Studio di Antonio Sagrado Bogaz presentato al Convegno "Don Orione e il Novecento", Roma, 1-3 marzo 2002.
DON ORIONE INCONTRA IL BRASILE
Antonio Sagrado Bogaz
Introduzione
Don Orione è venuto in Brasile: ha visitato le nostre terre, ha camminato lungo le strade polverose del nostro territorio, ha bevuto l’acqua dei nostri fiumi e l’acqua di cocco, ha mangiato come noi l’“aipim”. [1] Missionario alla sua prima esperienza, avrà ammirato la bellezza delle nostre foreste e gli uccelli dai vari colori. Ha elargito benedizioni ed ha recitato rosari fra gli abitanti del Minas Gerais, contadini neri “cabocoli” e europei immigrati. Avrà osservato i neri delle periferie, gli italiani tra le piantagioni di caffè, gli indios che si nascondevano nelle foreste.
Don Orione, nella realtà di questa società multirazziale, nelle diverse relazioni sociali, politiche ed ecclesiali, ha lavorato, predicato, ha progettato con visione illuminata. Nelle sue lunghe lettere, rivelatrici del suo carisma, ha espresso impressioni ed emozioni raccolte in queste terre e che hanno spinto il suo cuore di apostolo della carità, verso i più poveri ed emarginati.
Percorreremo gli anni della sua permanenza in terra brasiliana e coglieremo la sua identità carismatica, la sua profonda spiritualità e i suoi atteggiamenti pastorali che si sono arricchiti sempre più di forme ed espressioni consone alle caratteristiche dei luoghi ove si è venuto a trovare.
Tratteggiando il suo itinerario missionario constateremo l’impulso e il coraggio che egli ha avuto di immettersi nella storia di ogni parte del mondo, ma soprattutto il dinamismo che lo ha caratterizzato in questo “mondo nuovo”.
Il Brasile del primo Novecento
Aspetto culturale e religioso dei due mondi
Alle soglie del secolo XX la Chiesa del Brasile affrontava situazioni molto gravi. Ne erano la causa: il “patronato” da cui era ancora fortemente contrassegnata, il problema della formazione del Clero molto discussa a Roma, i gravi problemi derivati dal fallimento economico in seguito all’abolizione della schiavitù, e poi problemi politici dovuti all’inizio della Repubblica, e problemi sociali per gli agglomerati urbani che si andavano formando.
Come Don Orione vede la Chiesa in Brasile? Che cosa conosce della sua realtà storica? Prima di arrivarvi conosceva ben poco – come egli stesso afferma scrivendo da Roma a Madre Michel, il 3 ottobre 1905: “Non conosco la lingua, non so niente, ma la carità parla una sola lingua e tutte le lingue[2]” Nella stessa lettera però Don Orione espone il progetto della Chiesa di Roma e afferma: “Non mi sembra che si debba abbandonare l’America, ma salvarla! È così minacciata dai protestanti e dalla sete dell’oro; è necessario porre un po’ di sete di Dio e mantenerla unita, anche nel suo clero, a San Pietro. Questa è l’opera della Divina Provvidenza ed è una delle grandi aspirazioni del Santo Padre: dirigere l’azione delle Congregazioni alla conquista cristiana delle Americhe e romanizzarle[3]”.
E Don Orione sarebbe stato felice se la Provvidenza lo avesse chiamasse in Brasile “specialmente in quei luoghi che tendono ad uno spirito di insubordinazione al dolce giogo della Santa Chiesa[4]”
È la grande sfida dell’unità della Chiesa che affronta Don Orione anche in Brasile, dove gli schiavi di formazione religiosa cattolica organizzano i loro centri di candomblès, xangôs, macumba e umbanda. E’ un ritorno alle loro fonti, per molto tempo negate. La Chiesa vede ignoranza e superstizione nelle pratiche del cattolicesimo afro-brasiliano, nato dalla sintesi di elementi cattolici ed africani, quella dei “terreiros”, assumendo la devozione anche agli “orixas africani”.
La realtà socio-politica nel secolo di Don Orione
Dalla fine del XIX secolo al 1930 si registra in Brasile una grande povertà e di assoluta indigenza. Due le cause principali: innanzitutto l’abolizione della schiavitù che, mentre fu un bene nei confronti della dignità dell’uomo nero, gettò questi nella più squallida miseria. Alla manodopera nera si preferiva quella dei bianchi immigrati che divennero numerosissimi dopo la I Guerra Mondiale (1915-1918). Anche gli immigrati bianchi però non ricevevano che quanto bastava loro appena per vivere, gli stipendi erano decurtati e si diffondeva lo sfruttamento della manodopera. Gli impresari si arricchivano sempre di più e cresceva l’espansione dei loro terreni: sorsero così latifondi con monocoltura, per lo più di caffè. La condizione dei neri era ancora più grave: essi si ritrovarono liberi dalla schiavitù ma non indipendenti; non era chiesta la loro attività lavorativa; venivano cacciati dalle fazendas e il fazendeiro che riceveva l’indennizzo dallo stato, investiva le risorse nella manodopera dei bianchi lasciando i neri nella più assoluta miseria.. Altra categoria lasciata nella povertà era quella degli indios, ai quali veniva sottratta la terra dai latifondisti.
Don Orione conosce questa situazione, l’assume con una visione e progetto di speranza. In una lettera inviata a Mons. Silvério Pimenta nel 1922, scrive: “Ecco che i neri del Brasile, già barbaramente violentati e deportati dall’Africa, e vittime ancor oggi di preconcetti anticristiani e anticivili, e di un’ingiustizia sociale che pesa da vari secoli sopra di loro, faranno una nuova crociata. Dio li condurrà, quel Dio onnipotente che è originale nello scegliere i deboli per confondere i forti. Quel che agli occhi del mondo è ignoranza e nullo sarà utilizzato per umiliare la sapienza superba del secolo”.
L’agglomerazione urbana in Brasile
Tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX secolo, ci fu un intenso aumento del fenomeno della concentrazione urbana. L’addensamento delle popolazioni nelle grandi città si verificò in un contesto di carenti e inadeguate strutture. Questo agglomeramento urbano rese ancora più accentuate le differenze sociali che già erano forti. Si cercò di risolvere il problema, in parte, con i “cortiços”, o abitazioni collettive, che sorsero per lo più nelle zone malsane della città, con mercati e piazze pubbliche.
Tra il 1913 e il 1924, Saõ Paulo era la seconda città del Brasile per abitanti: ospitava un terzo della popolazione industriale del Brasile. Le sue fabbriche davano lavoro a 138.000 operai. Una parte importante della sua popolazione era composta da immigrati portoghesi, italiani, spagnoli, tedeschi, arabi, giudei e giapponesi la cui venuta in Brasile era stata stimolata dal governo, nel secolo precedente, per sostituire il lavoro schiavo e per contribuire all’”imbiancamento”della popolazione.
