I fatti e la lezione di ecumenismo interno alla Chiesa. I - La visione teologica e carismatica di Don Orione; Il modernismo; Il modernismo italiano; La risposta di Pio X al modernismo
DON ORIONE NEGLI ANNI DEL MODERNISMO
I fatti e la lezione di ecumenismo interno alla Chiesa.
Don Flavio Peloso
Corso di storia e spiritualità orionina
Istituto Teologico Don Orione
Roma, 5 e 19 dicembre 2019
Il tema storico e biografico “Don Orione negli anni del modernismo”[1] è importante in sé stesso, per la consistenza e ampiezza di relazioni e iniziative, ed è un capitolo biografico di Don Orione che ci aiuta a comprendere la sua personalità, il carisma e la sua collocazione nel contesto storico ecclesiale.
L’argomento della posizione di Don Orione durante la crisi modernista è molto presente della documentazione della Causa di canonizzazione, ma ha cominciato ad essere studiato solo recentemente.
I due più importanti apporti di studio sono considerati quello di Giorgio Papàsogli, coadiuvato dalla figlia Benedetta, con alcuni capitoli di approfondimento inseriti nella sua robusta biografia “Vita di Don Orione”.[2] Il secondo, più vasto e documentato, è il libro “Don Orione negli anni del modernismo”,[3] che raccoglie gli apporti di vari studiosi.
La visione teologica e carismatica di Don Orione
L’azione di Don Orione negli anni del modernismo va inquadrata nella sua coscienza del carisma che improntò la sua personalità e la sua azione. Presentò il suo carisma, per la prima volta in modo organico, al suo Vescovo, Mons. Igino Bandi scrivendo “I sommi principi dell’Opera della Divina Provvidenza” (11.2.1903),[4] in vista dell’approvazione della sua Congregazione.
Nei “Sommi principi”, Don Orione descrive l’opera della Divina Provvidenza con un’ampia visione storico-salvifica (il “disegno del Padre” di Ef. 1, 1-10) entro la quale poi egli colloca il carisma proprio e specifico della “Piccola” Opera della Divina Provvidenza.
La visione della storia della salvezza è presentata a tre circoli concentrici:
1. “L’opera della Divina Provvidenza” (Padre)
2. “…consiste nell’Instaurare omnia in Christo” (Figlio)
3. “…unendo tutta l’umanità in un corpo solo, la S. Chiesa cattolica costituita nell’unità coi Vescovi e il Papa” (Spirito Santo).
Entro questa visione, in gran parte mutuata anche verbalmente dal Rosmini, Don Orione focalizza la sua “concentrazione carismatica” di sequela di Gesù.
“E perché Nostro Signore Gesù Cristo designò propriamente nel Beato Apostolo Pietro chi doveva farsi servo dei servi di Dio, e su Lui fondò la Sua Chiesa, e a Lui commise l’unità del governo visibile che avvicinasse sempre più gli uomini a Dio… il nostro minimo Istituto che, per bontà del Signore, sorse sotto la denominazione di Opera della Divina Provvidenza, riconoscendo nel Romano Pontefice il cardine dell’opera della Divina Provvidenza nel mondo universo… questo ha per fine suo precipuo: di «compiere, con la divina Grazia, la volontà di Dio nella volontà del Beato Pietro il Romano Pontefice, e cercare la maggiore gloria di Dio con attendere alla perfezione dei suoi membri, e impiegarsi, con ogni opera di misericordia, a spargere e crescere nel popolo cristiano e specialmente nell’evangelizzare i poveri, i piccoli e gli afflitti da ogni male e dolore un amore dolcissimo al Vicario in terra di Nostro Signore Gesù Cristo che è il Romano Pontefice, Successore del Beato Apostolo Pietro, coll’intento di concorrere a rafforzare, nell’interno della Santa Chiesa, l’unità dei figli col Padre e, nell’esterno, a ripristinare l’unità spezzata col Padre».
Gli ambiti e le modalità di impegno carismatico della nuova fondazione, presentata al vescovo Bandi, sono riassunte nella formula “con le opere di misericordia ravvivare, stringere e mantenere l’unità dei fedeli col Beato Pietro”, e si articolano come educazione, evangelizzazione, istituzioni per gli afflitti e il popolo...
