Articolo di Piersandro Vanzan per la Civiltà Cattolica.
Piersandro Vanzan S.I.
Di san Luigi Orione (+1940), canonizzato il 16 maggio scorso — insieme al siciliano Annibale Maria Di Francia (+1927), fondatore dei Rogazionisti; allo spagnolo Josep Manyanet y Vives (+1901), fondatore dei Figli e delle Figlie della Sacra Famiglia; al monaco presbitero libanese maronita Nimatullah Kassab Al-Hardini (+1858); alla bergamasca Paola Elisabetta Cerioli (+1865), fondatrice delle suore della Sacra Famiglia di Bergamo; e all’eroica madre di famiglia Gianna Beretta Molla (+1962) —, Giovanni Paolo II disse all’omelia: «Il cuore di questo stratega della carità fu senza confini perché dilatato dalla carità di Cristo. La passione per Cristo fu l’anima della sua vita ardimentosa, la spinta interiore di un altruismo senza riserve, la sorgente sempre fresca di una indistruttibile speranza»[1]. Non a caso l’illimitata fiducia nella Divina Provvidenza è la chiave di lettura della vita personale, comunitaria e apostolica di questo santo, il quale arricchisce ulteriormente la già notevole compagine di santi e beati piemontesi che, tra l’Otto-Novecento, hanno dato prestigio alla Chiesa e all’Italia: Alberione, Allamano, Barberis, Bosco, Cafasso, Cottolengo, Faà di Bruno e Murialdo.
Di specifico l’Orione ha il rapportarsi strettamente alla Chiesa madre (con un voto di speciale obbedienza al Papa) e il coltivare una totale fiducia nella Provvidenza: sia come atteggiamento interiore, sia nell’apostolato della carità: intitolando la sua fondazione principale Piccola Opera della Divina Provvidenza. Don Orione fu un modello di abbandono fiduciale nella Provvidenza, sia come atteggiamento interiore, sia nell’apostolato della carità, significativamente denominando la sua fondazione principale Piccola Opera della Divina Provvidenza. Già mezzo secolo fa, quando lo scrittore inglese Douglas Hyde, in casa di Ignazio Silone a Roma, gli manifestò l’idea di biografare quel prete cui Ignazio doveva tanto e tanto bene ne aveva scritto[2], la risposta fu illuminante: «Qualunque cosa facciate, quando scriverete di lui, vi supplico di non trasformare don Orione in una specie di Beveridge cattolico. Sarebbe uno sminuirne la statura. Certo, egli si occupò di opere caritative, come molti altri, e anche di giustizia sociale. Però, la sua forza eccezionale è riposta nel fatto che in tutto ciò che faceva egli contava unicamente e completamente su Dio»[3]. Infatti, considerandosi semplicemente «facchino della Divina Provvidenza», quando chiuse la sua giornata terrena, a 68 anni, erano più di cento le opere cui aveva dato vita: quasi sempre in bolletta finanziaria e, vestito come l’ultimo dei poveri, percorrendo non solo l’Italia ma anche Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Stati Uniti, Inghilterra, Rodi, Polonia, Albania e Palestina, ovunque rinnovando le meraviglie che la Provvidenza suole operare quando trova così docili strumenti
Vita, carisma, opere e fondazioni di san Luigi Orione
Nato a Pontecurone (AL), in diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872[4], ultimo di quattro fratelli — sicché i vestiti gli arrivavano quando gli altri li avevano ben consumati —, Luigi ebbe un padre che, onesto selciatore di strade, era orgoglioso d’essere garibaldino anticlericale, e una mamma che, di profonda fede e insieme di naturale grande capacità pedagogica, non solo gestiva al meglio i figli, ma collaborava pure nel magro bilancio familiare risparmiando alla grande e ricavando qualche soldo con lavori extra[5]. E così Luigi sperimentò, fin da piccolo, insieme alle ristrettezze economiche tipiche del sottoproletariato, anche una grande fiducia nella Provvidenza. Nonostante avvertisse chiara la vocazione al sacerdozio, per tre anni (1882-85) dovette aiutare il padre per le strade del Monferrato, come garzone selciatore, finché nell’ottobre 1886 la Provvidenza — grazie all’interessamento del suo parroco — lo fece ammettere nell’Oratorio salesiano di Valdocco a Torino, vicino a Don Bosco. Notate le qualità del ragazzo, il santo gli permise di confessarsi da lui — solitamente curava i ragazzi più grandi — e addirittura gli promise: «Noi saremo sempre amici»[6]. Altro influsso significativo, e dimostratosi altrettanto provvidenziale sui tempi lunghi fu, in quel periodo, l’esempio delle opere di carità di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, la cui Piccola Casa era situata a Torino, non distante dall’Oratorio salesiano.
Terminati i tre anni di studio a Valdocco, ritornò nella sua diocesi e a ottobre 1889 iniziò il corso di filosofia nel Seminario di Tortona. La povertà della famiglia, aggravata dalla morte del padre (1892), costrinse Luigi a lavorare per continuare gli studi. Gli venne assegnata la mansione di custode e sacrestano del Duomo — serviva due o tre messe al giorno, curava i paramenti, le candele ecc. — e abitava in una stanzetta ricavata nei voltoni del sacro edificio, vicino al campanile. Fu proprio allora, in quelle condizioni materialmente precarie e durante quel servizio umanamente poco gratificante, che avvertì una specifica chiamata: quella di curare l’educazione cristiana dei ragazzi più abbandonati. La «pro-vocazione» (etimologicamente) gli venne incontrando un fanciullo che, allontanato dalla scuola di catechismo, piangeva sconsolato. Lo invitò a continuare quell’istruzione sotto i voltoni del Duomo e, ben presto, quel ragazzino fu seguìto da molti altri. Perché Luigi, oltre al catechismo, li faceva giocare a nascondino sotto i voltoni, né mancavano le castagne o altro. Insomma, imitava quanto aveva visto fare nell’Oratorio di Valdocco, ma lo faceva lassù, nelle soffitte del Duomo, tra i santi di legno messi a riposare tra la polvere.
