Relazione tenuta al Convegno del Movimento Laicale Orionino, il 9 ottobre 1997.
LA MOBILITAZIONE DEL LAICATO NELLA CHIESA ITALIANA DI FINE '800:
TRATTI CARATTERISTICI DI DON ORIONE
Prof. Pietro Borzomati[1]
Don Luigi Orione è stato un grande protagonista della Chiesa, della società italiana e del mondo per l’originalità delle sue scelte spirituali, delle intuizioni per un servizio efficace, per un coinvolgimento del laicato nell’opera di carità da lui proposta ed attuata.
L’analisi dei suoi scritti e del suo impegno sociale e religioso offre piena conferma e, nello stesso tempo, pone in luce un vigoroso rapporto tra spiritualità e azione, una spiritualità prevalentemente cristologica che ha vivificato il suo “servizio” caratterizzato da un’azione che era pietà, la pietà di un contemplativo itinerante che amava vigorosamente Dio, per consuetudine di amore. È certo, comunque, che la sua opera era frutto di straordinaria pietà e, s’intende, di eccezionale capacità organizzativa.
La vita di Don Orione[2] pervasa di spiritualità e pietà costituì un punto di riferimento e nello stesso tempo un richiamo per ecclesiastici e laici al valore del rapporto intenso con Dio, condizione indispensabile per il felice esito dell’azione nel mondo e per non cadere nella tentazione di giovarsi di quell’opera per trarne profitti personali od egemonici.
Una metodologia etica e pastorale
Nella tormentata storia della Chiesa e del movimento cattolico tra ‘800 e ‘900 la testimonianza del prete di Tortona rappresentò una sorta di metodologia etica ed operativa che assicurò successi, a volte notevoli, sgombrando il campo da possibili equivoci a proposito, ad esempio, dell’azione nel mondo che, da parte dei cristiani, non è filantropia, ma donazione totale e autentico servizio ai fratelli. È ovvio che su queste posizioni si sono attestati altri protagonisti di santità “sociale” (ad esempio Di Francia, Don Bosco, Scalabrini, Cusmano) che non persero mai di vista le loro scelte spirituali ed attesero ad una vigorosa contemplazione per vivificare il loro impegno nel mondo: impegno caritativo, pastorale, sociale.
Don Orione, a mio giudizio, si colloca in questa schiera di santi “sociali”.[3] Egli sceglie il vasto mondo degli emarginati riuscendo ad essere realmente povero tra i poveri, alla ricerca del volto di Cristo nei derelitti. È ovvio che quel suo “servizio” è stato un messaggio ricco di fascino per le comunità ecclesiali, particolarmente per preti e laici per le varie istituzioni del movimento cattolico, poco sensibili ad attuare programmi di promozione umana ed, a volte, più impegnati in inefficaci proteste per la questione romana ed in dibattiti non di rado sterili.[4]
L’opera delle nuove congregazioni religiose e di protagonisti come don Orione, nonché delle associazioni del laicato promosse dagli Istituti di vita consacrata, diversi dai tradizionali “Terzi Ordini”, è stata quanto mai precisa e concreta, ieri come oggi.[5]
Non sono da sottovalutare, infatti, quelle iniziative promosse, soprattutto nei centri minori od isolati (a volte per mancanza di vie di comunicazione), a favore in particolare degli orfani, dei poveri, degli handicappati e di quegli emarginati dimenticati, a cui né gli organismi preposti all’assistenza degli enti pubblici e quelli ecclesiali prestavano la dovuta attenzione. Don Orione si è mosso, sempre speditamente in questa direzione, accentuando, ad esempio, quella scelta degli “ultimi” per realizzare il progetto di Dio, segno inequivocabile di efficacia e di autenticità.
