevano buona testimonianza. Doveva esser ancora giovane, e l’apostolo dovette conoscerne la nonna Loide e la madre Eunice. E Paolo desiderò condurre con se Timoteo e lo amò in Cristo di dolcissimo amore e gli impose le mani (II Tm. I, 6-7) e cioè lo consacrò Vescovo. A lui scrisse due lettere che dirò pastorali . La prima di queste lettere ha una singolare importanza storica, la II venne scritta da Roma dal carcere, nel 66 o nel 67, sarebbe perciò l’ultima delle lettere che possediamo del grande apostolo delle genti. San Paolo fu infatti decapitato sotto Nerone nel 67 (come dice Eusebio e la tradizione più sicura) . La 2da lettera di S. Paolo al diletto suo discepolo Timoteo sarebbe quindi «il canto del cigno», e niente meno che il testamento dell’apostolo delle genti.
Ora m’è dolce, o cari miei figli, fare mia una certa soavissima e commovente espressione che ho trovato nelle prime linee di detta epistola. L’apostolo dalle carceri dice che «rende grazie a Dio» «che per il Vangelo soffre fino ad essere incatenato» dice parlando a Timoteo: «quando faccio menzione di te nelle mie preghiere e ne fo sempre menzione: giorno e notte». Poiché io ricordo le tue lagrime e mi struggo di vederti per esser colmato di gioia. E ricordo anche la tua fede sincera...» «Ora anch’io o figli cari miei figli in G. Cr., faccio menzione di voi e di ciascuno di voi e sempre vi ricordo e vi ho davanti e dì e notte e poiché non posso essere con voi ho ricevuto le vostre lettere e conosco il vostro affetto in G. Cr. e ricordo il vostro, così ho pensato di scrivervi, e di affidare a S. Giuseppe questa mia perché Lui ve la porti e nel mese a Lui sacro. E dopo che l’avrete letta vogliate mandarla ai fratelli di Bra e da Bra ai fratelli di Cassano Ionio perché quello che dico a voi dico anche di loro» (52, 79).
Si noti la raccomandazione finale di passare la lettera ai fratelli di altre case. Dettaglio di paterna attenzione a tutti i suoi figli che trae spunto ancora una volta da S. Paolo: “Quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi (Col 4,16)”.
“Nel Signore”
Concludendo questa prima parte, ci si può chiedere dove si fonda questa palese consonanza tra Don Orione e S. Paolo. Come dire: qual è il “tertium comparationis” fra i due? La risposta, credo, vada trovata nella loro comune tensione di mente, di cuore e di opere verso Gesù Cristo. Giustamente è stato detto: ”Cor Pauli, cor Christi”. Egli può dire infatti con verità “Per me vivere è Cristo e morire un guadagno” (Fil. 1,21). Nel suo epistolario ripete ben 64 volte l’espressione “ Nel Signore”.
Don Orione, fatte le debite proporzioni, non è da meno: riporta ben 1917 volte la stessa espressione dell’Apostolo: “In Domino”. Vive per Lui. Cerca solo Lui. “Anch’io sento un grande desiderio di amare il Signore, e di consumare la mia vita davanti a lui. Io vi dichiaro che non so nulla, e non vado cercando null’altro che Lui, Lui! Lui! (36,25).[18]
E coerentemente morirà, invocando il nome di Gesù.
A ragione il Papa ci ha invitati a rendere grazie a Dio, mirabile nei suoi santi. “Don Orione ebbe la tempra e il cuore dell’Apostolo Paolo. Mirabile è Dio nei suoi santi…”[19]
PARTE SECONDA
Dopo aver sottolineato in modo generale la spirituale consonanza di Don Orione con l’Apostolo Paolo, vogliamo, in questa seconda parte, esaminare più in dettaglio l’ affermazione del Papa, per vedere sotto quali aspetti, Don Orione avesse veramente la tempra e il cuore dell’Apostolo.
Dividiamo il lavoro in due momenti :
Metodologicamente procederemo in questo modo: evidenziati alcuni testi paolini su la “tempra” e il “cuore” di Paolo, li confronteremo con alcune testimonianze di Don Orione sullo stesso tema. Emergerà chiara la fondatezza dell’affermazione del Papa: “Don Orione ebbe la tempra e il cuore dell’Apostolo Paolo”[20]
Si ribadisce l’intento eminentemente pratico e pedagogico del lavoro: mettere in evidenza l’affermazione del Papa e ancor più favorire questo raro equilibrio tra fortezza e calore umano. Verità e carità. Tempra e cuore, appunto.
DON ORIONE EBBE LA TEMPRA DELL’APOSTOLO PAOLO
Nell’intento di scoprire il senso pieno del termine, sottolineiamo alcuni aspetti chiaramente emergenti dalla personalità di Paolo e, parallelamente, di Don Orione.
Ci tiene alla sua cittadinanza romana e, all’occorrenza, la rivendica con grande fierezza. “Ma quando l'ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che gli stava accanto: “Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato?”. Udito ciò, il centurione corse a riferire al tribuno: “Che cosa stai per fare? Quell'uomo è un romano!”. Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: “Dimmi, tu sei cittadino romano?”. Rispose: “Sì”. Replicò il tribuno: “Io questa cittadinanza l'ho acquistata a caro prezzo”. Paolo disse: “Io, invece, lo sono di nascita!” (At. 22, 24ss).
Ha una notevole cultura, riconosciutagli anche dai suoi avversari: “Mentr'egli parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: “Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!” (At 26,24 ).
Paolo è sicuramente un poliglotta. Passa, per esempio, con disinvoltura dal greco all’ebraico.“Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno: “Posso dirti una parola?”. “Conosci il greco?, disse quello. Avendo egli acconsentito, Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e, fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico (At 21, 39ss).
È un cultore della Parola di Dio, che ha studiato e amato per tutta la vita.
Ancora poco prima di morire, chiederà al discepolo Timoteo: “ Venendo, portami i libri e soprattutto le pergamene” (2Tm 4,13).
