I fatti e la lezione di ecumenismo interno alla Chiesa. III - 3. Ernesto Buonaiuti; 4. Giovanni Semeria; 5. Romolo Murri ; 6.Tomaso Gallarati Scotti; 7. Alessandro Ghignoni; 8. Giovanni Genocchi; 9. Antonio Aiace Alfieri; 10. Antonio Fogazzaro; 11. Giovanni Minozzi; 12. Carlo Testone; 13. Padre Mattia Federici; 14. Francesco Faberi; Considerazioni conclusive.
DON ORIONE NEGLI ANNI DEL MODERNISMO
I fatti e la lezione di ecumenismo interno alla Chiesa.
Don Flavio Peloso
Corso di storia e spiritualità orionina
Istituto Teologico Don Orione
Roma, 5 e 19 dicembre 2019
3. Ernesto Buonaiuti
Don Ernesto Buonaiuti (1881-1946) fu forse l’esponente più rappresentativo del movimento modernistico in Italia. Studiò al Seminario romano ed emergeva assieme ad altri due studenti suoi coetanei: Eugenio Pacelli e Angelo Roncalli. Questi divennero Papi e lui “modernista scomunicato”. I suoi libri furono messi all’Indice. Non poteva insegnare nelle università. Insomma, fu uno di quei “casi spinosi” che feriscono la Chiesa, la sua verità e la sua unità.
Qui, interessa fare luce solo su un aspetto, umano e spirituale, che emerge da documenti e testimonianze riguardanti la sua relazione - di più, amicizia e devozione - con Don Orione, di 9 anni anni maggiore di lui.
Quando i due entrano in contatto, negli anni ‘20, Don Orione era personaggio che godeva già di grande fama di “uomo santo” e di fondatore di una Famiglia religiosa di preti, suore, eremiti, ecc. dedita soprattutto alle opere di carità. Sapeva unire intelligenza e carità guidate da una prudenza che lo rendeva tempestivo e illuminato nel capire e risolvere problemi di vita, tanto riguardassero singole persone che la società e la Chiesa. Era fedele ma non gretto, di fede semplice e popolare ma aperto a quanto la cultura e la scienza venivano offrendo. I Papi, i Dicasteri romani, numerosi Vescovi e sacerdoti ricorrevano a lui per consigli e aiuti concreti.
Probabilmente Papa Pio XI in persona chiese a Don Orione di interessarsi di Buonaiuti, non tanto del “caso Buonaiuti” ma della sua persona. “Fui incaricato di avvicinare Ernesto Buonaiuti - confidò Don Orione -. Se Buonaiuti verrà di nuovo all’ovile per mezzo di questo ponte sarà un vero miracolo”. (Riunioni, p.202)
Adele Costa Gnocchi, professoressa di Montefalco (PE) che viveva a Roma, conferma questo fatto. “Don Orione, per mandato del Santo Padre, avvicinò più volte il famoso Don Ernesto Buonaiuti. E, come questi medesimo ebbe a dirmi, gli fece del bene. Io ho fatto da tramite in queste relazioni, munita dei dovuti permessi”.[97]
E’ da notare come l’iniziativa parta del Papa. Insieme al braccio fermo del magistero, che sembrerebbe allontanare il Buonaiuti, si accompagna il braccio amoroso del Papa – attraverso Don Orione - che lo vuole abbracciare. In realtà, ambedue le braccia intendono stringere a Cristo.
Don Orione raggiunse il Buonaiuti in momenti diversi, delicatamente ed energicamente. Non lo mollò più. Sempre fiducioso nell’uomo e nella sua capacità di apertura a Dio, di ripresa, confidava che “l’ultimo a vincere sarà Dio e Dio vince in una grande e infinita misericordia”.
Per essere vicino al Buonaiuti, Don Orione non faceva sconti sulla verità, non metteva tra parentesi la sua fede nella Chiesa, nella sua autorità, nel Papa. Senza data è questa sua esortazione al Buonaiuti che sfocia in un inno a Roma cristiana e papale.
“Ah! Se il fratello separato, che ieri mi scriveva, pregasse solo un po’, come ritroverebbe egli la via diritta del ritorno a questa gran Madre a cui il Signore dedit latitudinem cordis: come nell’amore dolcissimo Essa attingerebbe balsamo e conforto alla sua vita e splendore di fede purissima ai suoi passi, né più oserebbe dividere Paolo da Pietro. Quel Paolo che non badò a lontananza di luoghi, né disagi di viaggi per andare a Gerusalemme a vedere Pietro e, pur con tutto lo zelo dell’apostolato che lo divorava, rimase con Lui quindici giorni.
Sono a Roma! e mi arde il cuore d’amore al dolce Cristo in terra.
Sono a Roma, nel santuario della mia fede, e vivo tra un gruppo di carissimi chierici nostri. Vivo qui, tra le classiche meraviglie non lontano dal Colosseo, tra monumenti sacri e venerabili, a pochi passi dal Mosè di Michelangelo, dalla tomba del Cardinale Cusano, dalle catene di San Pietro.
Tutto è per me incanto di venerazione e di amore alla Chiesa. Qui è il cuore della Chiesa e mai, forse, come in questi giorni ho sentito la bontà, la immensità, il gran cuore della Chiesa e quanto a ragione S. Ambrogio la paragonasse al mare, al mare sterminato che bagna tutte le sponde, tutte le nazioni con le acque salutari dell’amore e della vita!”.[98]
Al Buonaiuti, questo prete ben noto per le sue opere di carità e per la sua piena “ortodossia papale” avrebbe potuto apparire un fideista, un buono e volonteroso che cerca di convertirlo... un importuno. E invece no. Lo riconosce autentico. Sa cosa può aspettarsi da lui e proprio questo da lui cerca e in lui apprezza: il calore umano, l’interessamento pratico, il rispetto per l’uomo e per il prete, la fede robusta e intelligente che si slancia fin che può e poi si consegna alla carità, alla Divina Provvidenza. Non rifiutò mai, anzi ricercò, questa relazione fraterna e cordiale di Don Orione. Forse era uno dei pochi ecclesiastici che tenessero rapporto con lui “vitando”.
Quando il Buonaiuti andava a incontrare Don Orione, nella sua casa di Via delle Sette Sale 22, a Roma, dimenticava di essere il grande scrittore, lo studioso di spicco e controverso, l’intellettuale noto in Italia ed in Europa. Si presentava alla porta semplicemente come “Don Ernesto”. In quella casa viveva un gruppo di Chierici di Don Orione, studenti alle università romane. Molti di essi hanno ricordato un fatto. Venuto il Buonaiuti, Don Orione li chiamò mentre erano in ricreazione affinché gli baciassero la mano. Buonaiuti si schermiva. In seguito, Don Orione spiegò che aveva fatto quel gesto anche per incoraggiare, con un atto di stima, quella povera anima desolata.
Il “caso Buonaiuti” era divenuto uno strappo con la Chiesa destinato a non ricucirsi più. Il grande studioso si era rifiutato di sottoscrivere la formula canonica dell’abiura delle sue idee e, il 25 gennaio 1926, giunse la maggiore scomunica (“vitando”). Don Orione continuò a sperare e a cercare la riconciliazione del “fratello separato” con la Madre Chiesa.
E’ del 23 ottobre 1928 una lettera di Don Ernesto Buonaiuti portata da Don Orione a Papa Pio XI. Non si tratta di una “abiura” formale, ma di una aperta adesione all’insegnamento della Chiesa. E’ una professione di fedeltà e una supplica molto ‘simile’ all’abiura. Copia è conservata nell’Archivio di Don Orione. Questo fatto ed altre espressioni del testo, tipiche della penna di Don Orione, fanno pensare che esso sia stato scritto a due mani o, comunque, concordato tra i due.
Vi leggiamo: “Un nuovo irresistibile impulso della coscienza mi induce a ribadire ancora una volta l’espressione della mia tenace e piena adesione all’insegnamento infallibile della Chiesa cattolica, del mio immutabile vincolo di fedeltà ai suoi eterni valori, del mio proposito inconcusso di uniformarmi ai doveri infrangibili della mia professione religiosa”. Altro fatto che determina l’iniziativa del Buonaiuti è la ricorrenza del suo 25° di sacerdozio che - scrive nella medesima lettera - “non potrei lasciar trascorrere senza compiere l’estremo tentativo di recuperare, attraverso la proclamazione del mio indelebile carattere e della mia indistruttibile vocazione, quella pienezza di mansioni sacerdotali, la cui privazione costituisce (...) l’appannaggio doloroso del mio duro ostracismo”.[99]
Nella lunga lettera si coglie il dramma di quest’uomo: da una parte rimase fedele e coerente al suo sacerdozio e, dall’altra, non se la sentì di abiurare le sue idee e i suoi scritti giudicati apertamente in contrasto con la dottrina cattolica.
Don Benedetto Galbiati, figura illustre di letterato e rinomato predicatore, pure lui toccato dalla carità sacerdotale di Don Orione, ha espresso la convinzione che “Ernesto Buonaiuti forse sarebbe stato salvato dall’abisso, se altri intervenuti non avessero precipitato la tragedia e tolta a Don Orione la possibilità di condurre a termine l’opera incominciata. Quando quello sciagurato, privo della cattedra, costretto a cedere la Rivista di Studi Religiosi, cominciò a tener discorsi sul cristianesimo preniceno, Don Orione intuì il motivo di quell’attività perniciosissima per l’ortodossia - il bisogno, la fame -; e a due coniugi, che gli offrivano in Roma una cospicua offerta, dette l’indirizzo dell’apostata ‘perché facessero in lui una grande carità’”.[100]
Forse, si riferisce a questo episodio il biglietto di Buonaiuti al Beato tortonese del 1.10.1934: "Dio benedica sempre più copiosamente questa tua carità, vasta e santa, senza confini, senza limitazioni, senza clamori! Proponi secondo il Vangelo! Ti amo e ti venero sempre più! B.".[101]
Don Orione continuò a seguire e ad aiutare il Buonaiuti. E il Buonaiuti sapeva di poter contare su Don Orione. L’Archivio orionino conserva una decina di lettere riguardanti richieste del Buonaiuti a Don Orione affinché questi intervenga per la buona soluzione di casi di bisogno umano o spirituale.