1. ambito interno alla S. Chiesa: “spargere e crescere nel popolo cristiano, nei poveri, i piccoli e gli afflitti da ogni male e dolore un amore dolcissimo al Successore del Beato Apostolo Pietro”;
2. ambito ‘ecumenico’: “piena unità delle Chiese separate…”;
3. ambito missionario-universale: “le genti e le nazioni stabiliscano un giusto ordinamento sulla terra, e vivano e prosperino in Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso: «instaurare omnia in Christo»”.
Don Orione, infine, riafferma ancora il “proprium” della vocazione: “Questo fine - unire al Papa per instaurare omnia in Christo - è proprio di nostra azione”, dedicando tre numeri del testo per indicare gli impegni in relazione al Papa in quanto persona.
Ciò premesso, va considerato che il capitolo dell’opera di Don Orione negli anni del modernismo si colloca come una particolare forma di “ecumenismo interno” alla Chiesa, in quanto si trattava di un movimento e di persone che erano ai margini della comunione ecclesiale, a rischio di separazione e, in alcuni casi, anche formalmente separati con sanzioni disciplinari fino alla scomunica.
PARTE I
Il modernismo
Il modernismo è tema storiografico abbondantemente studiato e documentato. Costituisce un “punto nevralgico della sensibilità cattolica”,[5] sempre aperto come è sempre aperto il dialogo tra Chiesa e modernità. Il modernismo può essere definito una patologia teologica nel clima del rinnovamento della Chiesa in riferimento alla modernità. Pertanto, continua ad essere uno dei nodi culturali del nostro tempo e non può essere circoscritto agli anni di san Pio X[6], né essere spogliato della sua dimensione teologica e filosofica per essere ridotto a un episodio di storia della disciplina della Chiesa o della mentalità”.
L’onda del rinnovamento nella Chiesa, tra fine ottocento e inizio novecento, già aveva prodotto buoni frutti nell’ambito sociale, con la spinta illuminata di Leone XIII e della Rerum Novarum. Applicato anche all’ambito esegetico, teologico e liturgico andò a toccare il “depositum fidei”, patrimonio della Chiesa non spendibile nel necessario dialogo con la modernità un benefico. Per questo si parla di crisi modernista.[7] Il Poulat afferma che quel periodo fu vissuto in un clima di “stato d’assedio”, che portò a una vera e propria “guerra civile” all’interno della Chiesa le cui lacerazioni e ferite non sembrano rimarginate, a giudicare dai toni ancora dominanti nella saggistica.
Le origini prossime del modernismo, patologia teologica della modernizzazione, vengono individuate nell’americanismo[8] e nel protestantesimo liberale i cui principi furono popolarizzati da Auguste Sabatier (1839-1901).
Il termine modernismo[9] ricorre ufficialmente nell'enciclica Pascendi (1907) di Pio X che ricondusse al medesimo nucleo originario un complesso di errori in tutti i campi della dottrina cattolica (Sacra Scrittura, teologia, filosofia, culto). Il documento pontificio fu, secondo Ernesto Buonaiuti, “l'unica riduzione ad unità dei molteplici indirizzi compresi sotto il nome generico di modernismo”[10] che si presentò come “una materia fluida e incandescente”[11] e il cui carattere distintivo “fu la stessa indeterminatezza del suo programma”[12].
L’acme della crisi modernista andò dal tardo pontificato di Leone XIII, morto nel 1903, fino alla morte di Pio X (1914).
La scintilla che fece divampare il movimento, dopo un decennio di incubazione, furono le polemiche suscitate dalla apparizione del volumetto dell'abate Alfred Loisy (1857-1940), professore di scienza biblica all’Institut Catholique di Parigi e allievo di mons. Duchesne, L’Evangile et l’Eglise[13] (1902) in risposta all’interpretazione del cristianesimo che Adolf von Harnack (1851-1930), esegeta protestante di fama internazionale, aveva dato nelle sue lezioni presso l’Università di Berlino, poi raccolte nel volumetto Das Wesen des Christentums[14]”. L’orizzonte che Loisy delineava era quello della trasformazione del cristianesimo in una “religione dell’umanità”.[15]
La strutturazione teologica del movimento si dovette al sacerdote irlandese Georges Tyrrell (1861-1909), definito da Buonaiuti “l'araldo più ardimentoso, più coerente, più intimamente pervaso di fede e di entusiasmo della causa modernistica”[16] e forse, come osserva Maurilio Guasco, “l’unico vero teologo” del modernismo[17].