Ma ha anche un mestiere che esercita durante la settimana, per guadagnarsi da vivere. In attesa del sabato, giorno interamente dedicato all’apostolato. Eloquente in proposito l’incontro a Corinto con due sposi:, Aquila e Priscilla: “Paolo si recò da loro e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende. Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci (At 18, 3ss).
La costituzione fisica di Paolo? Stando a qualche fugace accenno delle lettere, sembrerebbe soffrire di qualche malattia cronica.[21] Ma è ragionevole dedurre che, tutto sommato, possedesse una buona resistenza fisica che gli ha permesso di affrontare viaggi faticosi e difficoltà di ogni genere. “Tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità” ( 2Cor 11,25ss).Non sfugga il dettaglio del triplice naufragio: non è lecito dedurne una non comune bravura in fatto di nuoto ?
E Don Orione?
Aveva un grande e fattivo amore alla sua terra, come ben risulta, fra mille testimonianze, da questa lettera scritta al suo vescovo il 15 Dic. 1921 da Rio de Janeiro: “Mio caro e venerato padre in Gesù Cristo, Mg.r Arcivescovo mi ha dato una parrocchia al Braz che è il quartiere più popolato dai nostri emigrati: apriremo scuole: apriremo, con l’aiuto di Dio e di anime generose, un vero segretariato e ufficio di lavoro, e una Casa operaia italiana, che sarà la vera Casa del popolo e del lavoro; - vi sarà attigua e annessa una chiesa, ma una bella chiesa, di stile italiano, e andranno uniti: Dio e popolo. Poveri emigrati! poveri nostri fratelli italiani! che sono a S. Paolo, tra padri e figli, sono più di 300.000, tutto sangue italiano!” (45,176).
Riprende il discorso, qualche giorno dopo, esprimendo tutta la sua forza di volontà nel continuare il lavoro nonostante le non buone condizioni di salute:
“È la prima lettera che scrivo nel nuovo anno, e in quest’alba del I Gennaio. Molto avrei voluto scriverle in questi passati giorni, ma non ho potuto lavorare, non potevo più lavorare. Male, veramente non sono mai stato, solo una o due notti un po’ così: mi rincresceva morire lontano da Tortona, lontano dai miei primi orfani e dai miei primi sacerdoti e da v. Eccellenza, ma poi mi sono ripreso. Ma sono un bifolco delle ossa dure; e mi sto preparando ad aprire la Casa in S. Paolo, in quattro o, al più cinque giorni di mare e sono là. Sono passi che i miei in Italia non capiscono, io pure non capisco che poco di ciò che sto facendo, e che mi va succedendo qui. Cerco di pregare…” (45,183).
Cerca, come S. Paolo, di farsi vicino ai fratelli anche tentando di esprimersi nella loro lingua e raccomandando agli altri di fare altrettanto.
Si rammarica di non poter ancora scrivere in Portoghese. Eppure abbozza qualche frase, anche se incerta: “ Rev.mo padre, Pax tecum. Le chiedo scusa di scriverLe in lingua italiana poiché non oso scrivere ancora nella splendida lingua di Camoës poiché sono receioso de expressar mi num idioma, em que son hospede, de que nunca distinguo as bellezas ma apenas a armonia de sua phrases cantates” (64,114).
Ma i progressi sono rapidi. In una lettera a Don Montagna può dire: “Ti ringrazio, caro don Montagna, e in te ringrazio tutti della Casa per le preghiere che fate per me e per gli altri nostri missionarî. Anch'io ora predico in portoghese, e già dal 18 settembre ho fatto tre Vangeli e il catechismo a un 100 ragazzi”(21, 98).
Anche per una immagine della Madonna “Mater Dei”, vuole la dicitura in diverse lingue:“Mi pare d'essermi spiegato. Sotto le Immagini si metta questa dicitura: Mater Dei, la Madre di Dio, in tre lingue, o anche in quattro, la quarta sia spagnolo, o, portoghese, o francese, o tedesco, o polacco”(15,109).
Tempra, come forza di volontà
Siamo all’interno del secondo viaggio di S. Paolo. Pochi giorni prima aveva dovuto a fatica trattenere alcuni dall’offrire sacrifici in suo onore. Ed ecco il repentino cambiamento: “ Ma giunsero da Antiochia e da Icònio alcuni Giudei, i quali trassero dalla loro parte la folla; essi presero Paolo a sassate e quindi lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli, alzatosi, entrò in città”. Senza ombra di scoraggiamento e con una forza di volontà che stupisce, “Il giorno dopo partì con Barnaba alla volta di Derbe” ( At 14,19ss).
Scena analoga a Filippi. La folla insorge e i magistrati, “fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia”. Paolo dimostra, anche in questa circostanza, la sua “tempra” nell’affrontare le prove con gioia.
“Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli.” E nella capacità di fare apostolato anche in quella situazione: il carceriere viene riconfortato, istruito e battezzato (cfr. At 16,30ss).
Ma la sua tempra emerge anche nella richiesta di rispetto per sé e per il compagno, fino al punto di esigere pubbliche scuse: “ Ma Paolo disse alle guardie: “Ci hanno percosso in pubblico e senza processo, sebbene siamo cittadini romani, e ci hanno gettati in prigione; e ora ci fanno uscire di nascosto? No davvero! Vengano di persona a condurci fuori!”. E così fu, con tanto di scuse: “ vennero e si scusarono con loro; poi li fecero uscire e li pregarono di partire dalla città” (At 16, 37ss).
Fatto adulto, continuò a dare alla sua vita un ritmo di lavoro impressionante. Scrivendo a un confratello rivela quale fuoco gli arda dentro, e cosa sia capace di fare solamente in un fine settimana. “Non ho bisogno di sciupare le mie ultime energie nel galvanizzarvi, nel tirarvi avanti con la forza di quattro buoi. Io non voglio delle statue in Congregazione, ma dei vivi e che camminino in avanti…Charitas Christi urget nos! Animo, o figli miei! Padre C. mi scrive una brutta carta, non da figlio di Don Orione, ma da buddista: dice che non sa tenere quei 5 ragazzi. Son cose che si dovrebbe avere il pudore, e aver vergogna a scrivermele. Io di 64 anni già stanco di lavoro, faccio 400 km.tri sabato, per far un discorso a Mar del Plata domenica, e lunedì già son tornato qui al lavoro! Come mai un cristiano, e un sacerdote e un Figlio della Div. Provv.za non sente verguenza a scrivermi certe cose?” (29,269).