Qualche esempio. In data 11.4.1931 gli scrive: "Carissimo, ho saputo dalla Costa Gnocchi che sei a Roma. E allora ricorro subito a te per un'opera cristiana (amministrazione del battesimo a un israelita quarantenne) su cui ti parlerà la latrice della presente. Come anelo a vederti! E. Buonaiuti".[102]
E’ del 21.6.1934 una lettera nella quale chiede l'aiuto di Don Orione per accogliere in Istituto un ragazzo bisognoso. Lascia trasparire i tratti tenerissimi della relazione che intercorreva tra i due.
“Amico santo e venerato, auguri, auguri, auguri dal proscritto e dalla sua madre, sempre addolorata. Il ricordo delle parole ch’Ella mi ha detto, in ore indimenticabili, è sempre vivo e fruttifero nel cuor mio. Attendo l’ora del Signore! Sento l’azione della preghiera ch’Ella innalza per me. Dio la benedica nel Suo grande lavoro, sempre! Ad una povera e buona famiglia di Settecamini il nostro povero Don Alfredo (il fratello del Buonaiuti, morto l’anno precedente, n.p.) aveva fatto sperare ch’Ella avrebbe accolto un suo ragazzo undicenne. Quella buona famiglia si rivolge ora insistentemente a me. Vuole Lei far contenta l’anima benedetta del mio povero fratello? Scriva alla Famiglia Novelli (Agro Romano) Settecamini dicendo di portare il ragazzo. Grazie. L’esule”.[103]
Sorprende questa attività nascosta di "intermediario di soccorso" svolta dal Buonaiuti. E sorprendono i toni umanissimi delle sue parole. In un altro biglietto indirizzato a Don Orione, scrive: "Mio venerato amico, ecco il giovanetto Vincenzo Tazzuti che la tua sconfinata e pronta al soccorso bontà ha promesso di accogliere. Dio benedica sempre il tuo cuore. Il ragazzo sa quale tepore trova sotto le tue ali. Ti bacio. L'esule".[104]
Nel 1934 , Don Orione partì per l’America Latina e vi si fermò tre anni, fino al 1937. Si interruppe la relazione e la fraterna assistenza, ma non l’affetto ed il vincolo spirituale. Questo riprese, vivo, al ritorno. Ne troviamo documentati segni.
Il primo, è una lettera del 12.12.1938. Buonaiuti affida alla cura di Don Orione un giovane in difficoltà con parole quasi autobiografiche.
“Caro, Ti si presenta un mio giovane amico. Ti spiegherà il suo caso. E’ un boccheggiante sulla via, colpito, malmenato, lasciato nell’abbandono. Tu sei il buon Samaritano. Lo sanno tutti; io lo so meglio di ogni altro. Lo metto sul tuo cammino. Non lo lascerai boccheggiare. Lo raccoglierai e lo curerai. Ti indico - scusami - la cura. Tu dovresti mandarlo ad insegnare in una delle tue istituzioni nell’America del Sud. Non aggiungo una parola: tutti i tuoi secondi sono preziosi. Io... sono sempre assetato del tuo ricordo. Prega e ricordami. E.Buonaiuti”.[105]
Probabilmente del medesimo periodo è un secondo biglietto. Ancora una volta Buonaiuti si fa tramite, presso Don Orione, per dare aiuto ad un bisognoso “di luce e di soccorso spirituale”. Dalla propria esperienza sapeva cosa significa soffrire e, insieme, conosceva il cuore di Don Orione. Scrive: “Caro, il latore della presente è un mio carissimo amico e fratello. Ha bisogno di luce e di soccorso spirituale. Tu ne puoi dare, copiosissimamente. Ricevilo con la tua grande bontà. E.Buonaiuti”.[106]
Il Buonaiuti, “soccorso”, diventava soccorritore di altri “bisognosi di luce e boccheggianti sulla via” affidandoli a Don Orione.
Purtroppo, Don Orione non ebbe la consolazione di vedere questo suo amatissimo “fratello separato” godere la pace e l’unione in seno alla Chiesa. Don Orione morì il 12 marzo 1940.
Al Buonaiuti restò la nostalgia consolatrice di un fratello che gli aveva voluto veramente bene. A noi, che a distanza di anni veniamo a conoscere pagine di vita come questa, resta la conferma che “questa è la Chiesa”: “magistra” fedele alla verità consegnatale e, insieme, “mater” che mai abbandona i suoi figli.
4. Giovanni Semeria
Padre Giovanni Semeria è ricordato nei testi della storia del cattolicesimo italiano per essere stato celebre oratore ed erudito scrittore, con Don Minozzi fu fondatore dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia.
Uomo di cultura vivace ed attivo, egli fu promotore a Genova di varie iniziative di studio e divulgazione della storia e del pensiero cristiano. Fu protagonista aperto ed esuberante di idee e di rinnovamento sociale che facevano capo alla Democrazia Cristiana. Accusato di modernismo, iniziò per lui un periodo inquieto e travagliato che lo portò ad una grave crisi spirituale ed umana. Sempre sensibilissimo al bene, trovò in Don Orione un amico intransigente nell’ortodossia cattolica e, nel contempo, tenerissimo compagno nei propositi e progetti di bene.
Il rapporto tra questi due grandi personaggi del cattolicesimo italiano del primo ‘900 è ben documentato nello studio di A. Lanza “Don Orione e Padre Semeria. Una lunga e fraterna amicizia”.[107]
Don Orione aveva conosciuto e stimato Padre Semeria già nel suo periodo genovese, quando Gaspare Goggi e i primi studenti della Congregazione andavano ad ascoltare le prediche e le conferenze di Padre Semeria.
Delle informazioni date da Don Orione alla Segreteria di Stato quando era Vicario generale della Diocesi di Messina, in cui parlava di vari esponenti del modernismo attivi nella città, fu fatta una lettura quasi spionistica e doppiogiochista di Don Orione. Era il suo compito istituzionale. Ma la sua sincera amicizia con P. Semeria e gli altri non venne mai meno, anzi si accrebbe proprio per le posizioni critiche che avevano assunto. “Ha del sorprendente come queste due grandi Anime si siano comprese, stimate ed amate vicendevolmente” - scrive il Lanza in una valutazione riassuntiva del suo libro.
Forse fu più facile per Padre Semeria riconoscere in Don Orione, al di fuori di ogni polemica dottrinale o politica, l’uomo della carità. A Don Orione invece, per conservare intatta e sincera la stima del Padre, qualche volta fu necessario fare astrazione da come ne veniva allora interpretato il pensiero. Non deponevano a favore di Padre Semeria i sospetti, o, almeno, le perplessità dei tre Papi che si succedettero nella cattedra di San Pietro dopo il sorgere del modernismo; né la polemica tenace condotta contro di lui da membri del clero secolare, né la freddezza di eminenti suoi confratelli che non lo compresero.
Don Orione — che fu, sempre e in tutto, fedelissimo alle direttive pontificie — seppe invece far passare in seconda linea i giudizi negativi sul Padre affidandosi all’argomento vincente della carità: “Dio è amore e chi sta nell’amore, dimora in Dio”.
Per questo non solo lo comprese, ma ne difese apertamente la figura e l’opera. Criticato per aver firmato l’invito alla commemorazione funebre del Padre, di fronte al Vescovo che gli rimproverava l’imprudenza, non cercò scuse appellandosi all’emozione del momento o ad altro, ma rivendicò al suo atto la dignità di un dovere. Asserendo con una certa fierezza, — lui, così obbediente e ossequiente al suo Vescovo! — di esser “pronto a dare ragione” dell’invito a commemorare solennemente Padre Semeria, si palesò, nell’ambiente ecclesiastico di allora, uno dei pochi che non solo ne compresero la complessa personalità, ma lo stimarono e sinceramente l’amarono.
Anche lo storico Lorenzo Bedeschi, nel suo recente Il Modernismo italiano[108]) dedica alcuni preziosi accenni alla vicinanza fraterna dell’”amico Don Orione” (p. 162) nei confronti di Padre Semeria, specialmente nei momenti critici in cui alle difficoltà con l’autorità ecclesiastica s’era aggiunta la depressione psichica.
Nel Natale 1915, Padre Semeria fu stato ricoverato d’urgenza a Vevey, in Svizzera, per gravissima crisi di psicastenia. “Giungeva, due settimane dopo, il confratello barnabita padre Luigi Manzini che in un rapporto precisava: «Padre Semeria... ha il sonno turbato da incubi e fantasmi». Pur in quella condizione così triste si era fatta viva l’autorità vaticana per sollecitare una risposta scritta riguardo a una serie di passaggi del suo pensiero ritenuti sospetti. A ritirare la richiesta andava fortunatamente don Orione, il prete torinese (tortonese, n.p.) a cui sette anni prima, durante la privazione della parola da parte dell’autorità ecclesiastica, egli si era aggrappato come ad una zattera perché lo tenesse con sé fra i terremotati calabresi: «Io ho bisogno d’essere occupato — gli aveva scritto — altrimenti faccio qualche sproposito morale e fisico ».” (p. 164).
Dopo questi tempi difficili, la vita di Padre Semeria ebbe una svolta fondamentale quando si dedicò sempre più ad attività caritative. Nel dopo-guerra fu fondatore dell'Opera in favore degli orfani del Mezzogiorno d'Italia. La reciproca stima e amicizia tra lui e Don Orione si consolidò nel campo comune e fecondo della carità. "Don Orione è l'uomo della carità", scrive P. Semeria. "Padre Semeria s'è salvato perché si è gettato nel campo della carità", affermò Don Orione.[109] .
La storia della Chiesa ci regala anche di questi squarci di umanità che molto spesso stanno sotto la storia raccontata, ma ne sono il sostegno e rivelano una trama Superiore.