Ma di sotto, ogni tanto, i canonici avvertivano strani rumori e anche la sacrestia era ormai frequentata non da penitenti ma da frotte di ragazzi che domandavano la strada «per andare da Orione». Così, per disposizione superiore, quell’oratorio improvvisato sotto le volte del Duomo, fu chiuso e i ragazzi si ritrovarono di nuovo in mezzo alla via. Ma Luigi non s’arrese e continuò l’oratorio nella forma itinerante: sui prati o tra i ruderi del castello. Certo, una soluzione di emergenza che non poteva durare a lungo e di fatto il Vescovo di Tortona, mons. Igino Bandi — altro strumento della Provvidenza (e per 15 anni) —, che da tempo osservava quella strana creatività apostolica, chiamò Luigi e gli mise a disposizione il giardino dell’episcopio. Fu un grand’evento, per tutti quegli orionini ante litteram, ma che fece soffrirne non poco la mamma del Vescovo, che vide distrutti, in una sola domenica, tutti i fiori delle sue belle aiuole
Né il giovane chierico si limitava a imitare l’oratorio salesiano. C’erano anche i problemi sociali ed ecclesiali che agitavano quello scorcio dell’Ottocento: breccia di Porta Pia, fine del potere temporale, avvento di governi liberal-massonici e primi moti socialisti[7]. A tali sfide, egli rispose approfondendo la dottrina sociale cristiana e trasmettendo gli insegnamenti di Leone XIII, Rerum novarum, ai ragazzi e giovani (ormai legione) che gli stavano intorno. Nel luglio 1892, inaugurò addirittura il suo primo oratorio, a Tortona, ma poiché la sua impetuosità era anche politica, il Prefetto ottenne dal Vescovo la chiusura di «quel covo di sediziosi»[8]. L’anno seguente tuttavia, ancora chierico e senza denaro, Luigi osò aprire — confidando unicamente sulla Provvidenza, che puntualmente non lo deluse[9] — addirittura un Collegio nel rione San Bernardino, destinato a ragazzi poveri ma volonterosi, che eventualmente avrebbero trovato lì un pre-seminario.
Ordinato sacerdote nel 1895, alla sua prima messa il Vescovo non soltanto impose l’abito clericale a sei allievi di quel Collegio ma, in più, concesse a qualche seminarista — affascinato dall’impresa orionina — d’iniziare con don Orione una forma di vita comune. Era il primo nucleo della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Da questo momento, si resta impressionati non solo dal ritmo e la qualità del lavoro apostolico orionino[10], ma anche dal fatto che questa nuova forma di vita consacrata — non ancora canonicamente riconosciuta — apriva in rapida successione ben cinque nuove case[11], e dava vita al ramo degli Eremiti della Divina Provvidenza, dedicati alla preghiera e al lavoro, soprattutto nelle colonie agricole che, in quell’epoca, meglio rispondevano all’istanza di elevazione sociale e cristiana del mondo rurale. Quando finalmente mons. Igino Bandi, il 21 marzo 1903, riconobbe la Congregazione religiosa maschile della Piccola Opera, chiamandoli Figli della Divina Provvidenza (sacerdoti, fratelli eremiti e coadiutori), è interessante notare la formula riassuntiva di quel carisma: «Collaborare per portare i piccoli, i poveri e il popolo alla Chiesa e al Papa, mediante le opere di carità», professando un quarto voto di «speciale fedeltà al Papa»[12].
Con questo spirito l’Orione nel 1913, dopo il tragico sisma a Reggio e Messina, inviò la prima spedizione di missionari in Brasile, e subito dopo l’altro terremoto nella Marsica, in Abruzzo — con le rispettive epopee della buona samaritanità che vedremo più avanti —, nel 1915 fondò la Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità: per far sperimentare ai più bisognosi tanto la paternità di Dio quanto la maternità della Chiesa. Disseminava così l’Italia di «Piccoli Cottolenghi» nei quali riproduceva — in piccolo, appunto, ma con geniale originalità[13] — quanto il Cottolengo aveva fatto a Torino in grande. Nel 1927 fondò anche il ramo contemplativo delle Suore Sacramentine non vedenti adoratrici, cui si aggiunsero successivamente le Contemplative di Gesù crocifisso. Anticipando pure qui i «segni dei tempi» del Vaticano II, san Luigi Orione coinvolse nell’impegno caritativo e sociale anche i laici, fondando l’associazione delle Dame della Divina Provvidenza (1899), mentre nel 1934 costituì quella degli Ex Allievi e nel 1940 quella degli Amici. Dopo la sua morte, ma dando compimento alle sue intuizioni, fu costituito anche l’Istituto Secolare Orionino e il Movimento Laicale Orionino. Il tutto perché la famiglia orionina, nelle sue diverse articolazioni, raggiungesse non solo i materialmente poveri, ma anche i lontani spiritualmente.
Di quest’altro e certamente non minore capitolo, riguardante i lontani o allontanatisi dalla Chiesa, tratteremo più sotto, limitandoci qui a ricordare che l’ Orione, conforme al paolino «fare la verità ma nella carità» (Ef 4,15), trattò con grande sensibilità e frutto anche le questioni del modernismo[14], della riconciliazione tra Stato e Chiesa,[15] della riabilitazione dei sacerdoti lapsi[16]. Fu predicatore, confessore e organizzatore instancabile di pellegrinaggi, missioni popolari, presepi viventi e altre manifestazioni della religiosità popolare. Grande devoto della Madonna, ne promosse la devozione con ogni mezzo; col lavoro manuale dei suoi chierici innalzò il Santuario della Madonna della Guardia a Tortona (1931) e della Madonna di Caravaggio a Fumo (1938). Negli ultimi tre anni di vita, il santo risiedette nella Casa Madre di Tortona, ma visitando ogni settimana il Piccolo Cottolengo di Milano e di Genova, né sottraendosi — nonostante i crescenti problemi di salute — a quanti invocavano la sua carità. Nell’inverno 1940, già sofferente di angina pectoris e dopo reiterati attacchi di cuore, si lasciò convincere a riposare qualche giorno nella casa di San Remo — benché protestasse: «Non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo»[17] —, e qui chiudeva l’intensa sua giornata terrena il 12 marzo 1940, sospirando «Gesù! Gesù! Vado»[18].
Santi, terremoti, indicibili difficoltà e varie persecuzioni
Dopo questo sguardo d’insieme, veniamo a qualche zoom particolare, cominciando dalle tragedie sismiche, nelle quali alla grande brillò l’epopea della buona samaritanità orionina. Anzitutto nel terremoto di Reggio Calabria e Messina (1908): 90.000 morti sotto le macerie. Don Orione si precipitò in aiuto dei sopravvissuti, in particolare dei tanti orfani, e rappresentò — con Annibale Maria di Francia, significativamente canonizzati insieme — l’anima spirituale e il centro operativo della ricostruzione. Per volontà di Pio X fu nominato Vicario generale della diocesi di Messina, ove rimase tre anni, compiendo «grandi cose», ma incontrando altrettanto grandi difficoltà e sofferenze. Anzitutto, il clero locale — risentito per il dinamismo orionino — non solo cominciò a guardarlo di malocchio (in fondo era un piemontese, no?), ma gli affibbiò pure un epiteto ingiurioso: «Commissario del Vaticano». Ma ancor più grave il tentativo di avvelenarlo, corrompendo un barbiere. Era l’estate 1910 e don Orione era nel pieno della sua azione come Vicario episcopale che tra l’altro, nella ricostruzione, ostacolava i maneggi disonesti.