Tra il 1890 e il 1929 l’immigrazione italiana toccò vette altissime, fino a 3.523.591 persone, di cui i due terzi si fermarono a Saõ Paulo occupati nelle fabbriche, nel commercio e nell’artigianato. Essi formarono delle comunità e diedero un nuovo colore ai quartieri della capitale. Anche le nuove tecnologie determinarono sviluppo e miglioramento nella città, mentre l’edilizia dovette provvedere a sviluppare alti edifici in verticale per creare alloggi per il numero crescente di immigrati. Il numero dei cortiços, specie in periferia, era in aumento: erano casette allineate, non separate l’una dall’altra che da un’esile parete, il bagno e il mastello erano collettivi.[5] Ben presto, soprattutto a Rio, nacquero le “favelas” che in parte sostituirono i cortiços. Sorsero così casupole costruite con materiale precario: fango battuto, fango e paglia, assi di legno, fogli di zinco e lamiere varie. Queste abitazioni proliferarono presso le colline della città. Tra il 1917 e il 1926 esistevano già favelas nel Catumbi, Lagoa, Ipanema e Gavea, più grandi erano quelle “cariocas, di la “Praia do Pinto” e la “Rocinha”.
La medesima cosa avveniva a Saõ Paulo dove il quartiere “Bexiga” aveva una popolazione plurietnica e presentava non pochi problemi nella compagine immigranti e neri. Questa regione popolata da gruppi di schiavi fuggiti o liberi, divenne, all’inizio del XX secolo, rifugio di immigrati che condividevano i bassi costi dei terreni e vi fabbricavano le baracche. Oltre ai portoghesi e spagnoli, si moltiplicarono quelle degli italiani che segnarono il quartiere con le loro caratteristiche tradizioni. Il più esteso era il quartiere della “Bexiga”, incuneato tra le valli del Tamanduatei- Anhangabaù e i torrenti Saracura Grande e Pequeno. All’interno si intrecciavano stradine e meandri, a volte ripide scale e cunicoli. Le donne del quartiere (ogni famiglia contava da 8 a 9 figli) si occupavano soprattutto nel lavare vestiti ai margini dei torrenti e poi, con l’aiuto dei bambini, andavano in città per la consegna ai clienti.[6]
Molte furono le iniziative benefiche a favore di questa povera gente, soprattutto per opera di varie congregazioni religiose.[7] Alcuni istituti religiosi contribuirono efficacemente a rendere più degno il lavoro, sia professionale che agricolo. Al primo posto furono i Salesiani con i loro licei d’arte, e le scuole agricole e poi gli scalabriniani, gli orionini, ed altri.[8]
In questo panorama economico e socio politico si diresse Don Orione per svolgere la sua missione in terra brasiliana.
Don Orione in Brasile
Primordi della missione in Brasile
Alle soglie del secolo XX la Chiesa nel Brasile doveva affrontare situazioni molto gravi, quali la questione del “patronato”, da cui era ancora fortemente contrassegnata, il problema della formazione del clero molto discussa a Roma, i gravi problemi derivati dal fallimento economico in seguito all’abolizione della schiavitù, e poi problemi politici dovuti all’inizio della Repubblica, e problemi sociali per gli agglomerati urbani che si andavano formando.
Il primo Arcivescovo di Mariana, nel Minas Gerais, Mons. Silverio Gomes Pimenta era un pastore autentico, secondo il cuore di Dio: aveva idee chiare sulla irrazionalità della schiavitù dei neri e degli indios, sulla perfidia della massoneria e soprattutto sui suoi doveri pastorali. Egli era il vescovo delle “visite periodiche”, infatti si recava, nell’arco dell’anno, in visita alle comunità della sua diocesi e non mostrava difficoltà nell’ammettere la sua radice “cabocola”[9]. Non esitò, dunque, venuto a conoscenza di quanto si proponeva di fare, e faceva, Don Orione, a chiamarlo nella sua diocesi. E nemmeno Don Orione esitò nell’accettare l’invito, poiché l’attività di Mons. Pimenta era consona ai suoi programmi di privilegiare gli emarginati, i neri, gli indios e rendere quei poveri “cabocoli” protagonisti della loro storia di salvezza.
Il Brasile, nel suo contesto tanto problematico, si presentava un terreno fertile alla missione. Don Orione qualcosa sapeva attraverso la Madre Michel che vi operava con le sue Suore, in collaborazione col Vescovo di Mariana. L’esperienza positiva della Madre Michel indusse quindi Mons. Silverio Gomes Pimenta a proporre anche a Don Orione di svolgere la sua missione nella sua diocesi e gli offrì un territorio di 150 Km. quadrati.
L’inizio della missione orionina in Brasile subì rinvii e ritardi dovuti a diverse cause contingenti: Mons. Bandi, di Tortona, da cui dipendeva Don Orione era di atteggiamento decisamente contrario e dava preferenza alla solidità delle opere orionine in Italia, ancora tanto traballanti. D’altronde, a quel tempo, il personale religioso a disposizione di Don Orione era troppo esiguo. A complicare e rinviare tutto giunse poi la catastrofe del terremoto a Messina e in Calabria del 1908; Don Orione e le sue case si prodigarono per alcuni anni per far fronte agli immensi bisogni della popolazione e in particolare degli orfani.
Madre Michel, da parte sua, scriveva con insistenza a Mons. Bandi perché inviasse i religiosi di Don Orione in Brasile[10].
Finalmente, il 17 dicembre 1913 si poté effettuare una prima minuscola spedizione. Dal porto di Genova partiva Don Carlo Dondero, il religioso fratello Carlo Germano, e il laico, Giulio Orione[11]. Don Orione li presentò con la seguente lettera.
Tortona (Piemonte) il 15 dic. 1913
Ottava dell’Immacolata
Rev.mo signore e fratello car.mo in Gesù crocifisso,
Pax Christi!
In seguito alle trattative già corse tra la Signoria Vostra Rev.ma ed il Rev.mo Mons. Giuseppe Capra, canonico della Cattedrale di Alessandria, invio costà il padre Carlo Dondero, religioso professo della nostra Congregazione, e Direttore del Collegio-Convitto vescovile di Sanremo in Liguria.
Egli viene a lei accompagnato da due fratelli laici, secondo il desiderio espresso nella sua riverita lettera del 22 settembre 1913, diretta a Mons. Can. Capra. Altri sacerdoti e fratelli laici manderò mano mano che vi sarà bisogno, e che saranno desiderati.
È con vivo dispiacere che non mi è stato possibile inviarli prima per parecchie ragioni indipendenti da ogni nostra buona volontà: ho dovuto provvedere il personale per sei nuovi Istituti aperti o per desiderio della S. Sede, o per impegni precedentemente assunti. Io stesso poi mi trovava assente, in visita per le Case di Calabria e Sicilia, così che giunsi a Tortona solamente nel pomeriggio di oggi per dare l’addio a questi miei confratelli.
Il sac. Carlo Dondero viene munito di tutte le facoltà ad confessiones audiendas et verbum Dei praedicandi.
Siccome Mons. Arcivescovo di Marianna già conosce il nostro Istituto, poiché fu da lui uno dei miei sacerdoti costà, e già dovevamo venire per assumere una missione, se non fosse poi venuto il terremoto di Calabria-Sicilia ad impedirla, - così la prego favorirmi dire se occorre altro.
Io per altro mando lettera a Sua Eccellenza Rev.ma, e mi farò premura fare tenere quanto di più occorresse. (…)
Vengono pieni di buona volontà di lavorare per la gloria di Dio e della S. Madre Chiesa, e alla santificazione loro e del prossimo. Spero che faranno del bene. Si degni guidarli, consigliarli ed informarmi di ogni cosa.
Io pregherò per lei e per la sua popolazione ogni volta che pregherò per questi miei cari figli in Gesù Cristo.