Tyrrell, che si convertì dal calvinismo all'anglicanesimo e da questo al cattolicesimo (1879) per poi entrare nella Compagnia di Gesù, raggiunse la notorietà quando si ravvisò in lui l'autore dell'opuscolo anonimo pubblicato sotto il titolo Lettera confidenziale ad un amico professore di antropologia (1905). Tyrrell identifica la rivelazione con l'esperienza vitale (religious experience), che si compie nella coscienza di ognuno, per cui è la lex orandi a dettare le norme della lex credendi e non viceversa. La Rivelazione-esperienza, infatti, “non può venire a noi dal di fuori; l'insegnamento può essere l'occasione, non la causa”[18].
Mi limito ad accennare a questi capostipiti del movimento modernistico, ma ogni ambito dell’esperienza umana e cristiana ebbe in quel tempo i propri interpreti e protagonisti.
Il modernismo sviluppò un duplice attacco alle fonti della Rivelazione: alla Scrittura, attraverso il razionalismo esegetico di Loisy, e alla Tradizione, attraverso l’evoluzionismo teologico di Blondel e Tyrrell.
Il modernismo ebbe inoltre, secondo l'espressione di Loisy, un importante “agente di collegamento” nella figura del barone Friedrich von Hügel (1852-1925), il “liaison officier” dei diversi ambienti e delle diverse correnti, “l’anello intermediario tra società inglese tedesca e italiana, fra idee della filosofia dell’azione e quelle dell’immanenza storica”[19].
E’ stata indicata come data di nascita[20] del modernismo italiano la comparsa a Firenze, nel gennaio 1901 della rivista “Studi religiosi” fondata e diretta per sette anni (1901-1907) dal biblista don Salvatore Minocchi[21] e alla quale collaborarono il barnabita Giovanni Semeria[22] (1867-1931), il padre Giovanni Genocchi[23] (1890-1926), superiore della casa romana dei missionari del Sacro Cuore, don Umberto Fracassini[24] (1862-1950) rettore (poi destituito) del seminario di Perugia e, dal 1904, don Ernesto Buonaiuti[25] (1881- 1946) professore di storia della Chiesa nel Seminario dell’Apollinare, convinto di avere la missione di “rigenerare” la Chiesa e destinato a rivelarsi come la figura di maggior spicco del movimento.
Un posto a sé occupa don Romolo Murri[26] (1870-1944) esponente di quel movimento che fu detto modernismo sociale, per il tentativo di conciliare tra i valori del cattolicesimo e quelli della democrazia secolarizzata moderna. Per fondare ideologicamente la democrazia cristiana, Murri tentava una sintesi tra il tomismo, da lui appreso all’Università Gregoriana, e il materialismo storico di Antonio Labriola di cui aveva frequentato, come Buonaiuti, le lezioni all’Università La Sapienza di Roma.
Nel solco della tradizione liberale cattolica, cioè all’interno di quel filone “transigente” e “conciliarista” che aveva auspicato la possibilità di un accordo politico tra lo Stato italiano risorgimentale e la Santa Sede, si inserì, a partire dal gennaio 1907, la rivista milanese “Il Rinnovamento” diretta da Antonio Aiace Alfieri (1880-1962), Alessandro Casati (1881-1955) e Tommaso Gallarati-Scotti (1878-1966) e sostenuta da Antonio Fogazzaro (1842-1911).[27]
Nacquero un po’ in tutta Italia dei “laboratori di riformismo cattolico” che riprendevano, applicavano e popolarizzavano i principi del modernismo.
Di fronte alla condanna della Pascendi, l’atteggiamento dei modernisti fu quello di negare di riconoscersi nelle proposizioni condannate, affermando che il modernismo, quale era condannato nell’enciclica, era una chimera.[28] Il modernismo[29] cercò, fin che poté di non farsi mettere all’angolo (degli eretici) dalle autorità ecclesiastiche. Infatti, come spiegava Buonaiuti, “Fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero ed infallibile metodo; ma è difficile”.[30] Il modernismo si proponeva, in questa prospettiva, di trasformare il cattolicesimo immettendo le sue idee dall’interno, lasciando intatto, nei limiti del possibile, l’involucro esteriore della Chiesa.