Un giorno, dopo essersi fatto radere la barba in episcopio, don Orione avvertì piccoli tagli sulla pelle, e sentì il viso di fuoco. Uscito dal barbiere, incontrando don Paolo Albera gli manifestò il timore di essere stato «infettato, avvelenato». Ben presto, sul volto gli comparvero delle pustole. Poi, lo stesso don Albera ebbe la stessa disavventura, come leggiamo in una lettera dell’Orione a don Sterpi: «Egli, che ebbe pure il volto infettato nel triste caso che mi capitò a Messina, perché andò sotto a farsi la barba subito dopo di me (non così grave come me però, perché il rasojo era già stato pulito sulla mia faccia), ricordava benissimo la cosa»[19]. Non avendo confratelli a Messina, don Orione fece venire da Reggio Calabria don Felice Cribellati. Dopo qualche giorno, giunse da Tortona anche don Carlo Sterpi, suo primo collaboratore e vicario. Entrambi videro don Orione disinfettarsi con l’alcool e un po’ di bambagia. Anche a loro il Fondatore raccontò che «dal barbiere gli era stato inoculata una infezione»[20].
Comunque, l’episodio dell’infezione al viso si risolvette presto e bene. «Dopo qualche giorno appena, con la barba nuovamente ben rasata, ritornava al suo ufficio in Curia senza alcunissima traccia delle piaghe e delle pustole, con il viso fresco, bianco come prima del fatto, senza, ripeto, la benché minima traccia del male superato. Tra lo sviluppo del male e la guarigione non passarono che 7-8 giorni». Ritornato don Orione alla Curia, dove naturalmente era noto l'andamento delle cose, riceveva da qualche persona, sicuramente insincera, molti complimenti per la rapida insperata guarigione. Intanto sul tavolo del Vicario facevano trovare un libro di medicina aperto alla pagina e al titolo «Come si cura la sifilide»[21]. Questo elemento intimidatorio, unito al malizioso collegamento, fece sospettare il peggio, ma dal tribunale ecclesiastico — sentita la commissione medica — risulta che «da tutto l’insieme, si è portati ad escludere che si sia trattato di sifilide! Probabilmente si sarà trattato di una semplice infezione da germi piogeni comuni, che guariscono rapidamente in seguito a semplici cure antisettiche locali»[22]. Comunque, don Orione passò un brutto momento e l’accaduto si riseppe nell’ambiente messinese, tanto che Annibale Di Francia, nel suo diario annotò, tra le angherie patite dal suo santo amico, anche «Il fatto della sifilide»[23].
Conclusa la tribolata ma feconda impresa siciliana, don Orione ebbe la gioia di emettere i suoi voti perpetui nelle mani di Pio X (19 aprile 1912) e di mandare i suoi primi missionari in Brasile (dicembre 1913). Ma ecco che, nel gennaio 1915, l’epopea del soccorso ai terremotati si rinnovò nella Marsica, in Abruzzo. Circa 30.000 le vittime e nessuno meglio di Silone può rendere l’idea di quell’apocalisse: «Pochi giorni dopo il terremoto, con la maggior parte dei morti ancora sotto le macerie e i soccorsi che stentavano a mettersi in opera […] — durante le notti gli urli delle belve non lasciavano prendere sonno — […] una mattina gelida, vidi un piccolo prete sporco e malandato, con la barba di una decina di giorni, che si aggirava tra le macerie attorniato da una schiera di bambini e ragazzi rimasti senza famiglia. Invano chiedeva se ci fosse un qualsiasi mezzo di trasporto, per portare quei ragazzi a Roma. […] In quel mentre arrivarono cinque o sei automobili. Era il Re col suo seguito, che visitava i comuni devastati. Appena gli illustri personaggi si allontanarono, il piccolo prete, senza chiedere il permesso, cominciò a caricare sopra una macchina i bambini da lui raccolti. Com’era prevedibile, i carabinieri vi si opposero, e poiché il prete insisteva. Ne nacque una vivace colluttazione, al punto da richiamare l’attenzione dello stesso Sovrano. Affatto intimorito, il prete si fece avanti e, col cappello in mano, chiede al Re di lasciargli per un po’ di tempo la libera disposizione di quelle macchine, in modo da poter trasportare gli orfani alla stazione ferroviaria più prossima ancora in attività». E il Re acconsentì[24].
Don Orione, Pio X, modernisti e altre vicende sulle frontiere della Chiesa
Da quanto detto non meraviglia che san Luigi Orione, nell’immaginario generale, resti legato alle tante istituzioni di carità in favore dei più svantaggiati, e particolarmente alle meraviglie da lui operate, come «facchino della Divina Provvidenza», nei terremoti di Messina e della Marsica. E tuttavia la collana delle sue benemerenze è ricca di molte altre perle. Significativamente, «da qualche tempo è venuto emergendo sempre più il rilievo sociale ed ecclesiale di Don Orione, frutto delle sue relazioni con fatti, problemi e persone della scena pubblica del suo tempo»[25]. Anzitutto il suo zelo apostolico capace di declinare la perfetta fedeltà a Roma, il dialogo con vari modernisti e, nonostante la sua ferma opposizione di fondo, anche con qualche liberal-massone[26]. Zelo che preferenzialmente l’Orione incanala nella tessitura di una vasta rete di contatti tanto ad intra quanto ad extra, «bypassando» (per così dire) le migliori istanze degli uni e degli altri, nello spirito di cercare anzitutto quanto unisce, prima di esasperare quanto separa[27]. Dall’elenco accennato, peraltro incompleto, emerge la fitta rete socioculturale e apostolica orionina, con le molteplici influenze che attivava. Rete e incidenze ulteriormente messe in luce dagli studi più recenti e dalla pubblicazione dei carteggi, finora rimasti sepolti nell’Archivio orionino[28]. Tra le molte perle che tale documentazione ha riportato alla luce, ci limitiamo ai singolari rapporti dell’Orione con Pio X: snodo decisivo per tutta l’ulteriore sua epopea caritativa (materiale e spirituale).
Prendiamo le mosse da questo simpatico aneddoto. Il card. Sarto aveva voluto con sé a Venezia il giovane don Lorenzo Perosi, nativo di Tortona, futuro direttore della cappella Sistina e grande compositore, del quale il futuro Pio X apprezzava sia la bella arte musicale, sia la buona compagnia, anche conviviale. Ma il padre di Perosi, maestro di cappella lui pure, nel duomo di Tortona, non gradiva le partite a tarocchi del figlio con un cardinale che tabaccava: e così si rivolse al giovane don Luigi, forse più per sfogarsi con un amico del suo Lorenzo, che pensando a un possibile suo intervento. Invece don Orione, con lo zelo tipico e anche l’ingenuità di chi non conosce cosa sia il calcolo, scrisse una lettera al patriarca, invitandolo a non voler avviare il «maestrino» su una brutta china. Anni dopo, in occasione della prima udienza che Pio X gli concesse, dal breviario del Papa fece capolino proprio quella lettera, che il Sarto aveva accolto come un monito provvidenziale[29]. Da qui l’inizio di una benevolenza che via via divenne fiducia sempre più ampia, del resto rafforzata dai buoni esiti delle missioni che don Orione riceveva dal Santo Padre.
