Relazione al Convegno di studio, tenuto a Milano, il 22-24 novembre 1990
L'ESPERIENZA CALABRO-SICULA
E IL TERREMOTO DEL 1908
di Pietro Borzomati
Nel 1898 don Orione, con fine sensibilità pastorale ed attenzione ai più piccoli della società «immagine del Cristo», non esitò ad accettare l'invito del vescovo di Noto mons. Giovanni Blandini a dirigere un'opera destinata all'assistenza ed alla formazione dei figli del popolo I. Fu quella del prete di Tortona una scelta coraggiosa e meditata, in sintonia con le finalità della sua congregazione tese a privilegiare un'azione difficile nei luoghi più impervii dove altre congregazioni si erano rifiutate di operare per mancanza di garanzie z. L'assenso di don Orione, poi, assumeva un particolare significato, in quanto senza esitazione accettò un impegno oneroso in una delle più piccole diocesi del Mezzogiorno, a Noto, un centro della Sicilia di fatto tagliato fuori dalle principali vie di comunicazione, lontano da Palermo e da Napoli. Egli, in realtà, non si era lasciato condizionare dai diffusi pregiudizi verso il Sud così radicati nel Settentrione e tantomeno dalle ben note riserve della gerarchia e dei dirigenti dell'Opera dei Congressi nei confronti delle Chiese e dei movimenti cattolici del Mezzogiorno e, quindi, rifiutò ogni proposta di colonizzazione ed operò non perdendo di vista il passato sociale e religioso di quei territori'. L'invito, comunque, gli era pervenuto da un grande vescovo, quel mons. Giovanni Battista Blandini che nelle lettere pastorali aveva mostrato un'accentuata attenzione alle nuove proposte per un'incisiva azione sociale, si era reso promotore del movimento cattolico e qualche anno dopo aveva redatto la lettera pastorale collettiva dell'episcopato siciliano sulla democrazia cristiana4.
Mons. Blandini, che aveva avuto modo di leggere il settimanale orionino «L'Opera della Divina Provvidenza», motivò la sua richiesta in questi termini: «oggidì bisogna volgersi a preferenza verso il popolo diseredato e ricondurlo a Gesù Cristo mediante la sana educazione e la sufficiente istruzione» 5. Queste erano, del resto, le prospettive che avevano indotto don Orione a promuovere la sua «piccola» opera, perciò ricevuta la lettera del vescovo di Noto esclamò: «quanto è buono il Signore» 6. Niente, quindi, riserve o scoraggiamenti, ma lode a Dio che gli aveva indicato un itinerario da percorrere per pervenire alla santità attraverso un autentico servizio in terre lontane, e ciò in sintonia con le sue scelte spirituali. Non perse tempo, il 14 settembre del 1898 salpò da Genova e dopo trentadue ore di viaggio giunse a Noto, dove accettò la direzione dell'Istituto «S. Luigi» per i ragazzi poveri ed il dono di una proprietà dove promosse un'azienda agricola'. Fu l'esperienza di Noto di don Orione il primo, e per molti anni l'unico, servizio reso alla Chiesa ed alla società meridionale da parte di una nuova congregazione religiosa; una testimonianza portata avanti con generosità e sensibilità per le tradizioni ed i modi di vita e di essere chiesa di quelle popolazioni. Il fatto poi che ben undici giovani del seminario di Noto chiesero di essere accettati come postulanti nella Piccola Opera della Divina Provvidenza, ebbe un grande significato 8.
Non si hanno notizie sull'opera svolta a Noto dagli orionini, ma è certo che essa ebbe una non trascurabile incidenza in quella comunità; don Orione, infatti, avuta notizia del terremoto di Messina del 1908 si preoccupò di avere informazioni delle sue opere di Noto, informazioni che ebbe solo il sei gennaio mentre si trovava in viaggio verso Reggio Calabria e Messina 9. L'immane disastro, che aveva colpito le due città dello stretto, aveva sconvolto don Orione, che secondo il suo stile si era recato dal vescovo per ottenere il consenso per partire ed iniziare l'opera di soccorso. Provvidenzialmente qualche mese prima il vescovo di Cassano Ionio in provincia di Cosenza, mons. Pietro La Fontaine, gli aveva chiesto di fondare due opere nella sua diocesi, ma don Luigi aveva dovuto rifiutare per mancanza di personale 10. Alle reiterate insistenze del vescovo calabrese don Orione, comunque, non aveva dato una risposta definitiva, ma dopo il sisma sollecitò il La Fontaine a riservare le due istituzioni agli orfani del terremoto I'. In questo alternarsi di coincidenze il prete di Tortona colse il significato di un misterioso disegno che lo impegnava ancora una volta nel Mezzogiorno, non solo per l'assistenza agli orfani ma anche per stabilire un primo rapporto tra il Nord ed il Sud del paese superando così ogni sterile forma di campanilismo.