Per quanto riguarda la difesa della sua dignità di uomo e di sacerdote, basti solo un cenno alla nota calunnia che gli procurò indicibili sofferenze. Scriveva il 16 ottobre 1934 al suo vescovo Mons. Simon Pietro Grassi, infermo.
“Mio buon padre in Gesù Cristo. Non sono più venuto a rivederla, perché non avrei saputo resistere senza piangere, vedendola su codesto letto… Sa, Eccellenza, chi pregherà ancora per lei dopo la sua morte? I poveri figli della Divina Provvidenza! La supplico umilmente in Gesù Cristo e nella santa Madonna di non voler morire così. Ella sa che si è tentato coprirmi di fango, e di qual fango! È da quattro anni che io sto aspettando una parola dal mio Vescovo, di difesa… Ho sempre taciuto, ho sempre sofferto e pregato; ma non sono sasso né pietra; si tratta del buon nome e di ciò che un sacerdote deve avere più caro: il suo onore. O mio caro Vescovo e padre, vi supplico di non lasciare le cose così, di non voler morire così…”(45,323).
Tempra, come coraggio di denuncia
Sono tante le circostanze in cui San Paolo denuncia con forza , situazioni di rilassatezza in fatto di fede o di costumi. Solo qualche esempio.
All’inizio della lettera ai Romani, abbiamo forse la pagina più nota. Guardandosi attorno Paolo indica nella mancanza di vera pietas verso Dio, la causa di comportamenti morali aberranti: “E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, maldicenti, oltraggiosi, superbi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia” (Rm 1,28ss).
Ma non risparmia la comunità cristiana quando viene meno dalla retta strada e perde il primitivo fervore: “Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! ” (Gal 1, 6ss).
Ancora più esplicito prosegue: “ O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? Tante esperienze le avete fatte invano?” (Gal 3,1ss).
Non meno forti sono le prese di posizione in campo morale. Ai Corinti rimprovera di perdersi in discussioni inutili, mentre dovrebbero preoccuparsi per un intollerabile scandalo presente nella comunità: “ Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione!” (1Cor 5,1ss).
Avverte i Filippesi del pericolo di conciliare Dio con i propri appetiti sensuali e di cercare il proprio interesse. “Molti, ve l'ho gia detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra….tutti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo”(Fil 3,17-21).
Don Orione esprime con altrettanta forza questa necessità di ritornare sul retto sentiero e al primitivo fervore. È nota una sua conversazione su questo tema. Senza mezzi termini, afferma:“ Chi non intende seguirmi si levi di mezzo, altrimenti vi salto avanti, vi metto da parte, non vi offendete. Se non era per sorpassare gli altri in santità, non valeva la pena di fondare una Congregazione. Che cosa hanno da imparare da noi questi chierici? O rinnovarsi o morire!” [22]
Altrettanto chiara la sua intransigenza in fatto di morale. Così si esprime: “In modo particolare dobbiamo vedere di fortificare bene quella virtù che è così cara a Maria santissima. Ed è un grande mio dispiacere che, proprio nel mese consacrato a Maria, io debba scacciare un chierico per mancanza di questa virtù... La Vergine santissima in tante occasioni ha dimostrato di amare questa piccola Congregazione, di proteggerla e di difenderla… Alcuni non sono a posto. E la Madonna va liberando la casa e, Dio non voglia, non ha ancora terminato.. “[23]
Tempra come interiore libertà e coraggio
È l’atteggiamento di Paolo verso tutti, anche verso chi, nella Chiesa, riveste compiti di autorità. È giustamente famosa in proposito una pagina della lettera ai Galati. Si evince da essa la consapevolezza di Paolo di dover consultare Pietro e le “colonne” della Chiesa: “In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa…Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba…. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano (Gal. 1,18; 2,1ss).
Dall’altra parte si oppone con decisione a comportamenti non coerenti con il Vangelo. “ Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?” (Gal 2,11ss).
L’amore di Don Orione per la Chiesa e per il Papa emerge da ogni respiro della sua vita e ad ogni riga dei suoi scritti.. È il suo carisma. Alle pagine classiche preferiamo, in questo contesto, una lettera a un laico amico e benefattore. All’indomani di una commovente udienza del Papa, sente il bisogno di comunicargli le sue emozioni e i suoi rinnovati propositi di bene.
Roma , 25 Giugno [192]4 Anime e Anime !
“Caro sig. Canepa. Ieri sono stato ricevuto in udienza privata dal Santo Padre che mi si è dimostrato pieno di tanta bontà e carità verso i figli della Divina Provvidenza, e mi ha dato una benedizione anche per voi. Mi pareva di essere ai piedi di Gesù e di sentire parlare il Signore.Ora vi do la notizia che incomincio nel nome di Dio una grande vita, una vita nuova con la grazia del Signore: voglio convertirmi e riparare a tutto il male fatto, e comincio oggi ad amare il Signore …Dunque mi dovete aiutare, se mi volete bene sul serio. Amare il Papa e amare Gesù Cristo è la stessa cosa, è lo stesso amore, benché l’amore del Papa costa di più, e Iddio ce lo calcolerà e pagherà di più; mi spiegherò poi a voce, quando parleremo dell’amore di Gesù e del Papa” (63,171).
E quando i suoi religiosi entrano a lavorare in Vaticano a servizio del Papa, gli pare di poter cantare il “Nunc dimittis”. In realtà morirà dopo non molti giorni. "Oggi Don Sterpi è andato a Roma a presentare in Vaticano i vostri cinque fratelli che domani prenderanno possesso del loro ufficio…. Quando l'ho saputo, ho detto tra me: ecco, ora posso cantare il 'Nunc dimittis', perché è venuto il giorno in cui i Figli della Divina Provvidenza sono chiamati a prestare un atto di immensa fedeltà, di amore, di servizio, di attaccamento al Vicario di Cristo..”[24]
Si fa fatica a trovare in Don Orione, qualche atteggiamento critico verso la Chiesa. Ci sembra di poter dire che non esista una sola espressione in tal senso nei confronti del Papa. Mentre, in alcuni momenti di grande dolore, esce in espressioni sofferte circa l’ umana debolezza di alcuni uomini di Chiesa.