Quando il sac. Dondero avrà presa cognizione delle occorrenze, manderò uno per l’agricoltura e altri a richiesta.
Intanto, nella speranza di venir pur io in tempo non lontano a far la sua personale conoscenza mi raccomando alle sue preghiere: le bacio la mano e mi onoro dirmi sempre suo umile e dev.mo, servitore e fratello in X.sto, Sac. Luigi Orione della Divina Provvidenza”.[12]
Il 29 dicembre, i tre missionari sbarcavano nel porto di Santos, territorio di Saõ Paulo, e poi in treno, il 2 gennaio 1914 arrivavano a Mar de Espanha. L’11 febbraio, vi aprirono la prima casa: un orfanotrofio, con scuola annessa, dedicato all’Immacolata di Lourdes. Don Dondero ne informava Don Orione dicendo che arrivavano già molti bambini, figli di neri, deportati dall’Africa come schiavi, per il Brasile[13].
Verso la metà del 1914, Don Orione inviò anche Don Angelo de Paoli[14] che viaggiò sulla stessa nave su cui si trovava Madre Michel per il suo terzo viaggio in Brasile. Anche in questo caso, Don Orione presentò il nuovo sacerdote.
Al Rev.mo Signore
sig. parroco don Francesco Del Gaudio
Brasile Mar de Hespanha
Tortona, il 6 giugno 1914
Veneratissimo sig.r parroco e nostro amico e benefattore,
Mi valgo della venuta al Brasile della Rev.da madre Teresa Michel per mandare anch’io un sacerdote della nostra Congregazione in ajuto a padre Carlo Dondero. Così, essendo in due sacerdoti, le cose potranno procedere meglio.
Mi faccio dovere di presentarlo con questa lettera a Vostra Signoria Rev.ma: egli è il sacerdote Angelo De Paoli, giovane intelligente e di ottimo spirito e di molta fede. Ha ventinove anni: è quindi nella maturità della vita e ancora valido di robustezza da poter lavorare molto per il Signore.
Lo raccomando quanto so e posso alla sua benevolenza: lei troverà in lui un buon figliuolo.[15]
Don Angelo seguì spiritualmente, per molti anni, le Suore di Madre Michel, per volere di Don Orione, che aveva riconoscenza verso le Suore della Divina Provvidenza e verso la loro Madre Michel Grillo[16].
Quando l’arcivescovo di Mariana fece richiesta a Don Dondero di assumere l’amministrazione di un Ospizio a Saõ José das Três Ilhas (Minas Gerais), Don Dondero vi mandò Don Angelo de Paoli[17]. Don Orione non ne fu soddisfatto poiché riteneva prioritaria la formazione di una comunità religiosa.
Nel 1920, Don Orione inviò Don Casa e Don Ballino[18] per rinforzare le fila dei religiosi che si trovavano in Brasile e organizzare un orfanotrofio per interni ed esterni. Finirono per assumere una “Casa di Preservazione Minorile” a Rio, dove c’erano già 260 ragazzi e un settore femminile[19]. Giustamente, Giorgio Papàsogli, biografo di Don Orione, commenta che non era poca cosa per una Congregazione religiosa straniera, arrivata da poco in Brasile, assumere un’opera nel cuore della capitale federale, un’istituzione già conosciuta e importante[20]. Possiamo dedurre che fu uno dei motivi che indussero Don Orione ad affrettare il suo viaggio in Brasile, riconoscendo l’importanza della sua Opera in quella terra.
Il 19 agosto 1921, finalmente Don Orione stesso arrivò a Rio de Janeiro. Quando Don Orione lasciò l’Italia, al Santo Padre Benedetto XV, che già in occasione del 25° di ordinazione sacerdotale gli aveva regalato un prezioso calice e un attestato di benevolenza per iscritto, disse che sarebbe rimasto in America per circa un anno e si sarebbe fatto piccolo con i piccoli, tra gli indios. Il Santo Padre lo munì di uno speciale passaporto diplomatico della Santa Sede.
A Rio de Janeiro, abitava da parecchi anni un pronipote di Don Orione, Eduino Orione, che godeva una buona posizione economica. Già nel 1913, Don Orione gli aveva scritto presentando i suoi missionari[21]. Quando Don Orione arrivò a Rio de Janeiro, fu accolto da Don Angelo De Paoli e dal pronipote Eduino. Fu accompagnato all’Orfanotrofio della Madre Michel dove celebrò la prima Messa in terra brasiliana. Successivamente, ebbe contatti col Nunzio Apostolico, Mons. Gasparri e col cardinale Arcoverde. Godette anche dell’appoggio dal vescovo ausiliare Mons. Leme,[22] e, nell’ambito civile, dal Dott. Nabuco. A tutti Don Orione ripeteva: “Noi ci troviamo in Brasile per lavorare a favore dei poveri, dei più poveri[23]”.
Il 28 agosto 1921, Don Orione si recò a Mar de Espanha nella casa della Divina Provvidenza che descriveva spaziosa, bella, con una cappella simile a quelle delle grandi città.[24] Conobbe le caratteristiche “fazendas dove, in generale, si coltiva caffè, canna da zucchero, grano, riso e mandioca, con la quale si fa il pane, dopo averla ridotta in farina o a un impasto con cui i poveri si alimentano”[25].
A Mar de Espanha, svolge per alcuni mesi vita missionaria, conoscendo la gente e mettendosi a disposizione come sacerdote. Restò impressionato dalla povertà materiale e più ancora dall’abbandono spirituale di quella gente. Vide la grande necessità di sacerdoti per quelle regioni. Ne scrisse in una lettera a Don Sparpaglione datata 17 ottobre 1921: “La Chiesa era piena, e hanno cantato, ed io a quei canti piangevo d’amore a Dio e alle anime, e di dolore nel vedere quel popolo senza un sacerdote che battezzasse i loro bambini, che confortasse i loro malati, che benedicesse le tombe dei loro morti! Ho letto il Vangelo, ho fatto i battesimi, ho fatto le pubblicazioni di matrimonio, ho accolto i loro fanciulli e visto i loro malati!” Poi continuava dicendo: “(…) Fui a S. Paulo e quell’Arcivescovo mi pregò di prendermi cura degli Italiani emigrati al Braz, una parte della città tutta formata di Italiani. Saranno gli Italiani di S. Paulo, almeno 200.000; è la Colonia più numerosa che l’Italia ha fuori della nostra Patria. Al Braz gli Italiani nascono e muoiono senza avere il conforto della nostra Fede. Spero che la Divina Provvidenza ci aiuterà; io ho accettato: non potevo, non dovevo dire di no. So che anche il Santo Padre molto desidera che gli Italiani di S. Paulo, insidiati dai protestanti e dallo spiritismo, non perdano la fede”.
A Mar de Espanha, la presenza della Congregazione era molto ristretta, isolata e poco significativa. Don Orione percepì che i primi sviluppi della Congregazione avrebbero dovuto avvenire nei grandi centri (Rio, Saõ Paulo, Santos…). Solo una volta impiantata e cresciuta la Congregazione, ci sarebbe stata possibilità di raggiungere anche i paesi di campagna, dove – come diceva Don Orione - “il Brasile deve accendere il fuoco con la propria legna”.[26].