Fu sacerdote, personaggio politico cattolico, fondatore della rivista Cultura sociale (1898-1906), fautore di un maggiore e coraggioso impegno sociale dei cattolici nella società italiana. Fu sospeso a divinis nel 1907 e scomunicato nel 1909, dopo essere stato eletto deputato con l’appoggio dei socialisti. La sua storia e il suo pensiero fanno parte delle vicende civili e politiche dell’Italia del primo Novecento.[110]
Don Orione lo stimò e gli fu vicino, soprattutto nel momento delle sue difficoltà personali. Nel 1904, gli chiese di scrivere un articolo per la sua rivista La Madonna: “Tu mi devi scrivere qualche cosa di bello, tutto pieno della tua fede e dell’anima tua; vorrei che fosse qualcosa come “La Madonna e la democrazia” o in quel senso; vedi che è un campo vastissimo e tutta luce e ancora inesplorato. Sarà anche l’omaggio tuo alla Madonna in quest’anno![111] Il 26 febbraio 1905, Don Orione stava pensando a un’opera a favore dei “minorenni usciti di carcere”, e scrisse a don Brizio Casciola: ‘Tu mi aiuterai tanto; Semeria, Murri, tutti mi dovete aiutare tanto”.[112]
Non condivise più la linea di azione politica del Murri, quando entrò in contrasto con il richiamo all’unità dei cattolici in politica proveniente dall’enciclica “Il fermo proposito” dell’11 giugno 1905.[113] Il nuovo ordinamento dell’azione cattolica non piacque a don Murri che tornò al dibattito politico, costituendo “ufficialmente”, nel dicembre 1905, la Lega democratica nazionale, un vero partito di ispirazione cattolica, ma tendenzialmente aconfessionale”; nell’ottobre 1905 aveva pubblicato una “lettera aperta all’on. Filippo Turati” in cui invitava il leader socialista a considerare la possibilità di alleanze politiche, superando divisioni e preconcetti ideologici[114].Don Orione non esitò a far giungere a Don Murri il suo accorato invito a camminare in comunione con la Santa Sede. In una lettera del 16.2.1906, lo esorta: “Caro Murri, (…) So bene che tu sei di Gesù Cristo e del suo Vicario e della Santa Chiesa, ma mi pare che dovresti fare qualche cosa di più di quanto fai e sacrificare ogni cosa all’obbedienza più filiale e più umile al Santo Padre. Vedi che ora è desiderio della S. Sede tenere tutti gli Italiani uniti in un solo indirizzo, e tu non dividerli. Domanda d’andare dal Papa e digli: ‘Son qui; so che non siete contento di me; farò come desiderate; beneditemi!”.[115]
Se Don Orione, in sintonia con le direttive pontificie contestò Murri nelle idee,[116] fu anche pronto a incoraggiarlo nel momento della prova: “Sarai grande e caro al Signore, finché sarai piccolo e umile ai piedi della S. Chiesa nostra Madre. Guarda, mio caro don Romolo, che questo vuole Gesù da te, e te lo dico a nome suo. Alzati, e vieni pregando e umiliandoti ai piedi del dolce nostro Padre”.[117] E ancora, nel 1907, dopo la sospensione a divinis: “Io ti abbraccio i piedi e le mani sante e benedette e te le bacio; dà amore alla Chiesa! Lascia dietro i tuoi passi, non la tenebra; lascia luce di carità e amore di santa e umile vita di figlio e di sacerdote. Non ci rivedremo, ma ti aprirò la strada; sarò con te, e starò sempre con te innanzi a Dio”.[118]
Un ultimo segno di contatto con Murri e di speranza di un suo ritorno nella comunione della Chiesa è espresso in una lettera, comparsa nell’angolo della Piccola Posta di “L’Opera della Divina Provvidenza” del 1 maggio 1908 – il cui destinatario è indicato con le sole iniziali “R.M.”. “Credi, - leggiamo – è stata una grande consolazione. Non posso per ora; sto sul partire; ma: avanti, avanti! Tutto finirà bene, vedrai; ma sta ben stretto alla Madonna… Devi morire a te stesso per amore di Dio e della S. Chiesa nostra Madre… Mente e cuore ai piedi della S. Chiesa aderendo alla dottrina celeste da Essa insegnata con le intime tue viscere di figlio devoto. Hai capito? Nelle idee e nelle opere devi modificare tutto ciò che ci sarà da modificare, correggere tutto ciò che sarà da correggere, ritrattare tutto ciò che sarà da ritrattare e poi qualcosa ancora di più. Non mi parlare più dei tempi: i tempi, caro te, obbediscono a Dio e Dio all’umile che lo prega”[119].
Murri percorse altre strade: fu eletto deputato, lasciò il ministero sacerdotale, si sposò civilmente, fu collaboratore di giornali liberali. Don Orione non lo abbandonò, continuò a interessarsi di lui; confidò ai confratelli: “Gli ho fatto battezzare io un suo figliolo”.[120] Murri rientrò in seno alla Chiesa un anno prima della sua morte.
Di famiglia aristocratica milanese, dotto letterato, fu esponente di primo piano del pensiero cattolico liberale e protagonista della vita culturale e civile italiana.[121] Fin dagli anni giovanili si legò di amicizia a padre Semeria, e al Fogazzaro; conobbe Blondel, Loisy, Tyrrel, Duchesse, Sabatier; partecipò a tutto quel moto di rinnovamento culturale, religioso e politico del mondo cattolico conosciuto come “modernismo”; collaborò fattivamente a istituzioni umanitarie sganciate dal cattolicesimo istituzionale.
Nel 1907, con Casati e Alfieri diede vita alla rivista “Rinnovamento”: su di essi, dopo pochi mesi, cadde la scomunica ecclesiastica. Tommaso Gallarati Scotti, che pure si ritirò dalla direzione del giornale, dichiarò di voler continuare a combattere “le cause di quella miseria intellettuale che soffoca e comprime nella Chiesa le attività più generose, che rende antipatica e incomprensibile la professione di fede cattolica nella società moderna, che segrega il credente dalla civiltà nella quale vive e per la quale lavora, mettendolo in una condizione di anormalità e di inferiorità evidente di fronte al mondo scientifico”.[122]
E’ in questo passaggio di vita che Gallarati Scotti incontrò Don Orione, a Messina, ove il nobile milanese giunse con il gruppo dei “lombardi” che facevano capo alla rivista “Il rinnovamento”. Don Orione, preoccupato, informò della loro presenza il Card. Merry del Val e ne scrisse anche con toni allarmanti su “L’Unità Cattolica”.[123]
Il 26 e 27 aprile Don Orione ricevette due successive visite del Gallarati Scotti, accompagnato da Aiace Alfieri, venuti per ispezionare gli Orfanotrofi del Patronato Regina Elena. Era la prima volta che Don Orione li incontrava. Lì trovò molto innervositi, ma li accolse con calore e attenzione alle loro persone. Cercò di capirli. I due – lo sappiamo dalle loro stesse testimonianze – rimasero subito presi dall’umana, paterna comprensione di Don Orione.[124] Forse anche Don Orione, conosciuti da vicino i destinatari dei suoi strali, pensò di non insistere nella polemica.
In seguito, i rapporti divennero presto reciprocamente cordiali e si aprirono alla collaborazione, tanto che dopo qualche mese il prete tortonese poté riferire alla contessa Spalletti: “Con l’aprirsi dell’Orfanotrofio Lombardo, il conte Gallarati mi invitò ad occuparmi dell’istruzione religiosa anche di quegli orfani, e così sarei l’anello morale di congiunzione di tutti i nostri bambini”.[125]
Don Orione colse nel duca Gallarati Scotti un animo nobile, aperto alla verità e al bene e per questo inquieto. E lo ammonì: “La vostra anima avrà la sua pace quando voi, come un bambino, vi abbandonerete sul cuore della Chiesa come su quello della madre della nostra fede”.[126]
“Esattamente 50 anni fa – ricorderà a distanza di tempo il duca milanese -, nelle terre devastate dal terremoto calabro siculo, incontrai per la prima volta il Servo di Dio Don Luigi Orione. I miei rapporti con lui furono subito cordialissimi. Dal primo momento nutrii verso Don Orione quella profonda devozione, che del resto l’uomo ispirava. Ero accorso là come volontario, alla testa di un gruppo di giovani italiani, miei studenti, che avevo chiamati a raccolta: distribuimmo i soccorsi che avevamo all’uopo raccolti a Milano. Si aggiunsero a noi alcuni giovani del gruppo distributore, ispirato, a Vicenza, da Fogazzaro. Fummo a Reggio Calabria; passammo da Reggio a Messina. Don Orione riscuoteva ammirazione generale; erano grandi suoi ammiratori persino gli uomini politici di Roma, quali Sonnino. Ricordo fra i suoi ammiratori Micheli, Zileri Dal Verme, Salvemini, il barone Franchetti (Leopoldo), Giustino, ecc. La Spalletti era cattolica, ma inquinata da altre idee”.[127]
Lasciata Messina nel 1912, per alcuni anni i due non si rividero più. L’amicizia riprese, robusta e confidente, nel 1932, all’eremo di Sant’Alberto di Butrio, lontani dalle controversie ideologiche, in un tempo di quiete e raccoglimento. “Io ero incerto, confuso, impigliato in grovigli non sciolti. Don Orione era semplice, sicuro, con la freschezza lieta di chi sente il mondo tutto penetrato da Dio. Viveva in una sfera che era quella del miracolo”.[128]
Don Orione conserverà sempre una grande stima verso il Gallarati Scotti “già modernista e fogazzariano, conosciutissimo da me.”[129] L’amicizia con Don Orione rimarrà uno dei punti fermi della vita, una fonte di dinamismo spirituale del grande letterato che giungerà a dirgli. “Caro Don Orione, io vorrei averla vicino al mio letto di morte, perché non vedo nessun altro prete che potrebbe consolarmi”. E’ il sigillo di una fiducia che trascende le basi umane.
