Il Decreto ufficiale con cui i due orionini spagnoli, morti il 3 agosto 1936 sono stati riconosciuti "martiri".
VALENTINA
Beatificationis seu Declarationis Martyrii
Servorum Dei RICHARDI GIL BARCELÓN
et ANTONII ARRUÉ PEIRÓ
ex Congregatione Parvi Operis a Divina Providentia
(† 1936)
Si veda anche: I beati martiri Ricardo Gil Barcelón e Antonio Arrué Peiró
Super Martyrio
«Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,17-19).
Nella prima metà del XX secolo, la Spagna fu fortemente condizionata da una politica esplicitamente anticristiana che, attraverso leggi discriminatorie e interventi aggressivi, mirò al completo annientamento della Chiesa cattolica nella Nazione iberica. Sistematicamente, aderenti ai movimenti anarco-marxisti incendiarono conventi, distrussero chiese e immagini sacre, rivolsero accuse pretestuose a sacerdoti, consacrati, religiose e laici, per denigrarli agli occhi della popolazione e poterli massacrare impunemente.
Anche la Chiesa valenzana fu colpita dal fenomeno persecutorio che comportò l’uccisione di numerosi membri del clero, suore e laici. In tale contesto si collocano gli eventi martiriali dei Servi di Dio Ricardo Gil Barcelón, sacerdote della Piccola Opera della Divina Provvidenza, e Antonio Arrué Peiró, postulante della medesima Congregazione.
Ricardo Gil Barcelón nacque a Manzanera di Teruel (Spagna) il 27 ottobre 1873, in una famiglia di nobili origini e benestante. «La mamma mi ha insegnato a pensare ai poveri» – scriverà più tardi il Servo di Dio – «ad avere un cuore grande, a guardare lontano»: manifesterà, in tal modo, la sua formazione cristiana ricevuta in famiglia e la sua sensibilità verso i più bisognosi. Nel 1885 entrò in seminario. Quindi si iscrisse alla Scuola Normale di Teruel per diventare maestro; ma ne fu espulso per diversi scontri verbali con il Direttore che, aderente alla massoneria, non perdeva occasione per deridere la fede e la Chiesa: per il giovane Ricardo la difesa della verità fu un valore più grande degli interessi personali. Svolse il servizio militare nelle Filippine, dove, durante un’azione della guerra ispano-americana, si trovò in grave pericolo di vita. In quel periodo compì gli studi teologici e fu ordinato sacerdote il 24 settembre 1904.
Pochi mesi dopo, per motivi di salute e per il desiderio di maggior radicalità evangelica, chiese e ottenne dai Superiori di poter tornare in Spagna; si stabilì inizialmente presso il seminario di Valenza, per ritirarsi successivamente in un eremo e occuparsi del servizio ai poveri e ai bambini bisognosi. In costante ricerca del proprio itinerario vocazionale, si accostò ai Padri Domenicani, poi si avvicinò ai Terziari Cappuccini, infine tornò alla vita eremitica. Dall’aprile al luglio 1909, con il desiderio di meglio comprendere la volontà del Signore su di lui, il Servo di Dio, a piedi e chiedendo elemosina, si recò in pellegrinaggio a Roma.
Qui, nel febbraio 1910, incontrò San Luigi Orione, Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, che lo invitò a far parte della nuova Congregazione. Nell’esperienza orionina P. Ricardo trovò la realizzazione del suo progetto di vita. Nel 1912 emise i voti temporanei; quindi, dopo un periodo in alcune sedi italiane, fu inviato dal Fondatore a Valencia, con il mandato di aprire la prima casa in Spagna. Trovati dei locali disponibili, li predispose per offrire ricovero a poveri e malati, e contemporaneamente, nella penitenza e tra grandi sacrifici, esercitò con esemplare zelo il ministero sacerdotale. Fu in questo contesto che, nel 1931, accolse come postulante il giovane Antonio Arrué Peiró, che divenne suo valido collaboratore.