Fu a Saõ Paulo ove conobbe la situazione particolarmente precaria per gli immigrati italiani. Si confida con Mons. Silverio di averne visto molti piangere. Il cuore di Don Orione pulsava per questi figli lontani dalla patria e in preda ai protestanti o alle sette spiritistiche[27]; egli non aveva molte risorse materiali né di personale, tuttavia, creò orfanotrofi, aperse istituti per l’educazione e la formazione dei giovani; si rese vicino alla gente per portarla alla Chiesa
In quel periodo, la gerarchia ecclesiastica brasiliana era ancora orientata verso una attività d’”élite”; si preoccupava maggiormente delle classi privilegiate e cedeva volentieri ai missionari europei le missioni abbandonate, in luoghi disagiati. Don Orione, senza contestare ma integrando la linea pastorale allora attuata, predilesse i discendenti di africani, le famiglie indigene, gli immigranti e altri gruppi etnici, avvicinati con amorevolezza paterna. Accettò subito un enorme orfanotrofio per i poveri a Rio de Janeiro, poi la cura di un immenso quartiere di Saõ Paulo, di circa cento mila abitanti, con numerosi problemi, e poi ancora altre opere a Santos, città portuale, con gravi problemi sociali. Ben a ragione il Papa, nella omelia per la sua beatificazione ha detto che Don Orione ha percorso le strade col cuore dell’Apostolo Paolo. Egli ripeteva sempre alle autorità civili ed ecclesiastiche: “In Brasile noi siamo venuti per i poveri, per i più poveri”.
Proprio per questa attitudine, Don Orione e Madre Michel godettero fiducia da parte delle autorità e si occuparono di zone prive di chiese e di cura pastorale.[28]
Il 19 marzo 1922, Don Orione nominò suo rappresentante per l’America latina, Don Giuseppe Zanocchi. Così ne dava l’annuncio a Mons. Grassi, Vescovo di Tortona. “Il Santo Padre nella sua ultima udienza, nel benedirmi, ha confermato che io rimanessi per tre mesi ma dopo questo tempo fu prolungato… Ma ritornerò presto, essendo Dio servito come anch’io desidero, ora che le cose in Brasile sono incamminate, e ben incamminate, con l’aiuto di Nostro Signore… Si lavora e ci si aspetta molto frutto. In Brasile mi sono gettato a raccogliere ragazzi di strada, e come sono numerosi![29]”
Molte furono le difficoltà, soprattutto per la scarsezza di mezzi e di risorse umane. Ai suoi primi missionari Don Orione dava le seguenti istruzioni: “Voi siete inviati ad istruire, educare i giovani più poveri e abbandonati, esercitare il sacerdozio nel mezzo dei più bisognosi”.
Il 18 giugno 1922, Don Orione si imbarcava sulla nave “Re Vittorio Emanuele II” per fare ritorno in Italia. Durante la traversata compose la circolare “Ecce quam bonum…”, un vero inno alla carità[30]. Quando Don Orione tornò in Italia, portò nel cuore i drammi sociali ed economici di tanta gente: il suo amore per i poveri e per la Chiesa ne fu fortemente rafforzato.
Don Orione ritornò in Brasile durante il suo secondo viaggio missionario in America Latina, negli anni 1934 e 1937. visitò i suoi Figli della Divina Provvidenza e poté vedere i primi germogli vocazionali in terra brasiliana. Partì dall’Italia con la benedizione apostolica di Papa Pio XI, ricevuta durante una “consolantissima udienza” il se settembre 1934, a Castelgandolfo. Dopo il saluto alle opere di Roma e di Genova, celebrò al Santuario della Madonna della Guardia di Tortona (26 ottobre) e, dopo avere ricevuto il crocifisso missionario dai due vescovi orionini Paolo Albera e Felice Cribellati, si imbarcò per attraversare l’Oceano. Sulla nave c’era il Card. Eugennio Pacelli, legato Pontificio diretto ala Congresso Eucaristico di Buenos Aire. Con Don Orione si erano imbarcate pure un gruppo di sue Piccole Suore Missionarie della Carità, accompagnate dalla superiora generale suor Maria Pazienza.
Sostando a Rio de Janeiro, il 6 ottobre, Don Orione fu accolto calorosamente da confratelli e amici; un gruppo di signore gli offre simbolicamente della frutta tipica. A Rio, lascia Don Lorenzetti, destinato a quella missione. Da Rio si diresse a Santos, il porto di San Paolo. Qui ad accoglierlo c’erano Don Mario Giglione, Don Pietro Martinotti e altri confratelli. Don Angelo de Paoli poi lo accompagnò a Buenos Aires dove si teneva il grande Congresso Eucaristico internazionale.
Per Don Orione seguono tre anni di grande fervore di attività apostoliche e di aperture missionarie. Il 14 maggio 1934, scrive a Mons. Bruno: “Alcuni miei delle Case del Brasile apriranno entro Gennaio, una stabile Missione al Mato Grosso, nell'interiore, dove sono gli Indi, zona pericolosa: due Sacerdoti Salesiani poco più di un mese fa vi furono uccisi dai selvaggi”.[31]
Il 6 gennaio 1935, egli scrive al nipote: “Non ti posso dire quando verrò in Brasile: ho tanto lavoro qui! Aprirò una Missione presto - già accettata, nell’interiore tra gli Indi, in paese infesto e molto caldo; si capisce che ci andrò io pel primo. (…) Sento che la vita se ne va, ed ho grande desiderio e ardore di consumarla a fare del bene. Vuol dire che, se in Brasile non potessi venire da vivo, lascerò che mi ci portino da morto, ma anche da morto voglio lavorare a fare del bene!”.[32]
Don Orione ritornò ancora in Brasile nel 1937. A Rio de Janeiro, giunse il 27 marzo, sabato santo, e si fermò per passarvi la Pasqua. Si recò a visitare il Card. Leme; celebrò la Pasqua nel Collegio “Divina Providência” di Gavea; visitò il primo seminario della Congregazione in Brasile, a Niteròi, guidato da Don Carmelo Putortì e Don Francesco Arlotti.
Tra marzo e aprile svolge una intensa attività di relazioni e contatti, facendo la spola tra le città di San Paolo e Rio de Janeiro. A San Paolo, venne affidata alla Congregazione una chiesa parrocchiale, dedicata a Nostra Signora Achiropita, nel quartiere “Bexiga”, molto povero e non molto distante dall’Orfanotrofio. Gran parte della popolazione di quel posto era costituita da figli di schiavi e da immigrati, in gran parte calabresi. A “Bexiga” di San Paolo si fermò dal 3 al 10 aprile con i confratelli, Don Mário Ghiglione, direttore, Don Carlo Alferano e Don Pietro Martinotti. Si mostra soddisfatto del lavoro dei suoi religiosi e della benevolenza tanto dell’Arcivescovo che delle autorità civili. Oggi, in quello stesso luogo, l’Opera Don Orione accoglie 370 bambini e 150 barboni.
Il 19 aprile, con atto di paterna benevolenza, il Card. Leme si recò a visitare Don Orione nella Casa di Gávea, per esprimere la propria riconoscenza per il lavoro svolto dalla Congregazione in favore dell’educazione dei giovani, degli orfani e degli abbandonati. “Il Cardinale – scrisse il Jornal do Brasil – elogiò l’opera che considera una delle migliori per la formazione della gioventù brasilera”.
