Seguì e collaborò con Don Orione prima da laico e poi da religioso e sacerdote. Scrisse pagine meravigliose di solidarietà durante la seconda guerra mondiale e nel Piccolo Cottolengo Genovese. Fu a lungo economo generale.
DON ENRICO SCIACCALUGA
Stratega dell’economia e della solidarietà
Don Flavio Peloso
Enrico Sciaccaluga nacque a Sampierdarena, Genova, il 21 novembre 1897. Ebbe una gioventù buona e brillante, compi gli studi tecnico-commerciali, militò nelle file dell’Azione Cattolica e fu dirigente degli Scout.
A 34 anni, nel giugno 1931, ci fu la svolta della sua vita: si offerse come collaboratore laico di Don Orione rendendo subito il suo prezioso aiuto nella multiforme attività amministrativa delle Case orionine di Genova.
“In quanto alle tue debolezze e instabilità, ricorda che sei chiamato a farti religioso, non perché sei perfetto, ma perché Dio, con la grazia e gli aiuti della vita religiosa, ti chiama a diventarlo. Prego per te e ti conforto molto e ti benedico con affetto in Gesù Cristo come padre”. Dopo questa lettera di Don Orione, il giovane contabile Enrico Sciaccaluga lasciò la sua brillante carriera, lasciò la sua numerosa e agiata famiglia, lasciò tutto e seguì Don Orione che già ammirava e amava come un figlio. Il 25 marzo 1933, ricevette l'abito religioso dalle mani di Don Orione.
Il 20 marzo 1934, don Orione lo presenta come “un caro chierico, che lavora da vero facchino è il mio braccio destro pel Piccolo Cottolengo”. Fece la professione religiosa, il 13 settembre 1935, e divenne sacerdote il 6 giugno 1936.
Per la sua preparazione specifica, fu coinvolto fin dall’inizio nella collaborazione economico-amministrativa delle complesse case del Piccolo Cottolengo Genovese, che contribuì a consolidare come organizzazione, amministrazione e spirito religioso. Fu il sostegno amministrativo di Don Sterpi mentre Don Orione era in Argentina (1934-1937); da qui, il Fondatore gli scriveva quasi settimanalmente. Sulla busta dell’ultima lettera di Don Orione a lui diretta c’è il timbro postale di Sanremo che indica “ore 21:00, 12 marzo 1940”.
Durante la seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre 1943, si scatenò in Italia la caccia all’ebreo e si compì la “shoah”. Il Piccolo Cottolengo di Genova divenne un importante centro di aiuto e di salvezza per molti ebrei.[1] Don Sciaccaluga, ne era il direttore e con Suor Bennata, Suor Filippina, il chierico Luigi Carminati e altri scrisse una pagina coraggiosa e gloriosa di carità cristiana.
Era in contatto con la Curia Arcivescovile di Genova, in cui erano attivi mons. Siri e mons. Repetto. Numerosi ebrei arrivarono a Genova al seguito dei soldati italiani fuggiti dalla Francia attraverso il confine col Piemonte. Ebrei singoli o con le famiglie, francesi, tedeschi, belgi, austriaci, braccati dai tedeschi e più avanti dai repubblichini in ottemperanza alle leggi contro la razza ebraica.
Don Sciaccaluga collocò molti ebrei negli istituti, a volte inserendoli anche nelle attività che vi si svolgevano. Riusciva a sistemare e a tenere in contatto anche intere famiglie, mettendo uomini in un istituto, figli in un altro, le donne con le suore. Fu una rete di salvataggio discreta ed efficiente.
Un gruppo di ebrei incarcerati gli furono affidati per un certo periodo, in domicilio protetto, nella casa di Camaldoli, sotto la responsabilità di Don Ferruccio Netto. Don Sciaccaluga adattò nel fondo dell'ampio terreno del Paverano una casetta per ospitare alcuni bambini ebrei. Due suore, Suor Filippina e Suor Bennata, furono addette al vitto, al vestiario, alla lavanderia. Per il trasporto dalla stazione Principe provvedeva fratel Luigi Carminati,[2] che si vedeva girare sul suo motocarro Guzzi 500, coperto da un tendone. Ricordava Don Sciaccaluga: "Tutto si svolgeva col massimo riserbo: oltre al direttore, suor Filippina, suor Bennata e fratel Carminati, nessun'altra persona ne era a conoscenza".