Sacerdote barnabita, di ampi interessi culturali, conferenziere, letterato e scrittore, promotore della musica sacra. Padre Ghignoni è così descritto dal confratello P. Semeria: “aperto a ogni cosa bella, vera e buona, forse troppo aperto, facile perciò a prendere per vero e bello e buono ciò che forse pareva tale più che non fosse”.[130] Nel 1901, firmò il programma di “ Studi religiosi” di Don Minocchi; nel 1906 fu sospeso dalla predicazione in Roma; nel 1908 ottenne l’esclaustrazione temporanea per ragioni familiari.[131]
Don Orione conobbe il sacerdote barnabita ai primi anni del ‘900 a Genova, dove questi aveva fondato l’Istituto Superiore di Religione, insegnandovi con Padre Semeria. Di Padre Ghignoni comparvero sulla rivista orionina “La Madonna” due articoli: il primo il 15 maggio e il secondo il 15 novembre 1904.[132] Don Orione lo incontrò poi nel periodo successivo al terremoto di Messina. P. Ghignoni godeva della fiducia della contessa Spalletti, Presidente del Patronato Regina Elena, che gli affidava un buon numero di orfani da ospitare nell’orfanotrofio da lui aperto a Venezia. Pio X, invece, manifestò le proprie riserve sul Padre Ghignoni al Patriarca di Venezia in questi termini: “Mi fa paura specialmente per l’influenza che potrebbe esercitare sulla gioventù laica”.[133]
Nel 1917, in aiuto a Padre Ghignoni, si mosse il confratello Semeria rivolgendosi a Don Orione: “P. X. Car.mo D. Orione. Ho scritto a D. Giov. Pioli a Parigi per la nota faccenda e ne attendo risposta di giorno in giorno. Ho parlato anche a comuni amici e allo stesso P. Ghignoni del progetto che lo concerne. Il P. Ghignoni non sarebbe alieno… e d’altra parte sarebbe la soluzione di una situazione veramente difficile e dolorosa. Anche il Vice p(adre) Generale sarebbe contento. Ora tu devi precisarmi: a) in quale degli erigendi orfanotrofi, più opportunamente si potrebbe cercare di farlo accettare; b) quali persone, in questo caso, bisognerebbe officiare. Attendo risposta. Grazie ancora una volta della buona fraterna accoglienza. Dio ti assista nel non facile ministero. Ricordami ai compagni. Ti raccomando ancora il Lauro[134] Aff.mo in X.to Semeria B.”[135].
Per risolvere il caso, Don Orione inviò al Patriarca una lunghissima lettera[136], dichiarandosi “pronto a ritirargli (P. Ghignoni) in qualche Istituto il fratello” e ad accogliere “i tre orfani che ancora gli rimangono”[137]. Era disposto a ricevere in congregazione anche Padre Ghignoni, purché “venga per camminare per la diritta via del Signore, e tronchi ogni relazione con scrittori e gruppi che vanno lacerando la Chiesa”[138].
Don Orione gli volle bene anche se diffidava e scherzava sulle sue doti amministrative: “Il buon Padre Ghignoni è un po’ troppo poeta, et carmina non dant panem et, se ne dant, dant pochinum…”.[139] Ne conosceva e lamentava le inclinazioni modernistiche applicate anche alla pedagogia. Quando però venne l’ora del dramma, il barnabita, scrittore e studioso affermato, uscito dal suo ordine, ricorse a Don Orione per trovare un vescovo che l’accogliesse e gli permettesse di esercitare i propri talenti e l’apostolato sacerdotale.
Lo scambio di lettere tra Don Orione, Ghignoni e il Card. La Fontaine rivelano la profonda conoscenza e l’interessamento fraterno di Don Orione verso la situazione delicata del Padre. “Per P. Ghignoni, come per qualunque altro – scrive Don Orione al Card. La Fontaine -, sono pronto a fare tutto ciò che liberamente e con carità di madre, la Santa Sede credesse che io poveraccio, potessi fare, pronto cioè a prenderlo e tenerlo vicino in Domino, con la grazia che spero da nostro Signore, avendolo come fratello carissimo. Come scrissi a Semeria mi pare che egli (Ghignoni) dovrebbe però pregare di più, alimentare di più la sua anima, la sua vita spirituale, che è la prima e più alta di quella che viviamo, e poi essere e restare di cuore e vivere, senza freddezza e diffidenza, da figlio umile e fedele della santa Chiesa nostra madre. (…) Forse fin qui da quello che potrei comprendere, il Ghignoni fu prima cultore di lettere e di arti e poi sacerdote, ed in ultimo religioso, ora con il Divin aiuto, dovrebbe essere sacerdote prima, e letterato e artista religioso poi, per dare luce di fede vera e di carità alle anime. Che, se la Santa Sede o chi per essa, come già si fece con qualcun altro, (don Brizio Casciola) credesse di affidarmelo il Ghignoni ad tempus, ed io me lo prendo come un dono di Dio: diversamente no. Dovrebbe per altro, il Ghignoni essere sempre barnabita, ed avere volontà di ritornare in grembo alla sua Congregazione quando la Santa Sede lo crederà opportuno, e fare quanto è da lui per affrettare il giorno, com’è dovere suo di religioso(…)”.[140]
La vicenda penosa di Padre Ghignoni ebbe lieto fine con la sua piena reintegrazione nell’apostolato e nel servizio della Chiesa.[141]
Originario di Ravenna, fu ordinato sacerdote nel 1883; si laureò in filosofia e teologia e presto iniziò l’insegnamento delle scienze bibliche. Lo lasciò perché inviato in missione: a Gerusalemme, in Siria, Costantinopoli, e poi ancora a Sidney e in Nuova Guinea. Nel 1896, per problemi di salute dovette rientrare in Europa, a Parigi, ove conobbe A. Loisy, promotore del modernismo francese. Nel 1897, si stabilì a Roma e prese a insegnare esegesi biblica all’Apollinare ottenendo grande successo e ammirazione. Si trovò coinvolto nel modernismo quando ancora questo non aveva preso una forma bene definita e non erano ancora giunti i giudizi e le condanne definitive da parte dell’autorità della Chiesa.[142] Era diventato il riferimento di persone inquiete che cercavano il rinnovamento nella Chiesa. Molti dei loro nomi diventarono noti perché raggiunti dalle sanzioni della Chiesa. Nel 1898, fu accusato degli errori modernisti e il suo corso universitario fu sospeso. Pio X, con una paterna lettera del 28 dicembre 1907, volle non si allontanasse da Roma, ma solo curasse di agire con più equilibrio e prudenza per non dare adito ad accuse. Anche Padre Genocchi si ritrovò sulle macerie del terremoto calabro-siculo, operando in favore degli orfani. Qui conobbe Don Orione. Per sottrarlo alle polemiche, nel 1911, Pio X lo inviò in missione pontificia nell’America Latina. Ritornato in Italia nel 1912, continuò un prezioso ministero sacerdotale e intellettuale in fedeltà alla Chiesa. Godette successivamente anche della fiducia di Pio XI che gli affidò una missione in Ucraina. Morì il 6 gennaio 1926.
Padre Genocchi intrattenne una corrispondenza fraterna con Don Orione. Nei momenti della polemica modernista, Don Orione lo esortava umilmente e fortemente: “Io, caro Padre Genocchi, - gli aveva scritto – mi metto ai vostri piedi e, nell’amore di Gesù e della Chiesa che ci unisce, vi prego in Domino e vi supplico che sorgiate a difendere, con mano più forte e dolce, il deposito della fede e che richiamiate attorno alla S. Sede tutti i giovani che vi venerano e che si perdono in quisquiglie lontani dalla S. Sede; oh, non si guardano i difetti di Tizio o di Caio, ma l’amore per la Madre sopra tutto. Perché perdersi in inezie e non avere un manto di carità da coprire tutto?”.[143]
Padre Genocchi ebbe, a sua volta, tratti di grande stima e tenerezza verso Don Orione. Conoscendone la vita e i sacrifici, gli scrisse: “Mi rallegro del bene che ella fa. Ma fraternamente le chiedo di non prendersi troppi incarichi e risparmiare le sue forze e la salute per il maggior bene. E’ vero che avremo tempo di riposarci nell’eternità…”.[144]
Nel 1923, si ritrovò a collaborare con Don Orione in un gruppo di studio riguardante la soluzione della Questione romana. Oltre ai due, vi presero parte Padre Semeria, l’on. Fulvio Milani, Don Minozzi. Fu Padre Genocchi, il 17 gennaio 1923, a portare al Card. Gasparri il dossier elaborato dal gruppo. A detta di Don Minozzi, fu decisivo il contributo di quel gruppo. Di fatto, due giorni dopo la consegna del dossier, il 19 gennaio, il Cardinale Segretario di Stato incontrava segretamente Mussolini; di lì a poco iniziarono le trattative bilaterali, prima informali e poi ufficiali, che portarono alla Conciliazione del 1929.[145]
Nato a Roma, di famiglia lombarda, si laureò al Politecnico di Milano.[146] Conobbe giovanissimo Don Casciola, Padre Semeria e Padre Gazzola e fece parte di quel circolo di giovani intellettuali lombardi che diede vita al “Rinnovamento” (1906) prefiggendosi lo sviluppo degli studi religiosi con il superamento della frattura tra cultura laica e cultura cattolica. La rivista milanese venne presto sconfessata e scomunicata dall’autorità ecclesiastica, però l’Alfieri rimase a dirigerla anche dopo l’abbandono di Casati e Gallarati Scotti. Nel 1909, fu tra gli organizzatori della spedizione di soccorso ai terremotati della Calabria e Sicilia. Dopo la guerra mondiale, si dedicò a varie imprese industriali; fu sostenitore del Partito Popolare; nei confronti del fascismo passò dall’opposizione ad una tiepida adesione. Rimasto di profonde convinzioni cattoliche, ne abbandonò però ogni forma di pratica esterna.
Don Orione conosceva di fama “l’ing. Alfieri, direttore dello scomunicato Rinnovamento di Milano, che, anche dopo la scomunica, continuò a pubblicare”.[147]
Ebbe un primo cauto incontro con lui a Messina.[148] Ne informò il Card. Merry del Val, il 28 aprile 1910, nei seguenti termini: “Mi ha fatto l’impressione che questi poveretti diventeranno zimbello della massoneria, se pur non lo sono già… Uno dei due, l’Ing. Alfieri, mi manifestò che da alcuni anni non riceve i Sacramenti in ossequio alla Chiesa; gli ho detto che così non poteva né doveva stare, e che ben altro ossequio aspetta la Chiesa da un figlio suo. Dopo qualche tempo lo vidi proprio piangere; pensai fosse quello lo sfogo naturale dell’anima che ha bisogno di Dio, o forse Iddio misericordioso gli facesse sentire in quell’ora quanto è doloroso lo stare lontano da Lui”.[149] Tra il prete tortonese e l’Alfieri nacque un rapporto di stima e interessamento destinato a non esaurirsi più. Don Orione, tra l’altro, si interessò per regolarizzare il suo matrimonio, dopo che aveva sposato civilmente la russa Marussia Vornokov.
L’Archivio Don Orione conserva un discreto carteggio tra Don Orione e Aiace Alfieri. Gli argomenti sono i più vari e vanno dalle reciproche informazioni su comuni amici (molto sentita fu la loro partecipazione al dramma della crisi psichica di Padre Semeria[150]) all’aiuto per sistemare orfani o altre persone in difficoltà e, molto spesso, il semplice desiderio di incontrarsi.