Il giorno 22 aprile 1937, Don Orione lasciò il Brasile a bordo del “Neptunia” per ritornare in Argentina e di lì, poi, il 6 agosto, in Italia. Ebbe la possibilità di sostare ancora brevemente a Santos, il 10 agosto, e a Rio de Janeiro, l’11 di agosto. Può ancora visitare la casa di Gavea, incontrare il Cardinale e il Nunzio Apostolico; il 13, sale al Cordovado. E’ ricordato che ai piedi della statua del Cristo redentore egli benedisse commosso il Brasile, pronunciando la famosa frase:Ciò che non ho fatto per il Brasile in terra, lo farò dal cielo!”. In quello stesso giorno, si imbarca verso Napoli dove giunse il 24 agosto 1937.
Don Orione e tre personaggi importanti in terra brasiliana
Don Orione nei suoi viaggi in Brasile, mantenne rapporti col popolo ma anche con persone di una certa importanza con l’appoggio delle quali poté impiantare e far progredire la sua Opera accanto ai poveri e ai gruppi più bisognosi di assistenza religiosa e sociale.
Tra le persone con le quali Don Orione ebbe a trattare annoveriamo Madre Teresa Michel Grillo, Mons. Silverio Pimenta Gomes e il conte José Vicente de Azevedo.
Don Orione e Madre Teresa Michel Grillo
La beata Madre Miche Grillo[33] è molto nota e benemerita in Brasile. Ella si recò cinque volte nell’America del Sud e si dedicò personalmente, assieme alle sue religiose, ad alleviare sofferenze, malattie, dolori e lutti tra le povere famiglie di periferia, nella capitale paulista in via di emancipazione veloce e disorientante.
Madre Michel, superando tante difficoltà e dispiaceri, partì per il Brasile assieme a due Suore il 30 maggio 1901. Rimase per poco tempo a Santos (SP), poi si recò a vivere nel quartiere paulista della Mooca dove si trovava un grande contingente di immigrati italiani e loro discendenti. Fu ricevuta da Suor Maria Gilet che la introdusse nella realtà sociale ed ecclesiale del luogo. I suoi viaggi tra l’Europa e l’America del Sud furono frequenti; ella si recò cinque volte nell’America del Sud e si dedicò personalmente, assieme alle sue religiose, ad alleviare sofferenze, malattie, dolori e lutti tra le povere famiglie di periferia, nella capitale paulista in via di emancipazione veloce e disorientante.
Fu Madre Michel, principalmente e insistentemente, a volere Don Orione e gli orionini, in Brasile. Con Don Orione c’era infatti una grande vicinanza geografica – di Alessandria lei, di Tortona lui – consonanza di ideali – entrambe le congregazioni sono titolate alla Divina Provvidenza – e una strettissima relazione spirituale, avendo la Madre scelto il giovane fondatore come guida sua e dell’Istituto.[34] Don Orione in una lettera a Mons. Tuschi, segretario della Congregazione per i Religiosi, dando buona testimonianza della Madre, afferma: “Conosco la pia Fondatrice per un’incombenza che, fin dai primi tempi, ho ricevuto dal suo Vescovo di Alessandria, Mons. Giocondo Salvay, di santa memoria e, dopo, dal vescovo attuale, Mons. Capecci”.
La Fondatrice delle Figlie della Divina Provvidenza, alla quale Don Orione aveva prodigato assistenza spirituale e guida, dopo aver iniziato con le sue Suore un lavoro di assistenza e aiuto agli immigrati italiani, scriveva e supplicava Don Orione di andare e di mandare i suoi figli in quella terra, ove tanti immigrati italiani soffrivano lo sfruttamento dei fazendeiros produttori di caffè. Don Orione, sensibilissimo per la salvezza delle anime, aperto ai problemi sociali, desideroso di lanciare la giovane sua congregazione sulle frontiere missionarie, pur stretto da mille difficoltà concrete, finì per accogliere la supplica della Michel, alla quale rispondeva che era disposto ad andare a lavorare per “piantare le sue tende nelle terre brasiliane”.
Per l’intanto, nel 1906, Don Orione mandò Don Vittorio Gatti perché lavorasse a fianco della Madre Michel a Saõ Paulo. Qui però Don Gatti non fu ben accolto dalla gerarchia ecclesiastica che tendeva all’indipendenza dal potere romano. Egli allora, per consiglio di Don Orione, si spostò nel territorio di Minas Gerais, a Queluz, dove svolse la sua attività missionaria.
Poi, con la venuta dei primi Orionini in Brasile e poi di Don Orione stesso, la collaborazione si intensificò e stabilizzò con reciproco giovamento.
Don Orione e Mons. Silvério Pimenta[35]
Don Orione conobbe Mons. Pimenta quando questi era vescovo di Mariana (MG). Non sappiamo quale sia stata la data esatta del loro primo incontro, certamente prima della Prima Grande Guerra. Don Orione era stato già invitato ad assumere una missione pastorale e caritativa in Brasile e quando arrivò a Rio de Janeiro (20 agosto 1921), aveva l’intenzione di cercare Mons. Silvério. A Rio de Janeiro, come abbiamo visto, accettò la conduzione della Casa di Preservazione Minorile con 260 bambini, poi si diresse a Mar de Espanha. Il suo incontro con questo Vescovo nero si verificò il 2 ottobre e lo comunicava a Madre Michel con queste parole: “Ho avuto l’impressione di aver incontrato un santo”[36].
Don Orione si prefiggeva anche di dare vita ad un istituto per sacerdoti, religiosi e religiose di colore, cioè neri e voleva metterlo sotto la protezione di S. Efigenia, infatti avrebbe chiamate le Suore “Monache di Santa Efigenia”. Diceva con convinzione: “Nostro Signore Gesù Cristo non ha mica dati i Consigli Evangelici solo per i bianchi, né la vocazione è da supporsi che sia limitata al colore della gente… Ci saranno delle delusioni? Le aspetto, ma non mi stancherò di cooperare per le vocazioni tra i neri”[37].
Don Orione scrive una lettera a Mons. Silverio e gli espone il suo programma e la richiesta di approvazione dei due nuovi rami di religiosi neri. Assicura di aprirsi alle vocazioni indigene in piena fedeltà alla Chiesa ed espone la necessità di sacerdoti per la discendenza africana, specialmente per i giovani. Le due famiglie religiose dovrebbero dedicarsi alla conversione del “continente nero” e portare a questa razza, già schiavizzata, la libertà dei figli di Dio.
Nell’Epifania del 1922 Mons. Silvério risponde a Don Orione e dice di essere pienamente d’accordo al progetto che è altresì un suo desiderio, ma che non può dare il permesso senza consultare prima Roma.[38]
Nel frattempo Don Orione si reca in Argentina dove rimane per tre mesi, fino al maggio 1922. Si dice che egli lavorava di giorno per l’Argentina e di notte per il Brasile. Intanto la salute di Mons. Silvério diventa precaria e viene assegnato un ausiliare con diritto alla successione. Don Orione incarica Don Dondero, che si trova a Mar de Espanha, di contattare il nuovo vescovo. In maggio, al suo ritorno in Brasile, Don Orione volle incontrare le comunità di Rio de Janeiro e di Saõ Paulo, ma non poté incontrare più Mons. Silverio perché dovette anticipare la partenza.[39]
Don Orione avrebbe voluto dar vita ai due nuovi rami della Congregazione a Mariana ma i pregiudizi e le proibizioni erano molto forti, esplicito il veto da parte della Curia di Saõ Paulo[40]. Quando tornò in Brasile, nell’agosto del 1922, Don Orione rimase a Saõ Paulo in aiuto delle Suore di Madre Michel. Nel mese di settembre moriva Mons. Silvério e l’approvazione vescovile della nuova fondazione venne rinviata; il suo sogno rimase però a retaggio della Congregazione orionina che fu la prima ad accettare vocazioni di colore tra i suoi membri.