La risposta al modernismo all’interno della Chiesa si riassume emblematicamente nell’opera di magistero e di governo di Pio X anche senza evidentemente esaurirsi in essa.[31] Pio X, che contrastò con molta fermezza il modernismo, “fu nel medesimo tempo uno dei più grandi pontefici riformatori della storia”[32]. Il suo programma di rinnovamento della società cristiana, riassunto nel motto paolino Instaurare omnia in Cristo (Ef 1, 10),[33] implicava, oltre alla ferma difesa dell’ortodossia della Chiesa minata dal modernismo, anche un vasto programma di iniziative pastorali e di riforme, a cominciare da quella della Curia pontificia.
In fondo, l’Instaurare omnia in Cristo fu il motto che rispondeva all’Instaurare omnia in homine che può essere considerato il motto modernistico. Fu infatti l’immanenza antropologica il virus che ha trasformato in patologia (modernismo) le istanze di rinnovamento e di dialogo con la modernità vastamente avvertite nella Chiesa tra fine ‘800 e inizio ‘900, e tuttora perduranti perché il dialogo con la modernità sempre in evoluzione è costitutivo per la dottrina e la vita della Chiesa.
I tre documenti fondamentali della risposta al modernismo furono la Pascendi, (8 settembre 2007), preceduta dal decreto Lamentabili (3 luglio 1907) e seguita dal giuramento antimodernista Sacrorum antistitum (1° settembre 1910), che ne costituì il compimento.
Secondo Pio X, l’agnosticismo costituisce l’aspetto più negativo del modernismo; esso si fonda sulla convinzione che la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni e non può innalzarsi a Dio, né conoscerne l’esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili.[34] Come risposta “religiosa” derivante da un tale presupposto, il modernismo assunse e divulgò la dottrina dell’immanenza vitale secondo la quale l’esperienza religiosa come ogni fenomeno vitale, nasce dall’interiorità dell’uomo, da un bisogno, da un “movimento del cuore”. Il sentimento religioso e la fede, non poggiando su alcune premesse razionali, è ridotto a fideismo. L’immanenza postula l’equivalenza tra coscienza e rivelazione intesa come l’apparire di Dio all’anima: di qui “la legge che erige la coscienza religiosa a regola universale sullo stesso piano della rivelazione e alla quale tutto deve essere sottoposto, perfino l’autorità suprema, nella sua triplice manifestazione, dottrinale, culturale, disciplinare”.[35]
Il nucleo del modernismo, per san Pio X, non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di “verità”, mediante l’accettazione del “principio di immanenza” che sta a fondamento del pensiero moderno, come riassume la proposizione 58 condannata dal Decreto Lamentabili: “La verità non è più immutabile dell’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, con lui per lui”.
Considerata nella sua struttura fortemente teoretica ed anche nel suo inconfondibile stile, la Pascendi può essere considerata come un documento fondamentale del Magistero della Chiesa e fra tutti gli atti di Pio X resta “il monumento più insigne del suo pontificato”[36]. La Pascendi costituì un riferimento per tutto il magistero pontificio seguente, come per l’enciclica Humani generis di Pio XII e la Fides et Ratio di Giovanni Paolo II.[37]
L’opera antimodernista di san Pio X fu coronata dal Motu proprio Sacrorum antistitum del 1 settembre 1910[38] e dalla Professio fidei e dal giuramento di edeltà che esso imponeva. Questo giuramento, senza nulla aggiungere di essenziale agli atti precedenti, ne è quasi un solenne riassunto; costituisce una positiva e diretta riaffermazione delle dottrine cattoliche alle quali si oppongono le eresie moderniste.
All’intervento di natura magisteriale, Pio X fece seguire tutta una azione disciplinare e formativa onde evitare che il clero e istituzioni ecclesiastiche veicolassero le dottrine modernistiche.[39]
La croce del pontificato di Pio X fu la solitudine nell’affrontare la risposta al modernismo, con pochi veri e devoti collaboratori all’interno dell’episcopato italiano e della stessa Curia romana. Oltre alla sua segreteria, diretta da mons. Giambattista Bressan (1861-1950), Pio X fu coadiuvato soprattutto da due cardinali[40], il segretario di Stato Rafael Merry del Val[41] (1865-1930) e il prefetto della Congregazione Concistoriale per i Vescovi Gaetano De Lai[42] (1853-1928). De Lai rappresentò, secondo alcuni, “l’uomo forte del pontificato”;[43] Merry del Val fu realmente unito a Pio X “cor unum et anima una”[44], in undici anni di aspre lotte su molteplici fronti.