Per rapporti delicati e pericolosi si serviva di un ragazzo lesto e disinvolto che non doveva destare sospetti nei suoi giri in curia, in comune, all'ufficio anagrafe: era Ferruccio Fisco. “Io sono quell'ex-ragazzino, all'epoca quattordicenne, che accompagnava quelle persone di stirpe ebraica a nascondersi presso vari Istituti Religiosi della città per sfuggire alle persecuzioni hitleriane”. Poi Ferruccio Fisco passò tutta la sua vita al Piccolo Cottolengo.
Mons. Repetto, ricordando quelle vicende tragiche e nobili, ringraziava ancora Don Enrico Sciaccaluga: “L'impresa fu quella di una carità che era preparata e pronta ad ogni rischio. Io mi permetto aggiungere una doverosa testimonianza. E cioè che quel servizio di carità fu costante, per quanto durarono gli interminabili mesi di terrore, e del tutto disinteressato. Fu soprattutto di una gentilezza squisita. Ricordo che quando, con una certa perplessità, sia per il pericolo cui si esponevano le case del Piccolo Cottolengo, sia perché esse avevano già accolto parecchi rifugiati, venivo a chiedere a Lei, allora Superiore, un caldo nascondiglio per i trepidanti fuggiaschi, Lei, con un cenno cortese, immediato, naturale, mi rispondeva sempre di sì, senza provare insofferenza, senza imporre scadenze, senza chiedere garanzie. Ricordo infine che a quegli innocenti perseguitati a morte, Lei dava non soltanto le pareti di una stanza nascosta, ma la Sua riconfortante compagnia. Lo stesso Card. Boetto era rassicurato, sapendo della prudenza e della generosità dei discepoli di Don Orione”.[3]
Nel Capitolo generale del 1952, Don Sciaccaluga fu eletto economo generale della Congregazione, ruolo che svolse fino al 1969 con grande senso religioso, oculatezza e prudenza. Compì viaggi lunghi e faticosi per raggiungere tutte le Case della Congregazione, soprattutto al fianco del superiore generale Don Carlo Pensa. Univa in modo spontaneo il silenzio e l’operosità, sostituendo alla parola l’esempio costante di dedizione nel compiere il bene. Era di pietà semplice e sincera, dedito alla preghiera, vigile sempre - come egli scrisse a Don Sterpi - per non diventare "un funzionario sia pure di alto rango" e rimanere invece, sempre e in tutto, il sacerdote secondo l'insegnamento e il modello lasciato da Don Orione.
Trascorse gli ultimi due decenni della sua vita al Villaggio della Carità di Genova – Camaldoli, prima nel servizio attivo e poi nella pazienza della vecchiaia, emblema di vita povera e serena, di vita religiosa fedele, di benevolenza verso tutti. Morì il 15 dicembre 1992.
[1] Giovanni Marchi e Flavio Peloso, Orionini in aiuto agli Ebrei negli anni dello sterminio, “Messaggi di Don Orione”, 2003, n.112, p.75-106; Mario Macciò, Genova e “ha Shoah”. Salvati dalla Chiesa, Ed. Il Cittadino, Genova, 2006.
[2] Fratel Luigi Carminati, vittima della sua carità senza limiti che lo spingeva a prodigarsi col suo motocarro carico alternativamente di ricoverate, di patate, di farina, a servizio degli ospiti del Cottolengo, che cadde a pochi giorni dalla fine della guerra. il 12 aprile 1945, com’è scritto nel Necrologio: Fratel Carminati Luigi, da Pagazzano (Bergamo), morto per mitragliamento aereo nei pressi di Isola Sant’Antonio (Alessandria) nel 1945, a 32 anni di età e 5 di professione. Riposi in pace».
[3] Lettera del 7 marzo 1983.