Nativo di Vicenza, di solida formazione cattolica, compagno di studi di Giacomo Zanella, si laureò a Torino; fu avvocato ma con inclinazioni alla poesia, “un mistico, ossia spontaneamente orientato verso l’invisibile e il trascendente”, come scrisse di lui Gallarati Scotti.[151] Si affermò negli ambienti letterari soprattutto per i suoi romanzi.[152] Ammiratore di Rosmini, amico di Mons. Bonomelli, frequentatore dei primi rappresentanti del “modernismo” italiano, si distaccò da un cattolicesimo tradizionale per accogliere le inquietudini di rinnovamento culturale e sociale. Membro di numerose Accademie, collaborò a molte riviste, tra le quali “Rinnovamento”.
Quando il suo romanzo Il santo venne messo all’Indice (1906), si sottomise all’autorità ecclesiastica e, al convegno di Molveno (1907), egli prese le distanze dalle posizioni di Buonaiuti. Quasi certamente è da collocare in questo contesto di eventi, una minuta senza data di Don Orione nella quale lo esortava: "Così non dovete morire: altro é scrivere romanzi, altro é presentarsi al Tribunale di Dio. La Chiesa Cattolica nostra Madre non é quella che voi avete rappresentata; oh essa é ben diversa, ed io sentî sempre tanto dolore nel vedere che voi la presentate ai vostri lettori così male forse perché voi stesso non l’avevate conosciuta. Riparate almeno in parte con un grande passo verso la Chiesa. Riparate le ingiuste avversioni che avete indotte in tanti vostri lettori verso la Chiesa nostra Madre: Essa non è quella che voi avete presentata né la vostra dottrina è sempre la sua. Con un atto di vera umiltà cristiana e di amore filiale, riparate per quanto potete, o mio caro fratello".[153]
Nonostante le grandi riserve sul suo pensiero, riconoscendolo “maestro del modernismo italiano”, Don Orione nutrì anche grande ammirazione verso il Fogazzaro, stimandone l’alta ispirazione spirituale e la dirittura morale. All’indomani della messa all’indice de Il santo, nell’aprile 1906, ne additava il valore: “Fogazzaro e D’Annunzio sono oggi i capiscuola del romanzo italiano; essi seguono due vie diverse: l’una corre la terra e vuole tutto il piacere della terra, l’altra, non sempre bene, se volete, ma indica almeno un bisogno, un’elevazione dello spirito verso il cielo. Ora ‘Il santo’ di Fogazzaro venne messo all’Indice in un’ora di mestizia per l’uomo e letterato illustre, quando cioè il senatore Lampertico, zio suo e ammiratore, credente, gli spirava tra le braccia. Allora, al Giornale d’Italia, che voleva far chiasso, Fogazzaro, telegrafava: ‘Silentium’. Era un momento doppiamente solenne e dovette essere ben doloroso, ma Fogazzaro non doveva tardare a dare pubblico e grande esempi di sommissione alla Chiesa e mostrare la fede di cattolico”.[154]
Don Orione ebbe modo di interessarsi più direttamente di Antonio Fogazzaro a Messina, essendo egli uno dei fondatori dell’”Associazione nazionale per gli interessi morali ed economici del Mezzogiorno”, i cui membri[155] erano scesi in Calabria e Sicilia per svolgere attività di assistenza alle popolazioni colpite dal terremoto. A Tomaso Gallarati Scotti, che lo informava di Don Orione, il Fogazzaro risponde il 3 agosto 1910: “Quanto scrivi di Don Orione mi consola fino alle viscere. Amico del Papa? Il Papa, caro mio, fa ora il rimprovero a me di essere amico tuo, e dice che io sono contro i preti (testuale)”.[156] Di Don Orione “Antonio Fogazzaro parlava con un rispetto, ammirazione, devozione e amicizia che avevano colpito la mia mente giovanile”, ricorda Paola Crateri Giacosa, il cui padre era amico del grande scrittore.
Don Orione era confidente della famiglia Fogazzaro e, in particolare, della figlia Maria che prolungò l’amicizia dell’illustre padre.[157] Questa ricorda che “il Fogazzaro infermo chiamava al suo letto il servo di Dio (Don Orione), che rispondeva: ‘Verrò passando per Roma’ (affermando il suo spirito di romanità)”.[158]
Studiò all’Apollinare e si laureò alla Sapienza di Roma. Divenuto sacerdote, si diede all’insegnamento. Scrisse di letteratura, apologetica e ascetica.[159] Anche su di lui, a motivo della sua apertura culturale e dell’amicizia con vari rappresentanti del modernismo, caddero sospetti e accuse.[160] Egli entrò a far parte del cenacolo di Padre Genocchi[161] verso il quale nutrì grande ammirazione. “Intorno a P. Genocchi palpitava armonioso il modernismo migliore, quello sano e sincero, modernismo – adopero con coscienza tranquilla la parola rovente per intenderci, la parola divenuta perdutamente orrorosa per la defezione invano deprecata di molti – che era solo, per noi, spirito schietto di rinnovamento culturale e spirituale, abbandono di posizioni sorpassate, svecchiamento di tradizioni (…) Niente eresie, niente laceranti ribellioni, niente rinnegamenti di sacre eredità; nessuna folle voluttà di sovvertimento fazioso”.[162]
Si impegnò, con Padre Semeria, nel sostegno ai soldati in guerra (1915-1918) e, nel dopo guerra, organizzò una Casa per orfani ad Amatrice, in Abruzzo; di lì si irradiò una rete di 80 case degli orfani sotto il nome di “Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia”. Per il servizio in queste case costituì e formò i “Discepoli” e le “Ancelle”.
E’ proprio nel comune campo dell’educazione degli orfani che Don Orione entrò in contatto con Don Minozzi. Questo è anche l’argomento più comune della corrispondenza tra i due conservata nell’Archivio Don Orione.[163] Don Minozzi, particolarmente effusivo nei sentimenti, si rivolgeva a Don Orione come “mio dolce (caro, dilettissimo) amico”. Nel 1920, Don Minozzi sollecitò e sperò in una collaborazione dei religiosi di Don Orione nella sua casa di Amatrice.
In varie circostanze, si rivolse a Don Orione per raccomandargli casi difficile di sacerdoti in difficoltà. “Mio dilettissimo amico, io devo chiederti infinite scuse per non averti risposto prima. Ma… la tua bontà non vuole scuse. Per Pizzogallo io ho fatto quanto ho potuto. E’ un povero paranoico, che pur ha qualità notevolissime, e va aiutato con grande pietà. Ma chi più di te può farlo? Io ho spuntato tutte le mie armi per lui. Tu solo puoi salvarlo con la tua carità senza limiti e la tua giusta influenza nelle Congregazioni. Io proprio non posso nulla più. E me ne duole. T’abbraccio col cuore che sai e ti do un bacio che vuol salire a te in purità d’affetto fraterno. Tuo D. Giov. Minozzi”.[164]
A sua volta, Don Orione ricorreva alla collaborazione dell’amico Minozzi per altre opere di bene. “Mi dicono che tieni del cor di Federico – il Duce – ambo le chiavi. Se puoi, vorresti ottenermi che non mi si espropri un terreno che m’è costato sangue e su cui vorrei alzare opere di beneficenza educative e la Casa Centrale della Congregazione?”.[165] Il rapporto tra i due sacerdoti è straordinariamente confidente, con toni di fraterna tenerezza. Minozzi a Don Orione raccomanda: “Curati, per carità, che abbiamo bisogno della tua luce”.[166] Don Orione a Minozzi e Semeria: “La benedizione di Dio su voi e sull’opera della vostra carità”.[167].
12. Carlo Testone (1867–1931)
Studiò al seminario di Tortona e fu ordinato sacerdote nel 1890. Di vivace intelligenza, si dedicò presto all’insegnamento, alla promozione sociale e all’educazione della gioventù. Fu tra i fondatori del giornale diocesano “Il popolo”. Casteggio, di cui fu nominato arciprete, divenne fucina di idee e di azione sociale della diocesi. Fiorirono varie iniziative quali l’Unione rurale, la Cassa rurale, le Cucine di carità, la Banca di San Marziano, la Federazione agricola dell’Oltrepò pavese, il Segretariato del popolo, la Società di cultura popolare, la Biblioteca circolante. Tradusse in diocesi, guidata dall’intransigente vescovo Bandi, gli orientamenti sociali e politici di Don Murri. Nel 1909, fu allontanato dall’insegnamento teologico per sospetti di inclinazioni modernistiche. Alla domanda di don Testone di essere riammesso ad insegnare in seminario, Pio X scrisse di propria mano la traccia per la risposta; “Porti in pace la tribolazione; lavori per la sua parrocchia e il Signore non mancherà di confortarlo come desidera il S. Padre, che lo benedice di cuore”.[168]
Durante la guerra mondiale e successivamente si prodigò per alleviare le sofferenze dei soldati, dei loro figli e famiglie. Durante il fascismo non poté più esprimere come prima la sua azione sociale. Si dedicò allora all’insegnamento al collegio “Dante”, chiamatovi da Don Orione.
Don Orione, che pure criticò in un’occasione l’atteggiamento di Don Testone,[169] ebbe di lui un grande concetto e spesso lo coinvolse nelle sue iniziative.[170]
Una sintesi dei meriti dell’illustre condiocesano ebbe modo di esprimerla in una lettera del 24 maggio 1915, aderendo alle iniziative per “festeggiare il Giubileo sacerdotale del Rev.mo Arciprete di Casteggio, teol. don Carlo Testone. Egli ben merita questo ed altro; don Testone è universalmente riconosciuto degli ingegni migliori del Clero della nostra Diocesi, che di belle menti non difetta: è tra quelli che più hanno lavorato, e disinteressatamente lavorato, per lo splendore del culto, e per crescere la fede e la pietà nella anime. Ed amo dire che ha saputo lavorare nelle forme più sicure e ortodosse e insieme più moderne con cui oggi si deve lavorare, se non si vuole morire: se ancora si vuole che oggi come jeri Cristo regni sovrano, e più Padre che sovrano, nella società, e che la Chiesa sia riconosciuta e amata come Madre di fede e di civiltà e di ogni sano progresso”.[171]
Religioso oratoriano, fu uomo di vasta cultura e conoscenza delle lingue, tra i più geniali studiosi della Bibbia.[172] Fu autore di numerosi saggi e pubblicazioni, sempre apparsi con pseudonimi per non incorrere nelle censure ecclesiastiche. Amico di Laberthonnière, Harnak, Lacroix e dei principali promotori del rinnovamento degli studi biblici, divulgò in Italia le istanze di riforma diventando il riferimento di molti pensatori italiani e stranieri. Fu isolato e avversato all’interno del suo stesso Ordine. Poté proseguire la sua attività di studioso nascostamente e fuori dalle polemiche di piazza.