Gli “ultimi” sono anche i nobili ed i notabili decaduti, le masse popolari coinvolte nei grandi processi di urbanizzazione e tecnologiche che portano alla perdita della fede e dell’identità, il sottoproletariato reso schiavo dal padronato, gli emigranti che definiva “tanto cari e tanto amati” e, poi, gli orfani, i deficienti, i minorati e quelli che egli chiamava “i rifiuti della società”. Un programma assai nutrito dalle prospettive affascinanti, che non potevano non suggestionare quelle anime desiderose di perfezione, protese a realizzare nel mondo una testimonianza realmente cristiana, fedele al Vangelo, in sintonia con le esigenze della gente.
Si coglieva, poi, nelle sue esortazioni l’ansia - come scriveva - di “camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l’abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa”.[6].
È, questa, una lezione di metodologia pastorale. Io, non da pastoralista ma da storico, vedo importante il fatto che il prete di Tortona partecipasse alla vita sociale perché non vi fossero remore di sorta all’annuncio della Parola di Dio, usando comportamenti coraggiosi e tattiche operative efficaci per “camminare alla testa”, con il proposito di evitare il pericolo di insanabili fratture, diceva, "tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa".
La visione dell' "Instaurare omnia in Christo"
La varietà degli interessi apostolici e sociali di don Orione, ma soprattutto le sue proposte operative, la scelta degli emarginati pervasa d’amore sviscerato e senza limiti, erano scaturite dalla sua spiritualità. Lo si coglie nei suoi scritti e nelle sue opere.
Furono modi di vita e nello stesso tempo autentica catechesi che letteralmente coinvolsero credenti e non credenti (ad esempio il Tomaso Gallarati Scotti, Ernesto Buonaiuti, la contessa Sofia Spalletti, Boggiano Pico, Ignazio Silone[7] e tanti altri) nel suo progetto d’amore. Come infatti, non apprezzare pagine di alta spiritualità od affermazioni, ad esempio, sulla “solitudine senza Dio” che “farà riposare lo spirito, ma inasprisce il cuore”?[8]
Ed era altresì, noto il suo cristocentrismo, il suo ripetere martellante e convinto che Cristo è il Maestro, che cammina sulle acque limacciose di questo mondo e che “soffrire, tacere, pregare, amare, crocifiggersi e adorare. Lui è pace di cuore”.[9]
Era realmente povero, significativamente, ha scritto: “Non siamo di quelli che seguono Gesù fino allo spezzare del pane” andiamo “sempre avanti fino a bere il calice della Passione, se vogliamo avere parte con Cristo”.[10]
La coerenza dei cristiani senza riserve, nella testimonianza del Gesù povero, del Gesù della Passione, con l’esempio di totale donazione, sono stati patrimonio della sua vita interiore e scopo del suo “servizio”. Auspicava quella che egli chiamava una “unificazione spirituale di tutto il mondo sotto la Croce”[11] che avrebbe potuto realizzarsi non con “una spiritualità tisica” e, tantomeno, senza “quella vera vita di fede e di Cristo in noi, che è insita in sé tutta l’aspirazione della verità e al progresso sociale; che penetra tutto e tutti, e va sino ai più umili lavoratori”.[12]
Ecco, la lezione per la mobilitazione del laicato che si ricercava ai tempi del vescovo Bandi, a fine '800 e inizio '900, sta qui!
E’ chiaro che don Orione con queste affermazioni ha voluto chiarire ulteriormente che nessun impegno nel mondo sarebbe stato possibile senza imitare Cristo che vivifica le aspirazioni alla verità ed al progresso sociale, coinvolgendo nell’azione tutti i protagonisti maggiori e minori, dotti e meno dotti. Fede e piena sintonia con il Maestro si sarebbero ottenuti con la contemplazione, la pietà, la carità.
