Presentazione di Don Flavio Peloso al libro di A. Belano, Ed. Rubbettino, 2019.
Testo della presentazione del libro di A. Belano, Padre Giovanni Messina. L'uomo, il fondatore, il santo, Ed. Rubbettino, 2019, p.9-12.
Don Flavio Peloso
Il Servo di Dio padre Giovanni Messina nacque a Palermo, nel popolare rione Kalsa, il 31 marzo 1871. Da ragazzo, prese a frequentare l’oratorio san Filippo Neri a l’Olivella (Villa Filippina), ove si formò culturalmente e spiritualmente compiendo gli studi ginnasiali e liceali (1885-1891); definì poi san Filippo Neri il “mio Padre”. In quell’ambiente sbocciò anche la sua vocazione al sacerdozio, coltivata poi nel seminario diocesano (1892-1896).
Fu ordinato sacerdote il 21 marzo 1896. Poco dopo, l’arcivescovo, il card. Michelangelo Celesia, intuendo in lui la stoffa di apostolo di frontiera, lo convocò: “Tu, sacerdote novello e religioso filippino – gli disse -, sei impaziente di dedicarti al lavoro delle anime e godi buona salute. Ecco il campo che ti affido: Andrai ad evangelizzare una zona di povera gente che il prete lo vede molto di rado. Lì troverai alcune chiesette piccole e abbandonate da riattivare al culto”.
Il campo di apostolato assegnatogli era il rione di Sant’Erasmo, popolato di pescatori, senza edificio scolastico, viuzze sporche e maleodoranti, le casette erano rifugi squallidi, vi regnava la miseria. C’era una ricchezza però, che costituiva anche un preoccupante problema: i tanti bambini e ragazzi, con fame e sogni ugualmente difficili da saziare.
Padre Giovanni si rimboccò le maniche, volenteroso. Dopo un duro lavoro manuale e fidato solo nella Divina Provvidenza riaprì al culto, il 4 giugno 1896 la piccola chiesa, detta del Santo Rosario. Si rivelò predicatore efficace e convincente. Le mani incallite e la parola vibrante lo fecero conoscere in tutta la zona che egli chiamava “l’Africa di Palermo” e poi in altre zone della città, come San Matteo e la Cattedrale.
Voleva essere “un sacerdote che porta il fuoco della carità”. Riattivò altre chiesette abbandonate (quella di Romagnolo, della Casina del principe Tasca di Cutò ridotta a teatro di marionette e poi legnaia), e, contemporaneamente, risollevò nella dignità peccatori piegati dal vizio. Ridiede energie a tanta gente desolata, bisognosa di pane e di fede. Ma erano i fanciulli ad inquietarlo. Voleva fare qualcosa per i suoi “pulcini”, i “picciriddi”, per i suoi “dolci figli”: dar loro una casa, mantenerli, istruirli, educarli.
Padre Messina aveva cuore di padre e anche di madre, ma sapeva “prendere il toro per le corna” quando si trattava di difendere da prepotenze o da illegittime intromissioni i diritti sacri delle persone più deboli. E divenne esempio e stimolo per il clero di Palermo: “Oh, se tutti i sacerdoti potessero avere i carboni accesi sulla testa, come sarebbero illuminati tanti che dormono nelle tenebre della morte! Radunate, sì, radunate quanto più ne potete carboni e svegliamoci un momento: non siamo pigri ma laboriosi, siamo fervorosi e non freddi, siamo costanti e non ci scoraggiamo delle difficoltà”.
L’8 settembre 1898, incomincia a raccogliere nei locali che già furono del “Ricovero per l’infanzia abbandonata” alcune bambine che vivevano abbandonate a se stesse nel rione. Inizia come può, alla buona. A coadiuvarlo sono sua mamma, la sorella Nunzia e una terziaria Francescana di nome Gabriella Caruso. Pensa ai poveri e comincia a bussare alle porte dei ricchi. Lo farà per tutta la vita. Alcune signore della nobiltà palermitana l’aiutano a pagare l’affitto del locale. Nel 1899, mette su casa, la chiama Casa “Lavoro e Preghiera” per gli orfani abbandonati; viene inaugurata ufficialmente l’8 settembre 1900.
Ormai il seme è gettato e cresce di proprio impulso. Padre Messina era visto a Palermo come “un prete da favola” (titolo della biografia di G. Romeo), ma per altri era un prete da burla. Finì sui giornali, motivo di vignette umoristiche e di battute pungenti. Ma non disarmò. La sua fortezza aveva radici solide, l’aveva imparata alla scuola della Croce. “L’amore di Dio è bello – faceva osservare -, ma per coloro che non vogliono soffrire non sembra così facile e bello… Poveretti, credono che amare Dio voglia dire non patire e godere la vita presente”. E, pensando alla sua opera, diceva ancora: “In questa casa ci sono più lacrime che calce, pietre e cemento”.
Difficoltà e incomprensioni gli vennero anche per motivi amministrativi e per il modo tutto ‘popolaresco’ che caratterizzò l’intera sua vita. Era scena abituale, per esempio, vederlo aggirarsi a tutte le ore per le vie di Palermo con un carretto per raccogliere generi alimentari e aiuti d’ogni tipo, stendendo la mano tanto ai palazzi dei nobili come alle bancherelle del mercato. Il popolo prese ad amarlo sempre più, e lo denominò affettuosamente il “pazzo di Dio”. Le Autorità religiose gli confermarono sempre la loro piena fiducia che rendeva padre Messina “lietissimo perché… assicurato che l’opera non è umana o da me fatta, ma è stato Dio che l’ha fatta e la vuole”.