Nel 1935, calò su Padre Federici una nuova e imprevista ondata di accuse nei suoi confronti che culminò con l’interdetto al suo ministero da parte dell’Arcivescovo di Genova. Egli lo definì “culmine di un lungo e oscuro intrigo di vessazioni e insinuazioni domestiche”.[173] “Vicino alla disperazione, cattiva consigliera”,[174] come scrisse a Don Orione, il dotto biblista lasciò Genova e l’ordine col consenso dei superiori e, su consiglio di Don Brizio Casciola, si affidò al fondatore della Piccola Opera. Con Don Orione aveva già avuto rapporti,[175] ma ora bussava alla sua porta per averne accoglienza. Don Orione avrebbe voluto ospitarlo a Tortona o a Novi Ligure, vicino alla sua Genova, ma il fatto che quella diocesi appartenesse alla Regione ecclesiastica ligure glielo sconsigliò.[176] Gli offerse altre possibilità.[177] Padre Federici, nel luglio 1935, soggiornò presso l’eremo orionino del Monte Soratte e poi, nell’ottobre, elesse definitivamente Venezia.
Con Don Orione e ancor più col suo primo collaboratore, Don Carlo Sterpi, tenne una corrispondenza confidente, delicata e sempre riconoscente. Impressiona la povertà e la solitudine di quest’uomo che chiede la grazia di essere “provveduto di applicazioni di SS. Messe con l’offerta della elemosina ordinaria: questa dovrebbe servirmi per l’acquisto degli abiti e di altre piccole cose più o meno necessarie”.[178] All’Istituto “Artigianelli” di Venezia si inserì bene; andava a celebrare quotidianamente presso l’orfanotrofio delle Suore orionine. “Dopo quasi due mesi di dimora in Venezia – scrive Padre Federici a Don Sterpi -, sento proprio il bisogno di dirLe che, appunto come Ella mi prediceva, qui mi trovo «al mio posto», e assai bene. Desidero altresì esprimere la mia gioia nel vedere che i Figli del nostro veneratissimo Don Orione qui hanno Case tanto importanti e assai fiorenti; governate ottimamente, sotto gli occhi paternamente ben vigili dell’impareggiabile Don Pensa, così fine e cortese, quanto umile e paziente…anche con me!”.[179]
Un poco consolato nella sua solitudine, morì il 13 agosto 1936.[180]
Laureato in teologia all’Apollinare, ordinato sacerdote nel 1891, con Salvatori e Costantini, nel 1892, costituì il Sodalizio Operai della Parola e, l’anno appresso, una Scuola superiore di religione ove insegnarono tra gli altri Don Casciola e Padre Genocchi. Nel 1894, con Don Murri diede vita a un Circolo universitario; nel 1896, fondò la Società di studi biblici a Roma[181]. Tale fervore di iniziative posero il Faberi al centro degli ambienti culturali cattolici interessati al rinnovamento degli studi religiosi ed ecclesiastici, in dialogo con la scienza e la cultura contemporanea. Frequentò tutti i principali esponenti del modernismo italiano. Von Hugel in una lettera a Loisy lo qualificò “si ouvert et si actif”.[182]
Faberi, malgrado i suoi legami con Murri e Buonaiuti, riuscì a mantenersi in equilibrio dottrinale e disciplinare nei difficili tempi dell’antimodernismo. Anzi ebbe varie responsabilità ecclesiastiche: professore al seminario romano, membro del Pont. Consiglio per le scuole cattoliche, segretario del Vicariato di Roma. Il suo dinamismo culturale non gli risparmiò opposizioni che determinarono il suo allontanamento dal Vicariato per assumere altri ruoli di più quieto onore.
Uno dei meriti di Mons. Faberi fu quello di aver provveduto alla pastorale dei nuovi quartieri periferici sorti recentemente a Roma. Fu in questo contesto che entrò in contatto personale con Don Orione. Fu Mons. Faberi che – di fatto – consigliò Pio X di affidare la parrocchia di Ognissanti, nel popoloso quartiere Appio fuori porta San Giovanni, alla congregazione orionina.[183] Don Orione, il 10.12.1906, informando il Vescovo di Tortona, quasi si giustificava: “Il S. Padre vuole quest’opera, e per grazia del Signore sono pronto a morirvi su. Adesso si è impegnato lui direttamente per l’area; ha fatto là il conto durante l’udienza. Sia fatta la volontà del Signore! Io non l’ho cercata quest’opera, credete non l’ho cercata, è Monsig. Faberi segretario del Vicariato”.[184] Nelle lettere del fondatore tortonese si incontrano molti cenni all’amabile e stimato interessamento di Mons. Faberi per la parrocchia di Ognissanti[185] e per varie altre questioni della congregazione a Roma. Così pure sono conservate alcune lettere di Mons. Faberi dalle quali traspare il rispetto e la devozione verso Don Orione.[186]
Colpito da una grave malattia allo stomaco, morì il 4 gennaio 1931. Don Orione commentò con Don Risi la notizia “Ho saputo, solo da qualche giorno, la morte di Mgr. Faberi e mi ha fatto impressione. Appena mi possa mettere in viaggio, sarò a Roma”.[187]
Questa parziale ma significativa carrellata di relazioni di Don Orione con personaggi di spicco sulla scena delle controversie modernistiche mi suggerisce alcune considerazioni conclusive.
1. La fedeltà-unità “di mente, di cuore e di opere” al Papa e ai Pastori della Chiesa non fu per Don Orione soffocamento, imbrigliamento nel camminare avanti, "alla testa dei tempi",[188] ma fu garanzia, punto di riferimento, "sicurezza di battere le vie della Provvidenza".[189] La sua fedeltà papalina deve anzi considerarsi fonte del suo coraggio pionieristico in frontiere d’azione non ancora “battezzate” dalla Chiesa (questione sociale, democrazia, mondo operaio, ecumenismo, pastorale dei negri di Brasile, e altre) e in abbracci che sembravano impossibili o anche proibiti, come con Ernesto Buonaiuti, con Romolo Murri, Genocchi, Aiace Alfieri, Padre Semeria, Brizio Casciola, il Fogazzaro... e con personalità della cultura e della vita pubblica che battevano vie di pensiero e di azione indipendenti o anche ben diverse da quelle della Chiesa e dei suoi Pastori.
2. Non si può comprendere e rispettare, anche storicamente, Don Orione e la sua azione senza riferirsi alla sua carità, che è poi l’azione di Dio in una persona, cioè la santità. Lo ha ben compreso ed espresso Tomaso Gallarati Scotti, beneficiato e benefattore della carità di Don Orione. “Sentiva questo bisogno di conciliare, ma di conciliare non nella confusione, come avrebbero voluto altri bensì in una distinzione amorevole, in un calore di amore e di fervida coscienza che è, in fin dei conti, tutto quello che è veramente buono e tutto quello che ha un riflesso di Dio, anche se apparentemente, delle volte, è lontano da Dio. C’è qualcosa nell’anima umana che risponde al tocco del Santo, perché così profondo e cosi nascosto ma vibra quando sente la voce di questa carità che parla. E Don Orione parlava; parlava agli uomini di Stato come parlava agli uomini di Chiesa. Questa è la prima grande esperienza che io ho avuto e che non ho mai dimenticato. Comprensione, comprensione ed intelligenza; l’Uomo aveva una straordinaria intelligenza; ma, secondo me, quello che faceva di Lui un grande psicologo era la carità stessa. Riusciva a penetrare nel cuore e nella mente degli altri e capiva tutto: capiva le cose impure come le possono capire i purissimi non mai toccati dall’impurità; capiva i tormenti dello spirito e dell’intelligenza come può chi ha una fede assolutamente pura, tetragona ai dubbi, alle oscillazioni, ferma nella verità vissuta ed è questa, direi, certezza di dove poggiare il piede che ha fatto di Don Orione un tramite tra la Santa Sede e molti erranti di quel tempo”.[190]
3. Don Luigi Orione venne a trovarsi, in forza sia dell’ufficio pastorale come Vicario generale a Messina e sia soprattutto per la sua smisurata carità pastorale, sulla linea di confine tra modernismo e antimodernismo, ma su un piano che definirei esistenziale-caritativo, rispetto a quei due mondi contrapposti, Visse in un difficile equilibrio tra due fedeltà per lui irrinunciabili: la fedeltà alla dottrina della Chiesa e la fedeltà alla carità soprattutto verso confratelli in profonda difficoltà e sofferenza, i cosiddetti modernisti. Non stupisce che trovandosi su questa linea di confine Don Orione sia stato accusato ora di modernismo (perché amico dei modernisti) ora di antimodernismo per la sua indiscussa e incrollabile adesione al magistero della Chiesa, specie del Papa e della Santa Sede.
Lo studio dell’intreccio di rapporti che Don Orione seppe intessere per amore alla Santa Sede e per intensa carità sacerdotale con i più significativi modernisti italiani, dissipa gli equivoci del passato, portando alla luce la limpida posizione di Don Orione, che coniugava l’indiscussa fedeltà dottrinale e disciplinare alla Chiesa con la carità verso i modernisti (veri o anche solo sospettati).
Senza tenere in conto la carità e la santità di Don Orione è facile cadere in equivoci storici o, addirittura, in giudizio malevoli a riguardo dei suoi comportamenti che univano stretta ortodossia papale e autentica amicizia con persone erranti, lealtà verso le autorità ecclesiastiche e partecipazione sincera e concretamente solidale ai problemi delle persone in difficoltà con l’autorità stessa.