Il primo e fondamentale banco di prova fu certamente quello di Messina, come accennato, soccorrendo moltissimi orfani — anche sottraendoli al pericolo di un’educazione laicista nei convitti statali — e dove, per esplicita volontà del Pontefice, ricoprì per tre anni la carica di vicario generale, ad onta delle rimostranze dell’interessato[30]. In seguito gli incarichi si moltiplicarono benché, insieme a quelli, Pio X moltiplicava i segni d’affetto verso la giovane Congregazione. Ricordiamo la revisione degli statuti, che il Papa volle curare di persona, e gli aiuti economici che continuarono persino dopo la sua morte[31].
Quanto poi ai modernisti non solo va detto che, insieme a Pio X e la Chiesa, fecero soffrire anche don Orione, così legato al Papa, ma anche che soffrirono pure loro, e non poco, quando furono colpiti dall’enciclica Pascendi (1904). E se umanamente è arduo stabilire i confini tra errori oggettivi e buona volontà soggettiva, d’ambo le parti, è bello e consolante rilevare la carità di quanti — come l’Orione — si fecero vicini a quei malmenati sulla via di Gerico. Opera di carità tanto più grande e rara perché chi avvicina un condannato rischia il sospetto dei «buoni», generalmente incapaci di visioni ampie, trascendenti nell’agape le mediocrità intellettuali e morali. Don Orione rischiò, né l’impresa era facile perché la temperie socioculturale e politica, a cavallo dell’Otto-Novecento, era rovente. Sul piano culturale premevano le istanze non solo illuministe, postilluministe (idealismo, positivismo, futurismo) e socialiste, ma anche — in ambito teologico — della critica biblica di scuola protestante. A tali sfide il mondo cattolico rispondeva essenzialmente barricandosi nella philosophia perennis. Scontato l’esito di chi intenda combattere, non avendo di meglio, i carri armati con le clave. I modernisti colsero appieno la necessità di superare le posizioni indifendibili, ma per un largo complesso di cause non furono in grado di giungere a sintesi tanto innovative quanto ortodosse. In breve, mancarono di equilibrio intellettuale, non riuscendo a integrare il nuovo con la tradizione.
E tuttavia quelle provocazioni non furono inutili e col tempo molte delle loro intuizioni furono accolte nel rinnovamento teologico novecentesco: purificate sia dagli eccessi, sia da quelle formulazioni affrettate o ingenue — che concludevano troppo o non consideravano le questioni da tutti i lati —, che per lo più avevano reso inevitabile la reazione della Pascendi[32]. Don Orione tra due fuochi, quindi: da un lato il suo zelo per le anime e, d’altro lato, il suo grandissimo amore per la Chiesa e il Papa (si direbbe ignaziano)[33]. Da qui una linea apostolica e pastorale che, senza concessioni dottrinali, era però una mano tesa a quanti si trovassero censurati dal magistero. Tra l’altro, fu proprio Pio X a sollecitarlo in tal senso e lui coltivò al meglio l’amicizia tanto con p. Semeria, Fogazzaro e la sua famiglia, quanto con Buonaiuti[34]. La continuità dei rapporti con quest’ultimo dice molto su entrambi. Infatti, si fosse trattato di una relazione meramente istituzionale, che l’Orione assecondava soltanto per dovere, o che Buonaiuti cercava per calcolo, non sarebbe durata così a lungo. Viceversa, il proscritto avvertiva chiaramente nel sacerdote un affetto profondo e veritiero, tanto da indirizzare a questo «buon samaritano» qualche altro spirito «malmenato e boccheggiante»[35].
Qualcosa di simile troviamo anche nel caso di p. Pio da Pietrelcina. Nel decennio critico 1923-33 san Luigi Orione, non convinto delle gravi accuse che colpivano il santo cappuccino, fece il possibile per riportare chiarezza, facendo verità nella carità[36] e contribuendo a farlo riammettere nell’esercizio del ministero sacerdotale. Al di là di valutazioni di merito, colpisce il suo acuto intuito spirituale e l’ardire di «mettersi dalla parte sbagliata», come ritengono i miopi benpensanti. Né dobbiamo meravigliarci: chi intuisce la verità mezz’ora prima degli altri è uno che per mezz’ora ha torto. Se già essere lungimiranti è un merito e una croce, avere il coraggio della fedeltà alla propria retta coscienza sfiora l’eroico o, meglio, tocca i vertici della santità. In breve, nel complesso scenario del Novecento italiano, don Orione si muove con destrezza e saggezza, privilegiando l’attenzione verso i più bisognosi — tanto da essere definito il gesuita dei poveri —, nel senso che, invece di rivolgersi alle classi dirigenti (restano memorabili i gesuitici collegi dei nobili) punta su quelle tanto fisicamente o materialmente bisognose, quanto più lontane spiritualmente, o brancolanti nel dubbio, come intravisto nel suo contattare modernisti e liberal-massoni[37].
Spiritualità di comunione, zelo missionario, ecumenismo
Circa la spiritualità orionina, già variamente intravista, qui aggiungiamo due chiose: la familiarità soprannaturale e l’arco dello zelo per il Regno, che spazia dalle missioni all’ecumenismo, per instaurare omnia in Christo (altra forte, esplicita sintonia col programma di san Pio X)[38]. Sulla familiarità soprannaturale, illuminante questa testimonianza del venerabile Frate Ave Maria[39], quando giunse alla casa-madre di Tortona. «Don Orione era partito quello stesso giorno (18 marzo 1920) per Roma, […] ma tutto ciò che trovai mi parlava dei suoi amori. Gesù sacramentato, Gesù crocifisso […] quadri della Madonna, di san Giuseppe, san Pietro e san Paolo, san Giovanni Bosco, san Giuseppe Benedetto Cottolengo. […] Il racconto di sogni da don Orione fatti ed avverati ed altre cose straordinarie erano i discorsi che si facevano a passeggio e nei brevi intervalli di ricreazione. Tutto ciò agiva sul mio spirito come un potente fuoco di carboni su un pezzetto di legno verde che in esso è gettato, che al principio suda, fa fumo, ma alla fine si converte anch’esso in fiamma. Difatti da principio ero tentato di giudicare fanatismo tutta la venerazione di cui vedevo circondato don Orione»[40].
Frate Ave Maria non è uno sprovveduto e, avvertita la tentazione del fanatismo (culto della personalità) verso l’Orione, solo quando coglie la dialettica tra umanamente buona ammirazione per il Fondatore e ancor migliore occhio di fede teologale, smette di far fumo e si infiamma. E capisce il valore pedagogico delle assenze, lontananze e umiliazioni del «capo»: provocare le virtù teologali nei suoi, altrimenti la vita orionina è chiacchiera vuota e insipida, per quanto condita di applausi. Nella vita dell’Orione umiliazioni e croci non mancarono[41], e proprio questa dimensione tutelò Frate Ave Maria e i primi orionini dal fanatismo verso il «capo». La familiarità soprannaturale, infatti, esige quell’affidarsi senza riserve, leggendo gli eventi con l’occhio della fede, scorgendovi il dito divino che agisce qui e ora, anche scrivendo dritto sulle righe storte. In breve, una vita contemplativa intensa e continua, sulla quale l’Orione trainò la sua «Piccola Opera». Una via che egli conosceva bene, descrivendola con precisione nelle sue note: anzitutto ineffabile dolcezza, buon odore di edificazione e poi, conseguentemente, spirituale fecondità, «copia» di tutti i doni celesti. Le prime note sono quelle che attirano verso la sequela: è quanto provocò la conversione di Pacomio, di cui don Orione parla nella lettera del 24 giugno 1922. Ma la verifica è nelle seconde perché, senza lo spirito di edificazione — che nasce dalla stabilità nella contemplazione: virtù e stabilità nella virtù, infatti, sono livelli diversi, e il secondo grado è più alto —, non si va oltre i primi entusiasmi. Ancora, effetto dell’unione prodotta dalla carità soprannaturale è «un non sospettare di nessuno, un confidare di ciascuno in tutti e di tutti in ciascuno»[42].