Gli eventi che si ebbero sono noti; don Orione operò con vera abnegazione, trovando ovunque consensi ma, anche, forti opposizioni da parte dello stesso clero12. Egli, comunque, nei suoi rapporti con i vescovi, i sacerdoti, le autorità civili, le popolazioni, mostrò una sola preoccupazione e, cioè, assistere gli orfani nel contesto delle tradizioni dei diversi territori; divenne calabrese tra i calabresi e siciliano tra i siciliani. Evitò, quindi, di pronunciare giudizi e condanne, accettò di buon grado consigli e rilievi, si sobbarcò ad enormi sacrifici come, ad esempio, riposare tra le macerie 13. Era convinto che gli orfani avrebbero dovuto essere assistiti nelle rispettive regioni, che se essi fossero stati figli di cattolici si sarebbe dovuta impartire loro un'educazione cristiana e che il coordinamento di tutte le attività di soccorso era di competenza della S. Sede.
La situazione nelle città colpite dal sisma era drammatica e don Orione in una lettera a don Sterpi ne sottolineava i momenti più tragici: a Reggio «ho battezzato un neonato bambino estratto con la madre viva [...] ; qui tutte le Chiese distrutte. Il SS. Sacramento non fu ancora estratto di sotto le macerie né della Cattedrale né di alcuna altra Chiesa. Qui non è giunto finora nessun soccorso, eccetto quello dei soldati. Sono tutto bagnato. Oggi pioggia dirotta. Cadono mura e tuona. Continuano scosse» ". La situazione a Messina non era diversa; nella città siciliana incontrò il canonico Annibale Di Francia e stabilì la sua residenza in un carro ferroviario merci abbandonato sui binari 15. Malgrado le molte difficoltà don Orione riuscì anche ad avviare un'azione di coordinamento delle diverse iniziative di assistenza: si oppose all'inopportuna «raccolta» degli orfani sul transatlantico spagnolo «Catalufia» disposta dalla missione pontificia e gli orfani, per ordine del prefetto, furono sbarcati ed affidati al prete di Tortona; collaborò con il patronato «laico» Regina Elena, dispose che gli orfani a cui nessuno provvedeva fossero ospitati negli istituti di Noto e di Cassano, provvide alla sistemazione di quattrocento bambini che affidò alle istituzioni della Santa Sede, mille al patronato statale, seicento ad altri istituti 16. In realtà, pur senza aver avuto un mandato dai superiori, divenne di fatto un punto di qualificante riferimento soprattutto per il clero che, ad esempio, a Reggio, a suo giudizio, ha svolto «un'opera veramente degna della divina missione del sacerdozio e del plauso di quanti sono onesti e sereni nel giudicare degli uomini e delle cose». Mostrò, infine, preoccupazione per il clero messinese la cui missione era parzialmente compromessa dalle divisioni esistenti tra i sacerdoti e dall'imperversare in quella città della bufera anticlericale 17. Fu, comunque, significativo che don Orione abbia avuto l'incarico della direzione di tutti i soccorsi pro orfani in quanto nominato, anche, responsabile del patronato statale. Nella storia dell'Italia post-unitaria nessun ecclesiastico era stato incaricato della direzione di un organismo di assistenza «laico» pur essendo responsabile di quello cattolico o che del tutto fosse incaricato dallo stesso patronato di intrattenere rapporti con il Vaticano 18.
