Fu la seconda superiora generale delle Piccole Suore Missionarie della Carità (1942-1957.
Madre Maria Francesca di Paola (Rosa Cecchetti)
di Don Ignazio Terzi
Si parla sovente di "antinomìe" - cioè di contraddizioni ugualmente logiche - nel Cristianesimo. Ci piace vederne una, piuttosto palese, anche nel nostro Fondatore. Egli infatti, quando parla della nostra Congregazione, la definisce soltanto "un pasticcio" e chiama noi, suoi figli, "stracci" e gli ultimi della Chiesa, ai piedi di tutti.
Nello stesso tempo, però, non esita a definire la nostra vocazione a questa sua famiglia religiosa, una "specialissima e grandissima grazia". In realtà, una cosa spiega l'altra, o meglio la determina: ciò che appare più basso agli occhi degli uomini, e si riconosce tale, diventa il più prezioso agli occhi di Dio.
Questa verità appare pienamente compresa e approfondita, meglio ancora "incarnata" nella vita della seconda Superiora Generale, delle Piccole Suore Missionarie della Carità, Madre Maria Francesca, di Paola Cecchetti.
II suo stesso ingresso in religione è assai significativo, così come è stato non di rado narrato da un nostro pio sacerdote Don Opessi, allora rettore della chiesa di Squarciarelli in Grottaferrata (Roma).
Non senza umiltà, egli racconta che, proprio in un giorno in cui maggiormente sentiva, con una punta di scoraggiamento, l'aggravio della vita orionina (di allora!), venne a bussare alla porta una giovane. Era Rosa Cecchetti, che veniva a chiedere consiglio se entrare o no fra le suore di Don Orione: ondeggiava infatti fra vari istituti religiosi.
Spontaneamente il buon sacerdote non seppe che esclamare: «Da Don Orione c'è molto sacrificio!». Sfogo sincero, in quel momento, ma quale non fu l'impressione di quel padre, quando udì la giovane aspirante replicare all'istante: «C'è molto sacrificio? Ma allora entro subito!».
Questa affermazione subitanea rivela un atteggiamento di vita già ben maturato: prontezza generosa a ciò che Dio chiede, non solo anche se costa, ma appunto perché costa.
È la futura Madre M. Francesca non smentì mai questo atteggiamento. Amare grandemente una vocazione ad un Istituto, appunto perché esso è povero, indigente, "scalcinato", se il termine può essere ben inteso.
Rosa Cecchetti aveva allora 23 anni- eravamo nel 1919 -, essendo nata a Grottaferrata il 20 marzo 1896.
Venne accettata dallo stesso Don Orione, il quale, parlando alle consorelle, avrebbe anche predetto che un giorno quella giovane sarebbe stata la loro Madre generale.
Nel 1919 la Cecchetti emette la prima professione: nel 1945 farà la professione perpetua.
Ma già nel 1919 ella risulta Superiora a Tre Mulini di Reggio Calabria; nel 1930 si trova a San Sebastiano Curone (Alessandria), ove rivela quelle qualità che la renderanno idonea alla massima responsabilità.
Sarà infatti Vicaria di Madre M. Pazienza e, nel 1942, verrà eletta dal Capitolo all'ufficio di Superiora generale.
È superfluo osservare come Madre M. Francesca fu chiamata al governo nel momento più delicato della storia delle Piccole Missionarie.
Il Fondatore era morto da poco, mentre ancora perdurava la visita apostolica dell'Abate Caronti. Il Superiore generale Don Sterpi sarebbe, fra non molto, caduto malato e quindi esonerato dal suo ufficio. Soprattutto la situazione politica italiana era terribile: in piena guerra si davano chiare avvisaglie di insuccesso e tra poco sarebbe anche subentrata la dolorosissima guerra civile.
La posizione della nuova Generale veniva anche resa particolarmente delicata nei confronti di Madre M. Pazienza. La stessa presenza del venerato Canonico Perduca, preziosissima da un lato, poteva anche condizionare l'azione di Madre M. Francesca.
Ma essa apparve subito all'altezza del momento storico e conscia della propria responsabilità. Umilissima, paziente e specialmente fiduciosa nell'aiuto di quel Dio cui si era sempre donata incondizionatamente, seppe reggere con generale soddisfazione il grave carico e assicurare la fedeltà alle linee del Fondatore nell'ancor giovane sua famiglia religiosa, che iniziava con lei il suo cosiddetto "periodo critico", come viene normalmente definito, dagli studiosi di vita religiosa, il primo cinquantennio dopo la scomparsa delle persone scelte dalla Provvidenza per avviare le nuove fondazioni carismatiche.
La sua fisionomia spirituale
Per comprendere a fondo la spiritualità e pure l'azione di governo di Madre M. Francesca, conviene forse considerare, quale premessa, il significato del suo stesso nome. Ella non prese la sua denominazione religiosa dal grande santo di Assisi, anche se la devozione verso di lui era quanto mai consona allo spirito dell'Opera e giustificata dalla prima scelta dello stesso Don Orione, francescano presso i Recoletti di Voghera a 13 anni nel 1895.
Madre M. Francesca ripete il nome di San Francesco di Paola, l'umilissimo fondatore dei "Minimi", cioè degli ultimi religiosi nella scala gerarchica della Chiesa, "superiori solo a noi", aggiungeva Don Pensa.