Il principio della forza apostolica, quindi, è l’intima unità soprannaturale[43], e la relativa preoccupazione di fare comunione. Di qui il tempo dedicato alla comunicazione spirituale — ossia alla condivisione della vita nello Spirito —, perché l’Orione aveva sperimentato mille volte che la forza apostolica non sta nelle comunità disgregate. Comunità che, magari, hanno fondi e risorse in abbondanza — che mancavano invece a lui[44] —, ma che trascurano un fatto decisivo: i soldi sono come i donativi di Giacobbe a Esaù: arrivano per primi, ma tendono oltre, verso un abbraccio. Se manca l’abbraccio fraterno, i soldi possono fare beneficenza e, sentendoci buoni, generare un pessimo narcisismo spirituale. Questa è la differenza tra l’oro e l’orpello, tra la carità evangelica e la filantropia. Perciò l’Orione, invece di essere un grigio burocrate che gestisce tanti soldi, mirava all’abbraccio fraterno e lo conseguiva. Non a caso Ignazio Silone rimase toccato da quello «strano prete».
Venendo poi al suo instaurare omnia in Christo, che spaziava dallo zelo missionario a quello ecumenico, qui basterà notare che tutto era frutto di una particolare sua esperienza mistica della Chiesa[45]. Quanto allo zelo missionario, già abbiamo ricordato le spedizioni orionine in Brasile (1913), poi in Palestina, Argentina e Uruguay (1921), in Polonia (1923), a Rodi (1925), negli USA (1934), in Inghilterra (1935) e in Albania (1936)[46]. Ma è soprattutto la dimensione ecumenica — anticipatrice del Vaticano II — quella che più impressiona che più impressiona nell’Orione. Per lui infatti l’unità ecumenica non è data soltanto dal sentire cum Ecclesia — obbedire a quanto insegna la Chiesa (disciplina) —, ma anche e soprattutto dal sentire Ecclesiam, cioè sentirsi Chiesa: reciprocità delle membra nel corpo mistico di Cristo (appartenenza). Certo, egli sapeva spiegare anche le ragioni della sua fede nella Chiesa, ma la sua principale caratteristica fu quella di rendere presente, tangibile alla gente che incontrava, o a persone in crisi di unità, la maternità della Chiesa, proprio attraverso le opere della carità e il dialogo mirato alla riconciliazione. Come intendeva far sperimentare la paterna «Provvidenza di Dio», così voleva far sperimentare la «maternità della Chiesa».
Perciò scriveva: «A questa santa madre Chiesa e al suo Capo, il Papa, noi ci siamo dati per la vita e per la morte, per vivere della sua fede, del suo amore, della sua piena obbedienza e disciplina con dedizione piena e filiale, a nessuno secondi» (don Orione nel centenario,…, 180s). Per cui la famiglia orionina deve «vivere e sacrificarsi per tutti i poveri di ogni età, di ogni nazione e religione, senza eccezione, sani o malati. Suo fine particolare è di tenere uniti i piccoli e gli umili lavoratori e operai e fortemente attaccati alla Chiesa madre e al Papa». Infine, la concezione orionina di «unità vitale» brilla in questo testo: «Ravvicinate alla pianta sempreverde i rami sparsi e separati dalla pianta grande e universale della famiglia cristiana e rinverdiranno ancora; uscite dal cristianesimo e raccogliete i pensieri di tutte le generazioni, di tutte le razze e dei secoli tutti che verranno, in un legame di fede, di speranza e di amore, il cui nodo sia in terra il Papa e in alto il Cielo. Diamo veramente al mondo una fratellanza universale nella verità e nella Paternità Papale»[47]. Testo certamente datato nella formulazione, ma attualissimo nella sostanza. Di fatto, è innegabile che tra le vie che oggi la Chiesa sta percorrendo e additando all'umanità tutta spicca certamente quella dell'unità, secondo i cerchi concentrici dell’Ecclesiam suam di Paolo VI: unità al suo interno, poi nei confronti delle altre confessioni cristiane, quindi in dialogo con le altre religioni e infine con tutti gli uomini di retto sentire e buona volontà.
La Chiesa infatti non è una realtà ripiegata su se stessa, bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce: raccogliere tutti e tutto in Cristo, essendo «Sacramento inseparabile di unità»[48]. Don Orione espresse così, con tono profetico frutto di fede, la sua visione ecumenica: «Verrà giorno in cui l'umanità tutta andrà portata, irresistibilmente, ai piedi di Gesù Cristo, intorno a cui solo sentirà di poter ritrovare quell'unità morale che sì ansiosamente va cercando! Verrà il giorno in cui le nazioni, strette attorno a Cristo, si sentiranno sorelle! Dalla Pentecoste in poi le nazioni divise tendono verso l'unità, e vi giungeranno; ma pel Signore e Dio nostro Gesù Cristo. Cristo avanza! Chi è che non veda come si vada preparando il terreno al più grande trionfo di Cristo, all'unificazione cioè spirituale di tutto il mondo sotto la Croce? Quest'opera non poteva compiersi in un giorno, doveva essere l'opera dei secoli, doveva essere il cammino perenne della Chiesa, la quale risplende e vive della vita del suo Cristo, affinché tutto l'universo sia un solo ovile, sotto la guida di un solo Pastore: Cristo nel suo Vicario, il Papa»[49].
PIERSANDRO VANZAN, nato a Lonigo (Vicenza) nel 1934, è morto a Roma il 14 niovembre 2011. Era persona mite e gentile, ma capace di fermezza e di una straordinaria forza interiore. Era un intellettuale raffinato, un uomo di grande cultura, uno studioso al tempo stesso rigoroso ed aperto alle problematiche dell’oggi, un saggio non privo di ironia. Entrò nella Compagnia di Gesù nel 1952 e fu ordinato sacerdote nel 1963. Insegnò Teologia pastorale alla Facoltà teologica di Napoli, e poi all’Università Gregoriana. Faceva parte del Collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica, di cui era stato anche vice-direttore. Fu collaboratore di varie riviste e giornali, autore di numerosissimi volumi e saggi.