Il prete di Tortona, del resto, ha affermato: “avremo un grande rinnovamento cattolico se avremo una grande Carità”[13]; nello stesso tempo chiariva. “noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità grande e divina”.[14]
Questi ed altri suoi scritti, le sue realizzazioni, l’azione indefessa costituivano qualcosa di eccezionale, a volte una novità in una Chiesa ed in un movimento cattolico che pratica quasi sempre la promozione umana più per protagonismo e meno per ragioni eminentemente spirituali e di pietà. Don Orione esigeva dai suoi figli spirituali “un addio per sempre alla vita del mondo” e la “rinunzia a tutti gli interessi di quaggiù”, di divenire realmente poveri “per amore di Gesù Cristo, il quale è il nostro divino esemplare, ed egli nacque povero: visse povero: povero morì sopra di una croce, privo anche di un po’ d’acqua”.[15]
Sono concetti, questi, espressione di fascino sia pure con parole diverse da altri protagonisti di santità, che furono condivisi e realizzati in apposite opere, e soprattutto dopo il Vaticano II dalle associazioni di volontariato e tuttora costituiscono la “radice” di tanti successi
Ma, a questi traguardi si è giunti oggi, dopo quelle nobili esperienze di vero servizio delle anime consacrate. E qui c’è da fare la storia degli Istituti di vita consacrata e di quel laicato cattolico che non era solo quello dell’Opera dei Congressi, ma era anche di quei gruppi di laici catechisti che stavano attorno ai missionari in Africa, di quel laicato cattolico che seppe coniugare spiritualità e azione, sulla scia di insegnamenti e testimonianze di personalità come ad esempio don Orione, don Guanella, la Cabrini, per cui attivismo e contemplazione erano in continuo ricambio, disprezzare il mondo, ma operare per i fratelli del mondo.
Don Orione, del resto raccomandava che la pietà “fosse una vera vita interiore, una religiosità profonda, una vera coscienza individuale cristiana e retta".[16]
Il laicato cattolico dalla "resistenza" alla "riconquista" sociale
Il pensiero e l’opera del Beato avevano una particolare connotazione per l’impegno sociale, che, come si è detto, scaturiva dalla spiritualità e pietà che caratterizzavano la sua vita. Aveva una ricchezza interiore che lo indusse a scelte coraggiose, ad esempio, nella tutela degli interessi dei lavoratori. Indubbiamente - come si evince da uno studio di don Flavio Peloso[17] - ebbe una parte importante sulla sua formazione sociale l'influsso esercitato dal Vescovo di Tortona Mons. Igino Bandi, negli anni in cui don Orione era chierico e giovane prete. È ovvio che quella esperienza del giovane don Orione ha avuto un suo “peso” anche nella scelta del “servizio” ai poveri e nella promozione della Piccola Opera della Divina Provvidenza: preti, suore, fratelli quel gruppetto mistico degli eremiti di frate Ave Maria e delle cieche contemplative.
Bandi nel 1894 invitava con forza ad uscire “di sacrestia, per salvare la famiglia e la società, coll’organizzarci insieme, clero e laicato, ad un’azione concorde e ristoratrice per mezzo della Cattoliche Associazioni, della Cattolica Educazione e Istruzione, e della buona stampa”.[18]
Il magistero di Mons. Bandi, le sue prime esperienze a Tortona con l’oratorio festivo, il primo collegio fondato da lui chierico di 21 anni, costituiscono il primo approccio ad una dolorosa realtà sociale intessuta di prepotenze del padronato, sfruttamento anche dei minori, diffusa sfiducia del proletariato anche per l’inerzia dei sacerdoti.
Queste iniziative del vescovo di Tortona e di don Orione, sono per molti aspetti in sintonia con quel grande movimento del laicato cattolico che era l’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici. Si tratta di una grande mobilitazione del laicato per difendere i valori e costumi cristiani e per propugnare tutti insieme i diritti sacrosanti della Chiesa, del Papato e gli interessi sociali e religiosi degli italiani. L’Opera ebbe un buon successo nelle regioni del Nord Italia; ma quasi niente nell’Italia Centrale e Meridionale, malgrado le sollecitazioni dell’Episcopato. E’ vero, comunque, che l' Opera dei Congressi, per molti aspetti, è stata voluta e sostenuta più dalla base che dalla gerarchia. E’ un Movimento nato più dal basso che si scelse la strada più idonea per dare prova di lealtà al Papa ed opporsi alle iniziative contro la Chiesa attraverso congressi e associazioni nazionali diocesani, parrocchiali, facendo fiorire iniziative d'ogni tipo, religiose, culturali, sociali, economiche.