Nei carteggi e nelle testimonianze dei rapporti di Don Orione con persone coinvolte nel modernismo sono quasi del tutto assenti contenuti dottrinali o reciproci tentativi di convincimento, eppure, all’uno e agli altri, ciò non impedì un’autentica relazione che, salvando la comunione nella carità, salvava e promuoveva la comunione possibile con la Chiesa minata dal dissenso. Era proprio il tema della comunione nella Chiesa che ricorreva sovente nella corrispondenza di don Orione. Quanto don Orione disse circa padre Agostino Gemelli - “Non è il sillogismo che fa, ma la carità di Cristo e la grazia del Signore soprattutto” -, manifesta il suo metodo per contribuire alla verità e all’unità della Chiesa.
[97] Summarium ex processu, p.332.
[98] Scritti 43, 242.
[99] Cart. Buonaiuti, ADO.
[100] Summarium ex processu, 336.
[101] Cart. Buonaiuti, ADO.
[102] Ibidem.
[103] Ibidem.
[104] Ibidem.
[105] Ibidem.
[106] Ibidem.
[107] Vedi Don Orione negli anni del modernismo, cit., p. 123-222.
[109] ADO, cart. Semeria, 30.
[110] Si legga la voce di M. Guasco in DSMCI, II, p. 414-422 con bibliografia; Idem, Romolo Murri e il modernismo, Cinque Lune, Roma 1968; Idem, Il caso Murri dalla sospensione alla scomunica, Argalia, Urbino 1978, Carteggio a cura di L. Bedeschi, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 1970; S. Zoppi, Dalla “Rerum Novarum” alla Democrazia Cristiana di Murri, Il Mulino, Bologna 1994, p. 283-300; Giuseppe Rossini (a cura di), Romolo Murri nella storia politica e religiosa del suo tempo, Cinque Lune, Roma 1972.
[111] Scritti 66, 199. “La Madonna” fu pubblicata anche per commemorare il 50° anniversario dell’apparizione della Madonna a Lourdes.
[112] Scritti 118, 1.
[113] Commentando l’enciclica, Don Orione scrisse: “Sono parole gravissime di sapore veramente apostolico, ispirate ad un grande, solenne proposito, quello di volere che il clero sia degno della sua divina missione: che nutra le anime e mantenga intatto il patrimonio della fede e della morale”; Scritti 77,154.
[114] “Cultura sociale”, 16 ottobre 1905. Turati rispose a Murri quasi di getto, nel numero di “Cultura Sociale” del 1 novembre 1905: “Noi siamo i figli primogeniti del diavolo, ossia del libero esame, e portiamo nostro Padre sugli omeri ovunque ci volgiamo. In cielo ed in terra, al di là e al di qua, nel pensiero e nell’ufficina. E’ un diavolo di diavolo che, se si mette a scorazzare, non lo arresterete a questa o quella soglia. Perciò è pericoloso scatenarlo. Qui i conservatori sono – scusate tanto – molto più logici di voi”.
[115] Scritti 76, 9.
[116] In un articolo pubblicato su Il popolo di Tortona, Don Orione conclude: “No, noi autonomi, mai! Le nostre coscienze si ribellano a lasciarsi vellicare dal don Murri di oggi e rigettano ogni movimento di ribellione alla Chiesa. Noi restiamo democratici cristiani fino al midollo delle ossa, come lo fummo alla prima ora nel senso inteso e voluto dal Papa, puri e fedeli come ci ha benedetti Lui – davvero con Roma e per Roma sempre – ma autonomi, no!”; Scritti 53,5 e altra minuta in Scritti 61,116.
[117] Scritti 66, 200.
[118] Scritti 86, 12.
[119] L’“inevitabile scomunica” come la definì “La Stampa” del 22-23 marzo 1909, giunse dopo l’elezione di Murri a deputato, rappresentante dell’estrema sinistra nel Collegio Marchigiano di Montegiorgio. Sulla successiva attività politica di Murri come “deputato radicale”, cf Benedetto Marcucci, Romolo Murri. La scelta radicale, con prefazione di Marco Pannella, Marsilio, Venezia 1994, p. 69-114. Il 24 aprile 1912, Murri sposò con rito civile Ude Ragnhild, figlia del presidente del Senato norvegese, conosciuta in occasione del conferimento del premio Nobel a Giosue Carducci. Don Orione fu autorizzato a mantenere le relazioni fino al suo riavvicinamento alla Chiesa; Mons. F. Cribellati, in Beatificationis et canonizationis Servi Dei Aloisii Orione Summarium”, Romae, 1971, p. 41.
[120] Parola 11, 245.
[121] Si legga la voce di Nicola Raponi, in DBI, 51 (1998), p. 519-526; Idem, Tommaso Gallarati Scotti tra politica e cultura, Vita e Pensiero, Milano 1971; Atti del convegno su Gallarati Scotti nel centenario della nascita, Vita e pensiero, Milano 1982.
[122] Dichiarazione pubblicata sul numero nov-dicembre del “Rinnovamento”, uscito però a fine gennaio 1908.
[123] Sul tema delle tre corrispondenze pubblicate su “L’Unità Cattolica”, si veda il Documento n.24 e Antonio Lanza, Don Orione negli anni del modernismo, “Messaggi di Don Orione” 24(1992) n.79, p.52-103.
[124] Sull’inizio della sua amicizia con Don Orione, il Gallarati Scotti scrive espressamente: “La nostra relazione risale all’incontro durante il terremoto di Messina”; cf. Il Corriere della Sera, 20 novembre 1955. E’ conservata anche una lettera della mamma di Gallarati Scotti: “Milano, 19. 5. 1914. Molto Rev.do Don Orione, scusi se oso dirigermi a Lei senza avere il piacere di conoscerla personalmente! Mio figlio Tomaso che ha una vera venerazione per Lei è partito otto giorni sono per portare soccorsi in Sicilia per rappresentare Milano. Può immaginare come sono fiera di questo mio caro figliolo, ma nello stesso tempo come vivo di trepidazione! Mi vengo dunque a mettere sotto la di Lei protezione implorando preghiere e benedizioni per questo figliolo che so Lei pure ama tanto! Ringraziandola del bene che sempre fa al mio Tomaso le bacio la mano. Luisa Gallarati Scotti Princ.ssa di Molfetta – Via Manzoni 30.
[125] Scritti 101, 93
[126] Memoria in ADO, cart. Gallarati Scotti.
[127] Conversazione del 12 gennaio 1959, cit.
[128] Memoria, cit.
[129] Scritti 19, 294
[130] I miei quattro Papi, cit., p.221.
[131] Si legga la voce di A. Bartocci in DBI, p.731-732; Mons. Andrea M. Erba: Un insigne barnabita. Padre Ghignoni, in “L’Osservatore Romano” del 23.11. 1974.
[132] La raccolta della rivista La Madonna è conservata in ADO.
[133] Fondo Pio X, cit., I, p. 33.
[134] È un signore che ha una bambina da far operare agli occhi.
[135] Semeria I, 13.
[136] Lettera del 1° febbraio 1917; Scritti 49, 93-104.
[137] Scritti 49,96s. Per assistere questo fratello p. Ghignoni otto anni prima era “uscito temporaneamente dall’Ordine barnabitico”; cf Bedeschi, 358.
[138] Scritti 49, 105.
[139] Scritti 48, 169.
[140] Stralci da una lunga lettera del 1° febbraio 1917, in Scritti 49, 93-100
[141] ADO, cart. Ghignoni.
[142] Su Giovanni Genocchi si legga F. Turvasi, Padre Genocchi, il Sant’Uffizio e la Bibbia, Dehoniane, Bologna, 1971; Idem, Giovanni Genocchi e la controversia modernista, Storia e letteratura, Roma, 1974; L. Fiorani, Modernismo romano, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, 1990, n.8, p.101s.; la voce Genocchi di R. Cerrato in DBI vol.XX, p.134-138.
[143] Scritti 50, 247.
[144] Espressione, quest’ultima, tipica di Don Orione; ADO, cart. Genocchi.
[145] Una ricostruzione completa di queste vicende ai può trovare in A. Lanza, Don Orione, la Questione Romana e la Conciliazione in Messaggi di Don Orione 25(1993) n.83; F. Peloso, Don Orione & la Conciliazione in Studi Cattolici XLV(2001) n.484, p.426-431
[146] Si legga la voce di M. L. Frosio in DSMCI III.1, p.11-12; Carteggio Alfieri-Sabatier a cura di L. Bedeschi “Fonti e documenti” Argaglia, Urbino, 1973, vol. II, p.82-288.
[147] Scritti 84, 322.
[148] Don Orione ne riferisce in Scritti 48, 61s.; 50, 274 e 96, 317s.
[149] In ADO, Archivio Segreto Vaticano, Documenti della Segreteria di Stato e di altri Sacri Dicasteri, fotocopiati, vol. I, p. 105-111.
[150] Il 5 aprile 1916, Antonio Alfieri scriveva a Don Orione: “Sento da P. Genocchi che Semeria s’è aggravato; questo, dopo quattro mesi di cura, mi pare un fatto sì triste che non so darmi pace. Mi pare che gli amici devono fare qualunque cosa per evitare danni peggiori ad un uomo che ha fatto come nessun altro forse per il bene degli altri, e che più potrebbe fare in avvenire”; varie lettere sull’argomento in ADO, cart. Semeria.
[151] Cf. T. Gallarati Scotti, La vita di Antonio Fogazzaro, Mondadori, Milano 1963 (I ed. 1934). L. Bedeschi, Fogazzaro e il modernismo, in “Humanitas”, Brescia XLVII (1992) n. 5, p. 704-716. Su Fogazzaro si legga la voce di Lucia Strappini, in DBI, 48 (1997), p. 420-428, e di A. Agnolotto – A. Zambarbieri in DSMCI, II, p.205-209.
[152] Si tratta dei noti Daniele Cortis, 1885; Il mistero del poeta, 1888; Piccolo mondo antico, 1895; Piccolo mondo moderno, 1900; Il santo, 1905; Leila, 1910.
[153] Scritti 109, 295.
[154] Scritti 102, 19.
[155] La “Associazione Nazionale per gli interessi morali ed economici del Mezzogiorno d’Italia” aveva Leopoldo Franchetti come presidente; Luigi Bodio, Antonio Fogazzaro, Giustino Fortunato, Tito Poggi come consiglieri; David Santillana, Giuseppe Lombardo-Radice, Gaetano Salvemini, Tommaso Gallarati-Scotti, Giovanni Malvezzi membri del comitato esecutivo.