[1] Oss. Rom., 17-18 maggio 2004, 1. E continuava: «Umile e ardimentoso, in tutta la sua vita fu sempre pronto e chino sui bisogni dei poveri, tanto da onorarsi dell’epiteto di ”facchino della Divina Provvidenza”» (ivi, p.4).
[2] Cfr nota 8 di p.128 in G. CASOLI, L’incontro di due uomini liberi. Don Orione e Silone, Milano, Jaca Book 2000.
[3] D. HYDE, Il bandito di Dio. Storia di don Orione padre dei poveri, Bari, Paoline, 1960. Sir William Beverige è il noto economista e uomo politico inglese che varò il piano di assistenza sanitaria obbligatoria e garantita per tutti (disabili, anziani, ecc.).
[4] Per una esauriente conoscenza biografica cfr G. PAPASOGLI, Vita di Don Orione (V ed.), Milano, Gribaudi, 2004 e D. SPARPAGLIONE, Il Beato Luigi Orione (X ed.), Cinisello B. (MI), San Paolo, 2004, mentre per una rassegna bibliografica sistematica cfr. A. BELANO, Bibliografia orionina. Il Beato don Luigi Orione: la sua vita, i suoi scritti, il suo messaggio, Roma, Piccola Opera della Divina Provvidenza, 1997.
[5] Dell’instancabile laboriosità materna don Orione ricorderà spesso che alle tre di mattina era già a spigolare nei campi e, in casa, «pareva un fuso che andasse, sempre s’industriava, faceva da donna e, con noi figli, anche da uomo, perché nostro padre era lontano, a lavorare nel Monferrato. Batteva lei il falcetto per fare l’erba, senza portarlo all’arrotino; faceva la tela con canapa filata da lei […]. Mia madre, anche quando io e i miei fratelli eravamo grandi, ci fissava il posto in chiesa e voleva sentire anche la nostra voce a pregare. […] In casa ci faceva dire le preghiere seduti solo quando eravamo malati. […] Quando è morta, le abbiamo messo il suo vestito da sposa, dopo 51 anni che era sposata. Se l’era fatto tingere in nero [quando rimase vedova] e faceva ancora la sua bella figura. Vedete, cari figli miei, come facevano i nostri santi e amati vecchi?» (Scritti di Don Orione, Tortona, Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza, 118 volumi: qui vol. 3, p. 111).
[6] Don Orione stesso raccontò più volte quella confessione. Per essere sicuro di farla bene, aveva consultato i formulari per l’esame di coscienza, riempiendo vari quaderni. «Con una mano nella tasca dei quaderni e l’altra al petto, aspettavo in ginocchio, tremando, il mio turno. “Che cosa dirà don Bosco quando gli leggerò tutta questa roba?”. Venne il mio turno; lui li guardò un istante e, senza che io aprissi bocca, tendendo la mano disse: “Dammi questi tuoi peccati”. Gli allungai un quaderno, tirato su accartocciato dal fondo della tasca. Lo prese e, senza neppure aprirlo, lo lacerò. “Dammi gli altri”. Subirono la stessa sorte. “E ora — concluse — la tua confessione è fatta; non pensare mai più quanto hai scritto e non voltarti più indietro a contemplare il passato”. E mi sorrise, come solo lui sapeva sorridere»(G. PAPASOGLI, Vita di Don Orione, cit., 28).
[7] Partecipando alla vita della Conferenza di San Vincenzo e della Società di mutuo soccorso di San Marziano contattò direttamente tanto i problemi del sottoproletariato quanto le prevaricazioni sulle mondine. A vent’anni, il 5 agosto 1892, scriveva: «Vi è un supremo bisogno e un supremo rimedio per rimarginare le piaghe di questa povera Patria, così bella e così infelice! Impossessarsi del cuore e dell’affetto del popolo ed illuminare la gioventù, effondendo in tutti la grande idea della redenzione cattolica col Papa e per il Papa. Anime! Anime!» (Scritti di Don Orione, cit., 59, 196).
[8] Don Orione lo ammette candidamente: «Io, da giovane, ero anche un po’ politico.» Per difendere il Papa, attaccato dai liberal-massoni, aveva fatto un discorso nel quale «citai Vittorio Emanuele II e dissi ciò che non era prudente dire. Fatto sta che sguinzagliarono alle mie calcagna i poliziotti» (Parola di Don Orione, Tortona, Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza, 12 volumi: qui vol. Vb, p.86).
[9] Ecco come andarono le cose. Incontrato un amico, che gli aveva detto che suo padre affittava una casa per 400 lire l’anno, Orione l’aveva «fermata subito», tempo una settimana per pagare. Sulla via del ritorno aveva incontrato una vecchina, sua conoscente, avevano parlato del più e del meno. Era venuta fuori l’idea del collegio, e quella: «Un collegio? Ci metto mio nipote! Quant’è la retta?». E Luigi: «Poco. Quello che mi date». «Se vi do 400 lire (tutti i suoi risparmi), quanto tempo me lo tenete?». «Per tutto il ginnasio!», aveva esclamato Orione, sobbalzando di gioia a quell’evidente segno della Provvidenza (cfr Parola di Don Orione, cit., vol. III, p. 178).
[10] Frequenti predicazioni a Tortona e zone limitrofe, costante visita a poveri e malati, instancabile apostolato della buona stampa. Quanto allo stile orionino, fin d’allora esso rivela una grande fedeltà alla Chiesa e ai suoi Pastori, unita però a un notevole (per quel tempo) spirito dialogico verso i lontani, prodigandosi assiduamente nel risolvere le tensioni scaturite prima dalla questione romana (anticlericalismo liberal-massonico) e poi dal modernismo e dal socialismo (con relativo allontanarsi dalla Chiesa sia di una certa intellighentia, sia delle masse operaie).
[11] Nel 1896 a Mornico Losana (PV), nel 1898 a Noto in Sicilia, nel 1899 a Sanremo, cui fecero seguito le colonie agricole di Bagnorea (VT), «San Giuseppe», e di Roma, «Santa Maria».
[12] Confortato dal personale consiglio di Leone XIII, don Orione — con profetica anticipazione — pose, nelle prime Costituzioni del 1904, tra gli scopi della nuova Congregazione, anche quello di lavorare per «ottenere l’unione delle Chiese separate». Cfr F. PELOSO, L’altissimo consiglio di Leone XIII in Don Orione, un vero spirito ecumenico, Roma, Dehoniane, 1997. Per i singolari rapporti dell’Orione con ben quattro Papi, cfr l’art. del card. J. Saraiva-Martins, in 30giorni, aprile 2004, 60-68.
[13] Alla sua morte ne esistevano già una decina e l’articolazione complessiva dell’assistenza prevedeva che i malati fossero organizzati «in famiglie», secondo il tipo di malattia, mentre i Piccoli Cottolenghi dovevano accogliere quelli che non riuscivano a trovare posto in nessun altro ospedale. Si trattava, come scriveva don Orione, di accogliere «gli ultimi degli ultimi, di qualunque nazionalità e religione siano, e anche se fossero senza religione, perché Dio è Padre di tutti» (Scritti di Don Orione, cit., vol. 37, p. 36).