Di un alto Prelato che non aveva il coraggio di pronunciarsi circa l’infondatezza della calunnia che da anni lo faceva soffrire, scrive: “Questi non vuol discendere a negare, solo si limita a dichiarazioni di stima…e che mi credono un tonto?… Perché gli uomini non lasciano di essere uomini anche quando sono rivestiti di alta dignità nella Chiesa. Povera santa Chiesa!… Amore della Chiesa che mi fa ruggire“(77,117).
Purtroppo, a volte, non si può non convenire.
Tempra come capacità di adattamento
Possiamo considerare tale capacità di adattamento almeno sotto due aspetti: adattamento alle culture e alle più svariate situazioni della vita, senza irrigidimenti o infantili lamentele.
Sul primo aspetto richiamiamo il noto episodio di Paolo all’Aeropago di Atene. A un primo disappunto per la molteplicità degli idoli, fa seguito, nell’approccio diretto con gli ascoltatori, una grande capacità di leggere la situazione in positivo, come segno di grande religiosità. Citando opportunamente esponenti della loro cultura, cerca di preparare il terreno al messaggio cristiano. “ Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli…. Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse: “Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene , non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo” (At 17,16ss).
Circa la sua capacità di adattarsi alle varie situazioni di vita, basti ricordare il lungo periodo passato a Corinto, ospite di una coppia di sposi: “Così Paolo si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio” (Atti 18,1ss).
Adattamento significa anche sobrietà nei bisogni primari di sussistenza. Mentre ringrazia i Filippesi per quanto gli avevano inviato, aggiunge subito: “Non dico questo per bisogno, poiché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dá la forza” (Fil. 4,11ss).
A proposito di capacità di adattamento di Don Orione, è interessante una sua lettera a Don Cremaschi che gli aveva chiesto aiuti per costruire tre nuove aule al noviziato. In modo benevolo e forte allo stesso tempo, lo invita a sapersi adattare alla ristrettezza di locali.
“Hai ragione di richiedere tre aule, perché sono tre classi distinte; ma le tre aule già la Divina Provvidenza ve le ha date, cari miei figli. Solo succede che i vostri occhi sono velati onde è un po' velato lo spirito che anticipatamente risplendeva in noi: avete le aule e non le vedete e non le trovate.
Dietro la cappella, quante aule ci sono? Tre! Ecco le tre aule. Mi dirai: “Ma è la sacrestia”!. Rispondo: almeno fino a che non farete le aule, se ne faccia a meno della sacrestia, e i sacerdoti si vestano in presbiterio. E forse supremamente necessaria la sacrestia? Ah! come si vede che non siete stati in paesi di missione! E il cenacolo, aveva la sacrestia? Del resto, e perché la mattina il sacerdote non potrà vestirsi anche in un'aula scolastica?
Ah, Cremaschi, Cremaschi!, torniamo poveri, torniamo ai primi tempi!. Che m'importano le sacrestie e le cerimonie, quando mancasse lo spirito? Io, caro don Cremaschi, trovo da far scuola da per tutto e voi non ne trovate! E che male c'è, dato il nostro bisogno e i momenti che attraversiamo, che male c'è a far scuola in una cappella?”[25]
Nella concretezza di un episodio di vita quotidiana, si coglie non solo la capacità di adattamento di Don Orione, ma la sua apertura mentale per privilegiare la sostanza rispetto alla forma, le persone rispetto alle cose. In una parola,. l’essenziale rispetto a ciò che è secondario. Una preziosa lezione, in un mondo (spesso anche religioso!) che vive sempre più all’insegna dell’apparenza.
Per concludere, citiamo un passo della lettera ai Galati in cui, dopo aver ribadito con forza la necessità di salvaguardare il genuino messaggio cristiano, Paolo vuole far capire che la sua fermezza non è rigidità. La sua forte tempra nasconde tanto amore. Se fosse vicino, saprebbe esprimerlo anche con adeguato tono di voce. “figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi! Vorrei essere vicino a voi in questo momento e poter cambiare il tono della mia voce, perché non so cosa fare a vostro riguardo” (Gal 4,18s).
In S. Paolo e in Don Orione, tempra e cuore si incontrano in perfetta armonia. Vediamolo più in dettaglio..
DON ORIONE EBBE IL CUORE DELL’APOSTOLO PAOLO
Evidenziamo alcuni passi in ordine cronologico per meglio notare eventuali sviluppi e positivi cambiamenti in questo cammino verso il delicato equilibrio del vivere “secondo la verità nella carità”(Ef. 4,15).
Nella 1 Tessalonicesi, ricordando la sua permanenza tra di loro, Paolo afferma di essersi comportato come una madre e un padre, per indicare quale dolcezza e forza avesse usato nell’educarli alla fede. “E siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria” (1Ts 2,2ss).
In Don Orione si riscontrano analoghi atteggiamenti.
Per tutti, valga citare le attenzioni materne verso un giovane studente. Al suo Direttore raccomanda: “Il mattino, fai dare all'Ing. Marengo sempre un uovo e anche due, sbattuti nel latte e caffè. Usagli ogni riguardo nel cibo. Vedi che in parecchi giorni della settimana, egli ha scuola alle 8. Andando in Cappella alle 6 ½, tra Messa, Meditazione e Colazione, non ce la farà ad entrare in Classe già alle 8, o arriverà col boccone in bocca, e gli farà male. Quindi, in quei giorni, che ha scuola alle 8, lo dispenso dalla Meditazione in comune, dopo Messa vada subito e fagli trovare pronta la colazione. Mi raccomando” (8,59).
Assai significativa è anche una lettera agli orfani, ospiti in una sua casa di Roma. Li aveva salvati l’anno prima, nel terremoto di Avezzano. Nell’anniversario della tragedia, accingendosi ad andare a celebrare la Messa per i loro genitori defunti, scrive parole affettuose e fa loro una promessa: “ vi farò da padre”.