Gli interessi degli emarginati spinsero don Orione a sollecitare la collaborazione di personalità del mondo cattolico sospettate di modernismo, ottenendo da essi ampie garanzie a proposito dell'educazione cattolica da impartire agli orfani. Invocò, ad esempio, l'aiuto di padre Semeria e chiese al duca Tommaso Gallarati Scotti di poter espletare l'assistenza religiosa nel Quartiere Lombardo di Messina; intensi furono, inoltre, i suoi rapporti con la contessa Rasponi Spalletti presidente dell'Associazione Dame Italiane. Contemporaneamente intensificò i suoi contatti con la delegazione pontificia inviata a Reggio e Messina e presieduta da mons. Cottafavi e trattò personalmente con Pio x alcune questioni delicate soprattutto al fine di ottenere l'approvazione per la sua intensa collaborazione con alcuni protagonisti che erano stati coinvolti nella crisi modernista 19. Egli, insomma, agiva con equilibrio e buon senso tra sospetti e diffidenze e giovandosi della leale collaborazione di vescovi come mons. Morabito di Mileto, del vicario capitolare di Reggio mons. Dattola, del canonico Di Francia, di mons. Albera e di tutti coloro, cattolici e laici, fervorosamente impegnati nell'opera di assistenza e di ricostruzione 20. Certo è che nessuna diffidenza si ebbe, quanto meno finché non fu nominato vicario generale della diocesi di Messina, per il prete venuto dal Nord, ma, anzi, piena disponibilità prevalentemente perché don Luigi, nel corso del suo peregrinare, aveva attentamente studiato il passato ed il presente dei territori in cui operava ed i punti nodali del suo programma rispondevano alle reali esigenze di quelle popolazioni.
Don Orione aveva compreso che la sua azione di coordinamento era necessaria più a Messina che a Reggio; nella città siciliana infatti, la pastoralità era compromessa dalle sterili divisioni tra gli ecclesiastici, a cui non era estraneo lo stesso arcivescovo Letterio D'Arrigo 21.
Gli appelli ai suoi collaboratori di Tortona lo confermano; a soli trentasette anni, infatti, scriveva a don Sterpi: «sono stanco; ve lo dico non per complimento: sento proprio che il cuore si stacca e la testa non ne può più» 22. Aveva assunto da qualche mese l'oneroso incarico di vicario generale di Messina affidatogli inaspettatamente dallo stesso Pontefice. Era vicario imposto ad una diocesi il cui arcivescovo diffidava da sempre di lui, che pur nell'opera di soccorso si era mostrato al di sopra delle parti. Don Orione non poteva riscuotere la fiducia del «partito» del presule e del suo segretario particolare don Mangraviti, un prete di dubbia moralità che aveva un forte ascendente sul suo vescovo e che rese difficile anche l'opera generosa del canonico Annibale Di Francia 23. A don Zanalda, non a caso, profeticamente, aveva confidato: «ti scrivo da Messina, un'ora prima di assumere di fatto l'ufficio che sarà il mio calvario. Il Santo Padre ha voluto così, e sia fatta la santissima volontà di Dio! Questa considerazione mi dà una grande pace di spirito, e sono sicuro che Dio, pregandolo io di continuo, mi assisterà. Mi sono messo nelle mani della Madonna Santissima e l'ho pregata di darmi tre doni: il dono della carità, il dono dell'intelletto, il dono della prudenza» 24. Al vescovo di Tortona a sua volta scriveva: «nessuno più di me sente di non essere né degno, né preparato a questo ufficio [...], ma il Santo Padre mi ha detto che questa era la volontà di Dio, e allora non ho più saputo che dire, fuorché mettermi nelle mani del Signore. Farò quanto potrò con l'aiuto della sua grazia e mi consumerò per Lui e per la Santa Chiesa e per le anime sotto la guida di questo santo Arcivescovo, e poi il Signore, che vede, farà il resto» 25.
È questa di don Orione una virile accettazione della volontà di Dio, quella di un prete che era pervenuto all'annientamento di sé per darsi agli ultimi della società, nella convinzione che è necessario andare «sempre avanti fino a bere il calice della Passione, se vogliamo avere parte con Cristo» 26. Accettò quindi l'ufficio di vicario perché questa era la volontà di Dio, perché il suo cristocentrismo era vigoroso, per la sua meditata convinzione - come aveva scritto nei suoi appunti intimi - che occorre «soffrire, tacere, pregare, amare, crocifiggersi e adorare» 27. Il suo sviscerato amore per gli emarginati e per il Mezzogiorno traeva origine e si alimentava a queste matrici essenzialmente spirituali ed a non chiedere a Cristo la liberazione dalle tribolazioni e dalle croci, ma domandargli di compiere solo e sempre la sua volontà 28.