Mons. Umberto Benigni[45] (1862-1934), entrò in scena qualche anno più tardi. Fu il fondatore del Sodalitium pianum, conosciuto e incoraggiato dalla Santa Sede, in particolare dalla Sacra Congregazione Concistoriale, di cui era prefetto il card. De Lai e dallo stesso Pio X che inviò tre autografi papali di benedizione. Costituito nel 1909, il Sodalizio, fu sciolto dopo la morte di Pio X, e fu riattivato nel 1915, d’intesa con la Congregazione Concistoriale. Venne definitivamente sciolto in data 25 novembre 1921[46]. Nella sua testimonianza al processo di beatificazione di Pio X, il cardinal Gasparri riferendosi al Sodalitium Pianum sottolinea “con dispiacere che questo fu approvato da Pio X e dalla Concistoriale audito Pontifice”.[47]
La storiografia anche contemporanea ha ripreso le accuse di “delazione” e di “spionaggio” già lanciate dai modernisti contro mons. Benigni e il Sodalitium pianum che sarebbe stato “il peccato di Pio X”[48]. Attorno al Sodalitium pianum si è creata una vera e propria “leggenda nera”, in maniera tale da impedire un giudizio obiettivo sull’operato del Sodalitium.
In molti casi, la ricostruzione storiografica dell’azione di contrasto al modernismo da parte della Chiesa e di san Pio X è stata fatta rifacendosi alle non poche ombre lasciate da alcuni comportamenti del Sodalitium pianum. Può qui essere sufficiente ricordare, perché di particolare valore storico, le conclusioni della Disquisitio della S. Congregazione Concistoriale a riguardo del Sodalitium pianum.
[1] Don Flavio Peloso, postulatore, già superiore generale, studioso di storia e spiritualità orionina. L’articolo riprende gli appunti, riordinati, di due lezioni tenute all’Istituto Teologico Orionino di Roma il 5 e 19 dicembre 2019.
[2] Giorgio Papasogli, Vita di Don Orione, Gribaudi, Torino, 1974; si vedano i capitoli Don Orione e i modernisti (219-228); Ghignoni, Genocchi, Murri (229-235); Buonaiuti, Casciola, Gallarati Scotti (388-395). Da questa prima edizione si arrivò alla quinta edizione nel 2004, con prefazione del card. José Saraiva Martins. Ricordo la soddisfazione di Giorgio Papasogli, che incontrai per preparare la IV edizione del 1994, per aver scritto questa biografia. Sottolineò l’aiuto importante avuto dalla figlia Benedetta nella stesura dei capitoli riguardanti Don Orione negli anni del modernismo.
[3] Aa.Vv., Don Orione negli anni del modernismo, A cura di Flavio Peloso, Jaka Book, Milano, 2002. L’opera collettiva comprende la corposa Introduzione di Annibale Zambarbieri (13-28), gli studi di Roberto De Mattei su Modernismo e antimodernismo nell’epoca di Pio X (29-86), Flavio Peloso, Una rete di rapporti (87-122); tre approfondimenti sui rapporti intercorsi tra Don Orione e Giovanni Semeria (Antonio Lanza, 123-222), Ernesto Buonaiuti (Flavio Peloso, 223-266) e Brizio Casciola (Michele Busi, 267- 318). Il volume è arricchito dalla pubblicazione di 24 documenti inediti, tra i quali figura anche una Nota di Lorenzo Bedeschi. Le corrispondenze calabro-messinesi di don Orione a l’«L’unità cattolica» (349-352) nella quale l’Autore riprende e meglio precisa un suo precedente articolo del 1972.
[4] Lettere I, 11-22; si tratta di un testo fondamentale per la storia e l’identità carismatica della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Fu a lungo pensato ed elaborato da Don Orione e presentato a S.E. Mons. I. Bandi per il riconoscimento giuridico della nascente congregazione, avvenuto con Decreto del 21.3.1903. Cfr. Antonio Lanza, Le Costituzioni della Piccola Opera della Divina Provvidenza, “Messaggi di Don Orione” 23(1991) n.76.
