A Gosaldo (Belluno), ci fu la Colonia estiva dell'Istituto Marco Soranzo di Campocroce (VE) negli anni 1965-1966. Fu lasciata in seguito alla disastrosa alluvione del 4 novembre 1966.
GOSALDO, NOSTALGIA E BELLEZZA
Don Flavio Peloso
Gosaldo, in provincia di Belluno, è un piccolo comune incastonato in una cerchia di montagne alte, maestose, affascinanti, ai piedi delle Pale di San Martino, la cui vetta regina è la Croda Granda, alta 2367 metri. Il comune di Gosaldo è composto da una dozzina di piccole frazioni, con la sua sede nella frazione Don. Si trova a metà strada tra Agordo e Fiera di Primiero, nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
Oggi, Gosaldo conta poco più di 600 abitanti, diminuiti drasticamente dopo la disastrosa alluvione che il 4 novembre 1966 travolse e in gran parte distrusse le frazioni che formavano un comune di circa 2.300 abitanti.
Proprio nel 1965 e 1966 qui ebbe sede la Colonia estiva Don Orione che ospitava i ragazzi del piccolo Seminario di Campocroce di Mirano (VE). Nel 1965, furono alloggiati in un edificio a lato di una delle ultime curve prima di entrare in paese della strada proveniente da Agordo e da Forcella Aurine, “Casa alpina Don Angelo Giani”. Nel 1966, i ragazzi furono ospitati in un edificio, più in basso nel centro del Paese, in Via Don 13, molto più spazioso e con un ampio cortile.
Fui uno dei ragazzi che in quei due anni furono ospiti a Gosaldo. Due estati meravigliose, con passeggiate per noi allora eroiche, alla scoperta di bellezze naturali, con prove di sacrificio e di coraggio affrontate con la gaia spensieratezza dei ragazzi in crescita di 12-14 anni. Imparammo a conoscere i funghi e i fiori, i canti alpini e i giochi.
Tutto avveniva in quel clima di famiglia di ragazzi responsabili che avevano in mezzo a loro, come padri, dei sacerdoti e chierici.
Direttore era Don Fioravante Agostini che godeva di stare in mezzo a noi, partecipando a giochi e passeggiate. Foto che conservo preziose lo mostrano celebrare Messa in mezzo a un nevaio, ai piedi della Croda Grande, attorniato da noi ragazzi emozionati, devoti e anche un po’ infreddoliti.
La vita della Colonia girava attorno a don Ivone Bortolato, uomo d’ordine, tuttofare, di grande sacrificio e premura. Tutti lo ricordano con lo zaino grande sulle spalle nelle escursioni lunghe e faticose.
C’erano poi don Giorgio Ancelliero, allegro e scherzoso, e, meno stabilmente, don Luciano Molteni, l’economo, che faceva spola per portare verdura e frutta da Campocroce; Don Giovanni Basso, il vocazionista, seguiva soprattutto i ragazzi del cosiddetto “campo scuola”, la breve esperienza prima di entrare nel seminario.
Nei due anni si succedettero alcuni chierici, sempre in mezzo a noi, ricchi di inventiva e animatori di giochi: Sante Campion, Ugo Bottaro, Giuseppe Vallauri, Irno Burelli, Settimo De Martin.
Si instaurò un clima cordiale con la gente del paese che vedeva sfilare quella schiera di ragazzi allegri per le strade e scendere dai sentieri; poi ci vedevano in chiesa pregare e cantare devoti. Al termine dell’estate 1966, per iniziativa di don Agostini fu donato e collocato un capitello con una statua della Madonna proprio sulla sponda del torrente Gosalda e fu battezzata “Madonna del torrente”. Rimase per poco a ricordo e protezione, perché il 4 novembre successivo, proprio da quel torrente partì l’ondata di distruzione che ferì gravemente il ridente comune di Gosaldo ed anche la statua della Madonna seguì la sorte di quegli abitanti.
Sono tornato in questi luoghi il 20 luglio 2020, dopo 55 anni. Sono andato a vedere le due case, che ben ricordavo, ho rivisto il cortile, il muricciolo sulla curva su cui sedevamo godendo il gioco delle tante auto che vi passavano; ho rivisto la chiesa; sono andato fino a Forcella Aurine, meta di passeggio, ricordando la festa del piccolo santuario della Madonna della Neve al 4 di agosto.
Ricordavo questi luoghi visti con gli occhi sorpresi e immaginifici di ragazzo e, oggi, mi sono sembrati ancora ancora più belli e affascinanti.
Fermo sul ponte del torrente, mi sono rivisto ragazzo di 13 anni, incantato per lunghi minuti a guardare lo spettacolo dell’acqua che scorre, sempre uguale e con gioco sempre nuovo, ed ho pensato: ne è passata di acqua sotto il ponte.