E' un passaggio storico durante il quale non sono più i "prìncipi" a sostenere la Chiesa e la sua missione, ma si mobilita il laicato. Nella Chiesa italiana si afferma prima un atteggiamento di "resistenza" e poi di "riconquista" sociale, attraverso opere di formazione e di educazione, asili, scuole, casse rurali, cooperative di consumo, giornali, sottoscrizioni per l’obolo di San Pietro per assicurare al Pontefice mezzi per le sue opere di carità e altre iniziative. L’Opera dei Congressi scelse questa via fruttuosa per opporsi allo stato laicista, agli anticlericali, alla massoneria, piuttosto che fermarsi ad una protesta sterile, a manifestazioni piazza.
I governi e le forze dell’ordine giunsero a considerare le processioni, i pellegrinaggi e sin le opere educative e caritative come “iniziative eversive dei clericali per turbare l’ordine pubblico”. In una relazione di un Prefetto troviamo che questi considerava pure i "Paggetti del SS. Sacramento" (i bambini della prima comunione) una iniziativa eversiva dei clericali per turbare l'ordine pubblico.
Era ovvio che questo movimento cattolico fu per sua natura "papale", in quanto ebbe il pieno sostegno della Santa Sede e dei Vescovi. Esso ha felicemente contrastato i liberali e conquistato prima le "piazze" e poi i "municipi" con le elezioni amministrative. Tutto ciò portò anche ad una "devozione al Papa", ad una "pietà papale", incentrata sull'unità ecclesiale e sul suo centro visibile, il Papa.
Il prete di Tortona, Don Orione, a differenza dei dirigenti della grande organizzazione intransigente del laicato e a differenza dei cattolici dell’Italia settentrionale, non si lasciò condizionare dalle forti prevenzioni nei confronti della Chiesa del mezzogiorno.[19] Tanto è vero che, nel 1898, quando aveva 26 anni, don Orione promosse un’opera destinata all’assistenza e alla formazione dei figli del popolo in Sicilia, a Noto.
Due grandi fondatori, don Bosco e don Orione, andarono nel Mezzogiorno. Don Bosco andò a Savorato, in Calabria, e altrove; Don Orione andò in Sicilia, a Noto e poi a Messina. Mentre Don Bosco è stato un po’ riluttante nell’accettare i modi e le consuetudini del Mezzogiorno, Don Orione fu più aperto, andava vestito con il 'robbone alla siciliana', come ricordò un'alto Ecclesiastico, durante il processo della sua causa di beatificazione.[20] Tutto ciò rientra in uno 'spirito', in un 'progetto', spirituale prima che organizzativo, caratteristico di Don Orione.
Atteggiamenti e linee di azione
Il 'progetto' di Don Orione è mirabilmente delineato nel suo Piano e programma della Piccola Opera della Divina Provvidenza, presentato al Vescovo, Mons. Bandi, in vista della approvazione della sua Fondazione.[21] E' un autentico trattato, capolavoro di dottrina sociale cristiana, ricco di intuizioni operative interessanti ed efficaci. Tutto è finalizzato “a portare un ordine perfetto nell’umana società e riuscire alla divina gloria“, “realizzando la carità, in special modo con lo stendere fraternamente la mano e il cuore alle classi del proletariato, ai poveri operai, ai più umili e più infelici”.[22]
Propositi nobilissimi e di grande solidarietà, alimentata dall’amore sconfinato per gli emarginati tra i più emarginati del mondo; realizzare “ la carità - ha scritto don Orione - in special modo con lo stendere fraternamente la mano e il cuore alle classi del proletariato, ai poveri operai, ai più umili e più infelici”.[23]
Egli si poneva su una posizione sostanzialmente diversa da quei progetti filantropici, sia pure validi, delle molte istituzioni soprattutto civili perché vivificava il “servizio” agli emarginati con atti di vero amore, offriva col cuore, si chinava con gesti di grande carità dinanzi a coloro che da tutti erano abbandonati, perché in essi trovava Cristo. È stata, la sua opera, un esempio ed un richiamo per i credenti, le associazioni del laicato cattolico, le Pie Unioni, per i movimenti sindacali, ai valori dello spirito in cui erano insiti quei gesti di amore animati da Dio, che è Amore.