“Roma, l’11 Genn. 1916
Cari miei figlioli gli orfani dell’Abruzzo e di Sora, che siete alla Colonia di Montemario. Non so partire per Avezzano se non vi lascio una parola…Giovedì, dopo domani, è l’anniversario della morte dei vostri amati genitori, l’anniversario del grande dolore della vostra vita e della vostra terra, o miei figlioli, e non vi so dire quanto vivamente amerei esservi vicino…Cari orfani del terremoto, che siete i miei più cari orfani e i più cari miei figlioli nel Signore, vi prometto che, fin che Dio mi darà vita e fin che potrò e quanto più lo potrò, con la grazia del Signore, prometto che vi aiuterò sempre e vi farò da padre in Gesù Cristo. Vi abbraccio spiritualmente in Gesù Cristo, e vi benedico tutti e con tutto l’affetto e ad uno ad uno vi benedico ancora nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo. Amen!”(52,102).
Qualche mese più tardi, a uno di essi in particolare, che aveva salvato mettendolo al riparo dalle tempeste di neve, nelle baracche di Piazza Torlonia, dice di volerlo riparare ” da altri venti e da altre tempeste”. Le tempeste di una giovinezza che si annunciava inquieta Don Orione promette: “Ti aiuterò come se fossi tua madre!”
“[Tortona lì] 22 giugno [191]7 Anime e Anime !
Caro Baldassarre, leggo la tua lettera. Non ho nessuna difficoltà di prenderti qui … Ogni miglior avvenire ti sarà serbato, se tu lascerai che, come ti ho accolto e riparato un giorno dai geli e dalle nevi nelle prime baracche di piazza Torlonia, così ti guidi e di difenda ora da altri venti e da altre tempeste, o caro mio Baldassarre! Sentirai tu la voce di un amico che ti ha dato prove non dubbie di volere il tuo vero bene, e di amarti di vero amore in Gesù Cristo, e di pensare in modo serio e con amore di padre al tuo avvenire? Guardati attorno, o caro Baldassarre: non vedi che non hai più nessuno? Ma la Divina Provvidenza e Don Orione ci sono ancora per te, e ci saranno sempre, se tu lo vuoi. Tu dovrai lottare per diventare buono, ma io ti aiuterò come se fossi tua madre, e Dio ti aiuterà!
Tuo aff.mo come padre Don Orione”(42,138).
Maestri nell’arte di educare
Esemplare in proposito è la lettera prima ai Tessalonicesi. S. Paolo cerca di stimolare al bene i suoi figli, mettendone prima in risalto gli aspetti positivi. Solo dopo chiederà un ulteriore miglioramento.“E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell'Acaia” (1Ts 1,6).
Li ricorda con titoli affettuosi e di grande stima: “Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia”(1Ts 2,17ss).
In tale contesto, può ricordare loro le esigenze dell’insegnamento del Signore, circa una totale purezza di vita: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia… Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito” (I Ts 4,1ss).
Anche Don Orione eccelle in questa capacità pedagogica di essere come Paolo, comprensivo e insieme esigente. Riportiamo un frammento di lettera all’ing. Marengo. A sentimenti di paterna confidenza e fiducia (fino a chiamarlo “metà della mia anima”…), si alternano richieste di competenza professionale e serietà negli impegni assunti. Il contesto è scolastico. Don Orione ha bisogno di un insegnante al collegio S. Giorgio. Pensa al giovane ingegnere: “Io, prima di scriverti, ho chiamato al telefono don Piccinini il quale mi ha detto che tu, se hai data la laurea da 26 e poi hai dato l’esame di stato a Napoli, tu puoi avere diritto ad insegnare.. Ma devi dare parola d’onore che ti impegni per tutto l’anno scolastico 930-31, se no, no! Attendo dunque risposta telegrafica, e non voglio né tergiversazioni né risposte condizionate…Vedi, caro Paolino, di pregare, di riflettere e di decidere da uomo, ché hai 30 anni ormai. Mi hai già fatto fare qualche brutta figura, compromettendo anche un poco il nome dell’Istituto: ora basta, se è sì, sia poi sì, se è no, allora resta… In qualunque modo deciderai, io resto sempre per te Don Orione, cioè il padre dell’anima tua, e tu mi sei e sarai sempre figliolo carissimo, e metà del mio cuore e metà della mia anima”(31,241).
Stima e gratitudine per i collaboratori
Un altro aspetto non secondario del cuore di Paolo è rappresentato dalla stima e gratitudine verso i suoi collaboratori. Si veda per esempio, nella 2 Corinti, il caso degli incaricati della colletta: li presenta così alla comunità:“ Siano pertanto rese grazie a Dio che infonde la medesima sollecitudine per voi nel cuore di Tito! Con lui abbiamo inviato pure il fratello che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo. Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo” (2Cor 8,16ss).
Anche quando qualcuno ha avuto un passato piuttosto burrascoso[26] , per Paolo è sempre “ un fedele e caro fratello”: “Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore…Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui” (Col. 4,7ss).
In particolare stima e valorizza due sposi, Aquila e Priscilla, affidando loro delicati compiti di evangelizzazione : “Giunsero a Efeso, dove lasciò i due coniugi. Arrivò a Efeso un Giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture. Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio” (At 18,18ss).
S. Paolo li ringrazia pubblicamente, con commosse parole che fanno intuire a quali pericoli si erano esposti per Lui. “Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa”. (Rom.16,3ss )
Anche Don Orione si dimostrava grato verso benefattori e collaboratori. Merita di essere segnalato uno scritto del 7 dicembre 1939 all’Architetto Baciocchi, autore del progetto del Piccolo Cottolengo di Milano. A pochi mesi dalla morte, Don Orione ci lascia il suo testamento spirituale anche in questo delicato campo dei rapporti di collaborazione tra religiosi e laici.. Leggiamo tra l’altro:
“ …Lasciate, dunque, che vi ringrazi di cuore per la intelligenza, lo zelo e il disinteresse che avete portato allo studio del progetto. Apprezzo le vostre giuste osservazioni … Pertanto non posso fare a meno dal compiacermi con Voi, caro signor Architetto e Amico, che un effetto davvero maestoso avete saputo ottenere, pur avendo eliminato tutto ciò che poteva essere superfluo, decorativo. Questa Casa, che sorge per i fratelli nostri più abbandonati, vuol essere povera, ma di una povertà lieta e serena: a ciò Voi avete contribuito, mediante una linea architettonica chiara e gioconda. Ora a me non rimane che pregare il Signore affinché, quanto è stato così sapientemente ideato, possa, al più presto, mutarsi in viva realizzazione” (62,50).