I terremoti di Calabria (1905), di Messina (1908), e l’alluvione palermitana (1932) lo videro in prima fila nella carità, con quel gruppo di anime buone e “quasi suore” che, il 16 ottobre 1901, aveva vestito con l’abito delle Terziarie Francescane. Ma egli non voleva fare il fondatore di suore. Nel 1904, tentò di unirle alle Terziarie Francescane Oblate del S. Cuore di Maria e, nel 1906, alle Figlie di Maria Ausiliatrice di Don Bosco. Ma rimasero con lui.
Nel 1908, si recò a Roma per difendere la sua Opera minacciata di chiusura e se ne tornò con il confortante incoraggiamento del Papa Pio X. A Palermo, il Card. Alessandro Lualdi lo consigliò di rompere gli indugi e di costituire le sue collaboratrici in comunità di “Orsoline Congregate”: e con tale denominazione, il 31 marzo 1915, ne riconobbe canonicamente l’istituzione.
Una dopo l’altra, Padre Messina aprì diverse case per gli orfani e gli abbandonati che sempre curò con molto zelo: la casa centrale al Foro Umberto I di Palermo, e poi a Misilmeri, Villagrazia, Villarosa (Enna), S. Margherita Belice (Agrigento). Insieme ai poveri che aveva in casa, curava altri poveri, i “poveri di Cristo” e di senso cristiano della vita toccati dalla sua carità. Il dinamismo apostolico che univa l’evangelizzazione alla testimonianza della carità produceva molti buoni risultati.
La pazienza e la fiducia nella Divina Provvidenza lo sorressero nelle difficoltà ed avversioni subite durante tutto l’arco della sua vita. Quando il 18 maggio 1949 gli fu comunicata dall’autorità comunale la soppressione della sua Opera, non resse al pianto e allo strazio. Un repentino malore segnalò che la sua vita era ormai del tutto sacrificata in olocausto di carità. Morì pochi giorni dopo, il 24 maggio successivo. Aveva 78 anni.
La notizia che era morto il “padre degli orfanelli” e il “protettore degli umili e dei poveri” di Palermo corse di bocca in bocca, riempì le colonne dei giornali, fece muovere folle di devoti a rendergli omaggio nella chiesa del Corpus Domini. Palermo si accorse quanto voleva bene a “u Patri”.
La sua opera continuò per l’impegno delle Suore con lui formatesi nella mistica della carità. Queste, il 9 marzo 1967, si unirono per consonanza di spirito e di finalità apostolica alle Piccole Suore Missionarie della Carità, fondate da san Luigi Orione.
Risale al 1976 l’avvio della Causa di beatificazione di Padre Giovanni Messina. Si costituì come “Attore” della Causa la Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità (Don Orione), con sede in Roma (Via Monte Acero 5), nelle cui fila erano state accolte le Suore fondate dal Padre Messina formando un Ente giuridico unico. Di fatto, l’iter della Causa iniziò con la concessione “Nulla Osta” della Congregazione per le Cause dei Santi, datato 15 ottobre 1981.
Il Processo informativo si celebrò a Palermo, dal 15 marzo 1982 al 21 marzo 1991, con 180 Sessioni del Tribunale Diocesano dedicate all’ascolto dei testimoni e alla presentazione dei documenti. Su tale processo la Congregazione per le Cause dei Santi in Vaticano ha emesso il Decreto di validità il 12 marzo 1993. La Causa si presenta come mista, testimoniale e storica. Di essa fu nominato Relatore il padre Hieronim Fokcinski, con il quale collaborò il Rev. Don Alesandro Belano. Attualmente il Relatore è il rev.do Zdzisław Józef Kijas, mentre Postulatore è il sottoscritto.
Al fine di dare maggiore consistenza storica allo studio “super vita et virtutibus” del servo di Dio, di decise di procedere alla presentazione critica dei suoi scritti e della sua biografia. Si giunse così alla pubblicazione del volume P. Giovanni Messina (1871-1949), Epistolario. Con profilo biografico-spirituale, a cura di Alessandro Belano (Ed. Rubbettino 2003, p.354) con una abbondante selezione antologica degli scritti.
Ora, in occasione del 70° anniversario della morte del Servo di Dio, avvenuta il 24 maggio 1949, mi rallegro di avere tra le mani l’opera biografica tanto attesa e tanto necessaria per accostare con devozione e, insieme, con verità storica la figura e l’opera di padre Giovanni Messina, collocato adeguatamente nel suo contesto civile ed ecclesiale. Ciò è dovuto alla passione e alla competenza dell’autore, don Alessandro Belano, che ha attinto alle fonti dell’archivio e della postulazione.
Auspico che quest’opera biografica contribuisca ad ulteriore e più approfondita conoscenza del Servo di Dio padre Giovanni Messina, base solida per la crescita della “fama sanctitatis” e della devozione, sulle quali poggia il riconoscimento ecclesiale della santità.