Non deve destare meraviglia se Egli, ad esempio, inviti i lavoratori delle risaie alla riscossa, adottando termini ed espressioni tipiche dei proclami sindacali, come ad esempio “Proletariato della risaia, in piedi”, “non lasciatevi sfruttare dal caporalato”, “riunitevi contro i crumiri”, alcuni padroni sono “sfruttatori indegni”.[24]
Un linguaggio inusuale nel mondo cattolico, considerato anzi rivoluzionario, eversivo, quasi che le logiche dei benpensanti o di alcuni padroni dovessero prevalere nella Chiesa accentuando uno scarso interesse per i lavoratori schiavizzati dai datori di lavoro. Don Orione si attesta su posizioni diverse ed incita i lavoratori alla riscossa, con queste espressioni “nel nome di Cristo, che è nato povero, vissuto povero, morto povero”.[25] Cristo è testimoniato dal prete di Tortona con atti e parole non mutuati da gesti o linguaggi diplomatici untuosi, curiali, clericali, non evangelici. Offre speranza e sostegno: “vi difenderemo in tutto ciò che è giusto” ed “ogni schiavitù si deve abolire: ogni servaggio deve finire, e finire per sempre”.[26]
L’appello è del 1919, un anno particolare, di crisi economico e sociale, in un inquieto dopoguerra dove l’incertezza soprattutto politica comprometteva ogni tentativo di evoluzione in Italia e nel mondo. Don Orione era convinto che la dottrina sociale cristiana e l’azione di cattolici negli enti centrali e periferici dello Stato fossero indispensabili per rendere giustizia al proletariato e non esitava, quindi, a spingere all'impegno sociale quei cattolici, più sensibili ad alleanze, ad atti di sudditanza con il notabilato o che ritenevano che fosse sacrilego l’adottare termini o metodi di lotta dei partiti dei lavoratori o delle organizzazioni sindacali, quasi che profanassero la vita della Chiesa e del laicato cattolico.
In questo contesto si comprendono le sue teorie per una vera valorizzazione della donna (“noi cattolici - ha scritto negli anni venti - abbiamo trattato il femminismo con una leggerezza deplorevole")[27] Sin dal 1898 non esitò a promuovere una colonia agricola a Noto, in Sicilia, guardandosi bene dal promuovere certi giudizi molto severi sul Mezzogiorno e le Chiese meridionali sulla scia di una consolidata tradizione intrisa di pregiudizi. Mai ha mancato, in tempi non sospetti, di esprimere sentimenti di lealtà alla sua patria convinto dell’efficacia dell’unità dell’Italia, specificando, comunque, che “tutto il mondo è patria”.[28]
Per essere "santi della salute sociale"
Don Orione è stato, ed è, maestro di santità per i laici.[29] Egli stesso si è augurato, significativamente, che la santità “non appartenga solo al culto dei fedeli, né stia solo nella Chiesa, ma trascenda e getti nella società tanto splendore di luce, tanta vita di amore di Dio e degli uomini di essere più che i santi della Chiesa i santi del popolo e della salute sociale”.[30]
E' chiaro quindi che il messaggio di don Orione, e di altri protagonisti anche laici della Chiesa, mi riferisco a Federico Ozanan e a Contardo Ferrini ad esempio, ha una sua pregnante attualità in quanto offre ciò che oggi si vuole, e cioè una risposta più consapevole e incisiva alla dissociazione tra vangelo e cultura nella società.