[14] AA. VV., Don Orione negli anni del modernismo, Milano, Jaca Book, 2002.
[15] F. PELOSO, «Don Orione e la Conciliazione del 1929», in Messaggi di Don Orione 34 (2002), n.107, pp.27-45.
[16] V. ALESIANI, «Buon samaritano dei sacerdoti in difficoltà», ivi, 33 (2001), n.105, pp.37-64.
[17] Scritti di Don Orione, cit., vol. 22, p. 217.
[18] La sua salma, contesa dalla devozione dei tanti devoti, ricevette solenne onoranza a San Remo, Genova, Milano, terminando l’itinerario a Tortona, dove fu tumulata nella cripta del Santuario della Madonna della Guardia. Trovato intatto alla prima riesumazione (1965), il suo corpo venne posto in onore nel medesimo Santuario dopo che Giovanni Paolo II lo iscrisse nell’Albo dei Beati (26 ottobre 1980).
[19] Lettera del del 19 aprile 1931, in Scritti di Don Orione, cit., vol. 88, p. 66
[20] Positio 28. La descrizione di questi fatti è ampiamente documentata nella Positio della Causa di canonizzazione di Don Orione.
[21] Questa è la testimonianza di Felice Cribellati, in seguito Vescovo di Nicotera e Tropea, che fu testimone de visu del decorso dell’infezione, perché giunto in fretta da Messina (cfr Positio 53s).
[22] Positio 1261s. Quanto al barbiere, qualificato come «un buon cristiano» da molti testimoni, compreso Annibale Di Francia, si pensa a mera trascuratezza, benché don Orione abbia riferito che «poenitentia ductus, venne il barbiere a portarmi il pretium sanguinis e a chiedermi scusa». In tale senso va anche la testimonianza del sacerdote Nunzio La Monica: «Da quel che ho sentito, un barbiere col rasoio gli ha inoculato del veleno; poi, pentito, lo ha avvertito: Don Orione s’è curato, è guarito rapidamente. Forse si trattava di brutta infezione».
[23] Per una ricostruzione del fatto cfr F. PELOSO, «Luigi Orione e Annibale di Francia: uniti dal terremoto e dalla santità», in Messaggi di Don Orione 37 (2004), n.113, pp.3-38, mentre sulle affinità e collaborazioni tra i due Santi cfr 30giorni, aprile 2004, 50-68 e Vita Pastorale, maggio 2004, 32-35.
[24] I. SILONE, Uscita di sicurezza, in G. CASOLI, cit., 78s. Cfr anche la testimonianza di Silone, al processo di beatificazione. Mesi dopo il terremoto, reincontrò don Orione alla stazione centrale di Roma: lo accoglieva in uno dei suoi collegi. Portandogli le valigie, gli confessò: «La mia vocazione — è un segreto che voglio rivelarti — sarebbe poter vivere come un autentico asino di Dio, come un autentico asino della Divina Provvidenza». Silone ricorda: «Così ebbe inzio tra noi un dialogo che, salvo qualche breve pausa, durò l’intera notte. Don Orione, benché prima di allora non ci fossimo mai incontrati, parlava con me ragazzetto con una semplicità e naturalezza, con una confidenza, di cui non avevo ancora conosciuto l’eguale. […] Sentivo un piacere infinito a udirlo parlare in quel modo; provavo una pace e una serenità nuova. Ciò che mi è rimasto impresso è la pacata tenerezza del suo sguardo. La luce dei suoi occhi aveva la bontà di chi nella vita ha pazientemente sofferto ogni sorta di triboli e perciò sa le pene più segrete. […] A un certo punto del viaggio mi disse: “Ricordati di questo: Dio non è solo in chiesa. Nell’avvenire non ti mancheranno momenti di cupa disperazione. Anche se ti crederai solo e abbandonato, non lo sarai. Ricordati di questo!”. Mi accorsi che i suoi occhi erano lucidi di lacrime. Non mi era mai capitato d’incontrare una persona adulta che si aprisse così sinceramente con un ragazzo» (30giorni, aprile 2004, 69s).
[25] F. PELOSO (ed.), Don Orione e il Novecento, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2003, 11.
[26] Emblematico il caso del Primo Ministro Alessandro Fortis, noto massone, che don Orione raggiunse in punto di morte — vestito da infermiere, per eludere la sorveglianza dei frammassoni. —, amministrandogli i sacramenti. Cfr F. PELOSO, «Sacramenti in articulo mortis ad Alessandro Fortis», in Messaggi di Don Orione 34 (2002), n.109, pp.77-87.
[27] Ecco qualche nome in ordine sparso, tanto per far intravedere la rete dei contatti orionini ad intra: Pio X, Luigi Guanella, Annibale di Francia, Merry del Val, Ildefonso Schuster, Giovanni Battista Scalabrini, Clemente Rebora, Giovanni Calabria, p. Pio da Pietrelcina, Francesco Olgiati, Armida Barelli, Carlo Gnocchi, Eugenio Pacelli, Angelo Roncalli, Giovanni Battista Montini. Ad extra poi basti ricordare il gruppo dei modernisti, la cui frequentazione gli procurerà qualche guaio e sospetto anche nella Curia Romana: Tommaso Gallarati Scotti, Romolo Murri, Antonio Fogazzaro, Giovanni Semeria, Ernesto Buonaiuti. Neppure mancano relazioni con donne eminenti, tra cui Ada Negri, la contessa Gabriella Spalletti Rasponi, la contessina Cadorna, Adele Costa Gnocchi, Teresa Michel Grillo, Valeria Pignetti – fondatrice dell’Eremo di Campello e amica di Buonaiuti – e tante altre.
[28] Tra i volumi di carattere storico-scientifico, oltre a quello cit. in nota 25, cfr AA. VV., La figura e l'opera di Don Luigi Orione (1872-1940). Atti dell'incontro di studio tenuto a Milano il 22-24 novembre 1990, Milano, Vita e Pensiero, 1994; M. BUSI-R. DE MATTEI-A. LANZA-F. PELOSO, Don Orione negli anni del Modernismo,Milano, Jaca Book, 2002; AA. VV., San Luigi Orione. Da Tortona al mondo: 1903-2003, Milano, Vita e Pensiero, 2004. Strumento di studio e divulgazione è anche la rivista di storia e spiritualità Messaggi di Don Orione (Via Etruria 6, Roma).
[29] Cfr G. PAPASOGLI, Vita di Don Orione, cit., 125.
[30] È verosimile che don Luigi temesse sia la chiusura del clero locale — perché non nominare un siciliano? —, sia la sofferenza della sua giovane comunità per una assenza precoce. Da qui la triplice insistenza: «Padre Santo, sono un ignorante». Ma Pio X fu irremovibile, e don Orione cedette. Cfr ivi, 205.