Saper soffrire con chi soffre
Quando Paolo nella lettera ai Romani raccomanderà di “saper soffrire con chi soffre e gioire con chi è nella gioia” (Rm 12, 15) , non fa altro che raccontare la sua sofferta relazione con le comunità cristiane. Con quella di Corinto, in particolare. L’Apostolo, offeso pubblicamente, si allontana da loro per un po’ di tempo. Più tardi invierà una lettera dalle “molte lacrime”. “Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, però non per rattristarvi, ma per farvi conoscere l'affetto immenso che ho per voi” (2Cor 2,1s).
Non nega di aver sofferto, ma ha perdonato e ora vuole aiutare i Corinzi a perdonare all’offensore: “ Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dai più, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte…A chi voi perdonate, perdono anch'io”(2Cor 2,5ss).
Il cuore di Paolo non solo è capace di perdonare ma anche di ridare piena fiducia. Sempre ai Corinti, passata la bufera, scrive: “Dio che consola gli afflitti ci ha consolati con la venuta di Tito.. Mi rallegro perché posso contare totalmente su di voi” .(2Cor 7,3ss).
Un altro caso interessante. La sincera amicizia di Paolo con Barnaba passò un momento difficile allorquando, all’inizio del secondo viaggio, si trovarono in disaccordo nei confronti di Giovanni Marco: “Barnaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco, ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera. Il dissenso fu tale che si separarono l'uno dall'altro” (At 15,37ss).
Si può ragionevolmente dedurre che le cose dovettero poco alla volta evolvere in positivo. Se Marco, col passar del tempo, andò maturando, anche Paolo diventò più flessibile fino al punto di raccomandarlo ai Colossesi: “Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni, se verrà da voi, fategli buona accoglienza” (Col 4,10).
E alla fine della sua vita gli restituisce tutta la stima e la fiducia chiamandolo accanto a sé. Così scrive a Timoteo: “Cerca di venire presto da me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero” (2Tm 4, 9ss).
È il trionfo della carità e della fiducia rinnovata.
Anche Don Orione fu padre paziente e fiducioso accanto a figli spirituali che gli procurarono non poche preoccupazioni.
Un esempio per tutti, un giovane di nome Federico. Don Orione lo conosceva fin da bambino. Ora, cresciuto, si era messo su una brutta strada. I mille problemi che deve affrontare appena giunto in Argentina, non gli impediscono di scrivere una lunga lettera a questo ragazzo inquieto. Con l’unico scopo di “ lenire le sue piaghe con l’olio del buon samaritano.”
“Buenos Aires, il 19 ottobre 1934.
Caro Federico, penso tante volte a te, e m’è fin passato in mente se non avessi fatto meglio a condurti in America insieme con me. Io vengo ad incoraggiarti al bene: io ti amo tanto e vengo in cerca piuttosto delle tue buone qualità che dei tuoi torti… Don Orione non vorrà mai avvelenare le piaghe, ma le vuole lenire con l’olio del buon samaritano. Fede, caro Fede, tu devi voltar pagina: devi ritornare quel bravo figlio che eri un giorno Vedi come ti parlo! Quando tu trovassi le mie lettere troppo severe, potrai gettarle nel fuoco. Ma se senti in esse la voce di chi ti ama, ascoltala, caro Fede” (47,218).
E qualche tempo dopo, con lettera ancor più accorata , Don Orione mentre lo supplica di cambiare vita, lo rassicura del suo costante affetto: “Il tuo stato non mi impedisce di amarti. “Questo ti raccomando, caro mio Fede, che tu umilmente riconosca il tuo passato non sempre buono. Devi pregare, non devi più essere un nottambulo, devi romperla con certe amicizie e compagnie.Poi bisogna levarti dall'ozio, assolutamente. Piuttosto va a fare il facchino al Porto, ma togliti dall'ozio, che è il padre del vizio. Perché non mi scrivi e non mi apri il tuo cuore? Il tuo stato non mi impedisce di amarti e di pregare per te… Io ti abbraccio, caro Federico, nel Signore, e ti conforto e molto spero” (66,69).
Queste ultime parole “Il tuo stato non mi impedisce di amarti ” dicono tutta la sapienza pedagogica di Don Orione e tanto lo avvicinano agli atteggiamenti di forza e amore che abbiamo visto in S. Paolo.
Interesse per i malati e sofferenti
Dalle lettere di S. Paolo ricaviamo sufficienti elementi per dedurre una sua particolare attenzione alla salute degli amici. Forse ricordando la sua personale esperienza di infermità e le affettuose cure ricevute, scrive: “ Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il vangelo; e quella che nella mia carne era per voi una prova non l'avete disprezzata né respinta, ma al contrario mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù.” (Gal 4, 13ss).
Epafrodito, inviato dalla comunità di Filippi, si ammala gravemente. Paolo supplica il Signore per la sua guarigione e lo rimanda guarito a Filippi: “Per il momento ho creduto necessario mandarvi Epafrodìto; lo mando perché aveva grande desiderio di rivedere voi tutti e si preoccupava perché eravate a conoscenza della sua malattia. Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia e abbiate grande stima verso persone come lui; perché ha rasentato la morte per la causa di Cristo, rischiando la vita, per sostituirvi nel servizio presso di me” (Fil. 3,23ss).
È nota la raccomandazione a Timoteo, giovane discepolo dalla salute fragile: “Smetti di bere soltanto acqua, ma fa uso di un pò di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni”. (1Tm 5,23).