Oggi si richiede un coinvolgimento di tutto il popolo di Dio che sia espressione di attualità evangelica e di vera comunione. E’ necessario un grande investimento di fede, di spiritualità e di intelligenza. Si tratta non tanto di protestare contro i 'mali della società', ma di offrire un contributo per la soluzione dei grandi interrogativi dell’esistenza e per il rinnovamento etico della convivenza civile. Oggi come nell’800 è il momento di cambiare, è il momento di dialogare e di collaborare per la ricostruzione morale delle società nazionali e internazionale con contributi di riflessione e di fede vissuta e pensata, cogliendo appieno le reali esigenze della gente e valorizzando non a parole il ruolo del laicato cattolico nella Chiesa. Diversamente si rischia un cattolicesimo disincarnato dalla verità e una vita distaccata dall’etica.
Nella attuale crisi della società vi è spazio per il nostro operare di cattolici. La lezione della storia è importante. Non bisogna perdere di vista i segni dei tempi, ce lo sentiamo ripetere spesso. Bisogna tenere conto delle reiterate esortazioni di Giovanni Paolo II sulla necessità della contemplazione e della spiritualità per una efficace azione nel mondo.
Con il Vaticano II tutti i cristiani, senza distinzione di ruolo, hanno il compito di annunciare il Regno e di incidere nella società con il servizio e non per egemonia. Non dobbiamo rinunciare alla scelta religiosa, come si era pensato in qualche luogo e in qualche momento di sbandamento. Dobbiamo impegnarci nella promozione umana non perdendo mai di vista - e lo dico con forza in questo convegno internazionale che si tiene a Roma, sede di Pietro, città universale - il Papa e la Chiesa "veramente cattolica, nata non a dividere, ma ad unificare in Cristo e a dar pace agli uomini".[31]
[1] Professore di storia all'Università per stranieri di Perugia, Consultore della Congregazione per le Cause dei Santi. Relazione tenuta al Convegno del MLO, il 9.10.1997.
[2] Per una conoscenza della letteratura orionina si veda Bibliografia orionina, a cura di A.Belano, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1997. Tra gli studi di carattere storico segnaliamo: AA.VV., Don Orione "un uomo dal popolo per il popolo". Atti del convegno internazionale di studi di Alessandria, 10-11 marzo 1988, Maxmi editrice, 1989. AA.VV. La figura e l'opera di Don Luigi Orione (1872-1940). Atti dell'incontro di studio tenuto a Milano il 22-24 novembre 1990. Ed. Università Cattolica del S.Cuore - Vita e Pensiero, Milano, 1994. PAPASOGLI G. Vita di Don Orione, (IV ed.), Gribaudi, Torino, 1994. POSTULAZIONE PICCOLA OPERA DELLA DIVINA PROVVIDENZA, Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. I. 1872-1892; II. 1893-1900; III. 1901-1903; IV. 1903-1908; V.1909-1912. Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma (pubblicazione in corso). Nella collectanea Don Orione nel centenario della nascita, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1975, si segnalano i contributi di TERZI I. Il momento storico in cui operò, p.29-36; e Il messaggio di Don Orione nella sua genesi storica, p.147-155; DEL MONTE A. La scelta sociale di Don Orione, p.92-100; LAZZATI G. Il carisma di Don Orione e l'ora dei laici, p.156-167. PELOSO F. Don Orione, un vero spirito ecumenico, Ed. Dehoniane, Roma, 1997.
[3] G.Butturini individua così la peculiarità dell’azione di Don Orione: “Due grandi idee lo sorreggono. Portare soccorso a quelli che il mondo e la Chiesa stessa rifiutano; servirsi degli organismi di soccorso e di sicurezza istituiti dallo Stato per andare più avanti di loro, per umanizzarli”, in Breve storia della carità. La Chiesa e i poveri, Gregoriana editrice, Padova, 1989, p.139.