[156] Lettere scelte di Antonio Fogazzaro a cura di Tomaso Gallarati Scotti, Mondadori, Milano, p.696. Interessante notare come Don Orione fosse pubblicamente riconosciuto come “amico del Papa”.
[157] Cf. Scrivendo in Segreteria di Stato per raccomandare una udienza particolare dal Papa, Don Orione la presentava così: “La figlia del Fogazzaro, Sig.na Maria, che convive con la madre, e che fa molto bene a più che cento poveri bambini e bambine, e a ragazze del popolo, da essa raccolte in tre Istituti affidate a suore, mi diceva il desiderio che avrebbe di un’Udienza privata dal S. Padre, che vorrebbe sentire per certe cose sue, e mi pregava di chiederla. Essa si esprimeva così : «Io vorrei andare ai piedi di sua Santità non come la figlia del Fogazzaro, ma come la più umile e devota figlia della S. Chiesa»”; Scritti 6, 179.
[158] Appunto in ADO, Maria Fogazzaro. Maria Fogazzaro nel 1921 – per interessamento di Don Orione - fu ammessa in privata udienza dal Santo Padre, al quale aveva qualcosa da riferire del Padre suo; Scritti 49, 215.
[159] Tra le sue opere, tutte edite da Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, Roma -, ci sono Montecassino nella storia del Rinascimento, Ricordi di guerra (2 volumi), Ombre care, Giovanni Grosoli, Meditazioni, Rifugi dello spirito, Paolo Segneri (2 volumi), Buona notte! (Come parlo ai miei figliuoli), Padre Giovanni Semeria, Ricordando.
[160] Nel suo libro autobiografico Ricordando (Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, Roma-Milano 1984), Padre Minozzi racconta che “sospettaron taluni ch’io me n’andassi ne’ pomeriggi festivi a complottare modernisticamente col Bonaiuti (sic). E in sordina, di malignazione in malignazione, montarono su un castello di stoltissime accuse”. Gli venne intimato di lasciare Roma entro ventiquattrore. Per fortuna ebbe modo di spiegarsi e di trovare comprensione in Mons. Faberi “vero capo del Vicariato” e la calunnia cadde da sé (p.91-92).
[161] “Frequentatori del cenacolo evangelico di P. Genocchi erano, fra gl’Italiani Giulio Salvatori, Antonio Fogazzaro, Umberto Fracassini, poco Salvatore Minocchi, pochissimo P. Semeria, di rado Romolo Murri e P. Ghignoni, radissimi Buonaiuti che io non vidi mai, Mons. Benigni e Brizio Casciola; fra gli stranieri Duchesse spesso, Von Hugel, Sabatier, Battifol e Loisy della prima maniera”; G. Minozzi, Ricordando, cit. p.97.
[162] G. Minozzi, Ricordando, cit. p.96.
[163] ADO, Scritti e cartella Minozzi.
[164] In altra lettera del 29.6.1922: “Mio caro amico, io non so a chi altri raccomandare il povero Amorosi meglio che a te. Io proprio non so dove metterlo nelle case mie. Ma tu per i poveri confratelli caduti hai un’istituzione apposta di già, e hai poi, su tutto, il tuo gran cuore d’apostolo (…)”; il 19.1.1924: mi scrive un tal Rogataki che vuol venire da me. Ma perché? Che ha fatto da te? Perché ti lascia? Che tipo è? Merita qualcosa?”; ADO, cart. Minozzi. Don Orione su altro caso a Don Minozzi, il 17.10.32: “Quando mi hai scritto, il Trucchetti non era già più da me. In via ordinaria, quelli che Don Orione dimette, non prenderli, perché io vado fin all’inferno e mi ci butto a salvare fin là entro” (116, 99)
[165] Lettera del 17.10.32; Scritti 116, 99. E Don Minozzi gli rispose due giorni dopo: “Mio carissimo, mandami subito il promemoria per Ognissanti e io me ne occuperò col massimo interesse. Ricordami al Signore, ché ne ho tanto bisogno, tanto, tanto! T’abbraccio col cuore che sai. Tuo D. Giov. Minozzi”; ADO, cart. Minozzi.
[166] Lettera del 19.1.1924; in lettera del 29.11.1926: “Mio fratello carissimo e dilettissimo, solo ora so della tua malattia lunga e penosa, felicemente superata. Ti mando subito il saluto mio col cuore che tu conosci. Ti manderei anche la mia preghiera, se la mia povera preghiera valesse qualcosa dopo la tua che sa le vie del Signore. T’abbraccio e ti bacio più che fratello. Tutto tuo D. Giovanni Minozzi”; ADO, cart. Minozzi.
[167] Lettera del 2.4.26; Scritti 116, 98
[168] Fondo Pio X, documenti della Segreteria personale di Pio X, fotocopiati; in ADO, III, p. 22.
[169] Il 15 agosto 1909 celebrava la sua Messa d’oro padre Michele da Carbonara, già canonico del duomo di Tortona e allora Prefetto apostolico in Eritrea. Assente il Vescovo, in un brindisi durante il banchetto in Seminario, don Testone dichiarando di parlare “a nome del clero diocesano”, si autodefinì “un parroco condannato a domicilio coatto intellettuale”. L’infelice definizione suonava aperta critica alle disposizioni della S. Sede. Probabilmente su suggerimento di mons. Pietro La Fontaine, che era stato Visitatore a Tortona, e che incontrò nel viaggio di ritorno verso Messina, Don Orione decise di commentare l’accaduto sulla stampa. Raccolte le informazioni, stese un articolo che comparve su “L’Unità Cattolica” del 27 agosto col titolo fin troppo enfatico di “Gravi sintomi del Modernismo”. Il 1° settembre successivo comparve su “L’Unità Cattolica” la pronta risposta di don Testone. Don Orione avrebbe voluto replicare, ma tutto resto in appunti; ADO, cartella L’Unità Cattolica, cit., Lettera del 5 settembre 1909; Scritti 10, 235-236; 78,16-22.
[170] Don Testone aveva coadiuvato il can. Novelli nella direzione del 1° Oratorio festivo di Don Orione (Scritti 74,19); aveva insegnato nel Collegio Santa Chiara; aveva tenuto il discorso alla prima Messa di Don Orione e gli aveva indirizzato il giovane Gaspare Goggi (Scritti, 25,28); gli aveva presentato “due buone giovani parrocchiane” che sarebbero potute diventare le prime due aspiranti dell’Istituto femminile (ADO, cart. Testone); aveva scritto per i giovinetti del 2° oratorio festivo “La passione di Cristo” (Scritti, 83, 79), che Don Orione continuò a mandare sulle scene anche a Messina (Scritti 11, 59); aveva sostituito Don Orione nell’elogio funebre in die trigesima per don Gaspare Goggi, collaboratore amatissimo di Don Orione; ADO, documentazione Goggi.
[171] Don Orione enumera poi altri titoli personali di riconoscenza verso Don Testone: “Io poi non dimenticherò mai quanto il caro Arciprete Testone fece per l'umile Istituto della Divina Provvidenza di Tortona in qualità di Professore di latino, d'italiano e di francese de’ miei primi giovani. Fu anche lui che indirizzò a me il caro e santo nostro Professore don Gaspare Goggi, di veramente benedetta memoria. Fu anche Lui che fece a me il discorso della mia prima Messa. Sarà quindi per me un dolce dovere e un onore insieme prendere parte personalmente alle feste Giubilari del caro don Testone. E ciò farò anche per rappresentarvi tutti i miei sacerdoti e i figli della Divina Provvidenza verso de' quali don Testone ha avuto sempre molto affetto in Xsto”; Lettera a Don Angelo Cristiani, Scritti 25, 28.
[172] Originario di Begonia, fu coetaneo, compaesano e compagno di studi di Pietro Gazzola. Nonostante la grande mole di studio e di relazioni, è rimasto quasi del tutto dimenticato nei recenti studi storici. Ultimamente, L. Bedeschi gli ha dedicato un articolo in Vita Pastorale (marzo 2001, n.3, p.9699) dal titolo “Il biblista costretto allo pseudonimo”.
[173] Lettera del 21.2.1935 a Don Orione; ADO, cart. Federici.
[174] Ibidem.
[176] Scritti 18, 69.
[177] Don Orione a Don Sterpi: “Fate sapere verbalmente a padre Federici che a Novi non è possibile (per ragioni che gli dirò) ma sono disposto a riceverlo al Soratte, a Varallo, a S. Alberto. E che ho ricevute le sue lettere fatelo subito”; Scritti 18, 70 e 73.
[178] Lettera a Don Sterpi del 5.10.1935, ADO, cart. Federici.
[179] Lettera a Don Sterpi del 12 dicembre 1035; ADO, cart. Federici.
[180] Don Orione commenta: “Sono spiacente della morte di p. Federici, spero sarà morto bene”; Scritti 19, 97.
[181] Su Faberi, G. Carrello, Mons. Francesco Faberi. Profilo della sua vita e della sua spiritualità, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1976; si legga la voce di R. Zuccolini in DSMCI, vol. III/I, p. 341.
[182] Mario Rossi, in una lettera del 6 dicembre 1911, afferma che il movimento modernista in Italia era “nato dal gruppo Semeria, Faberi, Genocchi, Casciola, ecc. che si stringeva attorno al von Hügel” (Carteggio Rossi-Houtin, in “Fonti e Documenti”, Urbino 1972, vol. I, p. 248.
[183] Scritti 48, 18.
[184] Scritti 45, 49.
[185] Scritti 10, 169g; anche 4, 18 e 23-24; 6, 14; 10, 169i; 10, 172; 10, 183b; 11, 76; 12, 76; 25, 234; 30, 112; 52, 20e.
[186] ADO, cart. Faberi.
[187] Scritti 7, 348.
[188] “I tempi corrono velocemente, e sono alquanto cambiati e noi, in tutto che non tocca la morale, la dottrina e la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare coi tempi e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare; per poter tirare i popoli e portare e gioventù e popoli alla chiesa e a Cristo, bisogna camminare alla testa. E allora toglieremo l’abisso che si va facendo tra Dio e il popolo”; Scritti 20, 97b.
[189] Scritti 61, 215.
[190] Discorso del duca Tomaso Gallarati Scotti del 15 ottobre 1957; ADO, Gallarati Scotti..