Nella 2 Timoteo, l’ ultimo ricordo è per un fratello ammalato: “ Saluta Prisca e Aquila e la famiglia di Onesìforo. Eràsto è rimasto a Corinto; Tròfimo l'ho lasciato ammalato a Milèto” (2Tm 4,19).
Don Orione aveva una cura tutta particolare per i malati.
È giustamente famosa la lettera nella quale descrive come ha celebrato il suo XXV di sacerdozio. “Quel giorno io dovevo passarlo a Bra, nel silenzio e in Domino; ma, la vigilia, mi accorsi che il caro Chierico Viano andava peggiorando, e allora mi fermai a Tortona. La notte la passai presso il letto di Viano…. Venuta l'ora del pranzo, ti dirò come l'ho passata. Viano andava peggiorando, ma era sempre presente a se stesso; da più giorni quel povero figlio, malgrado gli enteroclismi, non aveva avuto più beneficio di corpo, quando, verso mezzodì ebbe come un rilassamento di corpo, e non si fece a tempo, perché anche lui non avvertì a tempo o non se ne è neanche accorto, poveretto!
E allora il chierico Don Camillo Secco che fa da infermiere, e che è forte assai, alzò il caro malato diritto sul letto, e abbiamo cambiato tutto, e il letto e il malato, e così mentre gli altri pranzavano, con dell'acqua tiepida io lo lavavo e pulivo, facendo, col nostro caro Viano, quegli uffici umili sì, ma santi, che una madre fa con i suoi bambini. Ho guardato in quel momento il chierico Camillo, ed ho visto che piangeva. Ci eravamo chiusi in infermeria, perché nessuno entrasse, e fuori picchiavano con insistenza che andassi giù a pranzo; ma io pensavo che meglio assai era compiere, con amore di Dio e umiltà, quell'opera santa, e veramente di Dio; e dicevo tra me: -Oh molto meglio questo che tutte le prediche che ho fatto! E sentivo che mai avevo più sublimemente né più santamente servito a Dio nel mio prossimo, come in quel momento, ben più grande che tutte le opere fatte nei 25 anni di ministero sacerdotale“ (29,116).
Infine, un telegramma fra mille. È del 30 Marzo 1925. Destinatario: Caterina Servetti – Cortona: “Ritardo causato assistenza malato grave. Verrò prestissimo. Confermo, benedicendo”(60.84). L’assistenza ad un ammalato, per Don Orione, ha la precedenza su ogni altro impegno.
Teneri e sensibili fino alle lacrime
Qualcuno potrebbe reputare indecoroso per un uomo, esprimere i propri sentimenti di commozione. A torto. Non la pensavano così S. Paolo e Don Orione, della cui virile fortezza nessuno può dubitare. Eppure, al momento opportuno, essi hanno saputo essere “teneri e sensibili fino alle lacrime”. Del resto si rifacevano come sempre al modello, Gesù, che non si vergognò di piangere sulla sorte di Gerusalemme e sulla tomba dell’amico Lazzaro (cfr Lc. 19,41; Gv. 11,35).
Abbiamo accennato alla lettera “dalle molte lacrime” di Paolo. Ricordiamo ora qualche commovente scena di addio riportata dagli Atti degli Apostoli. Dopo aver parlato a lungo con gli anziani della comunità di Efeso, raccomanda: “Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave” (At 20,31ss).
A Cesarea in casa di Filippo, assistiamo ad una altra scena che “spezza il cuore” di Paolo. [27] Paolo rispose: “Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”. E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: “Sia fatta la volontà del Signore!”(At 21,8ss).
Il pensiero corre spontaneo all’ultima “buona notte” di Don Orione.
Testimoni oculari ci hanno trasmesso in tutti i dettagli l’atmosfera creatasi nella cappella del “Paterno” quella sera dell’8 Marzo 1940.
« Sono venuto a darvi la buona notte... Sono venuto anche a salutarvi, perché a Dio piacendo domani mi assenterò per qualche tempo, per poco o per molto, o anche per sempre, come piacerà al Signore. Nessuno più di me sa e sente che la mia vita benché apparentemente sia, data l'età, florida, nessuno più me sente che la mia vita, che questa vita è attaccata ad un filo e che tutti i momenti possono essere gli ultimi.”
Seguono paterne raccomandazioni e consegne per una vita santa. È il testamento spirituale di Don Orione sigillato dalle sue lacrime di padre, a soli 4 giorni dalla morte. Alla fine conclude: “Dunque addio, o cari figliuoli (si ferma un istante, china il capo appoggiandosi alla balaustra, commosso piange…). Pregherete per me e io vi porterò tutti i giorni sull'altare e pregherò per voi. Buona notte ».
Quasi per tacita convenzione, nessuno si muove dai banchi. Don Orione s'inginocchia e appoggia la testa sulle braccia intrecciate sopra la mensa dell'altare. Si sente un silenzio pieno di commozione: parecchi piangono...Passano alcuni minuti; poi il Canonico Perduca, che aveva in quei giorni predicato agli ordinandi, si decide a pregare un chierico perché chieda al Direttore la benedizione per tutti. Il Direttore si alza, recita un'Ave Maria e benedice con ampio gesto.
“Mi ha amato…”
Se, per concludere, ci chiediamo a quale fonte attingessero Paolo e Don Orione, per un amore così forte e delicato, la risposta ancora una volta ci viene guardando al cuore di Cristo. Il loro cuore batteva così intensamente per i fratelli, perché dilatato dall’amore di Cristo. “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Aveva detto Paolo con tutta la sua vita.
E Don Orione: “Le mie regole voi non le conoscete, ma voi conoscete la mia vita…Un cuore senza confini perché dilatato dalla carità del mio Dio Gesù crocifisso” (102,32).
D’altra parte essi non fanno che ricambiare un amore più volte teneramente sperimentato. Assistiamo qui ad “una reciprocità d’amore” che commuove. [28]
L’Amore di Cristo per l’Apostolo, si fece più volte vicinanza rassicurante nei momenti di prova: “Una notte in visione il Signore disse a Paolo: “Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male”( At 18,9s).