La Madre incarnò di fatto l'umiltà più profonda, che probabilmente fu anche la sua forza nel non facile governo. La sua stessa statura e persona - claudicante e mal sicura - favoriva questo sentimento. Si dice che avesse sempre una speciale predilezione per gli uffici più umili, dei quali andava, per così dire, a caccia.
Materna negli atteggiamenti, realizzava l'evangelico "Beati mites quo-niam terram possidebunt" (Mt. 5,5). Quelli che sono umili sono pure dolci e pacifici e hanno il cuore costantemente inclinato alla misericordia e alla compassione. Non poche suore ricordano con commozione gesti di estrema delicatezza usati dalla Madre M. Francesca nei loro riguardi.
Ma la sua maternità non si rivolgeva solo alle religiose: era parimenti e-spletata verso i poveri dei quali si sentiva e si qualificava autentica "madre".
Significativo in proposito quanto venne posto nella sua lapide, in forma di preghiera: “Ti ha così fedelmente servito, o Signore, negli orfani, nei poveri, nei derelitti. Ricevine l'anima generosa netta pienezza della pace, perché dal Cielo continui a vegliare sulla diletta Famiglia religiosa, che tanto confida per sempre nella sua materna protezione”.
E di lei aveva detto Monsignor Angelo Zambarbieri, nell'elogio funebre tenuto a Tortona, in Santuario, il 29 novembre 1960: «Sotto lo sguardo della Madonna, fu madre per tutte le sue Suore, dotata di tanta prudenza, di carattere mite, di comprensione. Il suo governo fu il governo della bontà e della maternità spirituale e la Madonna, nell'ultimo sabato dell'anno liturgico è venuta a chiamarla, l'ha presa con Sé, l'ha portata al premio eterno».
Un altro aspetto caratteristico della spiritualità di Madre M. Francesca fu il culto della Regola. Essa amava molto la vita comunitaria, ma specialmente nel senso di osservanza comune e di reciproco aiuto nella santificazione.
La sua concezione e la sua condotta suonano smentita a quanti vorrebbero, in nome della cordialità comunitaria, addolcire le esigenze della puntualità, della dipendenza, in una parola, della scrupolosa fedeltà al Regolamento fin nei minimi dettagli, espressioni di un divino Volere.
«L'osservanza - insegnava Madre M. Francesca - mantiene il corpo soggetto all'anima».
Questo culto comportava, nella Madre, quello parallelo del silenzio e del più profondo raccoglimento interiore, rivelatore di un vero amore nostalgico per la preghiera.
«Il silenzio - ancora insegnava alle sue figlie - è necessario alla preghiera e non è un isolamento dagli altri. L'anima, pronta ai richiami della grazia, come sente la voce misteriosa di Dio, acuisce pure la sensibilità e capacità per comprendere le anime dei fratelli. Nel silenzio scende come pioggia la grazia celeste!».
Madre M. Francesca spiccava in particolare per una specialissima devozione alla Madonna, che ella incontra nella preghiera e nella meditazione, per non dire, meglio, nella contemplazione e nelle sofferenze.
Le malattie e le contrarietà l'avvicinano sempre più a Dio e alla Sua Celeste Madre.
Come insegnano tutti i grandi maestri - tesi sviluppata recentemente dal P. Juan Arintero Gonzales nella sua "Evolucion mystica" - la devozione a Maria, quando è vera, è inseparabile da quella eucaristica. Qui appunto si rivela la realtà del noto adagio "Caro Christi, caro Mariae!" e di quella reciprocità che si manifesta palesemente a Lourdes, ove Maria opera sempre le sue miracolose guarigioni durante le processioni eucaristiche.
Riferisce Suor M. Confidenza che - ai tempi dell'immediato dopoguerra, quando i figli dell'Opera erano letteralmente accampati negli edifici fatiscenti della Camilluccia - sul Monte Mario di Roma - per sovvenire alle necessità di tanti orfani e bambini sbandati - fungeva ivi da superiora, mentre era direttore l’allora Don Cornelio Chizzini, poi Vescovo di Tocantinòpolis (Brasile). Una consorella era assai malata, e Suor M. Confidenza rilevava, con Madre M. Francesca, superiora Generale in visita alla Casa, la difficoltà di accudirla come di dovere, in mezzo a tanti impegni sobillanti in quel caos. La Madre non perse affatto la calma abituale, fece un "crocino" alla buona superiora e all'inferma, aggiungendo semplicemente, ma senza esitazione: «Guarirà». E così fu di fatto e molto rapidamente, oltre ogni previsione.
Se vogliamo, a modo di conclusione, tentare una sintesi, che colga nel fondo la fisionomia spirituale della Madre, potremmo trovarla in una "pronta e costante disponibilità a fare sempre e solo la Volontà di Dio".
C'è sicuramente in lei un elevato senso della Provvidenza, che non solo pensa al povero e al suo materiale soccorso, ma pure prepara e dispone gli eventi, anche minimi della nostra vita, per disporci ognor più alla Divina unione.
La Madre ebbe sempre il cuore tutto acceso d'amor di Dio, ma non solo a livello sentimentale, quanto più in chiave di donazione ferma e risoluta, malgrado ogni difficoltà, ansiosa solo di testimoniare, con le prove e le croci più trafiggenti, la fedeltà alla sua generosa consacrazione allo Sposo celeste.