Don Orione e il Conte José Vicente de Azevedo[41]
Quando Don Orione arrivò in Brasile la prima volta (1921), sentì l’ispirazione di visitare la città di Saõ Paulo. Trovò ospitalità nell’Orfanotrofio Cristoforo Colombo, nel quartiere Ipiranga e al mattino dell’8 ottobre visitò il quartiere noto per la proclamazione dell’indipendenza del Brasile. Avviandosi verso la fermata dell’autobus attraversò un appezzamento di terreno non molto grande, poi costeggiò una collina e sentì interiormente: Qui sarà l’Opera S. Giuseppe. Gettò una medaglietta nel terreno e chiese alla Vergine SS.ma di fargli incontrare, prima di mezzogiorno, il proprietario. Il terreno apparteneva al Conte José Vicente de Azevedo. Questo grande professore, quel giorno si trovava presso il Ginnasio Statale perché faceva parte di una Commissione esaminatrice. Uscito dal Ginnasio per andare alle poste egli, passando davanti alla Chiesa di S. Antonio, da devoto cristiano, entrò per un momento di adorazione. Anche Don Orione era entrato in quella chiesa e si era diretto in sacrestia per chiedere informazioni sul proprietario del terreno. Fratel Bartolomeo vide il professore davanti al SS. Sacramento e disse a Don Orione: “Quello è il proprietario del terreno alla collina dell’Ipiranga. Si conobbero, fissarono un incontro per il giorno seguente, nella residenza del Conte: Don Orione fu sicuro che in quel posto sarebbe sorta l’opera S. Giuseppe. Il conte d’Azevedo , rimasto orfano in giovane età, nutriva il desiderio di aprire una casa per gli orfani, specialmente per i figli degli immigrati italiani. E’ conservata una bella lettera nella quale Don Orione esterna al De Azevedo i propri progetti e la propria simpatia per il popolo brasiliano.
Gentilissimo sig.r Dott.re, José Vicente De Azevedo
La grazia e la pace di N. Signore Gesù Cristo siano con lei e con tutti i suoi cari.
Ho ricevuto copia di quell’atto, e la ringrazio.
Ho scritto a dom Duarte una lunga lettera dove gli ho anche parlato di quanto V. Sig.ria ha fatto, dandomi il terreno sull’Ipiranga, dove la Divina Provvidenza presto comincerà i lavori per ricoverare almeno 50 poveri fanciulli nel nome di S. José. Ne ho parlato anche a Sua Eccell. Rev.ma Mg.r Nunzio e a don Sebastiano Leme, che entrambi mi vollero invitare a pranzo. Di tutto sia gloria a Dio solo!
Io scriverò ancor nella sublime lingua di Camois, il grande poeta e grande patriota.
Io sono un caldo ammiratore della vostra civiltà, della vostra religiosità, della vostra istruzione, e delle vostre eminenti virtù domestiche e civili.
Vi esprimo il mio compiacimento di trovarmi tra voi, e da questo sacro tempio, io saluto in forma pubblica in forma solenne tutte le Autorità e tutti i distinti e rispettabili...
Siate sempre saldi, costanti, fermi, e forti nella vostra fede cattolica: perseverate nella vita cristiana, nella pratica della Santa legge di Dio, da figli umili e devoti della Santa Chiesa Cattolica Apostolica e Romana, umili e devoti figli del vostro grande vescovo e pastore don Silverio tanto dotto quanto santo”.[42]
In quell’anno 1922 non si poté realizzare l’inizio dell’opera per il mancato permesso dell’arcivescovo di San Paolo, Mons. Leopoldo Duarte. Don Orione dovette a malincuore far fronte alle insistenze del conte De Azevedo che avrebbe voluto vedere presto sorgere l’opera che aveva sognato. Carità e comunione ecclesiale per Don Orione erano inscindibili.
“Da Genova, il dì 8 gennajo 1930
Eccell.mo sig.r senatore Dott.r José Vicente de Azevedo,
La grazia di N. Signore Gesù Cristo sia sempre con noi!
Ho ricevuto solo da alcuni giorni la gradita lettera di Vostra Eccellenza, data da S. Paulo il 30 nov.bre 1929, e le sono assai tenuto della benevolenza onde la Sig.ria Vostra si degna onorarmi.
V. Eccellenza vorrà ricordare il perché io preferii lasciar perdere la munifica donazione che ella con «scrittura di compromesso» mi fece il 19 maggio 1922, malgrado che un’altissima autorità mi avesse consigliato di agire diversamente. Allora e dopo mi sono astenuto dal dare corso alla detta scrittura, lasciando che la soluzione venisse data da Dio, nell’ora di Dio.
Qualunque figlio della S. Chiesa, ma specialmente chi fa professione di vita religiosa, deve ai vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio, la più grande docilità di spirito e illimitata venerazione di figlio.
Così Nostro Signore mi ha assistito con la sua santa grazia, e quindi ho commesso a Dio la soluzione delle difficoltà che V. Signoria sapeva: Iddio conosce le ore e i momenti delle sue opere”. [43]
Il permesso fu accordato solo nel 1933 con la dichiarazione del Vescovo Duarte: “Dò la mia intera approvazione al progetto del benemerito Signor Dott. José de Azevedo riguardante la fondazione delle Officine di San Giuseppe, sotto la direzione dei padri della Divina Provvidenza”. Era giunta l’ora della Divina Provvidenza attraverso la benedizione del Vescovo. E l’opera cominciò.
Quando nel 1937, Don Orione tornò nuovamente a Saõ Paulo, poté celebrare la Messa a Ipiranga, nella capella dell’Istituto (Av. Nazaré, 795), l’8 giugno; parlò ai bambini dell’Asilo e del Grupo Escolar São José. In quella occasione Don Orione e il Conte firmarono l’atto relativo all’opera nascente.
Il progetto di Don Orione per il Brasile
Don Orione si fece una visione piuttosto realistica della realtà popolare ed ecclesiale del Brasile. Si può dire che ebbe un progetto per il Brasile? Qualcosa di organico e articolato pare di no; non era possibile per la vastità dei problemi e per la parzialità delle sue permanenze in Brasile. Aveva dei certo dei principi dinamici di sviluppo, delle linee carismatiche che interpretavano la realtà che andava incontrando. Possiamo riconoscere alcune linee di intervento di Don Orione in Brasile nel “Progetto” della Piccola Opera formulato da Don Orione l’11 febbraio 1903, riassunto nell’ “Instaurare omnia in Christo” (“Rinnovare tutto in Cristo”) attraverso:
a – educazione della gioventù;
b – evangelizzazione degli umili ed oppressi;
c – attività ecumenica;
d – risposte operative alle necessità delle Chiese locali.
Don Orione voleva cioè attuare la sua missione attraverso le opere di carità. Ciò non scaturiva da sentimentalismo o da pietismo, ma dal desiderio di operare “un vero apostolato”, come scrive ai suoi figli di Mar de Espanha, per cui, pur valorizzando le vibrazioni del cuore, cerca tenacemente di perseguire il suo ideale: prevenire e premunire la gioventù dai pericoli, e portarla alla vita cattolica, salvarla, avvalendosi della scuola; salvare le masse operaie abbandonate a se stesse o in balia di idee e persone sobillatrici; creare coesione nella Chiesa tra clero e popolo.
