E' un'arte e non tutti sono artisti. Ma tutti sappiamo comunicare qualcosa di autentico. Don Orione era un grande comunicatore perché aveva grande vita di Dio nell'anima. Qualche suo consiglio.
LA PREDICA, CROCE E DELIZIA
Qualche consiglio di Don Orione.
Ricordo le mie prime celebrazioni della Messa e, conseguentemente, le mie prime prediche tenute nella chiesa parrocchiale di Campocroce (Venezia), alle 7 della mattina: vecchiette, un po’ di uomini e tanto freddo da ottobre ad aprile. A darmi il primo saluto della giornata era immancabilmente Ciccio Baretina, personaggio ben noto e pittoresco, con un saluto bonario e deciso: “Buona domenica, reverendo. Prediche corte e salami lunghi”. Nonostante questi buoni incoraggiamenti, qualche sconfinamento alla consegna della brevità l’ho fatto, con relativo atto di compunzione e buon proposito.
Questo ricordo mi è tornato alla memoria, perché mi sono imbattuto in alcuni testi di Don Orione, che contengono alcuni suoi consigli circa le prediche.
Don Orione scrisse a Don Silvio Ferretti, quando si trovava a Caorle (Venezia) come parroco, il 25 ottobre 1922: “Non essere più lungo di un quarto d'ora nei tuoi Vangeli, prediche e istruzioni. E preparati. Non dire verbosità e chiacchiere, ma tre o quattro pensieri ben definiti e ordinati, senza più lungaggini e ripetizioni! Ti raccomando, ti supplico e ti comando: brevità nelle prediche e anche nelle funzioni di chiesa” (24, 72).
Ancora a Don Ferretti e ai confratelli di Caorle, il 9 Novembre 1922, dà indicazioni: “Preparatevi per la predicazione, ma siate brevi, più brevi, brevissimi. E così nelle sacre funzioni; tu sai, caro don Ferretti ciò che sempre e tante volte ho raccomandato. E poi, in tutte le cose, non lungaggini ma brevità e sbrigarvi. Carità e molto garbo con tutti, ma sbrigarvi” (24, 76).
Don Ferretti era un sant’uomo e Don Orione ne aveva grande stima, ma di lui, come di altri due o tre confratelli dello stesso stampo, disse “Vorrei essere come lui in punto di morte, ma non in vita”. Doveva essere proprio lungo nelle prediche e non dava segno di correggersi. Ma Don Orione non mollava.
In una terza lettera in un mese, il 30 novembre 1922, Don Orione torna ad insistere e con la libertà e l’affetto che solo lui aveva, sbotta con Don Ferretti: “Tu sei uno che non concludi mai nulla: quella benedetta Gregoriana ti ha istupidito!”. “Occorre prepararsi bene per le prediche e vangeli, ma breve, chiaro, succoso, (senza sempre ripeterti colla stessa sbrodolatura) e un po’ più di azione nel predicare, via la monotonia! E brevità nelle funzioni” (69, 82-84).
Anche il grande San Tommaso d’Aquino osservava che “Le prediche brevi sono le più gradite: se buone, si ascoltano con gusto; e se cattive, annoiano per poco tempo”. In ogni caso, dunque, la brevità è utile.
Chissà a quanti Don Orione avrà raccomandato simili attenzioni nel predicare.
A Don Fiori, da poco sacerdote, tipo più focoso ed esuberante che eruttava prediche accalorate, scrive l’8 dicembre 1919: “La tua predicazione deve essere più preparata: più sostanziosa di buon senso, di ragionamento e, sopra tutto, di fatti della Sacra Scrittura. E anche più breve, molto più breve. E il calore riservalo per la chiusa dei discorsi. E le tue prediche preparatele e scrivitele, e poi conservale, che resta un lavoro fatto, e che ti potrà facilitare la preparazione per l’avvenire” (92, 32).
Anche “A don Gil ho raccomandato – scrive Don Orione - di essere più breve nella S. Messa” (23, 107); è il beato Padre Riccardo Gil, poi martire in Spagna.
A Don Enrico Contardi suggerisce: “Prediche brevi e con fatterelli” (99, 250).
Mentre fu in Argentina, Don Orione ebbe modo di osservare e ascoltare i suoi confratelli. A Don Benito Anzolin, scrive da Buenos Aires, il 30 marzo 1935: “Don Martinotti si prepari per fare bene sia il Vangelo domenicale che le prediche e istruzioni al popolo, e sia breve, breve. E tu non aver gelosia, ma fallo esercitare il ministero. E anche tu preparati bene, e sii molto più breve” (51, 50).
È noto che Don Orione fu un eccellente predicatore popolare. La sua predicazione e le sue esortazioni avevano continui richiami alla vita di fede. Gli aneddoti biblici ed evangelici rappresentavano un po' il suo cavallo di battaglia. Pur di arrivare al cuore dei fedeli sapeva parlare in modo popolare, nella forma – anche in dialetto, a volte – e nei contenuti. Per esortare ad essere semplici e di immediata comprensione alla gente meno dotta, in una riunione dei confratelli raccontò: “Una volta venne a predicare al mio Paese un professore e alle prediche andava anche mia madre. Questo professorone in tutte le prediche citava Dante. Dante nell’inferno, Dante nel purgatorio, Dante nel paradiso…. Mia madre disse in casa: «Ma chi è stu santu Dantu, che è andato in paradiso dopo di essere stato condannato all’inferno?». Questo dice a me ed anche a voi che, quando si parla al popolo, bisogna parlare in modo popolare” (VII, 132).
Emerge dall’insieme delle osservazioni di Don Orione la costante ricerca di equilibrio, di normalità perché essa facilita la sintonia con i fedeli sempre di tante e diverse sensibilità e culture. Della pratica della normalità, però, fa parte anche l’originalità, la creatività. “Nel bene, se non si è un po’ originali, se si sta sempre lì… si ristagna, si ammuffisce. La novità è mezzo di fare il bene, perché richiama l’attenzione e si interessano gli altri”. Sappiamo quanto la ripetitività crei l’anestesia (= perdita della sensibilità) della parola e anche dell’ascolto.
Tutti la chiamano ancora “predica” (discorso), ma il termine esatto è “omelìa” che significa conversazione, alludendo a un contesto confidenziale, colloquiale.
Papa Francesco, ci ha recentemente ricordato che “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione… deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione. Se l’omelia si prolunga troppo, danneggia due caratteristiche della celebrazione liturgica: l’armonia tra le sue parti e il suo ritmo (EG 138).
Il sacerdote porta nella predica i propri limiti e capacità, ma quello che conta è che l’omelia sia una comunicazione autentica, del cuore, un atto di relazione vera con la gente. “L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo” (EG 135). Quindi, la predica non la si prepara solo con l’istruzione e mettendo in ordine i pensieri, ma anche e previamente conoscendo e amando la gente cui facciamo il “servizio della Parola”.