[5] Emile Poulat, Modernistica. Horizons, Physionomies Débats, Nouvelles Editions Latines, Paris 1982, p. 9.
[6] Paolo VI, nel 1972, ne parlò ancora definendo il documento di attualità (Paolo VI, Udienza generale del mercoledì, 19 gennaio 1972).
[7] Le origini prossime del modernismo vanno cercate oltre che nell’ “americanismo”, condannato dalla lettera apostolica Testem benevolentiam del 22 gennaio 1899 di Leone XIII (ASS, 31 [1898-1899], p. 474-478), nel protestantesimo liberale i cui principi furono volgarizzati da Auguste Sabatier (1839-1901)
[8] Con americanismo venne qualificato un atteggiamento e un insieme di dottrine e di idee nuove, naturalistiche e liberali, diffusesi a partire dall’America, anche tra i cattolici, negli ultimi decennî del sec. XIX, sorte per adattamento alla cultura moderna, caratterizzate da un certo relativismo dei dogmi, dal primato dell’umano sul divino, dell’individuo e delle doti virtù naturali sulla Chiesa e sulla Grazia, dalla prevalenza delle virtù attive su quelle passive, dalla netta autonomia e separazione tra ambito civile e religioso, ecc. Furono motivo di molte discussioni e polemiche in America e altrove. L’americanismo fu condannato da Leone XIII con la lettera Testem benevolentiae indirizzata al cardinale Gibbons di Baltimora e a tutto l'episcopato degli Stati Uniti (22 gennaio 1899).
[9] Moderno deriva da modo, avverbio del tardo latino che significa «or ora, recentemente», e dalla desinenza -hernus, indicante appartenenza (come odierno, esterno). Moderno è ciò che appartiene al tempo recente e presente.
[10] Ernesto Buonaiuti, Modernismo, in Dizionario delle Opere, Milano, Bompiani 1947, vol. I, p. 158
[11] E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, Dall'Oglio, Milano 1943, vol. III, p. 622
[12] E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo.,cit. p.618.
[13] L’opera, pubblicata dall’editore Picard, il 17 gennaio 1903 fu condannata dal cardinale François Marie Richard, arcivescovo di Parigi. Il 23 dicembre dello stesso anno fu inserita nell’Indice dei libri proibiti insieme ad altre quattro opere di Loisy: La religion d’Israel, Etudes Evangéliques, Autour d’un petit livre, Le quatrième Evangile. Loisy fu scomunicato personalmente il 7 marzo 1908.
[14] Su tale libro e la discussione suscitata si veda G. Forni, L’ «essenza del Cristianesimo». Il problema ermeneutico nella discussione protestante e modernista (1897-1940), Il Mulino, Bologna 1992.
[15] Alfred Loisy, Choses passées, Paris, Nourry 1913, p. 246. “Storicamente parlando – ricorderà Loisy – io non ammettevo che Cristo avesse fondato la Chiesa e i Sacramenti; professavo che i dogmi si erano formati gradualmente e che non erano immutabili ; lo stesso ammettevo per l’autorità ecclesiastica, di cui facevo un ministero di educazione umana. Non mi limitavo dunque a criticare Harnack. Insinuavo con discrezione, ma effettivamente, una riforma sostanziale dell’esegesi cattolica, della teologia ufficiale, del governo ecclesiastico in generale”; Mémoires pour servir à l’histoire religieuse de notre temps, Nourry, Paris 1930-33, vol. II, p. 168-1699.
[16] E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, cit. p. 651.
[17] M. Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995, p. 59. “La mia teoria – scrisse Tyrrell – può qualificarsi un amalgama di Loisy, Blondel, Munsterberg, Eucken, ecc.: io non ho fatto che mescolare l’infuso”; Autobiografia e biografia, cit., p. 416.
[18] G. Tyrrell, Through Scylla and Charydbis, London, Green and Co. 1907, p. 305-306.
[19] Giuseppe Prezzolini, Cos’è il modernismo, Treves, Milano 1908, p. 75.
[20] E. Buonaiuti, Modernismo cattolico, Guanda, Modena 1943, p. 133. “I primi passi di questa rivista segnano veramente la data di nascita del modernismo italiano, l’aurora della crisi nella quale fu involto il cattolicesimo nel territorio più vicino al seggio Pontificio” (ivi).