[31] Pochi giorni dopo la morte, sul tavolo del Papa fu trovata una busta, con una pingue somma, destinata a don Orione per le necessità della nuova parrocchia di Tutti i Santi, che la Congregazione aveva avuto l’incarico di impiantare «nella Patagonia romana», come era detta allora quella zona d’estrema periferia.
[32] Per esempio, l’evoluzione del dogma è oggi tranquillamente insegnata nelle Università Pontificie, ma lo si fa in base a una corretta ermeneutica. Poiché la conoscenza è sempre interpretazione di dati, nell’evolversi delle conoscenze umane le interpretazioni si raffinino. Altro esempio, il dogma del peccato originale resta; ma nessuno oggi considera un racconto storico il mito di Gn 3. Invece, fino a pochi decenni or sono, si pretendeva che ortodosso fosse il senso letterale del passo. C’è stata dunque una evoluzione interpretativa che, fatto salvo il nucleo della verità rivelata, ci libera dai fissismi accreditati per secoli. In breve, i modernisti avevano ragione nella sostanza, ma errarono nel proporre tale ragione con argomenti inadeguati
[33] Sono significative queste parole, lasciate scritte in una minuta dall’Orione come propria epigrafe: «Qui riposa nella pace di Cristo il sacerdote Luigi Orione, dei Figli della Divina Provvidenza, che fu tutto e sempre della Chiesa e del Papa. Pregate per lui» (Scritti di Don Orione, cit., vol. 57, p. 146).
[34] Particolarmente in questo carteggio vibra la tragedia di un uomo condannato dalla Chiesa, ma che non per questo disconosce quegli ideali per i quali aveva aderito al cammino sacerdotale. Ed ecco che il proscritto si fa avvocato di altre situazioni penose, e invece di chiedere per sé, bussa alla porta dell’amico, perché rimedi — come può, e se può — alle sofferenze che gli presenta. E si tratta a volte di situazioni tanto penose che addirittura i protetti restano innominati. Sugli inediti d’archivio, che ricostruiscono gli scambi tra i due, cfr F. PELOSO, «Don Orione e Buonaiuti. Un’amicizia discreta», in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, genn.-giugno 2002, 121-147.
[35] «Caro, Ti si presenta un mio giovane amico. Ti spiegherà il suo caso. È un boccheggiante sulla via, colpito, malmenato, lasciato nell’abbandono. Tu sei il buon Samaritano. Lo sanno tutti; io lo so meglio di ogni altro. Lo metto sul tuo cammino. Non lo lascerai boccheggiare. Lo raccoglierai e lo curerai. […] Tutti i tuoi secondi sono preziosi. Io sono sempre assetato del tuo ricordo. Prega e ricordami» (Lettera del 12.12.1938, riportata in Don Orione negli anni del modernismo, cit., 259s).
[36] Sulla vicenda cfr F. PELOSO, Don Luigi Orione e Padre Pio da Pietrelcina nel decennio della tormenta: 1923-1933, Milano, Jaca Book, 1999.
[37] Per un quadro critico delle tante azioni e relazioni di rilevanza storica cfr AA. VV., Don Orione e il Novecento, cit.
[38] Per gli approfondimenti cfr Don Orione. Lettere, Roma, Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, 1969, voll. 2; Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine di Don Orione, Casale M. (AL), Piemme, 2004; San Luigi Orione. Meditazioni sul Vangelo, Cinisello B. (MI), San Paolo 2004; F. PELOSO, Don Orione. Intervista verità (II ed.), ivi, 2004; e tre raccolte divulgative di scritti curate da V. ALESIANI, 1. Da vero amico. Lettere di Don Orione ai laici, 2. Sole o tempesta? Lettere di Don Orione ai giovani, 3. Seminare Gesù Cristo. Lettere di Don Orione ai preti, Milano, Gribaudi, 2004.
[39] Singolare la storia di santità di questo eremita non vedente, che l’Orione trasse dalla desolazione giovanile additandogli le vette della contemplazione. Cfr F. PELOSO, Si può essere felici. Vita di Frate Ave Maria, Casale M. (AL), Piemme, 2000; Frate Ave Maria. Lettere dall'eremo, ivi, 1996.
[40] Sui passi di don Orione, cit., 7.
[41] Come ricordò anche da Giovanni Paolo II, nell’omelia di canonizzazione: «Sofferenze fisiche e morali, fatiche, difficoltà, incomprensioni e ostacoli di ogni tipo hanno segnato il suo ministero apostolico. “Cristo, la Chiesa, le anime – egli diceva – si amano e si servono in croce e crocifissi o non si amano e non si servono affatto”» (Oss. Rom., 17.18 maggio 2004, 1)..
[42] Sui passi di Don Orione, cit., 304. E ancora: «Chi accresce l’unione accresce l’amore verso i fratelli, che è vincolo dell’amore di Dio, e accresce la forza spirituale, e va a formare sempre più in Gesù Cristo un cuore solo e un’anima sola. […] La forza dei religiosi sta nella unione, il cui vincolo è Gesù Cristo» (ivi, 305).
[43] Era talmente radicata in san Luigi Orione questa ricerca dell’unità concreta nella Chiesa e con i suoi pastori che, talvolta, rinunciò ai propri diritti o a possibili progetti di bene piuttosto che incrinarla anche solo indirettamente. È il caso, per esempio, di quanto avvenne a Lonigo (Vicenza), dove il nuovo Arciprete, pur apprezzando l’opera degli orionini in favore della gioventù, manifestò la volontà di dare un diverso indirizzo all’oratorio. Per un po’ l’Orione resistette e difese i propri diritti, ma poi preferì il ritiro piuttosto che affermarli a discapito della comunione. Cfr F. PELOSO, San Luigi Orione “per la cara gioventù di Lonigo”, ISG, Vicenza 2004.
[44] Il quale, tuttavia, mai si affliggeva ché, manzonianamente, ripeteva «la c’è la Provvidenza» e da essa si attendeva sempre fiduciosamente gli interventi opportuni, come il bambino attende i regali dalla mamma. Di fatto, giungevano visitatori con ingenti somme di denaro — proprio allo scadere delle cambiali — e raccontavano di strani impulsi interiori, cui non avevano potuto resistere. E don Orione sorrideva, perché aveva appena finito di litigare con una statua della Madonna o di san Giuseppe. Cfr La c'è la Provvidenza, Milano, Piccolo Cottolengo Don Orione, 1964.
[45] Sul tema, F. PELOSO, Don Orione, un vero spirito ecumenico, Roma, Dehoniane, 1997.
[46] Don Orione stesso fu missionario in America Latina nel 1921-1922 e nel 1934-1937, e riservò uno sguardo particolare alle fondazioni in Polonia (cfr Oss. Rom. 20 maggio 2004, 9). Oggi i suoi discepoli sono presenti in 32 nazioni.
[47] Minuta, in Scritti di Don Orione, cit., vol. 79, p 234 e vol. 90, p. 432.
[48] GIOVANNI PAOLO II, Ut unum sint, n.5.
[49] Lettera del 30-3-1918, in Sui passi di Don Orione, cit., 231.