E’ noto come Don Orione inquadrava la sua azione caritativa in una visione sociale e in un progetto di innalzamento dei poveri e delle classi povere in un quadro di giustizia sociale. Egli più volte spiego il rapporto dinamico tra carità, giustizia sociale ed evangelizzazione. L’Istituto – spiegava Don Orione - “non è un mero rifugio per orfani, - diceva - ma vuole avere utilità pubblica e sociale. I suoi occhi fissano il popolo: non sembra più sufficiente il tempio per irradiare nel popolo lo Spirito di Gesù Cristo e del vangelo. È necessario scendere, andare al popolo, verso la gioventù, i poveri , gli ignoranti, i senza fede, coloro che soffrono, e vivere con loro, stancarsi, lavorare, soffrire, sentire con loro e inculcare lo Spirito di Gesù Cristo e salvarli”.[44]
Nella seconda metà del secolo XIX la popolazione del Brasile si organizzò in diversi movimenti, soprattutto quella delle campagne, sintomo di malcontento e di rivendicazione. Si formarono gruppi rurali quali il Movimento di Canudos (leader Antonio Conselheiro e la nota la figura di P.Cicero Romão (1872 – 1924), i Movimenti di lotta socio- politica; i movimenti di lotta carioca, i movimenti paulisti e altri movimenti sorsero verso la fine del secolo XIX che, facendo astrazione dai contenuti religiosi, esplodevano in lotte salariali servendosi di scioperi che si protrassero fino agli inizi del secolo XX.
In questo periodo affluirono in Brasile esponenti di Congregazioni religiose che si affermarono esplicando attività di evangelizzazione, intesa come stimolo al ritorno alla Chiesa, mentre offrivano protezione e difesa. Anche in Europa sorsero movimenti ecclesiali per l’assistenza agli emigranti e alle famiglie di chi varcava gli oceani in cerca di migliori condizioni economiche.
A partire dal 1920 venne attuata una forma di repressione da parte del governo che accrebbe la già problematica situazione sociale determinando oppressione, povertà e ingiustizia.
Questa realtà tristissima trovò Don Orione al suo approdo in Brasile nel 1921: i figli degli schiavi espulsi dalle fazendas errano per le vie disoccupati e malvisti; gli immigrati , sfruttati nelle regioni di produzione del caffè, sfruttati, senza alloggio e senza risorse per acquistare, a scopo di sopravvivenza, un po’ di terra. Questo fa capire come Don Orione per i primi pensi subito a un Istituto per la formazione professionale dei figli degli operai immigrati, soprattutto italiani, molti dei quali, attraversando l’Oceano non avevano trovato “L’america” (cioè fortuna, ricchezza), ma la fame e l’emarginazione;[45] per i secondi, comprende la necessità di costituire due rami della congregazione per i figli e le figlie d’Africa affinché fossero essi stessi promotori di un’azione pastorale e sociale per quella parte della popolazione che, dopo l’oltraggio della schiavitù, subiva ora l’avvilimento di una miseria ancor più disumana.
Conclusione
Don Orione è venuto in Brasile e si è immedesimato dei problemi di questa terra: si è dato conto di quanta delicatezza e prudenza occorresse per incidere su popolazioni miste, di diversa cultura, storia e tradizione che mostravano l’esigenza di un grande rispetto alla loro matrice culturale e religiosa.
La cultura è la maniera di rapportarsi con la natura, con se stessi e con Dio e racchiude perciò tutta la vita di un popolo : la sua esistenza, i costumi, la lingua, le istituzioni, le strutture di convivenza sociale, la religione. Questo popolo multiculturale aveva già subito dominazioni e colonizzazioni per cui si presentava alquanto diffidente all’opera di romanizzazione e di europeizzazione. Don Orione comprende perfettamente la psicologia di questa gente e l’accosta con una dimensione unica, efficace, adatta a tutte le culture: la sua carità.
Con questo mezzo infallibile si rende presente in Brasile e da allora la sua Congregazione ha percorso un cammino di assistenza e di azione pastorale molto proficuo. Oggi la famiglia orionina è presente in Brasile con due province: Nostra Signora di Fatima al nord e Nostra Signora Assunta al sud per i religiosi; la provincia Nostra Signora Aparecida per le religiose. Le vocazioni sono molto numerose, l’anno 2002 è iniziato con 36 novizi. Sono presenti anche le Suore Sacramentine non vedenti, le Consacrate laiche e poi c’è il Movimento Laicale Orionino (MLO) che coordina i laici, vicini a vario titolo alla famiglia di Don Orione, e che si impegnano a diffondere il carisma e il progetto di Don Orione: “vedere e servire nell’uomo il Figlio dell’uomo”.
[1] Un particolare tipo di mandioca.
[2] G. Poli, Dom Orione e o Brasil, Manoscritto, Archivio Don Orione, Saõ Paulo (sarà citato Poli), p. 7.
[3] Ibidem.
[4] Scritti 103, 5.
[5] J. Arbex Junior, M.H.V. Senise, Cinco séculos de Brasil, Images e Visões moderna, Saõ Paulo 1998.
[6] N. Sevcentro, Historia da Vida Privada no Brasil, V.3, Saõ Paulo 1998, p. 37.
[7] A. Antoniazzi e outros, Cristianismo 200 anos de caminhada, ( III Ed.), Saõ Paulo 1996.
[8] R. Azzi, A Igreja e o menor na historia social brasileira, Cehila, Saõ Paulo, p. 108.
[9] J.R. Gonçalves, Dom Orione Missionario no Brasil, Florianopolis 1995, p. 4.
[10] Madre Michel nell’aprile del 1908 scrive a Mons. Bandi: “Pensi, Padre, che ci ha promesso (Don Orione) di aiutarci mandando qui i Loro Padri e venendo a visitarci. Con che coraggio posso andare avanti, quando quelli che mi dovrebbero aiutare si ritirano e mi lasciano sola?” G. Papàsogli, cit., p. 240.
[11] Questi furono i primi missionari in Brasile: Don Carlo Dondero nacque a Genova il 5 novembre 1884. È stato il primo religioso orionino a entrare in Brasile. È stato parroco a Mar de Espanha, a Santo Antonio de Chiador e a Saõ José das Três Ilhas, sempre a Minas Gerais. Specializzato in meccanica. Morì a Saõ José das Três Ilhas il 5 agosto 1927. Fratel Carlo Germano era orfano della Calabria. Venne in Brasile, ma si ritirò dalla Congregazione già nel 1914, ma sempre rimase tra gli amici di Don Orione. Il Sig. Giulio venne da S. Remo dove prestava servizio di cameriere nel convento San Vito; Poli, p. 12.
[12] Scritti 51, 197-198.
[13] Papasogli, p. 243.
[14] Don Angelo de Paoli nacque a Pavia, in Italia l’11 agosto 1885. Fino al 1912, ancora chierico aveva operato nel Ricreatorio popolare Pio X di Lonigo (Vicenza). Ordinato sacerdote, partì per il Brasile ove arrivò il 22 giugno 1914. Diresse le case del Brasile fino al 1946.Tornato in Italia per il II Capitolo Generale fu eletto Consigliere Generale e rimase in Italia. Tornò in Brasile nel 1948, per l’inaugurazione del Santuario “Nostra Signora di Fatima” a Rio de Janeiro. Morì a Roma il 12 novembre 1959.