La relazione del gesuita padre Mistretta, richiesta dalla Santa Sede nel luglio del 1911, offre una ricostruzione ricca di particolari e di preziose informazioni sullo stato della diocesi di Messina: «pochissimi i buoni preti [...], l'arcivescovo è incapace affatto di dire male di un individuo, ma è innegabile che coloro i quali si atteggiano a difensori del prelato, mormorano, sparlano, e denigrano per sistema [...]; i suddetti paladini insultano, denigrano don Orione [...], si mostrano malcontenti della condotta di Roma [...], mons. D'Arrigo è un sant'uomo; però ha due idee fisse, le quali sono state (almeno in grandissima parte) causa di tutti i guai e disordini della diocesi» 29. P. Mistretta, insomma, riteneva che il seminario di Messina non fosse idoneo alla formazione dei chierici che «si educheranno in un ambiente di partigianeria; e, dentro e fuori, apparterranno ad uno dei partiti, che, da tre lustri almeno, desolano questa Diocesi». Per questo, a suo giudizio, si avranno «preti con idee meschinissime, ignoranti del tempo che corre, e pronti, prontissimi ad ingrossare le file dei due partiti» 3°. La conferma di questa particolare e precaria situazione spirituale e temporale della diocesi si ebbe successivamente da una relazione ben più approfondita richiesta da don Orione, a nome della S. Sede, al canonico Annibale Di Francia; emerge dal rapporto che all'arcivescovo manca «quello che si chiama spirito interiore della perfezione», che è stato dannoso l'avere da parte del presule incaricato il suo segretario al governo della diocesi, ad un prete ambiguo che intrattiene relazioni sospette con delle suore «con scandalo delle ragazze» che frequentano quell'istituto. Il D'Arrigo ha, poi, nominato superiori del seminario «soggetti di poca virtù, persone di puntiglio e di umana politica» e per questo «lo studio, nel concetto dei giovani, è stato il tutto, e la santificazione interiore è stata nulla» 31.
La situazione della diocesi di Messina era assai grave, sostanzialmente diversa da quella di Reggio, dove, fatte alcune rare eccezioni, il prete di Tortona poteva contare su una leale collaborazione 32. La congregazione concistoriale, comunque, sostenne l'opera di don Orione nella città siciliana, nella convinzione che i difficili rapporti tra il vicario generale ed il suo arcivescovo fossero dovuti agli intrighi del segretario del presule e di qualche altro prete, persone, queste, che «purtroppo soffrono - a dire del prefetto di quel dicastero – di qualche eccezione in sé, ed a cui fa ombra la personalità e la virtù del rev.do don Orione» 33. Con il passar del tempo le difficoltà si rivelavano insormontabili; mons. D'Arrigo si lamentava del suo vicario «quasi gli facesse guerra» sostenendo che egli «ha perduto ogni stima a Messina»; ma, in realtà, i contenuti della visita apostolica ribadivano che «molte osservazioni erano venute a carico del segretario, che esercìtava su mgr. Arcivescovo una influenza, cagione di molti mali» 34. Tutto ciò era ben noto in Vaticano, tanto è vero che il cardinal Merry Del Val raccomandò a don Orione di tenersi fuori dai partiti 35. Lo stesso don Orione, del resto, in ottemperanza ai suoi doveri, non tralasciò di avvertire i superiori romani evidenziando, ad esempio, che l'arcivescovo «anche senza accorgersene, può talora lasciarsi portare dallo spirito di partito, essendo Egli di Messina, e appartenendo a Famiglia che prende viva parte a lotte cittadine»; malgrado questo, grazie all'imparzialità del vicario generale, tutti i sacerdoti hanno libero accesso in curia «e sanno di trovarvi una buona parola, anche quando essa è forte, perché si fa ogni possibile per trattarli con eguaglianza, fuori della passione dei gruppetti» 36. Le incomprensioni incontrate da don Orione erano quindi dovute anzitutto al persistere delle divisioni nel clero, ma, anche, alla convinzione di alcuni sacerdoti che il prete di Tortona assolvesse ad un ufficio che poteva essere svolto da un prete della diocesi37. In realtà, fatta eccezione per pochi ecclesiastici e tra questi Annibale Di Francia, non vi era un sacerdote capace di porsi, per santità di vita, al di sopra delle fazionì e collaborare con l'ordinario diocesano nel governo di quella Chiesa 38.