[21] Salvatore Minocchi, professore di lingua e letteratura ebraica all’università di Firenze (1901-1909) e poi di Pisa (1909-1922) fu sospeso a divinis nel 1907 e depose l’abito talare l’anno successivo; si sposò civilmente nel 1912.
[22] Sul Semeria si legga la voce di Antonio M. Gentili, in DSMCI, II, p. 596-602.
[23] Su Genocchi, ravennate, superiore della Procura Romana dei Missionari del S. Cuore, si legga la voce di Rocco Cerrato, in DBI, 53 (1999), p. 134-138.
[24] Su Fracassini si legga la voce di R. Cerrato, in DBI, 49 (1997), p. 541-543.
[25] Buonaiuti fu scomunicato e sospeso a divinis, in seguito a un procedimento durato più di dieci anni, il 14 gennaio 1921. Su Buonaiuti si legga la voce di Fausto Parente in DBI, XV (1972), p. 112-122 e quella di Annibale Zambarbieri, in DSMCI, II, p. 58-66. Con Buonaiuti Don Orione ebbe una delle relazioni più emblematiche di tutto il suo atteggiamento verso il modernismo e i modernisti; Flavio Peloso, Don Orione e Buonaiuti un’amicizia discreta in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, 1/2002, p.121-147.
[26] Su Murri si legga l’ampia voce di M. Guasco in DSMCI, II, p. 414-422
[27] Sono tutti nomi noti anche nella biografia di Don Orione, perché entrati nell’orbita delle sue relazioni.
[28] Buonaiuti accetta il parallelo e parla di “una certa intima corrispondenza che ad un esame oggettivo fa apparire i due movimenti idealmente collegati più di quanto a prima vista non si sarebbe indotti a pensare”; Storia del cristianesimo cit., vol. III, p. 617.
[29] Ricordiamo che il termine “modernismo” non indica un fenomeno organico e chiaramente strutturato ideologicamente. Divenne sempre più la qualifica di una tendenza, di un atteggiamento di dialogo con la modernità che se produsse esiti “eretici” ne sviluppò altri salutari e benedetti.
[30] E. Buonaiuti, Il modernismo cattolico, cit., p. 128.
[31] Quando, il 4 agosto 1903, cardinale Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia, venne elevato al soglio pontificio, il padre Semeria ne apprese la notizia da don Minocchi in Russia. “Chi han fatto Papa?” domandò. “Sarto - rispose Minocchi – con il nome di Pio X”. “Un reazionario! Siamo fritti” rispose Semeria. Il dialogo è riportato in A. Agnoletto, Salvatore Minocchi cit., p. 116-117.
[32] R. Aubert, Pio IX tra restaurazione e riforma in Storia della Chiesa, vol. XXII/1, La Chiesa e la società industriale (1878-1922) a cura di Elio Guerriero e A. Zambarbieri, tr. it. Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, p. 137. Cfr anche M. Guasco, Modernismo cit., p. 194. Tra le biografie: Yves Chiron, Saint Pie X, réformateur de l’Eglise, Publications du Courrier de Rome, Versailles 1999.
[33] Instaurare omnia in Christo è anche il motto di Don Orione, scelto per la sua Congregazione 10 anni prima della elezione a Papa di Pio X. Don Orione ha dato molte ed esistenzialmente espressive traduzioni di questo motto: ““È il motto di San Paolo: Restaurare tutto in Cristo o, se volete, ricapitolare tutto in Gesù Cristo, cioè collegare a questa testa a questa sorgente di verità, a questo centro di vita tutti i raggi dello spirito umano” (Scritti 111, 100). “Bella cosa restaurare, perfezionare, completare, riparare tutto in Cristo, gli uomini e le istituzioni, le cose e le anime (...). Rinnovare, ricominciare ogni cosa in Gesù Cristo (...). Tutto nuovo: voces, corda, opera” (Parola, V, 99s ).
[34] Il modernismo si collega in tal modo alle due linee del razionalismo, che subordina la religione alla filosofia e dell’irrazionalismo fideistico che pone l’essenza della religione nel sentimento individuale del divino.
[35] La proposizione XX del decreto Lamentabili condanna la definizione della rivelazione di Loisy
[36] C. Fabro, Modernismo, cit., p. 1190.