[15] Scritti 51, 199.
[16] Cfr. «La Piccola Opera della Divina Provvidenza», novembre-dicembre 1963 e «L’Opera della Divina Provvidenza», 19.4. 1915.
[17] Papàsogli, p. 314.
[18] Don Francesco Casa nacque a Cuneo (Italia) nel 1886. Venne in Brasile il 10 febbraio 1920. Da Mar de Espanha andò a Saõ Paulo nel 1921 dove iniziò le opere orionine. Nel 1925 andò in Argentina e nel 1929 in Italia. Morì a Roma il 3 agosto 1953. Don Gabriele Ballino era della diocesi di Genova (Italia). Fu ricevuto da Don Orione che lo inviò in Brasile. Lasciò la Congregazione nel 1921.
[19] La Casa di Preservazione venne aperta ufficialmente il 15 ottobre 1921, con il nome di Istituto di Preservazione di Minori, a Rio de Janeiro, vicino alla stazione Leopoldina. Il suo primo direttore fu Don Angelo De Paoli, aiutato da Don Mario e dal chierico Arlotti.
[20] Papàsogli, p. 315.
[21] “Arrivano in Brasile , con destinazione Mar de Espanha e passeranno per Saõ Paulo, i miei primi missionari. Il sacerdote che arriva è Don Carlo Dondero, che probabilmente tu avrai conosciuto quando eri a Tortona. Forse avranno bisogno di qualcosa. Te li raccomando molto: ciò che farai a loro, lo avrai fatto a me stesso”, Dom Orione e a America do Sul, Archivi della provincia Nostra Signora dell’Annunciazione, Saõ Paulo; Poli, p. 11.
[22] Nel libro Meditação sobre o mundo interior, Alceu Amoroso Lima, p.80-81, 1955, narra la testimonianza dell’allora cardinale Leme sull’incontro con Don Orione nella sua seconda visita in Brasile, scrive: “E per non andare lontano, un giorno, lì nel palazzo Saõ Joaquim, Mons. Sebastião Leme ha ricevuto la visita di Don Orione che ritornava dal Cile e dall’Argentina, dopo aver impiantato là Case dell’Opera della Divina Provvidenza la quale ha fatto trovare, nel mondo, a migliaia di abbandonati , l’unica eredità che non svanisce: l’amore e il pane. Quale non fu lo spavento del cardinale quando l’umilissimo religioso tirò fuori dalla tasca della talare una disciplina e, inginocchiatosi prima di parlare, cominciò a flagellarsi dicendo: Eminenza, io non sono che un povero peccatore! Pazzia, diranno facilmente i ben pensanti. E realmente la santità, quando vince a tal punto il rispetto umano, tocca l’orlo di quella ‘pazzia della Croce’ di cui parlava S. Paolo e che è la pienezza della sapienza”.
[23] Papasogli, p. 319.
[24] Ibidem.
[25] Lettera del 27.8.1921, Dom Orione e a America do Sul, 36. Da Mar de Espanha, il 30 agosto, scrive una lettera all’antico parroco di quella cittadina: “M. Rev.do sig.r Vicario Del Gaudio e caro fratello nel Signore. È piaciuto alla mano di Dio di portarmi al Brasile, ove da tempo desideravo di venire. Difficoltà diverse, e poi la guerra e le dolorose sue conseguenze, me lo avevano fin qui impedito; ma ora devo essere grato a Dio che si è degnato condurmi in questo grande paese del Brasile. Qui giunto, e prima ancora di venire a Mar de Hespanha, nella settimana scorsa che rimasi a Rio, ho pensato più di una volta a lei, come a caro mio amico, e non ho dimenticato nelle prime S. Messe celebrate su questa terra brasilera di pregare per colui che io, pure di lontano, non ho mai tralasciato di ritenere quale uno dei primi nostri amici e benefattori. Ed oggi, con l’antico e immutato affetto, la prego di gradire questa mia, che è l’espressione del mio animo, spiacente che non abbia io oggi altro modo per darle ogni prova, ogni migliore dimostrazione del mio rispetto e della mia riconoscenza. Io voglio sempre pregare per lei, caro padre Del Gaudio, e mi auguro di potere incontrarla per dirle a voce quanto sento per Vostra Signoria. Le conceda Iddio ogni conforto, ogni celeste benedizione, ed ella voglia nelle sue sante orazioni ricordarsi qualche volta di questo suo obbl.mo servitore e fratello in osculo Christi, Sac. Orione Luigi della Div. Provv.za”; Scritti 51, 200.
[26] G.V. Pattarello, Perfil de Dom Orione, p.192.
[27] Cartas pedagógicas de Dom Orione, p. 49-50.
[28] “Il 31 ottobre il Nunzio Mons. Gasparri e il Vescovo ausiliare Mons. Leme visitarono la Casa di Mar de Espanha. Era questo un riconoscimento ufficiale importante, in un ambiente come quello brasiliano”, Papasogli, p. 321.
[29] Papasogli, p. 331.
[30] Ibidem.
[31] Scritti 67, 197.
[32] Scritti 40, 271.
[33] Per una conoscenza biografica: A. Gemma, La Madre. Profilo biografico della beata Teresa Grillo Michel, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998; R. Lanzavecchia, Teresa Grillo Michel, La figura, le opere, Rusconi, Milano, 1991; C. Torriani, Madre Teresa Michel, Scuole Professionali Don Orione, Roma, 1960; C. Torriani, La Signora Madre... Madre Teresa Grillo Michel, Tip. Viscardi, Alessandria, 1988.
[34] Di un incarico formale di guidare la nascente congregazione della Madre Michel si parla in una lettera scritta da Mons. Antonio Giuseppe Villa, di Alessandria, in data 23 settembre 1896: “Reverendissimo Don Orione, il Signor Vescovo, Mons. Giocondo Salvay, si trova d’accordo sul fatto che il Signore faccia tutto ciò che giudica migliore per l’Istituto di madre Michel. Ha già la sua approvazione. Perciò, mano all’opera e subito. Si metta d’accordo con la Signora Teresa e sia deciso quanto al regolamento e alla necessità che le figlie che si trovano qui facciano il noviziato in altre case […]. Nel frattempo, preghiamo e facciamo pregare molto perché si realizzi unicamente la volontà di Dio e non la nostra!”.
[35] Le notizie che seguono sono tratte dall’articolo di A. Lanza, Per le vocazioni dei figli d’Africa in Brasile, «Messaggi di Don Orione» (32)2001 n. 103, p. 29-40.
[36] Scritti, 14, 87.
[37] Scritti, 50, 112ss.
[38] Poli, p. 75.
[39] Scritti, 64, 130.
[40] Poli, p. 76.
[41] V. P. Azevedo, Um encontro providencial, in Conde José Vicente de Azevedo, sua vida e sua obra, Saõ Paulo 1990, pp. 274-284.
[42] Scritti 51, 203.
[43] Scritti 51, 201.
[44] Scritti 61, 90.
[45] Le masse operaie urbane trovavano facile sbocco nelle iniziative del socialismo e dell’anticlericalismo e pertanto si allontanavano dalla Chiesa. Cfr. Lettera del 23.8.1921 in Poli, p.35.