Anche Don Orione ha conosciuto beatificanti momenti di intimità con Lui: “Era una sera, quando sono entrato nella chiesuola del mio paese e posi la testa ai piedi di quel vecchio Crocifisso, che è là, entrando, quando una voce soave e penetrante mormorò vicino al mio cuore: - Gesù è con te! Si aprì come il tabernacolo, e Gesù si mostrò alla povera anima sconsolata e sola ! Gesù è con te! - mormorò vicino al mio cuore il Signore: sono qui ad amarti per tutti.! (69,211).
Da queste esperienze mistiche sgorgava il vigore apostolico di S. Paolo:
“Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1Cor.9,22s).
E di Don Orione: “ Nel nome della Divina Provvidenza, ho aperto le braccia e il cuore a sani e ad ammalati, di ogni età, di ogni religione, di ogni nazionalità: a tutti avrei voluto dare, col pane del corpo, il divino balsamo della Fede…” [29].
È la consegna di Giovanni Paolo II a tutti noi che vogliamo camminare sui passi di Don Orione: “Don Orione ebbe la tempra e il cuore dell’Apostolo Paolo, tenero e sensibile fino alle lacrime, infaticabile e coraggioso fino all’ardimento, tenace e dinamico fino all’eroismo. Mirabile è Dio nei suoi santi…”.
* Don Vincenzo Alesiani, nato a Casebianche (Ascoli Piceno), laureato in teologia e filosofia, è consigliere generale dei Figli della Divina Provvidenza.
[1] Con tale premessa autobiografica, si può intuire che cosa abbia rappresentato per il sottoscritto la frase del Papa: “Don Orione ebbe la tempra e il cuore dell’Apostolo Paolo” (Omelia della messa di Beatificazione, 26 Ott. 1980).
[2] Le citazioni sono tratte da Scritti di Don Orione, ADO, Roma: il primo numero indica il volume (45), il secondo numero indica la pagina (14).
[3] Se non esiste citazione esplicita della lettera a Filemone, è pur vero che Don Orione, almeno una volta, si comportò proprio come S. Paolo nei confronti di Filemone. Scrive a un confratello: “Ti accompagno e presento il mio buon amico don Alfredo Adorni, che vorrai ricevere come se ti giungessi lì io e ancora più… Tutto quello che farai per lui, lo avrò come fatto a me. “ (Scr. 19,6) Si confronti la frase quasi identica di Paolo a Filemone in favore di Onesimo:“ Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso.” (Fm 17). La consonanza anche letteraria risulta sorprendente.
[4] Per semplice curiosità, riportiamo il numero delle citazioni tratte da ogni lettera: Romani: 7 volte. 1-2 Corinti: 10; Galati. 2; Efesini: 8; Colossesi: 2; 1-2 Tessalonicesi: 4; 1-2 Timoteo: 18; Tito: 2; Ebrei: 2; Filemone: 0.
[5] Ben 304 volte solo nei volumi presi in considerazione.
[6] Don Orione scriva il celebre motto paolino in vari modi: Caritas Christi (2) , Charitas Cristi (2), Charitas Christi (31). In totale ben 35 volte.
[7] Come è noto, la frase “e alla morte di croce” è ritenuta da molti studiosi una tipica accentuazione di S. Paolo all’interno di un inno cristologico molto probabilmente prepaolino.
[8] La troviamo, negli scritti presi in considerazione, ben 5577 volte (era nell’intestazione delle lettere!).
[9] Difficile dire a quale passo preciso Don Orione faccia riferimento. Forse, a 2Cor 11,5ss?
[10] cfr. 2Cor. 5,14
[11] Cfr. Efes. 2,10 e Scritti 52, 210.
[12] Si noti la omissione del versetto. La citazione completa è: 2Cor 4,18.
[13] Queste ultime parole di speranza cristiana sono una chiara anche se implicita citazione della lettera ai Tessalonicesi: “Quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro …e così saremo sempre con il Signore”( 1Ts 4,17)
[14] Cfr 1Cor 10,4.
[15] cfr 1Ts 5, 14
[16] cfr. 1Cor 10,4.
[17] “Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine di Don Orione, pp. 173-176.
[18] Annota in proposito Don G. De Luca: ”Ogni qual volta Don Orione parlava di Cristo, il suo cuore innamorato accelerava il battito, la persona gli si animava, le parole prorompevano dal suo labbro o sulla carta tumultuanti, volanti, sonanti, quasi pazze. Accadeva lo stesso a San Paolo nelle epistole…” (Elogio di Don Orione, Roma 1999, pag. 44)
[19] Giovanni Paolo II nell’ Omelia alla Messa di Beatificazione, 26 Ott. 1980.
[20] Si intuisce quanto i due termini “tempra” e “cuore” siano densi di contenuto e di possibili significati. A volte, essi vengono intesi in modo che quasi si debbano escludere a vicenda: chi ha tempra non avrebbe cuore e viceversa. Addirittura da qualcuno, si vorrebbe identificare l’educazione passata all’insegna della “tempra” e quella odierna all’insegna del “cuore”. Con le approssimazioni che si possono intuire e con i pericoli che essa comporterebbe. Pertanto, solo per chiarezza espositiva, le due caratteristiche vengono considerate separatamente. In realtà, sia in S. Paolo che in Don Orione esse sono state sempre compresenti.
[21] Forse agli occhi. cfr. Gal 4,13; 2Cor 12,7
[22] Da discorso confidenziale del 14-8-1934; MA6. 159 SS.
[23] Par. VI,105 ss
[24] Da un discorso del 31 gennaio 1940.
[25] Lettera del 5 - X – 1939; L. II, 552 s.
[26] È il caso di Onesimo. In suo favore Paolo scriverà appositamente la lettera a Filemone.
[27] Si noti l’uso della prima persona plurale (smettemmo di insistere… ). È uno dei cosiddetti “brani noi”. Particolarmente preziosi in quanto testimoniano la presenza di Luca stesso che dunque narra i fatti con la conoscenza ( e l’attendibilità storica!) del testimone oculare.
[28] “Questa reciprocità è la sostanza stessa, l'anima della vita cristiana ed è condizione di ogni autentica vita pastorale.” (cfr. NMI, 32)
[29] Lettere II, 463.