[4] Del fascino esercitato da Don Orione parla Giovanni Paolo II nella sua Lettera indirizzata al Movimento Laicale Orionino: "Il suo fascino spirituale colpì tanta gente durante la sua vita e continua ancor ora a suscitare ammirazione ed interesse" in L'Osservatore Romano, 12.10.1997, p.4.
[5] E' giusta l'osservazione di A.Monticone: "Don Bosco, il Cottolengo, il Cafasso, don Orione, Giacomo Cusmano, Bartolo Longo, Annibale Di Francia e tanti altri, dal Piemonte a Palermo, da Genova a Messina, a Pompei, preti e laici recuperano valori e motivazioni cristiane per affrontare, ad un livello forse popolare e forse con maggiore libertà, il difficile rapporto tra fede e mondo moderno. Nel loro impegno non intaccarono certo il quadro dominato dal conflitto Chiesa e cultura liberale, ma riannodarono alla base spaccature e ferite", in Annibale Maria di Francia (a cura di P.Borzomati), Sciascia Editore, Caltanisetta-Roma, 1993, p.15.
[6] Don Luigi Orione, Lettere, Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1969, vol. I, p.251.
[7] Si veda la splendida parabola pedagogica descritta dal Silone nel capitolo autobiografico “Incontro con uno strano prete”, in Uscita di sicurezza, Vallecchi, Firenze, 1965, 25-52.
[8] Don Orione. Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine, (I Triangoli), Ed. Piemme, Casale M., 1995, p.24.
[9] In cammino con Don Orione, Dalle lettere, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1972, p.330.
[10] Lettere I, 165.
[11] Nel nome… p.28-29.
[12] Nel nome… p.31. Cfr. PELOSO F. Una spiritualità dalle maniche rimboccate (Messaggi di Don Orione, 77), Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1991.
[13] Nel nome… p.39.
[14] Nel nome… p.41.
[15] Lo spirito di Don Orione. Dai suoi scritti. Ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, vol. I, p.95-96.
[16] Nel nome… p.125.
[17] PELOSO F. Don Orione "figlio di Tortona". L'influsso del vescovo Mons. Bandi e dell'ambiente tortonese di fine '800 sul giovane luigi Orione, (Messaggi di Don Orione, 63), Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1986.
[18] Don Orione "figlio di Tortona", p.28.
[19] Si veda la mia relazione al convegno su Don Orione alla Cattolica di Milano: L'esperienza calabro-sicula e il terremoto del 1908 in AA.VV. La figura e l'opera di Don Orione, o.c. p.193-220. Don Orione non si lasciò condizionare dalle prevenzioni verso "quelli del Nord". Egli, accorso sul luogo del terremoto, fu accolto con ostilità dai notabili del clero calabrese, fu accusato di non comprendere la Calabria ed i suoi abitanti perché "calabrese non era" e di "allontanare" troppi orfani dalla loro terra, come ho scritto nel mio Aspetti religiosi e storia del Movimento cattolico in Calabria (1860-1919), Rubbettino, 1993, p.217.
[20] Don Orione spiegava così ai suoi religiosi quello che oggi viene chiamato atteggiamento di dialogo e di inculturazione: "In Piemonte siate piemontesi, a Roma romani, in Sicilia siciliani. Negli anni che fui a Messina imparai, o cercai subito di imparare, il linguaggio e gli usi messinesi e a Messina io vestivo il robbone alla siciliana. Non si può essere perfetti nella carità, se non a condizione di spogliarci dei particolarismi e degli egoismi fini di paese", in Sui passi… p.266.
[21] AA.VV. Sui passi di Don Orione. Ed. Dehoniane, Bologna, 1997, p.233-235.
[22] Ibidem.
[23] Sui passi… p.236.
[24] Nel nome… p.32-33.
[25] Nel nome… p.32.
[26] Nel nome… p.33.
[27] Nel nome… p.36.
[28] Sui passi… p. 266.
[29] Cfr. LAZZATI G., Il carisma di Don Orione e l’ora dei laici, o.c., 156-167.
[30] Sui passi… p.313.
[31] Lettere II, p.217.