[37] In quest’ultimo documento, il Pontefice ricorda esplicitamente il “prezioso contributo” (n. 54) dei suoi predecessori, affermando che oggi “i problemi di un tempo ritornano, ma con peculiarità nuove” (n. 55). Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et Ratio del 14 settembre 1998, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXI,2 (1998), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, p. 277-454.
[38] Motu proprio Sacrorum antistitum del 1 settembre 1910, in ASS, 2 (1910), p. 669-672 ; Denz-H, nn. 3537-3550.
[39] Strumento importante furono le Visite Apostoliche a molti seminari per verificare l’ortodossia di insegnanti e programmi di insegnamento. L’orionino Don Gaspare Goggi fu con-visitatore, con il card. Carlo Perosi, nella visita ai Seminari della Sicilia; cfr Don Gaspare Goggi, primo Figlio della Divina Provvidenza, Libreria Editrice Vaticana, 2019, p.218-222.
[40] A questi due nomi, il cardinale Augusto Silj, nella sua testimonianza al processo di beatificazione (Positio, p. 719) aggiunge quello del prefetto dell’Indice, il cappuccino José Vives y Tuto (1854-1913).
[41] Su Merry del Val, oltre alla sua Positio, cf. le biografie di mons. Pio Cenci, Il Cardinale Merry del Val. Segretario di Stato di San Pio X Papa, L.I.C.E. – R. Berruti, Roma-Torino 1955 (l’opera è redatta in realtà dal card. Canali); P. G. Dal Gal, Il servo di Dio card. Raffaele Merry del Val, Paoline, Roma 1956 e José M. Javierre, Merry del Val, Juan Flors, Barcellona 1965.
[42] Su De Lai, si legga la voce di R. Cerrato in DBI, 36 (1988), p. 278-280; E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, passim. De Lai, formatosi al seminario di Vicenza, prima di completare i suoi studi presso il Pontificio Seminario Romano, era stato ordinato sacerdote nel 1876 e aveva iniziato la sua carriera curiale. Nel 1889 aveva conosciuto il vescovo Giuseppe Sarto, in occasione di una sua visita alla diocesi di Mantova. Nel 1903, dopo l’elezione di Pio X, era stato promosso segretario della Congregazione del Concilio e l’anno successivo membro della commissione per la formazione del codice di diritto canonico. Creato cardinale nel concistoro del 16 dicembre 1907, venne nominato segretario della Congregazione concistoriale il 20 ottobre 1908 ufficio che mantenne fino all’ottobre 1928, quando gli successe il card. Carlo Perosi.
[43] E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, p. 65, 270.
[44] Cf. G. Dal Gal, cit., p. 69-76.
[45] Su mons. Umberto Benigni le due opere fondamentali sono i volumi di E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral (cit.) e Catholicisme, démocratie et socialisme. Le mouvement catholique et mgr. Benigni, Castermann, Bruxelles-Paris 1977; per una sintesi bio-bibliografica si legga la voce dello stesso Poulat in DSMCI e quella di P. Scoppola in DBI, vol. VIII (1966), p. 506-508. Si legga inoltre: Sergio Pagano, Documenti sul modernismo romano dal fondo Benigni, e id., Il fondo di mons. Umberto Benigni dell’Archivio Segreto Vaticano, Inventario e indici in “Ricerche per la storia religiosa di Roma”, 8 (1990), p. 223-300, 347-402.
[46] Fra i cardinali che ebbero stima del Sodalitium pianum e di cui si servirono bisogna ricordare, oltre a Merry del Val e De Lai, il cappuccino José Vives y Tuto (1899-1913), prefetto della Congregazione dei Religiosi, il domenicano Tommaso Pio Boggiani (1863-1942), assessore della Concistoriale e poi Arcivescovo di Genova e Cancelliere di Santa Romana Chiesa, Girolamo Gotti (1834-1916), prefetto di Propaganda Fide, il redentorista Wilhelmus van Rossum (1854-1932) pure prefetto di PropagandaFide, Hector-Irenée Sevin (1852-1916) arcivescovo di Lione; Disquisitio, p. 234.
[47] Disquisitio, p. 10.
[48] La formula è stata usata da uno dei suoi difensori, il padre Jules Saubat, in Disquisitio, p. 34.