Autorevoli ecclesiastici interpellati dalla S. Sede avevano, significativamente, proposto che «sarebbe utile che Mgr. Arcivescovo si persuadesse di allontanarsi da Messina» 39; «poveretto - osservava il cardinal Merry Del Val - fa pietà, ma fanno pietà maggiore tante anime, alle quali bisognerebbe ad ogni costo provvedere» 40. Don Orione, quindi, realizzava i suoi progetti pastorali con il pieno consenso del Pontefice ed in sintonia con le disposizioni del D'Arrigo, se queste però erano volte alla maggior gloria di Dio ed al benessere spirituale delle anime; ma con fermezza si opponeva a tutti coloro, primo fra tutti l'influente segretario dell'arcivescovo, che con ingiustificati pretesti si opponevano, a volte con la calunnia, alla sua azione apostolica e sociale 41. Egli, ad esempio, non mancò di prestare attenzione e dì recepire le tradizioni di quella Chiesa, affermando: «dove non c'è male, cerco di usare i loro costumi, ma non ho ceduto in nulla di sostanziale. Se fossi venuto subito col prurito di riforma, non avrei potuto far nulla». Agì, quindi, con il buon senso di un curato di campagna, da autentico contemplativo itinerante che rinsalda il suo rapporto con Dio costantemente con le tribolazioni. Ciò non sfuggiva ai santi preti che ebbero rapporti con lui; «i buoni - scriveva mons. Rousset arcivescovo di Reggio alla Santa Sede - che hanno veramente spirito ecclesiastico, lo stimano, anzi, molto; gli altri se ne tengono lontano per la precipua ragione che vedono che l'Arcivescovo lo trascura e non gli lascia far nulla» 42.
Questo stato di diffuso disagio si è arricchito di un episodio significativo, quello del barbiere che confessò a don Orione di essere stato indotto «da alcuni ad infettare il rasoio, per inoculare al suo cliente il germe della sifilide», per cui egli si era trovato viso e collo coperti da una eruzione violenta 43. Né sono mancate altre accuse infamanti come, ad esempio, quella che avesse frequentato una casa di tolleranza 44. La Santa Sede, che non ignorava la gravità della situazione generale della diocesi, si guardò bene dal nominare un amministratore apostolico ed attuò le proposte dell'arcivescovo di Reggio Calabria e, cioè, «lasciar mano libera all'Arcivescovo. Certo, con la nomina che egli farà, la Diocesi non farà progressi, ma si avrà la pace », oppure nominare vicario generale l'ordinario della piccola prelatura di S. Lucia del Mela con l'obbligo di risiedere a Messina 45. Si scelse la prima soluzione e fu data facoltà a don Orione di rassegnare le dimissioni da vicario, cosa che fece immediatamente domandando - come egli stesso attestò - al D'Arrigo il «più umile e più ampio perdono di ogni dispiacere e dolore che potevo avergli recato, e prima di essere
Vicario e dopo» 46.
Era così finito il doloroso «calvario» messinese, ma aveva inizio una nuova stagione di fervoroso impegno in altre località del Mezzogiorno, particolarmente a Reggio dove la sua opera fu per molti aspetti determinante negli anni della ricostruzione della città 47. A Reggio, come in altre località del Sud, don Orione operò sempre con l'assenso e la gratitudine dei vescovi, che ne sollecitarono l'opera a favore soprattutto degli orfani. In Calabria, ad esempio, il prete di Tortona attuò il vasto programma dell'episcopato volto al rinvigorimento della pietà e della spiritualità del clero e dei fedeli. Il canonico Salvatore De Lorenzo di Reggio donò, ad esempio, alla Piccola Opera della Divina Provvidenza un vasto terreno dove sorse una fiorente istituzione per gli orfani 48. Il suo servizio a Reggio fu accettato senza riserve dall'arcivescovo e dal suo clero, che gli donarono l'istituto «San Prospero» che era stato offerto alla diocesi dal Papa all'indomani del terremoto per opere di formazione per la gioventù 49.