Antonio Arrué Peiró nacque il 4 aprile 1908 a Calatayud presso Zaragoza (Spagna) in una famiglia di modeste condizioni economiche. Frequentò per qualche anno la scuola e dal padre imparò l’arte di intagliatore del legno. Presto perse la mamma e una sorella; poi, nel 1926, divenne orfano anche del padre. Tutti questi lutti, l’abbandono dei parenti e lo sradicamento dalla propria terra - dovette trasferirsi a Zaragoza - gli procurarono un periodo di depressione. Antonio venne addirittura ricoverato in un ospedale psichiatrico dal quale per due volte fuggì. «Non sono pazzo» – confidò ad uno zio – «non voglio stare là dentro. Fuggirò ancora, andrò lontano e mi farò missionario».
A ventitre anni, nel 1931, incontrò P. Riccardo, che lo accolse nella sua casa di Valencia. Accompagnava P. Ricardo alla chiesa di Nuestra Señora de los Desamparados e al ricovero dei tubercolotici, dove nessun sacerdote voleva andare a celebrare la Messa. La vita era dura e austera, ma ricca di carità. Con il trascorrere dei mesi, Antonio iniziò sempre più chiaramente a dimostrare ciò che era: non una persona confusa e senza meta, ma un giovane serio, lavoratore, di poche parole. Desiderava di entrare nella Congregazione Orionina, ma il progetto non potette concretizzarsi a causa dei disordini politici che nel frattempo erano iniziati e che si facevano sempre più preoccupanti. Antonio perseverò in una specie di noviziato domestico, caratterizzato dalla vita di pietà e di dedizione al prossimo, prodigandosi a soccorrere le schiere di poveri che ricorrevano a lui con fiducia.
Il martirio dei Servi di Dio si inserisce in questa vicenda di persecuzione alla Chiesa Cattolica che andava progressivamente sviluppandosi in tutto il territorio spagnolo. Tenuti d’occhio dai miliziani comunisti e anarchici, il 1 agosto 1936 i due orionini, nonostante le proteste della gente che li stimava, furono arrestati con la falsa accusa di custodire delle bombe. In quel momento, Antonio si trovava da vicini, dove era andato per prendere dell’acqua. Saputo che P. Ricardo era in pericolo, rifiutando l’invito a nascondersi e a fuggire, corse verso casa per rendersi conto di persona come stesse il religioso che tanto l’aveva aiutato. I miliziani li prelevarono tutti e due, conducendoli su un automezzo. I Servi di Dio furono condotti a El Saler, una spiaggia presso Valencia. Fu loro chiesto di inneggiare al movimento anarchico internazionale se avessero voluto salva la vita; ma P. Ricardo, alzando il crocifisso, gridò “Viva Cristo Re!”. Come risposta venne immediatamente fucilato, con un colpo alla nuca. Antonio si precipitò a sostenerlo, mentre, morente, si accasciava a terra. Un miliziano, allora, si diresse verso di lui e con il calcio del fucile lo colpì violentemente, fino a fracassargli il cranio. Era il 3 agosto 1936.
La morte dei Servi di Dio fu ritenuta un autentico martirio da quanti li conoscevano. In forza di questa fama, presso la Curia ecclesiastica di Valencia, dal 1962 al 1972, fu istruito il Processo informativo, cui fece seguito l’Inchiesta diocesana suppletiva, istruita presso la medesima Curia, il 26 febbraio 1999: la loro validità giuridica è stata riconosciuta da questa Congregazione delle Cause dei Santi con decreto del 19 novembre 1999. Preparata la Positio, si è discusso, secondo la consueta procedura, se la morte dei Servi di Dio possa essere ritenuta un martirio. Il 28 settembre 2010 con esito positivo ha avuto luogo il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi. Nella Sessione Ordinaria del 29 ottobre 2012, presieduta da me, Cardinale Angelo Amato, i Padri Cardinali e Vescovi hanno riconosciuto che i suddetti Servi di Dio furono uccisi per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa.
De hisce omnibus rebus, referente subscripto Cardinale Praefecto, certior factus, Summus Pontifex Benedictus XVI, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de martyrio eiusque causa Servorum Dei Richardi Gil Barcelón et Antonii Arrué Peiró, ex Congregatione Parvi Operis a Divina Providentia, in casu et ad effectum de quo agitur.
Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit.
Datum Romae, die 20 mensis Decembris a. D. 2012.
ANGELUS Card. AMATO, S. D. B.
Praefectus
+ MARCELLUS BARTOLUCCI
Archiep. tit. Mevaniensis
a Secretis