L'esperienza di Noto alla fine del XIX secolo e le opere intraprese a Cassano Ionio, a Messina ed a Reggio Calabria furono notevoli e frutto di un amore sviscerato di don Orione per il Mezzogiorno d'Italia in momenti di crisi e negli anni in cui fervido era il dibattito sulla questione meridionale e si proponevano programmi ed ipotesi di ricerca e di studio che, non di rado, non rispondevano alle reali esigenze del Sud. Don Orione operò, invece, con concretezza attraverso la scelta del servizio agli ultimi della società, non lasciandosi suggestionare dalle dotte disquisizioni dei teorici della questione meridionale e prendendo le distanze da una sociologia che si alimentava ad un assurdo razzismo, o dai radicati pregiudizi del mondo cattolico del Nord per i modi di vita e di essere chiesa nel Sud. Per questo la storia del Mezzogiorno dell'età contemporanea è permeata dalla testimonianza orionina, di un servizio che si alimentava ad una vigorosa spiritualità cristocentrica e ad una robusta pietà che ebbero non pochi riflessi nell'evoluzione spirituale delle Chiese meridionali.
NOTE
1 G. PAPÀSOCLI, Vita di don Orione, Torino 19743, p. 110.
2 P. BORZOMATI, Per una storia delle congregazioni religiose diocesane nel Sud del Novecento, in Studi di storia sociale e religiosa, Napoli 1980, pp. 614-628.
3 S. TRAMONTIN, Società religiosa e movimento cattolico in Italia meridionale, Roma 1977, pp. 285 ss.
4 C. NARO, G. Blandini, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia, III/1, Casale Monferrato 1984, p. 96.
5 PAPÀSOGLI, Vita…, p. 111.
6 Ibi, p. 112.
7 Ibi, p. 113.
8 Ibi, pp. 113 e 115.
9 Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza, cronache.
10 G. MUSOLINO, Pietro La Fontaine patriarca di Venezia (1915-1935), Venezia 1988, pp. 90 ss.
11 Ibidem.
12 P. BORZOMATI, Aspetti religiosi e storia del movimento cattolico in Calabria (18601919), Roma 19702, pp. 102 ss.
13 PAPÀSOGLI, Vita..., pp. 186-187.
14 A. LANZA, Don Orione a Reggio Calabria, «L'opera antoniana delle Calabrie», 4 (1990), p. 9.
15 PAPÀSOGLI, Vita..., p. 190.
16 Ibi, p. 195.
17 Ibi, p. 197.
18 Ibi, pp. 198-199.
19 Ibi, pp. 204-205.
20 BORZOMATI, Aspetti religiosi..., pp. 296 ss.
21 Positio super virtutibus Hannibalis Mariae Di Francia..., Roma 1988, pp. 94 ss.
22 LANZA, Don Orione..., p. 11.
23 Positio super virtutibus... H. Di Francia; De processibus apostolica auctoritate….. Aloisii Orione, Roma 1971, teste A. BIANCHI, pp. 1072 ss.
24 PAPÀSOGLI, Vita..., p. 205.
25 Ibi, pp. 205-206.
26 L. ORIONE, Lettere scelte, a cura di D. SPARPAGLIONE, Torino 1947, p. 83.
27 M. PETROCCHI, Storia della spiritualità italiana. Il Settecento, l'Ottocento e il Novecento, in, Roma 1979, p. 136.
28 G. DE LUCA, Don Orione,Tortona1963.
29 De processibus... A. Orione, pp. 1083-1084
30 Ibi, p. 1084
31 Ibi, pp. 1085-1089.
32 LANZA, Don Orione…, p. 11
33De processibus…A. Orione. p. 1089
34 Ibi, p. 1090 (la Congregazione concistoriale a mons. Rousset, 23 gennaio 1912).
35 Ibi, p. 1091.
36 Ibi, pp. 1091-1092 (don Orione al card. Merry Del Val, 11 luglio 1911).
37 Ibi, p. 1093.
38 Ibi, p. 1095.
39 Ibi, p. 1101 (mons. Scapinelli a mons. Cottafavi, 12 maggio 1909).
40 Ibi (il card. Merry Del Val a don Orione, 19 maggio 1909).
41 Ibi, p. 1103 (don Orione al card. Merry Del Vai, s.d.).
42 Ibi, p. 1145.
43 Ibi, pp. 1127-1128.
44 Ibidem.
45 Ibi, p. 1145.
46 PAPÀSOGLI, Vita..., p. 228.
47 BORZOMATI, Aspetti religiosi..., «L'opera antoniana delle Calabrie», 4 (1990), pp.57-59.
48 Ibidem, ma soprattutto Archivio del can. S. De Lorenzo, «Collina degli Angeli».
49 M. MARIOTTI, L'opera «S. Prospero» a Reggio Calabria nel dopo terremoto e nel secondo dopoguerra, «L'opera antoniana delle Calabrie», 4 (1990), pp. 9-56.